Capitolo due

«Ma porca miseria, Toni’!» sibilò Vittorio mentre l’appuntato Antonio Muzzi vomitava sulla scena del crimine, proprio davanti al cadavere di Monica Fasano.

Avevano parcheggiato la volante davanti al cancello chiuso dell’ex orfanotrofio ed erano entrati nel giardino che circondava l’imponente costruzione dallo stesso buco nella recinzione da cui era passata Angelica, anche se non potevano saperlo.

Muzzi ci riuscì senza problemi perché era sempre stato il più esile in compagnia, mentre Ferri, più massiccio, aveva rischiato di incastrarsi. Alla fine, rimediando uno strappo alla divisa, ce l’aveva fatta.

L’area era in uno stato di completo abbandono, e la vegetazione era cresciuta selvaggia e indisturbata. Ferri si sentì immediatamente a disagio. Lui non credeva alle superstizioni di paese – per lui erano solo chiacchiere da comari – ma in quel posto si respirava una brutta aria. Anche Muzzi sembrava percepirlo: non si era più lamentato della missione, però aveva gli occhi dilatati dalla paura.

La trovarono sul retro della casa, appesa a un albero, proprio come Angelica aveva detto. Ferri riuscì solo a pensare che era una fortuna che gli animali selvatici non avessero fatto scempio del suo povero corpo, così avrebbe potuto riconsegnarlo integro alla famiglia, quando Muzzi fece un singhiozzo e vomitò.

Vittorio gli passò il fazzoletto bianco di cotone che portava sempre con sé.

«Tieni, pulisciti e informa il comando del ritrovamento.»

Quando l’appuntato si fu allontanato di qualche metro, il maresciallo si fece coraggio e alzò gli occhi per osservare bene la ragazza. Anche se era l’ennesima volta che assisteva all’innaturale spettacolo di una morte violenta, non ci si sarebbe mai abituato. Soprattutto perché in questo caso si trattava di una ragazza appena maggiorenne.

La fitta che ogni volta gli entrava dal basso ventre per scuoterlo in tutto il corpo non avrebbe voluto perderla mai: faceva male, è vero, ma gli permetteva di rimanere umano, empatico. Di continuare a provare delle emozioni.

La guardò dritto in quegli occhi sbarrati, cercando di capire se fosse stata lei a compiere quel gesto e perché, o se invece fosse stata uccisa, come sosteneva Angelica.

“Perché” si domandava sempre di fronte a cose del genere.

Perché la gente è infelice al punto di uccidersi, o di uccidere senza scrupoli?

Quando veniva travolto da questi pensieri, si rendeva conto di quanto il mondo fossero misero, crudele, un pozzo nero senza alcuna speranza.

Questa consapevolezza gli faceva montare dentro una rabbia tumultuosa come un’onda sporca, e allora si diceva che una parte del mondo era marcia e corrotta, e che quella rabbia gli sarebbe stata utile per combatterla.

Lui non era un prete, non doveva comprendere, commiserare, perdonare.

Doveva combattere. Doveva estirpare il male.

Prese il telefono e chiamò la Procura, dove gli passarono il magistrato di turno, Saverio Malaguti.

«Dottore, buongiorno, sono il maresciallo Ferri.»

«Mi dica, maresciallo» rispose secco il magistrato.

«Ho ricevuto una segnalazione su Monica Fasano, la ragazza scomparsa, e l’abbiamo trovata. Impiccata a un albero, nell’area abbandonata del vecchio orfanotrofio Nivelli.»

«D’accordo, Ferri» disse Malaguti dopo un attimo di silenzio, «mando subito il medico legale e i nuclei operativi. Arrivo non appena possibile.»

“Adesso Angelica è davvero nei guai” pensò Vittorio dopo aver chiuso la telefonata. Malaguti avrebbe voluto sapere chi aveva fatto la segnalazione. Nessuno avrebbe mai creduto alla storia di Angelica e le avrebbero fatto il terzo grado per estorcerle la verità. A meno che lui non le avesse procurato un alleato forte, magari un pezzo grosso, proprio come il magistrato Malaguti.

