Alcuni mesi dopo la Liberazione, mi recai a Pisa per un congresso. In quell’occasione, rividi un amico della mia famiglia: l’avvocato Bardelli. Grasso, espansivo, caloroso, l’attenzione di tutti era rivolta a lui anche quando taceva. Egli si guardava intorno soddisfatto e, scorgendomi in una delle ultime file, mi salutò con un cenno amichevole della mano. Io risposi, e subito dopo mi venne fatto di pensare che, quanto a virilità, l’avvocato Bardelli doveva essere liquidato. Volsi la testa con schifo (meglio quel cane che ho visto stamattina: questo pensavo) e fermai lo sguardo sul giovane che m’era seduto accanto. Bruno di capelli, piuttosto basso, doveva esser venuto da qualche paese; non aveva le mani deformate dal lavoro, ma le unghie sporche denotavano la bassa condizione sociale; pensai che fosse figliolo di un bottegaio. Sbadigliò e poi, come per scusarsi, mi sorrise.

«Appetito?» domandai sorridendo alla mia volta.

«Appetito?» fece lui. «Appetito?» Mi guardava in modo quasi ostile. Io ero sconcertato. «Tutte quelle chiacchiere m’hanno fatto venire una fame da lupi» concluse il giovane.

«Se Dio vuole sta per finire» dissi io.

Se Dio volle finì e io mi ritrovai in strada, al sole, con gli occhi che mi bruciavano. Avrei dovuto aspettare l’avvocato Bardelli, per salutarlo e chiedergli una certa cosa da parte di mio padre; poi magari sarei potuto andare a mangiare da lui. Ma mi guardai bene dal farlo. A pochi passi da me il giovane basso sembrava esitante sulla direzione da prendere. Avvicinatomi, gli toccai il braccio.

«Oh» fece lui, e dopo un momento: «Collega, conosci per caso qualche ristorante dove si possa andar sicuri?».

Non mi andava troppo che colui mi desse senza tanti ambagi del tu; con tutto ciò gli risposi gentilmente: «Non ne conosco, ma fermiamoci al primo che incontriamo e che Dio ce la mandi buona».

Pochi minuti dopo eravamo all’ombra di un padiglione verde. Il giovane s’era tolto la giacca restando in maglietta, una maglietta a strisce trasversali. Interrogò a lungo il cameriere riguardo alla minestra e in ultimo si decise per la zuppa di pesce. «Ma non ci mettete tutto quel pepe che ci mettono a Livorno» aggiunse con severità.

Gli chiesi spiegazioni su questo punto.

«Uh,» fece lui «Livorno. La gente di Livorno mi resta qui» e si batté la gola col taglio della mano. «Livorno» e sputò in terra. Dal tavolo vicino lo guardarono. Ma il mio compagno non ci fece caso e nel corso del desinare sputò un altro paio di volte sulla pista di cemento.

Dopo la minestra, aprì un fagotto nel quale aveva una frittata e del pane bianco. Voleva che spartissi con lui la frittata. Mai e poi mai me ne sarei giovato, anche per il fatto che sotto i miei occhi l’aveva presa con le mani: opposi perciò resistenza, e accettai solo il pane.

Ordinai una bistecca. «E lei signore?» domandò il cameriere.

«Nisba» rispose il giovane. «Nulla.» Il cameriere se ne stava andando e lui lo richiamò: «Oh, intendiamoci, quella zuppa non era niente di speciale». Il cameriere alzò le spalle.

Mentre mangiavo la bistecca, mi teneva gli occhi nel piatto e: «Dev’essere buona,» mi disse «fammela sentire». Il vino invece non lo persuadeva, come non lo aveva persuaso la zuppa, e lo disse un paio di volte al cameriere, e al conto cercò d’imbrogliarlo. Notai che, ridendo, il labbro superiore gli si arricciava, scoprendo le gengive.

Mi domandò dove abitavo, che cosa facevo, poi mi disse: «Io e te dobbiamo metterci d’accordo per fare un po’ di mercato nero!».

Gli dissi che per me era ora di andare e feci per alzarmi. Ma lui insistette perché ci trattenessimo un altro poco, ed era per fissare con occhi da pesce morto una bionda mostruosamente dipinta. «Guarda che tette,» mi diceva «ti piacerebbe poppare a quelle tette?»

Mi alzai e gli dissi che avevo da fare e non potevo perder tempo ad ascoltare simili sciocchezze. Si alzò alla sua volta e: «Perché fai così?» mi disse. Mi guardava di sotto in su, e io non potei far altro che volgere altrove lo sguardo.

Strada facendo disse:

«A vederti non si direbbe.»

«Non si direbbe che cosa?»

«Che sei nervoso.»

«Io non sono affatto nervoso» replicai.

«Zitto» fece lui. «Ho visto che sei nervoso.»

Dichiarò che non sarebbe venuto alla seduta pomeridiana, dovendo partire di lì a non molto. Eravamo ormai vicini all’edificio dove si teneva il congresso ed egli mi domandò:

«Collega, sai mica dov’è un…?»

Non lo sapevo, e lo consigliai di rivolgersi a due militari che stazionavano sul marciapiede di fronte: e con quelli lo vidi allontanarsi.

Ora avevo davanti la massiccia figura dell’avvocato Bardelli. Affrettai il passo per raggiungerlo.