Capitolo undici

Angelica camminava verso il liceo guardando la punta consumata delle sue Vans nere e l’ombra gentile del suo corpo che sembrava seguirla con il giusto distacco. Sognava di finirci dentro e diventare impalpabile, come lei. Quella mattina avrebbe fatto di tutto per essere un’altra persona, invece di una studentessa che doveva rientrare in classe e affrontare le ore scolastiche, i soprusi di Federica, l’incubo che aveva vissuto solo due giorni prima e che tentava disperatamente di archiviare come un’allucinazione, provocata in parte dal trauma della treccia tagliata e in parte dalla stanchezza di quel lungo inseguimento nei campi.

Ma soprattutto avrebbe voluto sparire dalla vista della madre, che non l’aveva mollata neanche per un secondo da quando era uscita dall’ospedale, e continuava a tormentarla chiedendole spiegazioni.

Per dimostrarle che andava tutto bene aveva deciso di tornare in classe, anche se mancava solo una settimana alla fine dell’anno scolastico. Si era armata di coraggio e, aggiustandosi i capelli alla bell’e meglio con l’aiuto di Adele, era uscita di casa col cuore che le batteva forte. Nessuno dei suoi compagni si era preoccupato per la sua assenza, ma lei aveva scritto lo stesso un messaggio a Stefania per dirle che aveva avuto una fortissima emicrania e per quei due giorni non se l’era sentita di venire a scuola. Stefania aveva visualizzato ma non aveva risposto. Ad Angelica non importava, sperava solo con tutta se stessa che nessuno avesse scoperto ciò che le era successo, altrimenti non avrebbero fatto che prenderla in giro ancora più di prima. Angelica la pazza, Angelica la ciuota che vede cose che non esistono.

Già a una cinquantina di metri dal liceo, notò un gran trambusto. Un uomo imbracciava una telecamera, accanto a lui due giornaliste in tailleur gli indicavano cosa inquadrare facendo su e giù da un pulmino con un’enorme antenna. I ragazzi sembravano divertiti da quel caos e riprendevano la scena coi cellulari per postarla su Instagram.

Angelica era confusa. Cosa stava succedendo? Si fermò ad ascoltare una delle due giornaliste, in posa davanti a un’altra telecamera fissa.

«Buongiorno a tutti. Mi trovo a Matera, città stupenda che tutti conosciamo e che si appresta a diventare, l’anno prossimo, Capitale Europea della Cultura. Ma non è per parlarvi di arte che siamo qui oggi, perché questa bellissima e tranquilla cittadina è stata sconvolta dalla scomparsa di una ragazza, Monica Fasano, diciotto anni compiuti da poco. Da due giorni sono in corso le ricerche. Alcuni testimoni ascoltati dalla Procura sosterrebbero, almeno così emerge da alcune indiscrezioni, che da tempo fosse finita in un giro pericoloso.»

Poi si interruppe, evidentemente per rispondere alle domande dallo studio. Sfiorò l’auricolare per sistemarlo meglio, alzò le spalle, indicò la scuola.

«È chiaro, Luisa. Certo, è come dici tu. Sicuramente qualcuno sa molto di più, per questo siamo qui, perché una ragazza che frequenta l’ultimo anno di un liceo così prestigioso ha degli amici. Non può aver tenuto nascosto a tutti, se venisse appurato, di avere una doppia vita.»

Poi alzò una locandina con la fotografia di una ragazza. Angelica era troppo lontana per distinguerne i lineamenti.

«È lei. Ecco qui Monica Fasano, so che da studio la state facendo vedere a tutto schermo, ma questa locandina è quella che volontari, familiari e amici stanno diffondendo a scuola, nei negozi, nelle chiese, in tutta la città. Facciamo tutti un appello: se sapete dove si trova Monica, chiamateci.»

Fece una pausa, poi riprese.

«Certo. Chiamate noi, oppure contattate le forze dell’ordine. I genitori di Monica? Certo, siamo andati a casa loro. Non ci hanno accolto molto bene. Vi stiamo per mandare in esclusiva le dichiarazioni del suo fidanzato. A dopo.»

La giornalista rimase in posa ancora qualche istante, poi sfilò l’auricolare e si avvicinò al gruppo di lavoro accendendosi una sigaretta. Alcuni suoi colleghi cercavano di fermare i ragazzi e gli insegnanti che stavano entrando per strappargli qualche dichiarazione. A un certo punto la giornalista notò Angelica, malgrado stesse camminando veloce e a testa bassa.

