Capitolo dieci

«Mado’, che male alla caviglia che tengo. Ma perché mi sono messo io alla guida?»

«Ancora ha male, marescia’? Ma è andato a fare un po’ di fisioterapia poi?»

«Eh. E chi c’ha tempo?.»

«E chi glielo impedisce. Ci vada, no?»

«Mia moglie… già dice che non ci sto mai. E poi cucina, cucina, cucina. E io mangio. Se non sto attento finisco per diventare un pachiderma.»

«Vabbè, marescia’, però cucina bene sua moglie. La mia, con la scusa che abitiamo sopra la madre, va sempre su da lei. Accosti, dài, guido io.»

«Bravo appunta’, che mi sei pure più basso di grado e dovresti farlo sempre tu.»

«Ma se è lei che chiede sempre di guidare!»

«E che devo fare? Mi rilassa. Con tutti i pensieri che c’ho…»

La volante dei carabinieri accostò nel buio della campagna subito fuori Matera, i fari puntati sul ciglio della strada. Il maresciallo indugiò mentre scendeva dall’auto.

«Ma l’hai visto pure tu?»

«Dove? Cosa? Una volpe?»

«No, qualcuno che cammina. Guarda… aspe’ che è buio e non si vede niente. Rimettiti dentro Tonino, andiamo!»

La volante ripartì lentamente, e dopo qualche decina di metri i fari illuminarono una ragazza vestita di nero che camminava barcollando al centro della strada.

«Oddio mio, e a questa che le è successo?»

Il maresciallo Vittorio Ferri lampeggiò con gli abbaglianti ma la ragazza non si girò.

Fermò l’auto e scese.

«Signorina, si fermi per favore! Signorina!»

Lei azzardò una corsa disperata, ma era priva di forze e rallentò quasi subito. Ferri la raggiunse con facilità e le poggiò delicatamente una mano sulla spalla.

«Signorina, la prego, siamo carabinieri.»

La ragazza si voltò di scatto, alzando le braccia per proteggersi, ma la vista della divisa la calmò all’istante. Poi chiuse gli occhi esausta e svenne tra le braccia del maresciallo.

Si svegliò immersa nell’odore acre di disinfettante e credette di trovarsi ancora in quel posto orribile. Invece era in un letto di ospedale, circondata da persone che non conosceva. Poi tra quei volti estranei riconobbe quello amato di sua madre.

«Angelica, amore, come stai?»

Adele aveva gli occhi gonfi e arrossati, i capelli tirati su alla meglio con una coda alta.

«Cosa ci facevi per strada a quell’ora? Cos’è successo ai tuoi capelli? Qualcuno ti ha fatto del male? Parla, Angelica, ti prego.»

Adele era fuori di sé, per tutto il giorno non era riuscita a mettersi in contatto con la figlia e poi quando l’avevano chiamata i carabinieri aveva temuto che fosse successo il peggio.

Il maresciallo la bloccò con un cenno della mano.

«Signora, scusi, capisco che lei sia sconvolta ma lasci parlare noi», e le indicò una sedia libera nell’angolo della stanza. L’appuntato la accompagnò a sedersi, si piegò su lei e le sussurrò di stare tranquilla, che ora la ragazza era al sicuro.

«Al sicuro? Ritrovate mia figlia che cammina al buio sulla statale senza più la sua treccia, a pochi passi dalle cascine abbandonate, sola, completamente sola. Al sicuro, dice? Ma ce l’ha lei una figlia per parlarmi così?»

Il carabiniere serrò le labbra e annuì, posando una mano complice sulla spalla di Adele, che se la scrollò di dosso e piantò gli occhi su sua figlia. Non voleva perderla di vista nemmeno per un istante.

Il maresciallo Ferri accostò una sedia al letto di Angelica e le si rivolse con gentilezza: «Proviamo a capire cosa è successo, te la senti di parlare?».

«Niente, non è successo niente» mormorò. La gola le faceva ancora male da quanto aveva urlato.

«Come niente? Sei sparita per un giorno intero e poi ti ritrovano così!» si intromise Adele senza riuscire a trattenersi.

Angelica la guardò e sforzandosi di alzare un poco la voce disse: «Mamma, stai tranquilla, sto bene. Ho seguito un ragazzino, l’ho incontrato davanti alla chiesa…».

«Che hai fatto?» chiese Adele con un acuto di preoccupazione.

«Signora, per favore, una cosa alla volta. Angelica, chi è questo ragazzino? Possiamo sapere come si chiama?»

«Non lo so, non me lo ha detto.»

«Che scuola frequenta?»

«Non so nemmeno questo.»

«Quindi, Angelica, tu hai seguito un ragazzino di cui non conosci nemmeno il nome… Puoi dirci altro di lui?»

Angelica scosse la testa. Capì di essere in difficoltà, di non essere in grado di proseguire. Quello che aveva vissuto le sembrava un incubo, un’allucinazione. In che modo avrebbe potuto raccontarlo? Non sapeva più nemmeno se fosse reale, nella sua testa tutto si confondeva. Cercò con lo sguardo sua madre, ma percepiva che era arrabbiata. Era troppo giovane per capire che in realtà Adele ce l’aveva con se stessa per non averla saputa proteggere.