Se Angelica fosse stata zitta sul resto, se avesse solo detto di aver trovato Monica Fasano e non avesse parlato di omicidio, sarebbe stato tutto molto più semplice. Ferri poteva provare a convincere il magistrato, raccontandogli della nonna di Angelica, per esempio, di ciò che sapeva fare; di come lui stesso era rimasto sconvolto quando era riuscita con le sue mani e le sue erbe a guarire la madre da un dolore allo stomaco a cui nessun medico aveva trovato una soluzione. Non ce l’avrebbe mai fatta a raccontare ciò che Angelica gli aveva detto sul figlio che lui e Maria Rosaria avevano perduto. Poi le indagini avrebbero fatto il loro normale corso.

“Ma a chi voglio darla a bere?” si disse subito dopo. “Malaguti mi riderà in faccia e mi farà trasferire dall’altra parte del mondo.”

Una cosa però era chiara dentro di lui: Angelica non mentiva, perché gli aveva dato prova delle sue capacità.

Si guardò intorno cercando di riacquistare un minimo di lucidità e di sgombrare la mente. Fu allora che l’appuntato Muzzi tornò con la testa bassa. Era bianco come un lenzuolo e restò un poco discosto cercando di non guardare di nuovo la ragazza appesa.

«Ho avvisato il comando» disse.

«Vieni qua Tonino, avvicinati.»

«Preferisco di no, maresciallo, non mi sento tanto bene» balbettò.

«Appuntato Muzzi» continuò il superiore con tono duro. «Non si può fare i macellai se si è vegetariani. Hai scelto la strada al posto della scrivania, no? Allora tira fuori le palle e alza la testa. Analizza la scena del crimine e dimmi che cosa vedi.»

Se davvero le cose erano andate come sosteneva Angelica, quella ragazza prima di essere ammazzata aveva subito delle violenze terribili. Ma chi poteva essere tanto malvagio da fare una cosa del genere? Angelica aveva detto che erano in tanti… Ferri rabbrividì. Avrebbe dovuto scontrarsi con qualcosa di inafferrabile e spaventoso, con il Male, quello vero.

Muzzi fece un bel respiro e finalmente alzò lo sguardo.

«Mado’, come è giovane maresciallo. Ma quell’Angelica è sicura di ciò che ha visto? Non potrebbe averlo fatto da sola?»

«Tonino, osserva e basta. Che cosa manca secondo te?»

«Qualcosa su cui appoggiare i piedi?» rispose titubante l’appuntato dopo alcuni secondi di silenzio.

«Esatto. Quindi che cosa significa?»

«Che… si è arrampicata sull’albero e… si è buttata giù.»

«Già. E per farlo sarebbe dovuta essere estremamente lucida per non perdere l’equilibrio mentre si infilava il cappio al collo e legava l’altra estremità della corda ben stretta al ramo. Ma questo ce lo potrà dire solo l’autopsia. Vieni, aspettiamo davanti al cancello che arrivi la scientifica.»

Dopo un’attesa snervante, arrivarono alcune volanti dei carabinieri e un’ambulanza a sirene spente, da cui scesero i paramedici e il medico legale, il dottor Giovanni Locapo.

«Dov’è la ragazza?» chiese sbrigativo il medico rivolgendosi a Ferri.

«Nel giardino» rispose laconico il maresciallo. «Vi faccio strada.»

Uno dopo l’altro, i poliziotti e il personale medico entrarono nella proprietà attraverso il buco della recinzione e si inoltrarono nella vegetazione fitta fino ad arrivare all’albero dove il corpo di Monica oscillava tristemente nel vuoto.

Locapo osservò per qualche secondo la scena e poi disse, brusco: «Tiratela giù».

