«A pensarci bene, com’è disgraziata la sorte di certi animali» disse mia sorella. «Essi devono vivere in uno stato di continuo terrore. La morte può piombare loro addosso in qualsiasi momento.»

Era domenica e il desinare si prolungava oltre l’ora consueta. Mia sorella, che era maggiore di me di molti anni, aveva dato l’avvio alla conversazione: ma per il momento mio padre non accennava a scuotersi dal suo torpore. La guardava benevolo con gli occhi semichiusi. Mia madre era immersa nella lettura del giornale.

«Vi ho mai raccontato di quando vidi una serpe succhiare un topino?» continuò mia sorella. «Mi dovetti fermare perché la serpe sbarrava il viottolo. Teneva in bocca una zampina del topo e lo… aspirava, sai, come si fa noi quando si beve una bibita con la cannuccia.»

«E tu non intervenisti?» domandai.

«Come volevi che intervenissi? Le serpi non possono lasciare la presa. Di quello che mangiano devono fare un boccone solo.» Mio padre fece un cenno di assenso. «Un serpente che abbia stritolato un bove» continuò mia sorella «e poi si attacchi, supponiamo, a una zampa, è costretto a inghiottire l’intero bove, comprese le corna. E se un altro serpente si è attaccato allo stesso bove dall’altra parte, quando i due serpenti si trovano faccia a faccia, bisogna che uno inghiotta l’altro.»

«Ma no» facevo io con finta meraviglia. In realtà quella faccenda l’avevo sentita raccontare almeno una diecina di volte.

«Anche i serpenti sono animali ben disgraziati» disse mio padre.

«C’era un modo di salvare il topino:» dissi io «uccidendo il serpente. Una volta morto avresti potuto aprirgli la bocca e liberare il topo.»

«Ma il serpente gli aveva già maciullato una zampina» rispose mia sorella. «Come avrebbe potuto fare senza una zampa? Ormai era condannato.»

«Veramente senza una zampa non avrebbe potuto vivere?» domandai a mio padre.

«Eh, già,» rispose lui «gli animali mutilati difficilmente sopravvivono. Per l’impossibilità di procurarsi il cibo. Gli animali non hanno mica l’assistenza della società, come gli uomini.»

«Ma i figlioli del topo, o i genitori, non avrebbero potuto soccorrerlo?» Non ebbi risposta.

«È vero che i serpenti ipnotizzano le loro vittime?» domandò mia sorella.

«Già,» rispondeva mio padre non troppo sicuro di quanto stava per dire «è possibile che alcuni animali restino soggiogati dallo sguardo del serpente…»

«Che sguardo hanno i serpenti!» esclamò mia sorella. «Vitreo, gelido… Quegli occhietti piccoli… Certamente i serpenti hanno un potere ipnotico sugli altri animali. E io penso che anche la piovra… che ne dici, papà? Anche la piovra affascina la preda. Io, se mi trovassi di fronte a una piovra, ne resterei affascinata. Non avrei la forza di mettermi in salvo.»

Intervenne mia madre: «Se tu avessi letto Ventimila leghe sotto i mari,» mi disse «dove c’è la descrizione degli animali marini…».

«Un po’ fantastica» fece mio padre.

«Ma insomma, tanto per averne un’idea.» Mia madre aveva il chiodo fisso di farmi leggere i romanzi del Verne, che a me piacevano fino a un certo punto.

«La piovra è l’animale più spaventevole» disse mia sorella.

«Più spaventevole dei serpenti?» domandai.

«Per me, sì» rispose mia sorella.

«Per me gli animali più schifosi sono i serpenti, le lumache e i rospi.»

«I rospi no,» fece mio padre «il rospo è brutto, ma non è schifoso. Ed è un animale utile.»

«La natura è crudele» disse mia sorella. «Pensate che brutta fine attende certe bestiole: le vespe, per esempio, che non hanno più la forza di volare e muoiono di fame.»

«La natura non ha mica un cuore» sentenziò mio padre. «Non bisogna mica personificarla. La natura è… tutto è la natura. Ma quelli che credono in qualcos’altro devono bene sentirsi imbarazzati di fronte a certi spettacoli…» E così dicendo sbirciava mia madre. Mia madre era stata educata religiosamente; dopo sposata, aveva smesso di andare in chiesa; ma tutti noi pensavamo che pregasse ancora, in segreto. Io poi l’avevo vista farsi il segno della croce in più di un’occasione, perché davanti a me non si riguardava.

«Però,» riprese mia sorella «in una cosa la natura ha dimostrato di aver giudizio: gli animali più brutti sono anche i più piccoli. Ma ve lo immaginate voi se i ragni avessero le dimensioni dei bovi? Ve lo immaginate voi trovarsi di fronte a un ragno grosso come un bove? Ci sarebbe da morire dallo spavento. Una volta mi sono sognata qualcosa di simile. Il ragno dev’essere come la piovra: deve avere lo sguardo ipnotico.»

«Non tutti i ragni possono dirsi brutti» osservò mio padre. «Ce ne sono alcuni che hanno dei colori molto belli. L’epeira…»

Mia sorella si ribellò. Non poteva ammettere che un ragno fosse considerato bello. Tra mio padre e mia sorella i dissensi poi erano frequenti quando si parlava di animali perché mia sorella aveva l’abitudine di lavorare di fantasia e spesso diceva delle cose poco credibili: allora mio padre interveniva per ristabilire la verità. Mia sorella portava alle stelle i Libri della jungla di Kipling: e aveva tentato di farli leggere anche a mio padre, ma invano. A mia volta m’ero assolutamente rifiutato di leggerli. Quando avessi imparato il francese, avrei letto i volumi del Fabre, una delle letture predilette da mio padre. Mio padre pronunciava il nome del Fabre con venerazione. Per lui il Fabre insieme con pochi altri scienziati, pittori, scultori, poeti, musicisti, attori e cantanti, faceva parte di una sorta di olimpo di uomini eccellentissimi.

La disputa tra mio padre e mia sorella riguardo ai ragni continuava, e io intervenni a dar man forte a mio padre.

«Zitto tu, pappagallo» fece mia sorella stizzita.

Io risi, soddisfatto dell’appellativo. Infatti allora mi proponevo di imitare mio padre in tutto e per tutto, compresa l’abitudine tanto deprecata da mia madre e da mia sorella di leggere al cesso.