VII

«Cosa replicate?», chiese Cristoforo Numai. «La perquisizione del vostro appartamento ha fatto emergere prove precise. Inconfutabili. Voi custodite libri profani che la santa madre Chiesa condanna risolutamente. Confessatelo! O non farete che peggiorare la vostra posizione».

Leonardo incurvò la schiena, come vinto da una forza superiore alle sue risorse.

«In parte è vero», mormorò. «Conosco il trattato di Origene finito sotto accusa. Ne ho appreso il contenuto originale, non la versione che il monaco Rufino compose adulterando i contenuti per salvare l’opera del suo maestro. Grazie al testo autentico, so che l’anima di un uomo può passare da un corpo a un altro. Può addirittura scegliere come sarà la sua vita successiva, gettando in questa esistenza il buon seme di quella futura. Ciò che ho scoperto coincide con le dottrine giudaiche sulla Creazione. Quelle trasmesse dai cabalisti, voglio dire».

Numai puntò su Leonardo un indice teso, carico di accuse.

«Finalmente la verità! Parliamo delle dottrine false e farneticanti che ha inoculato in voi quel giudeo chiamato Abravanel. Da lui avete appreso l’arte di scrivere al contrario, per giunta, in modo da creare un codice criptico inaccessibile ai profani!».

Re Francesco si mise in allarme. Il gusto di Leonardo per le sfide, la voglia pruriginosa di provocare gli animi stupidi e più ancora, quelli ottusi di fanatismo, poteva inguaiarlo sul serio. Doveva fare qualcosa! In silenzio, catturò lo sguardo del vecchio chiedendo connivenza, che si fidasse di lui e insomma, che lo lasciasse fare. Raccolse al volo un foglio dei molti che ingombravano il tavolo di lavoro. Era solo un’idea; ma valeva la pena tentare.

«Un momento, eminenza», disse. «Accusate ser Leonardo di non aver mai ritratto il Paradiso, e ciò secondo voi sarebbe la prova del fatto che non crede alla sua esistenza. A me non risulta, però. Guardate questo disegno».

Il cardinale accostò gli occhi al foglio e lo scrutò con sospetto.

«Ebbene? Vedo il disegno di un uomo racchiuso dentro un circolo».

«Chiedetevi di quale uomo si tratta, eminentissimo padre. Non vedete la perfetta simmetria del suo corpo?».

Sapeva benissimo, per averne parlato più volte con Leonardo, che il disegno metteva in grafica le teorie sulla proporzione dell’architetto latino Vitruvio, unendole a quelle dei filosofi moderni che ritenevano l’uomo mensura rerum, ovvero immagine e unità di misura del Creato. Ma era improbabile che Numai, uomo intelligente però malato di fanatismo, se ne potesse rendere conto.

Il porporato infatti non rilevò la vera natura del disegno, ma focalizzò la vista su una riga di scrittura come cercandone la giusta interpretazione; per favorirlo, il re gli passò un piattino d’argento che poteva fungere da specchio.


Tanto apre l’omo nele braccia,

quanto nella sua altezza


«Continuo a non capire, maestà».

«Ser Leonardo sta lavorando a un dipinto che ritrae Adamo prima del peccato», mentì il sovrano. «Una così esatta proporzione delle membra non esiste in Natura, appartiene soltanto alla mente di Dio».

«Stiamo pur sempre parlando di corpi».

«Ma eminentissimo padre, la perfezione fisica altro non è se non il riflesso di quella morale. Adamo era perfetto prima del peccato, quando non aveva commesso alcuna colpa. Un dotto della vostra caratura, del resto, saprà argomentare tutto questo in modo perfetto, non come me, che sono laico e impreparato…».

L’astuzia di re Francesco carezzava le ambizioni di Numai secondo il verso del pelo, e infatti, appagato nella propria vanità, il cardinale divenne conciliante.

«L’accusa di non credere al Paradiso potrebbe essere una calunnia», ammise. «Del resto il Primo Uomo, quell’Adam subtilis di cui parlano i Padri della Chiesa ben noto anche ai rabbini giudei, viveva solo nel Paradiso terrestre, dal quale fu scacciato per via della colpa. Soprassediamo dunque su questo punto. Ma il resto? Parlatemi di quel manoscritto che il papa vuole a morte e passione!».

