Il treno aveva già mezz’ora di ritardo, e un ferroviere disse che sarebbe aumentato ancora.
«Si sta bene» fece la madre. «Speriamo che babbo non aspetti.»
«Se va alla stazione gli diranno del ritardo, mamma.»
«Ma sai com’è babbo.»
Percorsero in silenzio il marciapiede, fermandosi dove finiva il caseggiato della stazione. Davanti a loro l’intrico delle rotaie si andava restringendo gradualmente. Un’aria grigia, fredda, sempre più spessa gravava sulla campagna.
«Chissà perché questo ritardo» disse Adriana.
La madre la guardò senza rispondere.
«Di solito è sempre in orario» aggiunse Adriana.
Poi tacque e abbassò gli occhi. Il silenzio e lo sguardo della madre la mettevano in imbarazzo.
«Non sei mica incinta, Adriana?»
La figliola negò energicamente.
«Meglio così» disse la madre. «Almeno vi godete un po’. Avrete tempo di averli. Siete tanto giovani.»
Due uomini discorrevano a poca distanza: uno in piedi, l’altro seduto su una catasta di traversine. Adriana restò a guardare i loro gesti smorzati dal crepuscolo. Anche la mamma guardava da quella parte. Quello in piedi fece all’altro un cenno di saluto e venne alla loro volta, dondolando una lanterna. Nel passare guardò insistentemente Adriana. Adriana si volse verso la madre:
«Promettimi che tornerai presto» le disse.
«Figliola mia, non è facile con quell’uomo. Non posso lasciarlo solo.»
«Questa è un’idea tua, mamma.»
«Può darsi» rispose la madre. E dopo una pausa: «Ma gli sposi giovani vanno lasciati soli. Io non sono di quelle sempre in casa delle figliole, per ogni minima sciocchezza».
«Ma nel nostro caso…» disse la figliola. «Mario ha piacere che tu venga ogni tanto.»
«E ogni tanto, come vedi, trovo modo di fare una scappata. Quelle però che s’installano a mesi in casa delle figliole: o dei figlioli, com’era la tua povera nonna, che Dio l’abbia in pace: ma quando se ne è andata, ho tirato un sospiro di sollievo.»
«Mamma» la rimproverò la figliola.
«Ma credimi, Adriana, che era diventato un tormento. E da allora mi sono detta: quando sposerà la tua figliola, ognuna a casa propria, col proprio marito. Ho imparato a mie spese, non dubitare» aggiunse dopo una pausa.
Improvvisamente in stazione s’accesero le luci. Gettando un ultimo sguardo alla campagna, le due donne si accorsero che era ormai buio.
«Le giornate cominciano a scorciare» disse la mamma.
Tornarono indietro. Dalla stanza del capo vennero degli scoppi di risa, poi il capo comparve sulla soglia, sorridendo, col sigaro in bocca e il berretto sulle ventitré. Adriana gli diede la buonasera.
«Buonasera» rispose il capo senza guardarla.
«Starà ancora molto?» chiese Adriana.
Il capo si voltò verso l’interno e domandò qualcosa.
«Una diecina di minuti almeno» rispose poi.
Al centro della stazione s’era adunata una piccola folla, composta in maggioranza di operai. S’erano formati tanti piccoli gruppi. Si discuteva animatamente, si rideva: nessuno sembrava urtato per il ritardo.
«Adriana,» fece improvvisamente la madre «dimmi la verità, non hai qualcosa contro Mario?»
«Ma no, mamma,» rispose Adriana «che ti salta in mente?»
«Così… mi sembrava» disse la madre.
Diede un’occhiata all’orologio da polso e un’altra all’orologio della stazione.
«Solo che Mario ha tanto da fare» disse Adriana. «La sera non rientra mai prima delle sette e mezzo-le otto; e, dopo cena, ha sempre avuto l’abitudine di uscire.»
«Tutti uguali gli uomini» disse la madre. «Sono una gran razza di egoisti. Mi ricordo quando allattavo…»
Il campanellino cominciò a suonare. Si udì un “oh” generale di soddisfazione.
«Finalmente» fece Adriana.
«Ma speravo che oggi le donne fossero un po’ meno sfortunate» disse la madre. «Io sono vissuta come una schiava.»
Adriana si mise a ridere.
«Non sono esagerata» continuò la madre. «Buon per te se la prendi a ridere. Ma rifletti un po’, Adriana: cosa godiamo noi donne nella vita? A volte penso che era tanto meglio se non fossi nemmeno venuta al mondo.»
Rimasero in silenzio prestando ascolto alle conversazioni che si svolgevano nei loro pressi. Poi dovettero scansarsi di colpo per non essere travolte da un ferroviere che passava di corsa gridando:
«Indietro, signori! Indietro!»
Dal buio della campagna erano sbucati i rossi occhi del treno. Per un momento parve immobile, poi che corresse a velocità pazza, e in ultimo sfilò lentamente fermandosi con un gran contraccolpo, mentre la gente raccoglieva senza fretta la propria roba.
Madre e figlia si abbracciarono. La madre salì una delle prime e, affacciatasi, chiamò Adriana, che rimase in piedi davanti al finestrino.
«C’è ancora tempo» disse Adriana. «Sta sempre fermo qualche minuto.»
«Vai allora se devi andare» fece la madre.
«Tanto ho la cena pronta» rispose Adriana.
«Sono le sette e mezzo» disse la madre. «Chissà che storie mi fa quell’uomo. Mi pare di sentirlo. Lui ha sempre fatto i suoi comodi, io invece…»
Nell’imminenza del distacco la conversazione si frantumò.
«Salutami tutti» disse Adriana.
«Stai tranquilla» rispose la madre.
La stazione s’era vuotata. Tre o quattro persone erano rimaste a salutare i partenti.
«Ci siamo» disse Adriana.
Aveva visto il capo alzare la paletta.
«Meno male» fece la madre.
Il treno cominciò a muoversi.
«Salutami Mario. Digli che m’è dispiaciuto di non averlo potuto salutare.»
«Tanti baci a babbo» gridò Adriana.
Rimase ad agitare il fazzoletto finché vide o credette di veder qualcosa.