Mentre i soldati lo salutarono, sia pure con familiarità, il caporale Sbrana non lo salutò affatto, rimase anzi seduto. Il tenente lo guardò fisso. Se fosse stato un uomo, non avrebbe tollerato un contegno simile; ma era un debole, aveva accettato la complicità del caporale, s’era messo nelle sue mani.
Volse lo sguardo. Non s’era però completamente rassegnato; e, notata la mancanza di Barbieri, domandò dove fosse.
«A Corniglia» rispose Sbrana.
«Come?» fece il tenente. «Ti avevo detto che non deve allontanarsi nessuno. Siamo in stato d’allarme.»
«M’ha dato l’ordine il maggiore» rispose Sbrana. «Deve aiutare in calzoleria.»
«Io non ne so nulla» disse il tenente.
«Voi non eravate in casa» replicò Sbrana.
Il tenente si morse le labbra. È vero, lui non era in casa, e nemmeno in paese, era andato a “sbafare” da una famiglia del Groppo, e se fosse capitato il maggiore avrebbe dovuto pensare Sbrana a salvargli le spalle. Tacque. Pensava che era meglio andarsene, tanto non c’era nulla da fare. Ma restava lì, voltando la schiena ai soldati. Cercava mentalmente un altro pretesto per attaccar briga.
«Sbrana» disse alla fine.
«Comandate» rispose Sbrana.
«Quando siamo in stato d’allarme,» cominciò il tenente «ora le cose sono peggiorate, con lo sbarco in Africa; dobbiamo aspettarci una sorpresa da un momento all’altro; dei sabotatori; qui la costa si presta allo sbarco dei sabotatori; le istruzioni per lo stato d’allarme vanno osservate scrupolosamente. Non si può andare avanti così. Finora si è scherzato.» Il discorso gli riusciva tortuoso; egli comprendeva di aver timore a entrare nel vivo dell’argomento. «Per esempio, il capoposto deve dormire vestito: con le giberne e le scarpe. È un sacrificio, lo so… ma non posso più permettere che il capoposto faccia il comodo proprio. Io cerco di facilitarvi per quanto è possibile; anzi, se fosse per me, ma c’è il maggiore…» Tacque. I soldati s’erano accorti da tempo della paura che gl’ispirava il maggiore. I soldati non ne avevano paura: che avrebbe potuto far loro il maggiore? Al tenente, invece, poteva capitare il trasferimento in un reparto attendato, e allora addio vita coniugale. Durante i sopraluoghi del maggiore, i soldati rimanevano tranquilli. Sullo sfondo della loro tranquillità faceva spicco l’agitarsi, il correre, il gesticolare, il gridare del tenente. Quando il tenente si raccomandava ai soldati di non fargli avere delle noie, i soldati rispondevano: «Stia tranquillo, signor tenente» e c’era, nella loro voce, una punta d’ironia. E apposta Sbrana gli raccontava del tenente Loiacono, che lui davvero se ne infischiava del maggiore. Tutto questo il tenente lo sapeva. Ma in quel momento gli premeva di far sentire ai soldati che non era la paura del maggiore a spingerlo a tenere quei discorsi, a ordinare quelle restrizioni, ma solo il gusto di “sfotterli”, come si dice in gergo. Di sfotterli tutti e in particolare Sbrana. «Hai capito, Sbrana?» Sbrana muoveva la testa in segno di disapprovazione. «Da stasera il capoposto deve dormire vestito.»
«Ma come, signor tenente, dormire vestito?» rispose Sbrana. «Sapete bene che con le scarpe e le giberne non è possibile dormire. Il capoposto fa ventiquattr’ore consecutive: e non dovrebbe riposare nemmeno un minuto? Vi pare umanità questa, di obbligare un cristiano a passare una notte su due completamente senza dormire?»
“Sempre esagerati” pensò il tenente. “Ci ho dormito io con le scarpe e le giberne.” Disse: «Come, non è possibile dormire con le scarpe e con le giberne?».
«E chi ci dorme con le giberne?» replicò Sbrana. «Va bene essere considerati peggio delle bestie, ma per conto mio, se non mi levo le giberne e gli scarponi è inutile che vada in branda, perché non riuscirei a chiudere occhio.»
