Capitolo uno

La luce porpora del tramonto incendia le viti e le terre rigogliose della Lucania. La natura tace, il silenzio è rotto solo dalle grida acute di una donna. Grida di paura, di dolore, ma in fondo alle quali si intuisce, potente, un risveglio.

Quella donna, stesa in mezzo alla polvere, sta partorendo. Tutt’intorno la terra trema e il fuoco spento del cratere del Vulture sembra destarsi dopo anni, come appiccato dal sole morente che infiamma il cielo.

Un ultimo lunghissimo lamento, e dalla donna scivolano fuori due bambine, minuscole e urlanti.

La terra arsa e spaccata continua a tremare, finché si aprono crepe, e da lì sgorga latte candido, pronto a nutrire le due creature appena nate.

La giovane madre morì di lì a poco, i lunghi capelli rossi impastati di sangue e terra. Le piccole piansero per il freddo, per la fame, e sentendo quelle grida presto qualcuno le avrebbe trovate. Ma la terra volle tenerle con sé un altro po’, forse per trasmettere loro qualche antica conoscenza segreta, e continuò a far sgorgare dal terreno quel latte immacolato che nutrì le neonate per poi farle addormentare placide, cullate da quell’immensa madre.

Fu grazie a quel latte miracoloso se riuscirono a sopravvivere.

A trovarle fu una lontana parente, sprovvista di mezzi e avara di affetto. Si chiamava Filomena, e nella sua vita non aveva conosciuto altro che la durezza del lavoro nei campi. Aveva le mani piagate, la schiena sempre dolorante. Sarebbe stata dura crescere due creature, femmine per di più. Per fortuna in campagna si cominciava presto a dare una mano, e sperava si sarebbero rese utili almeno nei lavori di casa.

Il tempo trascorse veloce, lasciando traccia del suo passaggio in una fotografia. Intorno alle due bambine vestite di bianco c’era la loro nuova famiglia: un gruppo di uomini e donne in posa tutti con gli abiti neri del lutto, come presaghi di essere i protagonisti di una tragedia. Nel breve volgere di sette anni, tutte le persone ritratte nella fotografia morirono. Tranne le gemelle: Eva e Anna.