I poliziotti della scientifica, senza dire una parola, si misero all’opera. Quando tagliarono la corda per liberare il collo, dalle labbra semiaperte di Monica proruppe un suono gutturale e prolungato.

Quel rumore fece gelare a tutti il sangue nelle vene.

«Cazzo! È ancora viva!» disse spaventatissimo l’appuntato Muzzi prima di scappare via.

Locapo fece un sorrisetto ironico: «Non è abituato, eh?» disse a Ferri. «È normale, in casi di impiccamento: una volta tirato giù il corpo, i polmoni si sgonfiano e fanno vibrare le corde vocali, che producono un suono. Anche io la prima volta mi sono spaventato a morte.»

Il maresciallo annuì, ma anche lui era molto teso. Non riusciva a staccare gli occhi dal corpo di Monica, che ora era stato deposto a terra e veniva analizzato da Locapo.

In quel momento arrivò Malaguti, scortato da due agenti. I suoi pantaloni eleganti erano sporchi di terra all’altezza delle ginocchia.

«Che brutto posto, questo» disse a Ferri dopo averlo salutato con una rapida stretta di mano. «Ho dato ordine ai vigili del fuoco di aprire quel maledetto cancello, così l’ambulanza può entrare e portare via il cadavere.»

Ferri annuì. Ora il caso non era più nelle sue mani, e doveva limitarsi a fare da spettatore. Muzzi, nel frattempo, era tornato al suo fianco. Vittorio lo sentiva battere i denti dalla tensione.

«Che cosa abbiamo qui, Giovanni?» chiese poi Malaguti avvicinandosi al corpo.

Locapo gli rivolse un breve cenno della testa.

«Ciao, Saverio. Direi che la ragazza è morta per asfissia, poche ore dopo la sua scomparsa. Guarda le mani» e le indicò. «Le macchie ipostatiche sono compatibili con la mia ipotesi.»

Il maresciallo si intromise: «È possibile che sia stata uccisa?».

Malaguti e Locapo si scambiarono uno sguardo veloce. «L’impiccamento è di norma evenienza suicidaria» disse laconico Locapo. «Sono rarissimi i casi di omicidio.»

«Piuttosto, maresciallo» disse Malaguti, «da chi ha ricevuto la segnalazione che il cadavere era qui?»

Il cuore di Ferri accelerò i battiti. Non poteva mentire. «Da una ragazzina, si chiama Angelica Nero.»

Il cellulare del procuratore si mise a suonare. L’uomo lo tirò fuori dalla tasca, guardò il nome sul display e bofonchiò un’imprecazione tra i denti. Prima di rispondere disse al maresciallo: «La convochi, dovremo farle qualche domanda. Se la sente di avvisare lei la famiglia? Grazie maresciallo» e senza aspettare risposta si allontanò di qualche metro per rispondere al telefono.

Ferri fece cenno a Muzzi di andare via. L’appuntato aveva una faccia così avvilita che Vittorio non se la sentì di rimproverarlo per essere scappato. Si incamminarono sul vialetto.

«Marescia’, ma se è un suicidio come dice Locapo, perché quell’Angelica Nero avrebbe parlato di omicidio? Si è inventata tutto?» chiese Muzzi.

«Non lo so, Tonino» rispose Ferri. «Lasciamo che le indagini facciano il loro corso.»

«Ma lei che ne pensa, marescia’?»

«Il mio istinto mi dice di fidarmi di Angelica. E poi in questo presunto suicidio c’è qualcosa che non mi convince…»

Nessuno dei due si era accorto che Malaguti, appartato dietro un albero, aveva chiuso la sua telefonata e aveva ascoltato ogni parola della loro breve conversazione.

Dopo una mezz’ora, il maresciallo Ferri bussò alla porta della famiglia Fasano. Gli aprirono un uomo sulla cinquantina e una donna minuta, avevano entrambi le facce stravolte di chi non dorme da giorni. Diede la triste notizia mentre percepiva la sua voce come in una ampolla, tanto che dovette schiarirsela più volte. L’uomo abbracciò la moglie, che fra i singhiozzi continuava a ripetere che non era possibile. Sua figlia non poteva essere morta, lei amava la vita, aveva grandi progetti per il suo futuro.

