Franceschino è della classe del Sette. Negli anni ’23, ’24, ’25 e ’26 frequenta i caffè e si appassiona agl’incontri Paolino-Spalla, Frattini-Bosisio e Dempsey-Tunney. Lui stesso gioca in prima squadra nel Cecina. Di lui si dice: ha disposizione per fare il signore ma disgraziatamente non lo è, non ha avuto voglia di studiare, ha perso tre impieghi in due mesi, non ha testa che per il foot-ball, ha compromesso una povera ragazza, che farà quando non ci saranno più i suoi genitori?
Nel ’29 comincia la crisi: è un grosso guaio. Finalmente Franceschino trova un posto a Livorno.
A ventisett’anni sposa una ragazza di Livorno.
A trent’anni è fisicamente insignificante, piuttosto basso, stempiato, coi denti gialli per il fumo eccessivo. Fermo davanti a una camiceria guarda in una vetrina. Voltandosi per riprendere la strada uno lo urta e gli chiede scusa. Franceschino scuote la testa con un leggero sorriso.
All’angolo della via si ferma a discorrere con un ragazzotto.
«E a pallone?» gli domanda quest’ultimo.
«A pallone,» risponde Franceschino «sono anni che non tocco un pallone.»
«E perché?»
Franceschino scuote nuovamente la testa con un sorriso. Alza la mano dove risalta l’anello matrimoniale e aspira una boccata di fumo. Prosegue senza fretta verso l’ufficio.
Saluta un giovanottone che viene in giù. La sua schiena un po’ curva s’allontana per la strada: butta la cicca e scompare in un portone.