«Ehi, tu. Dico a te, vieni qui. Soltanto una domanda.»

Le srotolò la locandina col viso di Monica davanti agli occhi.

«La conosci?»

Capelli lunghi, lisci, scuri. Occhi neri. Occhi che Angelica non poteva dimenticare: li aveva visti sbarrati, aperti per sempre a fissare l’abisso della morte.

Era lei? Sì, era lei.

Corse dentro la scuola accompagnata dal suono dell’ultima campanella. Si precipitò in bagno e vomitò. Poi si lasciò cadere fra il water e la parete imbrattata di scritte, e capì che tutto quello che aveva visto non poteva essere stato solo un brutto sogno.

Capelli lunghi, lisci, scuri, occhi neri.

La ragazza che aveva visto appesa all’albero era Monica. E non era un suicidio, qualcuno l’aveva uccisa. Angelica di colpo si ricordò della visione: uomini, tanti, uno di loro era un vecchio… Qualcuno – qualcuno che Monica amava – l’aveva attirata in una trappola.

Erano passati tre giorni e non l’avevano ancora trovata… in che condizioni era il suo corpo?

La immaginò già scheletro. Pensò ai suoi genitori, che di sicuro stavano impazzendo per l’angoscia. Cosa doveva fare? Doveva dire ciò che aveva visto? Ma come avrebbe giustificato la sua presenza sul luogo del delitto? I carabinieri non avrebbero potuto pensare che era in qualche modo coinvolta?

Era confusa, mille pensieri si affollavano dentro di lei. Ma non poteva fare troppo tardi in classe: alla prima ora c’era l’Augenti, e non voleva beccarsi una nota sul registro che magari avrebbe compromesso la promozione.

Si sciacquò la bocca e andò in aula. Si sedette al banco, mentre i suoi compagni la ignoravano. La scomparsa di Monica era al centro di ogni pensiero e di ogni discorso; persino Federica, pur non conoscendola, aveva scritto un post in cui si dichiarava inconsolabile, giusto per attirare l’attenzione su di sé.

Mentre la professoressa si apprestava a spiegare la lezione, la vicepreside irruppe nell’aula chiedendo ai ragazzi di seguirla in aula magna.

Tutti gli studenti vennero radunati lì, e nessuno si stupì granché quando il preside, affiancato da due carabinieri in divisa, prese il microfono e fece un annuncio: «Ragazzi, vi ho riuniti tutti qui perché una vostra amica ha bisogno di noi. Ormai sapete tutti che una vostra compagna, Monica Fasano, di V A, è scomparsa due giorni fa. Ora darò la parola al maresciallo Vittorio Ferri, e vi prego di prendere con assoluta serietà quanto vi dirà e di parlare, se sapete qualcosa. Se la vostra compagna si è confidata con voi, se ha raccontato qualcosa a qualcuno, se avete notato in lei qualcosa di strano negli ultimi tempi, parlate. Siamo certi che tutto si risolverà per il meglio e che Monica si sia allontanata di sua volontà, ma ogni minimo contributo è prezioso e potrebbe essere decisivo per le forze dell’ordine».

Il maresciallo si tolse il cappello e lo posò sulla grande cattedra, gli passarono il microfono e lui, tenendolo lontano dalla bocca come chi non è abituato a parlare in pubblico, goffamente iniziò il suo discorso.

«Non si sente!» urlò qualcuno.

«È imbranato ma è bono» ridacchiarono due ragazze di seconda sedute a gambe incrociate vicino ad Angelica.

«Ma che state dicendo? È vecchio!» intervenne una terza.

«Macché vecchio, avrà quarant’anni! Ha esperienza!» si difesero le due, dandosi arie da donne di mondo.

«Ssssh!» le apostrofò duramente una ragazza di quinta. «Vi sembra questo il momento per sparare cazzate?»

Le due smisero di ridere e fecero la faccia seria.

«Silenzio!» urlò il preside. «Prosegua pure, maresciallo» lo invitò.