«E poi?»

«E poi non mi ricordo. Sono stanca, vi prego.»

In quel momento una dottoressa entrò nella stanza e chiese ai carabinieri di assecondare le richieste di Angelica e di lasciarla riposare.

«Un’ultima domanda, Angelica. Noi perlustreremo la zona, ma prima: dove hai visto il tuo amico per l’ultima volta?»

«Non mi ricordo.»

«D’accordo» si arrese Ferri, a malincuore. «Allora riposa, torneremo quando starai meglio.»

«Marescia’, questa ragazzina avrà fatto la fuitina con il ragazzo e non vuole raccontare chi sia» disse Muzzi avviandosi lungo il corridoio.

«Sarà come dici tu. Ma era sconvolta, mi è svenuta fra le braccia… Voglio parlare con la dottoressa.»

Il maresciallo Ferri aspettò che la dottoressa uscisse dalla stanza di Angelica e poi le si accostò. Con i suoi occhi celesti a mezzaluna calante e delle piccole rughe vicino alle tempie che rivelavano i suoi quarant’anni, Ferri esercitava un certo fascino sulle donne. Cosa che risultava utile per ottenere facilmente informazioni senza bisogno di interrogatori.

«Dottoressa, la ragazza… quell’Angelica Nero. Ha segni di violenza?»

«Ha solo qualche graffio sulle mani e sul volto. Ma non ha altri segni, e non è stata aggredita sessualmente. Credo davvero che non stia nascondendo nulla di particolare o coprendo nessuno.»

«Sarà di sicuro come dice lei» ammise Ferri, «ma temo che ci stia nascondendo qualcosa di brutto.»

Nella stanza intanto Adele si era seduta sul letto della figlia e le accarezzava una guancia.

«Angelica, ti prego, dimmi la verità. Cosa sta succedendo?»

«Mamma, ho fatto un brutto sogno, non ci capisco più niente, non so cosa sia vero e cosa no.»

«Non è che hai preso qualche droga?»

«Mamma, ti prego, voglio solo dormire.»

«Dimmi almeno che fine ha fatto la tua treccia…» la implorò Adele senza smettere di accarezzarla.

«Non mi piaceva più, mi aveva stufata» mentì Angelica.

«Cosa vuol dire che non ti piaceva più? Non è possibile. Tu amavi la tua treccia. La tua treccia è…»

Adele si irrigidì di colpo. In quella treccia c’erano le spazzole d’argento poggiate sulla toeletta di sua madre, quelle con il dorso specchiato sempre tirato a lucido, regalo di un paziente di Anna. C’erano le filastrocche inventate per far passare il dolore dei nodi da sbrogliare.

L’appuntamento del mattino e quello della buonanotte.

C’erano il profumo di violetta, gli elastici di seta, le forcine, la retina.

C’era l’incantesimo di un rapporto che lei aveva sempre ammirato da lontano, quello di una nonna con sua nipote… Di una nonna che però non c’era più, e quindi ora doveva essere lei a prendersi cura di Angelica. Proteggerla. Adele ritrovò la lucidità grazie a quelle immagini di affetto domestico, lasciò perdere la treccia e cercò di capire cosa fosse successo quel pomeriggio. Ritornò all’attacco.

«Con chi sei andata in quelle stradine di campagna, e perché non rispondevi al telefono? Qualcuno ti ha dato un passaggio in auto? Ti sei messa in giri strani?»

Angelica si sentiva sopraffatta: qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe dato il via a un’altra sfilza di domande a cui non sapeva rispondere.

«Mamma, davvero, non ricordo. Mi lasci in pace, per favore?»

Adele capì che insistere non sarebbe servito a niente, non in quel momento. Angelica aveva detto di aver incontrato il ragazzino davanti alla parrocchia di don Franco. Sarebbero andate da lui, magari lo conosceva. Forse con lui Angelica si sarebbe confidata.

«Va bene amore, ne parliamo domani. Ora dormi, ci sono io con te.» Adele continuò ad accarezzare la figlia fino a quando le palpebre di Angelica divennero pesanti di sonno. Prima di scivolare nell’incoscienza, ad Angelica parve di vedere il ragazzino. Il volto pallido sotto la massa di capelli ricci scompigliati, era seduto su uno sgabello ai piedi del suo letto e sembrava vegliare su di lei.

Il maresciallo, appena uscito dall’ospedale, compose il numero della centrale.

«Ciao, sono Ferri, qualcuno ha denunciato la scomparsa di un ragazzino? No? Monica Fasano? Da quanto manca da casa?»

Chiuse la telefonata e salì in macchina, dove l’appuntato lo stava aspettando.

«La porto a casa, maresciallo?»

«No, Muzzi, oggi dobbiamo fare gli straordinari. Andiamo a fare un giro, torniamo sulla statale ora che sta facendo giorno e vediamo se troviamo qualcosa.»