Quando Vittorio tornò a casa ormai era molto tardi. Era esausto. Trovò Maria Rosaria a letto come al solito, non si alzò nemmeno per salutarlo. Aprì il frigorifero, si preparò un panino. Aveva saltato il pranzo, ma quando stava per dare il primo morso si accorse di avere lo stomaco chiuso. Continuava a pensare alla ragazza morta. Prese una birra, la bevve tutta d’un sorso e poi ne stappò un’altra, e un’altra ancora. L’alcol gli regalò uno stordimento non del tutto spiacevole, e Vittorio si trascinò a letto. Prima di addormentarsi, allungò il braccio per sfiorare il corpo caldo di Maria Rosaria, ma lei si era rannicchiata sul bordo del materasso e il suo gesto cadde nel vuoto.

Il giorno successivo andò al comando. Era di turno nel pomeriggio. Aveva dormito malissimo, il suo sonno era stato interrotto da continui incubi, e aveva bisogno di un altro caffè. Alla macchinetta incontrò il vicebrigadiere Lauria, un ometto sui sessanta prossimo alla pensione.

«Che faccia scura, maresciallo» lo salutò quello.

«Ieri è stata una giornata pesante» tagliò corto Vittorio. Lauria non gli stava molto simpatico: era uno che faceva il minimo indispensabile, e a volte nemmeno quello: si limitava a scaldare la poltrona.

«Ah già, maresciallo, ha trovato la ragazza scomparsa. Be’, un suicidio non è mai un bello spettacolo…» fece Lauria fintamente comprensivo sorseggiando il suo cappuccino di soia.

«Già, perché tu ne hai visti tanti, col culo sempre attaccato alla sedia» disse amaro Ferri. E poi specificò: «Non è ancora chiaro se si tratti di un suicidio. Il magistrato ha aperto l’indagine».

Lauria fece un sorrisetto beffardo. «Maresciallo, guardi che il magistrato ha già chiuso il caso come suicidio. Stamattina ha anche diramato il comunicato per la stampa. Secondo il medico legale non ci sono i presupposti per un’indagine. La ragazza si è impiccata, punto. Chissà che hanno in testa questi giovani d’oggi. Ai miei tempi…»

Ma Ferri non lo ascoltava più. Com’era possibile che il caso fosse stato chiuso solo dopo poche ore il ritrovamento del cadavere? Doveva parlare con Malaguti, subito.

Si incamminò nervoso verso il suo ufficio, prese il cellulare dalla tasca e compose il numero del magistrato. L’uomo rispose dopo una ventina di squilli.

«Che c’è, maresciallo? Sono impegnato» disse scocciato.

«Dottore, mi scusi se la disturbo, è per Monica Fasano…»

«Ah sì, è stato un suicidio. Nessuno l’ha avvisata?»

«No» mormorò Ferri.

«Locapo ha ritenuto che non fosse necessario procedere con l’autopsia, dagli elementi in nostro possesso risulta evidente che la ragazza si sia impiccata. E abbiamo ritenuto che fosse opportuno riconsegnare al più presto il corpo ai familiari, per non arrecare loro altro dolore.»

Ferri era sconcertato.

«E poi sulla scena non è stato trovato nulla che faccia pensare alla presenza recente di altre persone» proseguì il magistrato.

«Ma la vegetazione potrebbe aver nascosto delle tracce, delle impronte…»

«Maresciallo, i suoi colleghi della scientifica hanno fatto un sopralluogo accurato, e non è emerso alcun elemento di rilievo. La ragazza si è suicidata. Non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima, purtroppo. Se ne faccia una ragione.»

«Ma dottore…» provò a obiettare Ferri.

