Sono Eva, la gemella di Anna. Io e mia sorella siamo nate prematuramente sul cratere infuocato del Vulture oltre sessant’anni fa, generando, al nostro sorgere, morte.
E questa è, e sarà per sempre, la nostra condanna. Contagiamo con dolore chiunque provi ad avvicinarci.
Nostra madre, i lontani parenti che ci hanno allevate, i bambini dell’orfanotrofio, Beppe.
Quando è nata mia figlia – anche se non voluta, instillata nel mio grembo con violenza – ho compreso che era necessario interrompere questo ciclo di morte. Come turbini d’aria che incontrandosi sfidano il cielo e scatenano l’uragano, Anna e io, insieme, moltiplichiamo le disgrazie. Così me ne sono andata, tagliando quel filo di ferro incandescente che ci legava.
Nostra madre partorì all’aperto, guardando il sole che sembrava incendiare il cielo prima di tramontare. Implorò Dio di salvarla: le avevano raccontato che Dio è misericordioso. Ma mentivano, mentivano tutti. Nessuno arrivò in suo soccorso. Nostra madre morì sola, il grembo lacerato, in una pozza di sangue e placenta, senza la consolazione di cui ogni madre ha bisogno dopo lo strazio del parto: stringere a sé il proprio figlio. Sentirne la vita, il respiro. Specchiarsi in qualche dettaglio. Dopo aver dato la vita, subito la morte l’aspettava. Non so nemmeno se riuscì a provare un impulso di amore, un istante di calore materno, o se la morsa della sofferenza le concesse solo di odiarci.
Saperlo, sentirlo, sarebbe stato di vitale importanza, perché avrebbe riscritto la nostra storia. Avrebbe cambiato il nostro destino, perché io e Anna abbiamo sempre pensato di non essere state amate. E se non c’è nessuno a insegnarti l’amore, come puoi impararlo? La vita diventa solo sopravvivenza, una lotta in cui solo il più forte sopravvive. O attacchi o sei attaccato, o sbrani o finisci tu a brandelli. Non c’è altra scelta.
Io e Anna non abbiamo mai avuto qualcuno accanto. Non un padre, non un marito, qualcuno che ci guardasse con gli occhi pieni d’amore e si prendesse cura di noi come fossimo fatte di miele e talvolta di cristallo. Da quando siamo nate, per noi l’uomo è stato una declinazione del male.
Quando scoprii di essere incinta, qualcosa si risvegliò dentro di me. Dovevo evitare a tutti i costi che a una creatura innocente venissero inflitte le stesse sofferenze che io avevo subito sin dalla mia nascita. I miei carcerieri me l’avrebbero strappata per crescerla come loro figlia, e dovevo impedirlo. Ma ero loro prigioniera, mi tenevano segregata in quella gabbia mostruosa dalle ampie pareti d’oro.
Per fortuna Tina, dopo aver assistito impotente a tutte le sevizie di cui ero vittima, ha trovato la forza di chiedere aiuto. È andata da zio Michele, a cui si era rivolta spesso per curare l’anziana madre malata, e nella sua cascina vi ha trovato mia sorella. Non potevo immaginare che il destino ci avrebbe concesso di ritrovarci.
E Anna è venuta a salvarmi.
Dopo anni di apatia, intontita dagli elettroshock e dalle pillole, finalmente desideravo di andarmene, di mettere fine ai giochi perversi dei Bruni, di sopravvivere. Soprattutto, di vendicarmi di tutto il male che mi avevano fatto. Era la creatura nel mio grembo a darmi la forza di ribellarmi. E giorno dopo giorno, mentre Adele cresceva dentro di me e scalciava, ho capito cosa dovevo fare.
Elaborai un piano. Avrei affidato mia figlia ad Anna, risarcendola del male che le avevo fatto quando eravamo piccole. Le avrei permesso di imparare l’amore attraverso una figlia. Così avrei chiuso i conti col mio passato, mi illudevo.
È così che l’ho salvata. Se non ci fosse stata Adele, lei sarebbe rimasta per sempre con zio Michele, schiava delle bruciature che le sfregiavano il volto, impaurita dal mondo, una vita persa a curare i disperati della valle. Le ho dato molto più di ciò che avrebbe mai potuto desiderare, anche se mi avrà odiata, rinnegata. Secondo lei ho abbandonato mia figlia.
Adele non ha mai avuto bisogno di me, lei non porta i segni del dono, della maledizione, non li porta nel corpo e nella mente – nel cuore forse sì, ma come ho detto una volta a mia sorella, le ferite del cuore non hanno mai ucciso nessuno.
Quando è nata Angelica, invece, i morti di Villa Nivelli si sono risvegliati urlando: lei è potente, ha ereditato anche i nostri capelli rossi. La presenza di Anna la proteggeva, placava quegli spiriti inquieti, ma ora lei è morta e quelle anime sono tornate a tormentare i miei giorni, a trascinarmi nel nero della notte. E spetta a me proteggere Angelica dal peso delle mie colpe mortali.