«Capisco,» cominciò il tenente «ma d’altra parte…»
«Allora, se volete la pelle, ditelo» concluse Sbrana.
«Ma se capita all’improvviso il maggiore» proruppe il tenente.
«Ma, signor tenente,» rispose Sbrana mellifluo, suadente «che cosa ci vuole a infilarsi le scarpe e le giberne?»
Il tenente tacque. Aveva fatto di nuovo un passo falso tirando in ballo il maggiore; e poi, come poteva pretendere che il capoposto dormisse con gli scarponi e con le giberne quando lui, tenente, che avrebbe dovuto passare la notte a fare ispezioni, se ne stava a letto, con tanto di moglie a fianco?
La moglie costituiva la massima ragione di orgoglio per il tenente. Egli aveva trentacinque anni; nella vita civile era un impiegatuccio; tre anni prima aveva sposato una donna giovane e piacente, ma “giù giù”, dicevano i soldati rilevando i suoi modi volgari, in particolare il modo di trattare con l’attendente. D’altronde il caporale Garovo, che era di quelle parti, aveva sparso la voce che la moglie del tenente Sacchi era un’operaia di fabbrica.
Il tenente sorrideva pensando alla moglie. Facesse pure lo strafottente, Sbrana, ma non aveva come lui una moglie giovane e piacente a portata di mano.
«Quand’è che ti tagli i capelli?» disse rivolto a Sbrana. «Che ne dice la tua ragazza che sei così trascurato?»
«Io non ho nessuna ragazza qui» rispose Sbrana. «Io voglio andarmene a casa, da mia moglie e dai miei bambini.»
«Anch’io,» fece Perino «che con la moglie ci sono stato quindici giorni.»
Risero tutti.
«Mi ricordo,» ghignò il tenente «quindici giorni! L’hai trattata male la moglie!»
«Non è colpa mia» rispose Perino. «Se l’avessi vicina, come l’avete vicina voi, non dubitate che la tratterei bene.»
Il tenente continuò a stuzzicarlo, finché Perino disse:
«Voi parlate bene, perché tutte le sere avete nel letto la moglie; ma se l’aveste lontana come l’ho lontana io, vi andrebbe via la voglia di scherzare.»
«Così è la vita» rispose il tenente.
«Ma non è giusta» replicò Perino.
«Com’è tua moglie?» cominciò il tenente. «Più bella della mia?»
«Che c’entra,» rispose Perino «la vostra è di una categoria superiore.»
«Ho visto la fotografia,» disse Ferraris «cavala fuori quella fotografia, Perino.»
Perino fu contento di cavarla fuori e di porgerla al tenente, intorno a cui si raggrupparono gli altri. Era formato cartolina. Si vedeva un viso largo, con gli occhi grandi, la bocca porcina, i capelli lunghi lisci tirati indietro, e come una nube, un’ombra, una vaporosità di capelli finissimi sfuggiti alla pettinatura; un petto enorme coperto di trine.
«Quanti anni ha?» fece il tenente.
«Sedici» rispose Perino.
«Che davanzale» osservò Ferraris.
«Certo» disse Allemandi «non c’è da far confronti con la moglie del tenente.»
«Che discorsi,» replicò Ferraris «la moglie del tenente è una signora.»
«Quanti anni ha la vostra moglie, signor tenente?» domandò Allemandi.
«Ventitré» rispose il tenente.
«È una bella signora» disse Ferraris. «No, davvero, non ve lo dico per farvi un complimento.»
«Sì,» rispose il tenente «a me sembra bella, è naturale,» e rise in modo stonato «ma lo dicono tutti che è bella.»
«E per questo,» intervenne Sbrana «per questo siete così magro e pallido!» I soldati scoppiarono in una risata. Il tenente si sforzò di ridere anche lui. «Vi consumate con la moglie,» continuò Sbrana «e poi la notte non avete la forza di fare le ispezioni!»
Il tenente avrebbe voluto gridare: Basta! Poiché Sbrana insisteva e cominciavano a metterci bocca anche gli altri, se ne andò.