«Buongiorno a tutti. Ricomincio. Come vi ha appena spiegato il preside, speriamo tutti che la vostra compagna si sia allontanata spontaneamente e che non le sia accaduto nulla di male. Tuttavia abbiamo bisogno della collaborazione di tutti perché vogliamo trovarla al più presto e mettere fine all’angoscia della sua famiglia. Sono già tre giorni che i suoi genitori non hanno sue notizie. Quindi vi chiedo di fornirci qualsiasi informazione possa essere utile per il suo ritrovamento. Per questo ci hanno messo a disposizione un piccolo ufficio vicino alla segreteria: l’appuntato al mio fianco e alcuni colleghi resteranno qui tutta la mattina. Se volete rivolgervi a loro potrete farlo, e i vostri docenti vi lasceranno uscire dall’aula senza chiedervi nulla, per rispettare la vostra privacy. C’è anche un indirizzo mail a cui potrete scrivere, anche anonimamente, lo trovate qui, scritto sulla lavagna. Chiunque sappia qualcosa, per favore parli. Immagino che vogliate bene a Monica. E che comunque vi mettiate nei panni della sua famiglia. Grazie.»

Le compagne di classe di Monica, le sue amiche più care, si tenevano per mano e piangevano abbracciandosi. I loro singhiozzi si sentivano fino alle ultime file. Tutti le guardavano, immaginando che potessero essere proprio loro le prime a parlare con gli inquirenti, e infatti furono le ultime a uscire dall’aula magna.

Quella mattina a scuola fu strana per tutti. La soglia dell’attenzione era bassissima, gli studenti pensavano solo alla ragazza scomparsa, e nessuno ascoltava le lezioni, tanto che i professori si arresero e cercarono per una volta di instaurare un dialogo con i loro alunni, tentando di capire che cosa provassero in quel momento.

«Di sicuro si era innamorata di un altro e non aveva il coraggio di dirlo a Luca o ai genitori perché si erano già fidanzati in casa.»

«Ogni tanto ho visto uno che le passava vicino all’uscita e lei sorrideva.»

«Ma chi?»

«Non lo so, uno più grande».

«E dillo allora ai carabinieri.»

«Ma no! Mia madre dice di farmi gli affari miei che forse è solo la mia immaginazione, e poi nemmeno me lo ricordo.»

Venne fuori che i più pensavano che Monica si fosse allontanata di sua spontanea volontà: i suoi voti negli ultimi mesi erano precipitati, e rischiava di non essere ammessa alla maturità. La maggioranza dei ragazzi era convinta che Monica, una volta finiti i soldi, sarebbe ritornata a casa con la coda tra le gambe. Qualcuno per rendersi interessante nella discussione azzardò l’ipotesi di un rapimento, citando casi simili, ma i Fasano erano una famiglia modesta, senza i soldi per un eventuale riscatto.

Solo Angelica sapeva che la realtà era atrocemente diversa. Trascorse la mattinata immersa nei propri pensieri, dilaniata dall’indecisione, ma tanto nessuno quel giorno badava a lei. Federica era troppo occupata ad aggiornare il suo profilo con appelli per Monica: #monicafasano, #monicatornaacasa, #monicatiaspettiamo, #monicadovesei, mentre il numero dei suoi follower aumentava sempre di più.

Anche Angelica a un certo punto si mise a compulsare il cellulare per vedere se c’erano novità sul caso – magari un pastore o un escursionista aveva trovato il corpo –, ma le agenzie di stampa non avevano aggiornamenti. Poi ebbe come un’intuizione: andò su Google Maps e cercò di ripercorrere virtualmente il tragitto che aveva fatto quel giorno seguendo quello strano ragazzino. Ma dopo il ponte tibetano le immagini non erano più disponibili. Allora cercò altre informazioni in rete su quel lembo di campagna al di là della passerella: trovò qualche agriturismo, aziende che producevano pomodori… fino a quando un articolo vecchio di almeno una decina d’anni non attirò la sua attenzione. Abbandonato il progetto di riqualificazione dell’orfanotrofio degli orrori, si intitolava. Cliccò sul link. Si aprì un pdf corredato dall’immagine di una vecchia e imponente costruzione avvolta dalla vegetazione.

Angelica si sentì il cuore in gola. Era quello il posto dove era stata. Cominciò a leggere, mentre il gelo si impossessava di lei: “La società straniera che negli ultimi mesi aveva proposto all’amministrazione comunale un progetto di riqualificazione di Villa Nivelli per trasformarla in un agriturismo di lusso si è tirata indietro. L’amministratore delegato della società non ha voluto dare troppe spiegazioni in merito, e ha solo accennato a problemi con gli eredi, che non vogliono destinare ad altro uso la proprietà.

