Una libecciata aveva messo fine alla stagione dei bagni e poche famiglie erano rimaste, oltre quella di Fausto. Uno dei primi pomeriggi di settembre lui, la cugina, uno stuolo di altre ragazze e un giovanotto che si chiamava Carlo, fecero una passeggiata nel retroterra.
Uscirono in una campagna uniforme. In fondo i monti degradavano lentamente. Gli olivi ricorrevano sui declivi più dolci e altrove, più fitto, si stendeva il bosco. Fausto aveva ceduto la bicicletta a una ragazza. Carlo gli strizzò l’occhio.
«Come va la biondina?» domandò.
«Quale biondina?» balbettò Fausto. «Quale?» ma aveva subito intuito che alludeva a Bianca. «È partita da quindici giorni» ammise poi.
«Oh!» esclamò il giovanotto. «Ha cambiato quindicina.»
Fausto lo guardò.
«Non vorrei essere io a insegnarti certe cose» fece il giovanotto perplesso.
Fausto pensava a Bianca. Era certo una ragazza frivola: i suoi occhi freddi e ironici lo avevano sempre canzonato perché era ancora un fanciullo.
Una delle ragazze prese da parte la cugina e cominciò a parlarle sottovoce. Fausto tese gli orecchi: parlava di paste, di purga e di Carlo, e il senso era sufficientemente chiaro.
La strada divenne tortuosa e il bosco fece la sua comparsa. Intanto si succedevano gli scherzi sull’atteso malore del giovanotto.
«Sono cominciati i sintomi?» domandò una ragazza.
«Non tarderanno» rispose un’altra; e scoppiò in una risata.
«Nessun sintomo rumoroso?» insisté la prima scoppiando a ridere alla sua volta.
Ma la purga non sembrava fare effetto. A questo punto Fausto cominciò a star male, come se la purga l’avessero data a lui. Dopo un lungo esitare, montò in bicicletta e partì via. Quando fu ben sicuro d’essere a una distanza sufficiente, entrò nella macchia.
Tornando li trovò che s’erano fermati in un prato, e sedette vicino a una ragazza chiamata Clara. Fallito lo scherzo, volevano vendicarsi di Carlo a ogni costo: una bimba gli si accovacciava dietro, e una delle ragazze tentava di farlo ruzzolare con uno spintone. Ma non riuscirono nemmeno a questo.
Clara sfogliava indolentemente una margherita.
«A chi pensa?» le domandò Fausto.
Clara scosse la testa.
«Eppure si fa quel gioco pensando a qualcuno» disse ancora Fausto.
«Io lo faccio per passare il tempo» rispose Clara.
Fausto cercò invano di aggiungere qualcosa. Clara sembrava assente; ma di tanto in tanto prendeva parte alla conversazione generale. In quei momenti Fausto se la sentiva sfuggire; sentiva ancora il distacco tra i grandi e lui.
Ella cantava sottovoce Tommy.
«È dell’anno passato» disse improvvisamente Fausto. «Anche quelle del Cavallino bianco sono dell’anno passato.»
Clara lo guardò curiosamente.
«Quali ha detto?» domandò.
«Mi pare un sogno un’illusion» rispose Fausto confondendosi. Voleva parlarle di quel tempo ma non ne ebbe il coraggio. Clara lo fissava, poi distolse lo sguardo con una risatina.
Gli altri la distrassero e Fausto tacque. La vicinanza della ragazza gli aveva irrigidito la persona e la mente; ma poi si dimenticò di lei e fece ritorno all’isolamento abituale. Tutto il prato era in ombra. Le margherite spiccavano nel verde cupo dell’erba; il sole era impresso sulle fronde più alte del bosco, e sul disuguale orizzonte.
Fausto restò a guardare lontano. In quella dolce luce familiare i crinali rivolti al cielo erano sparsi d’immobili paesi. E la conversazione dei grandi, staccandosi dal verde silenzio, lo feriva dolcemente.
Poi i grandi decisero di proseguire e si levarono in piedi.
«Non ho voglia di continuare» disse Clara. Fausto che stava per alzarsi si fermò.
«Oh, vada pure con gli altri» fece la ragazza che aveva notato l’atto.
Fausto biascicò che non gliene importava.
«Resto col mio cavaliere» disse forte Clara.
La compagnia scomparve alla voltata, e Fausto si trovò solo con la ragazza. Dapprima ebbe timore di non avere argomenti, ma la conversazione si avviò da sé.
«Ha qualche libro da prestarmi?» domandò Clara.
Fausto non ne aveva.
«Me ne consigli qualcuno, allora» insisté la ragazza.
«I Miserabili e David Copperfield» rispose Fausto con convinzione.
«Davvero?» esclamò lei.
«Oh, sono due libri bellissimi» rispose Fausto.
La ragazza si mise a ridere. Poi gli parlò della sua vita durante l’anno. Andava in campagna, nelle belle giornate. Metteva insieme un mazzo di fiori o di verde, a seconda della stagione: le piacevano tanto le felci e i non ti scordar di me. Quando rimaneva in casa, curava il giardino. Disse che s’annoiava molto e che avrebbe voluto vivere come lui in una grande città.
«Che belle» esclamò indicando un ciuffo di canne in fondo al prato. «Mi piace tanto quando il vento le curva.»
Fausto guardò le canne, ma poi le sue pupille si sollevarono per spaziare lontano, verso l’orizzonte e il cielo. Come poteva Clara annoiarsi? Come poteva aver desiderio di luoghi diversi da quelli? Il suo sguardo tornò ancora verso di lei: aveva un vestito molto semplice, indicibilmente grazioso.
Poi gli altri ricomparvero e passarono oltre, portandosi via Clara. Allora Fausto si distese più comodamente. La sua felicità era immensa: vicino le felci e i mirti erano nell’ombra, ma lontano un sole rosato, quasi rosso, illuminava i paesi e i campi. Il cielo era limpidissimo. Una villa serrata dai cipressi appariva in una distesa di olivi.
Qual era la causa di quella commozione? Forse la scappata nel bosco? O il colloquio con Clara?
Risalì in bicicletta e si lanciò nell’inebriante vento della discesa. Quasi subito udì le loro voci. Dopo che li ebbe raggiunti, proseguì a piedi. Cantò con gli altri Quel mazzolin di fiori e Sul ponte di Bassano: e come gli tremava il cuore quando spiegava tutta la voce nel punto: Noi ci darem la mano – ed un bacin d’amor!
Rientrarono in paese a buio. Le vie erano illuminate e animate; la cugina si attardò per salutare e per far delle compere, così quando ripresero la via di casa era molto tardi. Lungo la strada avevano già tutti cenato e stavano fuori dell’uscio a godersi la mitezza della stagione; passando davanti alla casa, vide anche Anna in mezzo ai suoi.
Sentì che il petto non reggeva al tumulto del sentimento. E domani sarebbe tornato per l’ultima volta nei luoghi cari al suo amore.