XLIV

Il portinaio aveva imparato la lezione, e finse di non vederli quando attraversarono l’androne del palazzo diretti all’ascensore. Suonarono all’appartamento dell’ultimo piano, e dopo qualche istante l’uscio si aprì.

Da uno spiraglio strettissimo, apparve un occhio della domestica indiana, che li squadrò con diffidenza. «Che volete? Andate via, la signora non…»

Prima che Sara potesse attaccare il discorsetto che aveva preparato, Pardo assestò una manata alla porta spalancandola; con un colpo secco lo spigolo centrò Anjali in piena faccia. «Senti, bella, io sono la polizia e non sei tu a stabilire dove entro e dove non entro. Anzi, già che ci sei: mostrami il permesso di soggiorno, il contratto di lavoro, i versamenti dei contributi, la tessera sanitaria e le dichiarazioni dei redditi. Così stasera avrò da leggere per addormentarmi.»

Massaggiandosi la fronte, su cui stava comparendo un bel segno violaceo, la donna cambiò espressione, e da bellicosa divenne supplichevole. «Non volevo essere maleducata, ci sono tanti delinquenti in giro, e la signora dice: “Non fidarti di nessuno”. Ma adesso ho capito, siete quelli dell’altra volta, accomodatevi. Volete un caffè?»

Pardo grugnì un monosillabo, mentre Sara si chiese quale particolare gli fosse sfuggito quando si era raccomandata di usare un po’ di tatto. Non riuscì a rivolgere al poliziotto neppure un cenno per invitarlo a essere più educato perché, proprio in quel momento, dal nulla si materializzò la barboncina infernale che aveva ridotto a brandelli i pantaloni di Davide. Appena notò l’ispettore, l’animale si avventò famelico sulla stessa gamba che aveva attaccato in occasione della precedente visita.

Pardo colse un movimento con la coda dell’occhio e assunse la posizione adeguata. Appena il cane balzò in direzione della caviglia, l’ispettore si produsse in una plastica sforbiciata da consumato centravanti e, calciando di collo pieno, scaraventò il cane contro la parete.

Con un disperato guaito, la bestia rotolò al suolo e si diede alla fuga, continuando a emettere un verso in falsetto che avrebbe spezzato il cuore di chiunque non avesse già avuto modo di apprezzarne l’indole pestilenziale.

Sara dovette ammettere che il litigio con Viola e la conseguente decisione di cambiare vita avevano trasformato Pardo in un uomo diverso. Sembrava aver accantonato, o quantomeno accettato come inevitabile, la paura di incorrere in una denuncia e nel licenziamento; adesso pareva determinato a raggiungere l’obiettivo travolgendo, invece di aggirare, ogni ostacolo si fosse frapposto tra lui e la meta.

Sara e Davide superarono l’ingresso dell’appartamento e si ritrovarono in un salottino.

Gisella Maddalena li aspettava in piedi. Indossava una vestaglia, e ai piedi calzava delle pantofole, era scarmigliata e aveva la fronte corrugata. «Ma che accidenti sta succedendo? Come osate irrompere a questo modo in casa mia? Anjali, telefona subito alla polizia.»

Pardo replicò:

«Sono un pubblico ufficiale, signora. Perciò la smetta di starnazzare e ascolti la mia collega. L’avverto: se non collabora, le arresto la domestica per irregolarità che di sicuro emergeranno dai suoi documenti nonché per oltraggio e resistenza. È la sua parola contro la mia».

La donna sgranò gli occhi, spostando lo sguardo allucinato dall’uno all’altra. «Ma… è inaudito! Io ho amicizie importanti, che…»

Sara la interruppe:

«… che siamo certi negheranno di averla persino incontrata per caso, se divulghiamo quello che abbiamo in mano. Dopo, il suo cognome suonerà come un insulto».

La donna invisibile era sicura che quelle frasi così secche e dirette avrebbero suscitato nella vecchia sgomento, sconforto, paura; forse aggressività e ira.

Invece fu lei a rimanere stupita, perché Gisella Maddalena le rivolse un sorriso beffardo, in cui non c’era la minima traccia di timore. «Di nuovo la storia di Lombardo, è così? Me l’aspettavo da quando quel delinquente si è presentato qui a suo nome, la prima volta. L’ho cacciato, ma a quanto pare ha parlato con voi. Be’, signora, non mi importa niente di quello che avete da dire. Mio marito è morto, ed era un magistrato integerrimo e onestissimo, amato da tutti. Una menzogna è solo una menzogna: mi basta un minuto per spazzarla via, insieme a chi l’ha inventata.»

Sara, però, non era tipo da tollerare una minaccia. «Avrebbe ragione se non esistessero inconfutabili prove materiali di un’avvenuta corruzione, che attestano persino le modalità di consegna del denaro. In più, suo marito ha incontrato Lombardo in prigione, confermando così di avere un qualche legame con lui. Quindi no, signora, non ci metterebbe un minuto a cancellare la faccenda. È molto più probabile che sia la faccenda a cancellare lei.»

Pardo ridacchiò:

«Morozzi, ti adoro quando diventi una belva».

Gisella impallidì, e si accasciò su una sedia. La mano, che teneva chiuso il bavero della vestaglia, tremava come il labbro inferiore. «Sta vaneggiando» balbettò. «Non può esserci una prova di ciò che non è mai avvenuto.»

Sara ribatté, con calma:

«Era appunto quello che voleva riferirle Manuel Piscopo, quando lei l’ha sbattuto fuori da casa sua. Il ragazzo è il nipote di Antonino Lombardo, ed è in possesso di una lettera che documenta come suo marito sia stato corrotto per compromettere l’esito di un processo, incassando una grossa tangente».

Calò un silenzio attonito.

Anjali continuava a massaggiarsi la fronte con aria perplessa.

La barboncina sembrava svanita nel nulla.

Alla fine la vecchia recuperò il controllo. «Non mi interessa. Anche ammesso che abbiate ragione, questa faccenda riguarda mio marito, e lui non c’è più. Io non c’entro, non vedo proprio perché dovrebbe toccarmi. Vi denuncerò per calunnia, poi starà a voi dimostrare che il documento è autentico.»

Fu Pardo a sorprendere tutti, inclusa Sara:

«Non ha considerato il sequestro dei beni».

Gisella domandò:

«Che significa?».

Davide si strinse nelle spalle. «Be’, per quel tipo di reati non è prevista la prescrizione. Ogni magistrato che si rispetti le bloccherebbe il patrimonio. Basterebbe che qualcuno sostenesse di aver subìto un danno dall’impropria decisione del PM Virgilio Maddalena. Sarebbe un bello scandalo, non credi, Morozzi? Un boccone prelibato per i miei amici giornalisti che mi devono un favore.»

Scacco matto, pensò Sara vedendo disfarsi ogni parvenza di distacco sul volto della vedova. Ce l’avevano in pugno, e il nuovo Pardo non le dispiaceva affatto.

Gisella tacque per qualche attimo, poi mormorò:

«Che volete da me?».

Sara rispose, tagliente:

«Prima di tutto, la verità. Vogliamo sapere perché suo marito andò da Lombardo in carcere, quando ormai era in congedo da anni, i dettagli di quel colloquio, qual era la natura dei loro rapporti e se sono rimasti in contatto. E c’è anche dell’altro che le dirò alla fine, se saremo soddisfatti».

Dopo un lungo silenzio, la donna cominciò a parlare.