Villa Nivelli, lo ricordiamo, fu un eccellente istituto per orfani fino al 1970, anno in cui fu distrutta da un incendio che causò la morte dei piccoli ospiti e dei religiosi che gestivano la struttura. Da quel momento, Villa Nivelli rimase abbandonata a se stessa e divenne oggetto di incursioni da parte di vandali. A oggi l’edificio appare completamente in rovina, tanto da essersi guadagnato la triste fama di ‘orfanotrofio degli orrori’. E come ogni luogo abbandonato che si rispetti, ha dato vita a ogni sorta di leggende inquietanti: per esempio, c’è chi racconta che la giostrina arrugginita nel cortile sul retro talvolta si metta a girare, come se i fantasmi dei bambini ci stessero giocando. Ma, ovviamente, sono solo leggende metropolitane”.

Quando Angelica uscì da scuola, trovò Adele ad aspettarla.

«Che ci fai qui, mamma? E che hai fatto ai capelli?»

Adele si era tinta i capelli di rosso. Stavolta non con l’henné, era andata dal parrucchiere e aveva speso una cifra esorbitante, ma non le importava. Non sapeva come fare per creare una connessione con sua figlia e pensava che così, sentendola più simile, vicina, amica, lei si sarebbe aperta. E così le rispose toccandosi i capelli compiaciuta. Ma Angelica sembrava quasi vergognarsene.

«Così siamo in due a sembrare delle streghe!» La tirò per un braccio per allontanarla dai compagni. «E comunque non mi hai ancora spiegato perché sei venuta a prendermi. Non sono più una bambina.»

«Nella chat delle mamme della classe hanno parlato dell’assalto dei giornalisti, e dopo quello che ti è appena successo non volevo che qualcuno ti turbasse. Comunque, adesso Matera è sulla bocca di tutti: da che non la conosceva nessuno, a città famosa per i Sassi, fino a diventare la città dei misteri, dove è sparita una ragazza. Ho chiuso la bottega, non ho testa oggi. Ti va se andiamo in un posto?»

Angelica la seguì, restando in silenzio. Avrebbe voluto trovare le parole per confessarle tutto, ma non sapeva da dove iniziare. A volte aveva la sensazione di essere lei a fare da madre a Adele e a proteggerla, e non viceversa.

Adele la portò alla chiesa di San Pietro Caveoso. Si sedette sul muretto da cui si contemplava l’altopiano della Murgia lucana.

«Sai che è stata una delle prime cose che abbiamo visto insieme, questa? Quando sei stata battezzata. C’era anche la nonna.»

«Mamma, come faccio a ricordarmelo? Avevo solo pochi giorni» tentò di sdrammatizzare Angelica, ma non riuscì a nascondere la tristezza che aveva nella voce.

«Sai che quasi quasi, ora che non c’è più la nonna, vorrei trasformare il negozio in un bed&breakfast? Io non le so fare le cose senza la nonna. Era lei l’anima dell’erboristeria, e infatti sta venendo sempre meno gente. Potremmo ricavarne almeno due stanze con una cucina, che ne dici amore?»

Ma Adele si accorse che stava parlando da sola.

Angelica guardava un punto lontano, era persa nei suoi pensieri. Adele rabbrividì: era chiaro che a sua figlia era accaduto qualcosa di strano. E ora che un’altra ragazza era scomparsa aveva paura per Angelica. Doveva assolutamente scoprire la verità, d’altronde l’aveva portata lì per questo.

«Amore, quel giorno hai fatto davvero tutta quella strada a piedi?»

«Sì.»

«Perché, Angelica?»

«Stavo seguendo quel ragazzino.»

«Ma chi è questo ragazzino?»

«Non lo so.»

«Non lo sai o non me lo vuoi dire? Angelica, ti prego. Una ragazza è scomparsa. Tu vieni ritrovata sotto shock nelle campagne fuori Matera. Lei frequenta il tuo stesso liceo. Ora dicono che lei era finita in giri strani. Anche tu ci sei dentro?»

«No, mamma.»

Adele non poteva arrendersi, doveva vincere le resistenze della figlia. E forse aveva trovato un modo. Angelica non si era mai aperta con lei, ma con la nonna sì. E nonna Anna si fidava di don Franco. Quindi forse Angelica avrebbe potuto parlare con lui e magari avvalersi del segreto del confessionale. Adele era disposta a tutto per proteggere la figlia, anche a farsi da parte.

«Perché non parliamo con don Franco, Angelica? Lui era un amico della nonna, possiamo fidarci di lui.»

«Va bene, ci vado» si arrese Angelica, giusto perché sua madre la smettesse di darle il tormento. «Ma solo se mi ci fai parlare da sola. Aspettami a casa.»