Importanza grandissima ha in un libro l’ordine di successione delle pagine, dei capitoli, delle illustrazioni, anzi quand’ero piccolo attribuivo a quest’ordine importanza esclusiva. Ho ritrovato un quaderno contenente la Storia dei Papi da me scritta, io credo, intorno ai dodici anni, ma non ho potuto stabilire quale fosse il valore di quest’opera perché scritta in maniera completamente illeggibile (eccezion fatta per i titoli dei capitoli segnati in lettere maiuscole e calcati in neretto). Il lettore può pensare che l’illeggibilità sia dovuta a uno scolorimento dell’inchiostro o alla carta deteriorata: comunque all’azione corrosiva del tempo. Invece no: fui io, quando scrissi la Storia dei Papi, a renderla appositamente illeggibile. Allo scopo adopravo un inchiostro diluito con l’acqua fino all’inverosimile e pennini sempre nuovissimi (li buttavo via dopo scritta una pagina). Perché questo modo di procedere che può sembrare assurdo? Appunto perché solo quel tal ordine di successione delle pagine, dei capitoli e delle illustrazioni m’interessava, non già quello che scrivevo: e ritenevo che una scrittura estremamente esile e scolorita, una traccia appena percettibile ma non decifrabile, conferisse bellezza alla veste “tipografica” dell’opera.
Uno dei pochi libri che più mi appassionavano da piccolo (cioè uno dei pochi libri che avevo la ventura di possedere) era una antiquata Ornitologia del Figuier: un pacco voluminoso di carta stantia, con illustrazioni in bianco e nero quasi a ogni pagina. La materia era divisa in sei parti, secondo la classificazione degli Uccelli fatta dal Cuvier: Palmipedi, Trampolieri, Gallinacei, Passeracei, Rampicanti, Rapaci.
Le figure avevano per me un’importanza minore o maggiore a seconda che si trattava di semplici animali, oppure di cacce. Gli animali erano generalmente rappresentati a coppie, con un contorno più o meno ricco di erbe, rami, sterpi: spesso un vero e proprio paesaggio serviva loro di sfondo aprendo vie meravigliose alle turbate esplorazioni della mia fantasia. Ma le cacce che occupavano tutta una pagina, quelle avevano veramente un valore incomparabile. Mio padre parlava spesso degli uccelli dal punto di vista gastronomico e diceva che la beccaccia, la quaglia, la starna, la pernice e il fagiano sono nell’ordine i più squisiti. Causa questo apprezzamento di mio padre, e forse anche per il fatto che mio fratello cacciatore non riuscì mai a riportare nessuno di questi uccelli, ma solo tordi, merli, lodole (miserabile minutaglia), le relative cacce erano da me tenute nella massima estimazione.
L’Ornitologia del Figuier si divideva ai miei occhi in due parti ben distinte: la prima era formata dalle prime tre specie e mi appariva piena di sole, come una mattina serena, aveva in sé, nelle sue pagine, nelle sue illustrazioni, riserve inesauribili di felicità. Si cominciava coi Palmipedi, divisi in varie famiglie. C’erano i Pinguini con le solitudini glaciali, i Gabbiani con le sconfinate distese dell’oceano, infine le Anatre: a proposito delle quali ricorrevano le prime cacce: poco interessanti però perché si vedevano soltanto tre o cinque anatre volare su una distesa palustre e nessuna traccia del cacciatore o del cane, solo un barchino o una capannuccia dall’apparenza sospetta. I Trampolieri comprendevano uccelli dalle lunghe gambe, spesso esotici come Fenicotteri, Struzzi, Spatole e Gru; ma ecco la prima delle cacce “classiche”: Caccia alla beccaccia nei boschi cedui (parola quest’ultima di cui mi era sconosciuto il significato). Due beccacce radevano fuggendo i cespugli, ma già una era presa inesorabilmente sotto la mira di uno dei cacciatori, mentre l’altro, più lontano, teneva il fucile in posizione di attesa e il cane guardava anch’esso verso le beccacce aspettando lo sparo.
I Gallinacei comprendevano le cacce più belle: Caccia al fagiano (puntati dal cane due fagiani s’erano appena levati tra gli sterpi, sì da risultare ancora coperti agli occhi del cacciatore: intanto veniva avanti tranquillo un ragazzo armato di bastone); Caccia alla pernice (un cane spinone dal pelo fitto e arricciato si affacciava in primo piano tra gli sterpi facendo alzare ben cinque pernici: poco più che la testa del cacciatore sporgeva dietro tra l’erba alta. Bellissimi gli occhi spiritati a significare che s’era accorto del frullo delle pernici. Io mi scervellavo a immaginare su quale delle cinque avrebbe sparato).
La seconda parte del libro mi appariva immersa nell’ombra del pomeriggio e mi faceva un effetto di tristezza e di monotonia; diventava addirittura cupa e drammatica nell’ultima specie, i Rapaci, rappresentati in nidi tra le rocce, coi becchi adunchi, l’occhio fiero, stringendo tra gli artigli lepri, montoni, ecc. E vi si raccontavano episodi di bambini portati via dalle aquile e c’era l’illustrazione di un montanaro calato con la corda fino al nido dell’aquila. Sotto l’impeto del rapace, col braccio artigliato, messo nell’impossibilità di servirsi del coltello, il coraggioso giovane era quasi sospeso nel vuoto, con un solo piede posato sulla sporgenza della roccia.
Passeracei e Rampicanti comprendevano una quantità di uccellini poco diversi l’uno dall’altro e insignificanti dal punto di vista della caccia; c’erano molte figure di nidi (mi preoccupava di sapere se là dentro gli uccellini sarebbero stati protetti dalle intemperie). E un’ultima caccia: Caccia all’uccello lira in Australia. Caratteristica di questa illustrazione era la mancanza assoluta del cielo: in primo piano si vedevano i due uccelli lira in volo e i due cacciatori emergenti dall’erba alta e folta; subito a ridosso c’erano altissime piante dalle fogge curiose, specie di palme, eucalipti, felci gigantesche, che, sempre più nere, formavano progressivamente parete; e non uno spiraglio di cielo… Un’altra illustrazione, non di caccia, ma caratteristica era: Società dei passeri repubblicani. Si vedevano una quantità di passeri intorno a un edificio e nugoli e nugoli di altri passeri più lontano, intorno ad alcuni alberi. Io guardavo molto questa illustrazione forse a causa di quella parola “repubblicani” che suggeriva singolari accostamenti; e ora nel ricordo questa illustrazione si confonde con l’eucaliptus, a sera gremito di passeri, sul mio giardino di un tempo.