XLVI

La chiamata di Manuel arrivò sul telefono di Sara il pomeriggio del giorno successivo. Il ragazzo si limitò a fissare un appuntamento nel bar dove si erano incontrati la prima volta, due ore dopo la fine dell’orario di visite presso il reparto di Immunologia clinica in cui era ricoverata Carla. Seguì una precisazione inaspettata:

«Portati pure il poliziotto scemo, per favore».

Omettendo l’epiteto usato da Piscopo, Sara convocò Pardo, che si presentò al locale in leggero anticipo. L’umore di Davide non era cambiato:

«Adesso che vuole da noi? Ormai ha ottenuto quello che cercava, no?».

Sara si strinse nelle spalle. «Magari è solo per ringraziarci. O per raccontarci di come ha chiuso la trattativa con la vedova.»

«A oggi, abbiamo chiarito diversi punti e sistemato la situazione della De Rosa, ma sull’omicidio di Ada sappiamo poco, quasi niente. E Fusco, poveretto, morirà senza un minimo di conforto. Rimane in sospeso anche il problema dei miei rapporti con tua nuora e tuo nipote, che per inciso mi auguro stia meglio.»

Sara sorrise. «Ieri la febbre era scesa, sì. Magari il pediatra aveva ragione. Siamo contenti, no? E comunque Viola è d’accordo che, appena saranno pronte, gli mostrerà le analisi a cui lo hai sottoposto. Per quanto riguarda Fusco, non è ancora finita. Continueremo a indagare. Ho allertato anche i vecchi colleghi dell’unità.»

Prima che Davide potesse ribattere con una considerazione sarcastica, Manuel si materializzò, occupando con un movimento sinuoso la terza sedia libera al tavolo intorno al quale si erano accomodati.

«Buonasera» disse.

Il poliziotto, che non se n’era accorto, sobbalzò. «Ma cazzarola, perché compari di soppiatto come un dannato fantasma?»

Il giovane sogghignò. «Con dei poliziotti sempre all’erta, possiamo dormire sonni tranquilli. I delinquenti sono spacciati.»

Pardo ringhiò:

«I delinquenti veri non ci sfuggono, non preoccuparti. Con le mezze tacche come te, invece, non vale la pena applicarsi».

Sara tagliò corto:

«Allora, com’è andata con la vedova? Si è comportata secondo gli accordi?».

Di colpo il ragazzo diventò serio:

«Sì, le ho mostrato la fotocopia del messaggio, come mi avevi consigliato tu. È rimasta a osservarla per cinque minuti, sorrideva neanche fosse il biglietto di un corteggiatore. Magari le ricordava i bei tempi».

Pardo sbuffò:

«Ha realizzato che non le conveniva ignorare ancora la questione, se voleva preservare la memoria di quel corrotto del marito».

Manuel riprese:

«Il bonifico è stato effettuato, centomila euro sul conto della società che seleziona gli ammalati da inserire nella sperimentazione terapeutica. Tre ore fa hanno inoltrato la comunicazione a Carla e all’ospedale. Ci siamo. Adesso sto portando la lettera alla vecchia, e il cerchio si chiude».

Sara disse:

«Non scordarti che abbiamo garantito per te. Quindi, in futuro, niente ricatti e non fare altre copie della lettera. Ci siamo intesi?».

Le labbra di Manuel si piegarono in una smorfia. «Sì, certo, la mia parola è una. Volevo solo che Carla entrasse in quel protocollo. Del resto, ti assicuro, me ne frego.»

Pardo sogghignò. «Ecco qua l’uomo famoso per la sua specchiata onestà.»

Manuel replicò, soave:

«Dài, uno di questi giorni ti preparo un disegnino e così capisci anche tu. Comunque non sono qui per questo».

«E allora perché?» domandò Sara.

«Ho tre informazioni per voi, così risolvo anch’io la faccenda come si deve. Uno: credo sia giusto che la vediate prima che venga distrutta.» E tirò fuori dalla tasca interna del giubbotto nero un foglio ingiallito, che stese con attenzione sul piano del tavolo. Era stato ripiegato così tante volte, che sembrava sul punto di lacerarsi.

Una grafia elementare aveva scritto poche righe.

Il regalo per Maddalena, quello che tanto desiderava, cioè cento invece di cinquanta, è in una valigia nel posto che sai. Ritiratela insieme, poi entro un giorno l’avvocato deve avere conferma che la testimonianza non è ammessa. Spiegalo bene a Maddalena. Altrimenti, non solo mi riprendo il regalo, ma ha finito di ballare. Per sempre.

R.C.

Sara e Pardo lessero, poi si scambiarono un’occhiata.

La donna rifletté con amarezza su tutto il sangue versato prima e dopo che il contenuto di quell’ambigua comunicazione fosse recapitato al destinatario. Una lettera, pensò lei, dice sempre qualcosa. Anche a distanza di trent’anni.

Manuel riprese il foglio e lo ripose con cura in tasca. Poi proseguì:

«Due: ancora non so di preciso chi siete e di che vi occupate. Di sicuro non siete poliziotti, o almeno non agite da sbirri. Ho intuito che risolvete i vecchi casi, non secondo la legge, però, più che altro secondo la giustizia. E questo mi piace molto».

Pardo protestò:

«Senti, qua un poliziotto c’è eccome, e la legge va rispettata sempre. Quindi, non permetterti di…».