Leonardo annuì, ormai rassegnato. Se non si fosse trattato che della sua sorte, avrebbe trovato spassoso intontire il cardinale con astruse disquisizioni fino al giorno del Giudizio; temeva però di danneggiare re Francesco, il suo generoso protettore. C’era in ballo l’elezione al trono del Sacro Romano Impero, e Leone X poteva voltare le spalle al re di Francia, se non si fosse dissipato il sospetto che il sovrano stesse dando ricetto a un miscredente. E sia! Avrebbe raccontato ciò che mai prima di quel momento, in tanti anni, s’era sentito di riferire ad anima viva.

Ma i due uomini lì dinanzi a lui, che ora lo guardavano avidi di sapere, avrebbero davvero capito quanto si accingeva a dire? Non ne era affatto sicuro; per gratitudine verso re Francesco, decise di farlo comunque.

«Non sono un eretico», proclamò. «Ma esiste un fondo di verità, nelle parole del cardinal Numai. Presso i sapienti giudei è rimasta la memoria di conoscenze che i cristiani hanno voluto dimenticare. Io le ho cercate appassionatamente. Le ho ritrovate. Ne ho scoperto l’intima e preziosa verità. Ha Qadmòn: questo era il nome del primo essere umano, quello uscito dalle mani di Dio. In quanto ultima tra le creature, era quella perfetta, che racchiudeva in sé ogni altra parte dell’universo. Per questo i filosofi antichi dicono che l’uomo è un microcosmo: ogni parte del suo corpo corrisponde a un corpo celeste, e ne subisce gli influssi. Questo essere primigenio, prototipo dell’umanità, era in sé completo. Umano, ma al tempo stesso divino».

«Lo sentite?», tuonò Numai. «Queste teorie scimmiottano la sacra teologia. Rimestano in modo ignobile il dogma sulla natura di Gesù Cristo!».

«Un momento, eminentissimo. Lasciamolo finire».

«Vi ringrazio, maestà», disse Leonardo. «La completezza e la perfezione che l’uomo possedeva in sé appena creato, stavo dicendo, svanirono per effetto della colpa. Perdette metà della sua forza, si ritrovò depotenziato e fallibile, quindi anche mortale. Prima del peccato originale era un re, e la corona che gli cingeva la testa era Keter, la prima delle dieci Sephirot: il candore che brilla nel centro del sole, la luce di Dio, il Messia. Quando si macchiò di colpa, l’uomo perfetto cadde dal suo stato iniziale. Da allora, è solo un essere meschino impastato di umile terra: ma in quella scorza terrena, tuttavia, resta comunque una scintilla divina che brilla. Che tende sempre all’immortalità».

Re Francesco annuì soddisfatto; il vecchio gli aveva appena fornito uno spunto eccellente.

«Non c’è dottrina eretica, in quel che sta dicendo», lo difese. «Semmai, può essere tacciato di dare importanza al pensiero dei giudei. Mi risulta però che anche Leone X ha interessi per la Cabala. Come ne aveva la buon’anima di suo padre, Lorenzo il Magnifico. Non si discuteva forse di certi temi, nella Scuola Neoplatonica di Firenze? Non erano esperti cabalisti, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino?».

Quell’accorta osservazione zittì il cardinal Numai, che si ritrovò a un tratto sprovvisto di obiezioni. A voler proseguire su quella linea, correva il rischio di insinuare che Sua Santità era stato generato e allevato da un fautore di dottrine devianti… Si aggrappò dunque all’unica risorsa disponibile: la sua missione.

«Non sono qui per giudicare. Il mio compito è ottenere da Leonardo quel libro che custodisce in segreto. Avanti: lo esigo!».

«Il libro è davanti ai vostri occhi, eminentissimo. Potete vedere i suoi contenuti nelle mie opere».

«Nelle vostre opere?»

«Certo. Osservatele attentamente: troverete in ognuna precise tracce di quanto volete sapere. Ho tradotto in immagini e rivelato per mezzo di simboli le verità descritte in quel trattato. Questo, in fondo, è il segreto della mia arte».