«Mi faccia trovare il prima possibile il suo rapporto sulla scrivania, maresciallo» proseguì duro Malaguti. «E poi convochi subito quell’Angelica Nero, dobbiamo verbalizzare anche la sua dichiarazione, anche se a questo punto è solo una formalità.»

Ferri deglutì, mentre lo stomaco gli si torceva dalla rabbia e dallo sconcerto. Ma non poteva contraddire un superiore.

«D’accordo, dottore» fu costretto a dire.

«La saluto» e Malaguti mise fine alla conversazione.

Ferri rimase immobile per un paio di minuti, lo sguardo perso nel vuoto. Non capiva cosa stesse succedendo. Poi si riscosse: andò nello spogliatoio a cambiarsi, uscì dal comando e si diresse a casa di Angelica. Voleva avvertirla di ciò che era successo prima che lo scoprisse dai notiziari, o dai giornali.

Lasciò l’auto in piazza San Pietro Caveoso e proseguì a piedi in quel dedalo di stradine. La casa di Angelica non era raggiungibile in altri modi.

Suonò, e fu Adele ad aprirgli.

«Maresciallo, buonasera» gli disse sgranando gli occhi, spaventata. «C’è qualcosa che non va?»

«Devo parlare con sua figlia.»

Lei aprì la porta per farlo passare. Trovò Angelica seduta sul divano, aveva il cellulare in mano. Alzò gli occhi su di lui, erano lucidi.

«Perché tutti stanno dicendo che Monica si è suicidata? Non è vero!»

Ferri si maledì per essere arrivato tardi. I giornali on line dovevano aver giù pubblicato la notizia. Avrebbe dovuto immaginarlo che al giorno d’oggi le notizie corrono velocissime, e in quel momento si sentì molto vecchio.

«Nessuno mi crede, nemmeno lei! Ma io lo so che l’hanno ammazzata, l’ho visto!» E scoppiò a piangere.

«Angelica, io ti credo» mormorò lui.

Adele gli si parò davanti, gli occhi insolitamente fiammeggianti. «Adesso lei, maresciallo, mi dice cosa sta succedendo e perché mia figlia sta piangendo. Altrimenti giuro su Dio che…»

«Si calmi, signora, la prego» disse lui, un po’ intimidito davanti a quella leonessa che difendeva il suo cucciolo. «Ora le spiego tutto.»

E le raccontò ogni cosa, senza tralasciare nemmeno la strana telefonata di poco prima col magistrato.

Adele, quando Ferri ebbe finito, se ne stette un attimo pensosa. Poi si girò verso la figlia, che aveva seguito tutta la conversazione e aveva smesso di piangere.

«Angelica, è vero quello che dice il maresciallo?»

«Sì. Ho parlato con don Franco, ed è stato lui a chiamare il maresciallo. Io non sapevo cosa fare…»

«Amore, hai fatto bene, sono contenta che hai parlato con lui. Ma… cosa vuol dire che hai sentito quello che era successo a Monica, Angelica, com’è possibile…?»

«Non lo so, però è successo. Io ho visto… io ho sentito, quello che le avevano fatto… avevo tanta paura… lei aveva tanta paura, ma quegli uomini non si fermavano… erano tanti…»

Lacrime silenziose le scendevano dagli occhi, il viso era pallido e smunto, le labbra contratte. Adele se la rivide davanti bambina, con quel suo modo di piangere discreto, come se avesse il timore di disturbare. Corse ad abbracciarla, quasi approfittando di quel dolore e vergognandosi immediatamente per aver pensato di poter trarre giovamento da quella tragedia. Ma erano così rari i momenti di contatto tra di loro, ed era doloroso non sapere dove mettere le mani per abbracciarla. Così se la strinse al petto, cullandola proprio come quando era bambina. E Angelica esplose di nuovo in un torrente di singhiozzi.

Vittorio, vedendo madre e figlia strette in quell’abbraccio, si sentì un intruso e si congedò.