Piscopo lo ignorò e proseguì, rivolgendosi a Sara:

«E siccome al momento non ho un lavoro, volevo che mi tenessi presente, se ci fosse bisogno di uno con un po’ d’intelligenza e una certa sveltezza, perché siete un po’ sprovvisti sul versante maschile del gruppo».

Davide strabuzzò gli occhi:

«Sfotte pure, ’sto delinquente? Guarda che non ti ho sbattuto dentro solo perché la signora, qui, intercede per te. Sennò te la insegnavo io la…».

Sara non lo lasciò concludere:

«Mi hai anticipato, Manuel. Secondo me tu hai molti talenti, e ci potresti essere utile. Stai tranquillo, avrai presto nostre notizie».

Davide scosse il capo, esasperato:

«Eh, no, questo è un errore, Morozzi! Ci manca solo che coinvolgiamo un criminale nelle nostre iniziative, che sono già poco ortodosse, e non dubito che di questo passo un giorno o l’altro ci ritroviamo tutti in manette. Perciò niente novità, se permetti. Sarebbe gravissimo, perché io ho una carriera».

Piscopo si voltò verso di lui, sorridendo:

«Ed eccoci alla terza questione. Da quando mi avete contattato per dirmi che la vecchia accettava lo scambio, ho riflettuto su come sdebitarmi. Perché io regali non ne accetto, e mi pareva giusto ricambiare».

Pardo rispose, a muso duro:

«Ascolta, abbiamo agito così soltanto per la povera signora Carla, che pare sia una donna eccezionale, non certo per uno che…».

Il ragazzo continuò imperterrito, sempre con un sorriso dolce:

«E allora mi è venuta in mente la storia del tuo amico, ispettore: quello che il vecchio avrebbe voluto incontrare, se la memoria non mi inganna».

Davide, suo malgrado, domandò:

«E allora?».

«Non ho idea di che volesse il vecchio da lui. Con me non si apriva mai molto, e del passato mi raccontava solo quello che era necessario. Però mi sono ricordato di un dettaglio, che forse può tornarvi utile.»

Sara era concentratissima. Dalla postura, dall’espressione e dal tono di voce di Manuel intuiva che, nonostante l’apparente disinvoltura, il ragazzo era incerto se rivelare quel particolare di cui era a conoscenza. Aveva bisogno di un incentivo. «Per noi sarebbe davvero fondamentale ricevere quest’informazione, Manuel.»

Il giovane fece un gesto d’assenso col capo. «Ho saputo che era morto il giorno dopo l’ultima visita in ospedale, quando sono tornato a trovarlo. Me lo hanno detto in reparto, e amen. Mentre stavo andando via, mi ha fermato un infermiere. Aveva gli occhi… mi sembrava una brava persona, insomma. Chissà perché.»

Pardo ironizzò:

«Le brave persone si riconoscono tra loro. Stiamo in una botte di ferro».

Il ragazzo si alzò. «Vabbe’, lasciamo perdere. Magari è una stronzata. Buona fortuna.»

Sara lanciò un’occhiataccia a Pardo, e strinse il braccio di Manuel. «Devi scusarlo. Lo hai notato anche tu che non è troppo intelligente, però è buono. Concludi, per favore.»

Il poliziotto aprì la bocca per protestare, ma la richiuse con uno scatto dopo aver incrociato lo sguardo di Sara.

Manuel esitò, poi riprese:

«E insomma, ’sto tizio mi chiede: “Tu sei un parente, vero? Eri l’unico che veniva a trovarlo, e vi assomigliavate come due gocce d’acqua”. Io, e ancora non mi spiego perché, gli ho risposto che era mio nonno. Col vecchio quella parola non l’avevo mai usata, non volevo dargli soddisfazione, e poi l’ho chiamato così con uno sconosciuto. Strano, no?».

Sara sorrise, e il ragazzo continuò:

«Allora l’infermiere mi ha detto: “Stanotte c’ero solo io. Quando ha sentito che stava per morire, ha suonato il campanello. Era sedato e non mi è chiaro come ci sia riuscito. Comunque ce l’ha fatta, io l’ho raggiunto in stanza e…”». Manuel combatteva con la commozione. Era evidente dal rossore del viso, dalla mascella che si serrava e da una ruga che gli era comparsa sulla fronte. «Insomma, pare che il vecchio gli ha raccontato una storia di molto tempo prima, che riguardava una ragazza.»

Pardo si sporse in avanti, al colmo della tensione:

«Di quale ragazza parlava? E che ha aggiunto l’infermiere?».

Manuel scosse il capo. «Non gli ho domandato altro, perché se il vecchio non si è mai confidato con me, significa che non voleva che lo sapessi. E io non posso tradirlo.»

Davide si voltò verso Sara, sconvolto:

«Ma… ma come? Morozzi, l’hai sentito? Poteva scoprire il tassello che ci mancava per arrivare alla verità, così Fusco moriva in pace, e lui non ha chiesto».

Il giovane socchiuse gli occhi. «No, non è affar mio. Tocca a voi. L’infermiere si chiama Pasquale Esposito, e vi aspetta. L’ho già avvertito. Io non voglio che mi riferiate nulla: era mio nonno, preferisco ricordarlo così. Adesso siamo pari.»

Quando raggiunse la soglia, si fermò, si girò verso Pardo e disse:

«Stavolta quaranta euro. Sei stato più degno, ispettore. Bravo». Lasciò cadere a terra il portafogli di Davide e uscì dal locale.