Arrivata alla scaletta, si fermò un momento, come per darsi il coraggio sufficiente a compiere quella visita penosa. Il quartiere si stendeva sotto di lei con la sua selva di tettucci rossi, irti di abbaini e di comignoli. Sulla destra, era limitato dalle mura; sulla sinistra, da una grande frana bianca di detriti d’alabastro, risalita trasversalmente da un sentierino.
Prima di iniziare la sua attività di Visitatrice, la signorina non ci aveva mai messo piede. Ora non c’era giorno, si può dire, che non si avventurasse in quel dedalo di vicoli e di scalette. L’inverno prima per il gelo era caduta, proprio in quel punto dove stava passando adesso, e s’era lussata una spalla. Le case erano quasi tutte senza intonaco; avevano finestre piccole, quadrate, con pentole e barattoli di gerani sui davanzali.
«Buonasera, signorina» disse una donna seduta sullo scalino di una porta. Si teneva sulle ginocchia una bambina di cinque o sei anni.
La signorina si sentì in dovere di fermarsi:
«Come sta vostro marito?» chiese alla donna.
«Come vuole che stia?» rispose quella. Era bruna, ancor giovane, dalle forme piene: sarebbe stata una bella donna, se non avesse avuto il viso butterato. «Sono sei mesi che è fuori dal lavoro. Come si può stare, in queste condizioni?»
«Ma di salute come sta?»
«Di salute, starebbe discretamente… Alle volte la notte ha un po’ di affanno.»
«Quello non vi deve preoccupare» disse la signorina. «Io vedo che gli alabastrai, dal più al meno, un po’ d’asma ce l’hanno tutti. L’essenziale è che non abbia più avuto attacchi di cuore. Non ne ha più avuti, vero?»
«No, quelli no» rispose la donna.
«Mi fa piacere» disse la signorina. «Sapete, la salute è la prima cosa. Per il resto… il Signore provvede sempre.»
«La salute è la prima cosa, ma anche il lavoro…» Bruscamente la donna mise da parte la bambina e si alzò: «Sono sei mesi, capisce? che in casa nostra entrano solo i soldi del sussidio…».
«Sì, sì, capisco» si affrettò a dire la signorina.
«Ha fatto domanda da dieci parti, ma dappertutto ha avuto la stessa risposta. E sì che mio marito, lei lo conosce? non è per nulla esigente. Si adatterebbe a far qualsiasi lavoro, pur di portare il pane a casa.»
«Neanche alla cooperativa dei boscaioli gli hanno dato speranza?» disse la signorina. «Io, ricordo, parlai col signor Puccianti, e mi promise…»
«Sì, sì, belle speranze gli hanno dato alla cooperativa. Prima di tutto, siamo nella stagione morta, e non c’è da pensare ad assumere nuovi operai. Bisogna lasciar passare l’estate, così gli hanno detto, e poi, in autunno, si vedrà. Già, e noi d’estate cosa si mangia? Sono queste le risposte da dare a un padre di famiglia?» La donna aveva alzato la voce: «Ma come si fa ad andare avanti in questo modo? Me lo dica lei, signorina, come si fa ad andare avanti? Ma cosa vogliono, che uno si metta a rubare per portare un tozzo di pane alla famiglia?».
La signorina si era tirata leggermente indietro. La mettevano a disagio, quasi le incutevano paura quegli occhi spiritati, quella faccia pustolosa, quel tono di voce aspro. Dalla porta accanto s’era affacciata una donnetta, assisteva alla scena.
«Be’… ora mi dispiace, ma devo andare» disse finalmente la signorina. «Speriamo che vostro marito possa trovar lavoro presto.»
«Lo so io cosa bisognerebbe sperare» fece la donna cupa. La signorina aspettò ansiosa il seguito. «In un’epidemia, bisognerebbe sperare: in un’epidemia che ci levasse dal mondo, me, quel disgraziato del mio marito e questa creatura.»
La signorina non poté frenare un moto di sollievo: aveva temuto che la donna uscisse fuori con qualche discorso sovversivo. Non sarebbe stata la prima volta che ne sentiva fare ad alta voce, in quel quartiere dove ogni tanto comparivano anche scritte sui muri. «Non dovete parlare così» disse. «Bisogna sempre sperare nell’aiuto del Signore.» E riprendendo il tono autorevole che le era abituale: «Sentite una cosa, piuttosto: dove sta Chiorboli? Quel muratore che ha la moglie malata?».
«Qui di sotto» rispose la donna, che era ricaduta nell’indifferenza. «L’ultima casa del vicolo. Vai ad accompagnarla, Tatiana.»
«Non importa, grazie» si schermì la signorina; ma la bimba le s’era messa al fianco. Presero a destra per una scaletta, quindi imboccarono un vicolo cieco. La bimba la accompagnò fino alla porta:
«Sta al secondo piano» disse, e svelta se ne tornò indietro.
«Grazie, cara» fece la signorina.
Salì su per la scaletta buia. Al primo piano la porta era spalancata, si vedeva una cucina in disordine, con un bimbo di cinque o sei anni nudo in piedi su una sedia accostata all’acquaio; la madre lo stava lavando, il bimbo piagnucolava. “Potrebbero almeno chiudere la porta” pensò la signorina. Quello che più la irritava nei poveri era la mancanza di pudore. Salì la seconda rampa e si trovò davanti a una porta. Al buio cercò il campanello o un battente, senza trovarlo; stava per chiamare, quando si accorse che la porta era soltanto socchiusa. La spinse ed entrò in una cucina, anch’essa al buio.
«Permesso» disse. Le rispose una voce, o meglio un lamento. «Sono la signorina Verdi. Vengo da parte delle Visitatrici.»
«Avanti, signorina, avanti» piagnucolò la voce.
Tastoni la signorina attraversò la stanza e spinse una porta. Subito fu colpita da un odore acre di sudore e di orina. Andò alla finestra e la spalancò. «Ah» disse sollevata. «Un po’ d’aria fa sempre bene» aggiunse rivolta all’inferma.
Questa era una donna grassa, col faccione rosso sudato. Stava sollevata sul letto, con la schiena appoggiata a due guanciali senza le federe.
La signorina diede un’occhiata al lenzuolo, che era piuttosto sporco, quindi si rivolse alla donna:
«Quant’è che siete malata?» domandò.
«Un anno;» rispose la donna «ma allettata proprio, un mese.»
«E ora come vi sentite? Un po’ meglio?»
«Ma che dice, signorina; mi sembra di perdere le forze ogni giorno di più. Le gambe le ho gonfie, se vedesse… Se non c’è qualcuno che mi aiuta, non sono nemmeno capace di alzarmi per orinare.»
«Si capisce, a stare a letto si diventa deboli. Chi è il vostro medico, il dottor Carboni?» L’inferma fece cenno di sì. «Cosa dice, quanto vi ci vorrà per rimettervi?»
«Il dottore, senta, prima di tutto non viene mai; e quando viene, non dà per nulla soddisfazione.»
La signorina le rivolse qualche altra domanda (ormai, con la sua doppia pratica di infermiera e di visitatrice, ne sapeva quanto un medico), quindi prese la scatola di iniezioni che era sul comodino e la considerò per un momento.
«Di queste, quante vi ha detto di farne? Una ogni giorno?»
«Una ogni due giorni» rispose l’inferma. «Viene a farmele una donna…»
«Ma chi vi assiste? Vostro marito, immagino, sarà sempre fuori per lavoro, ma non avete qualche persona… che so, una sorella, una cognata?»
«Ho una cognata, la moglie di mio fratello; ma si figuri, sta in campagna, ha quattro figlioli, non ha davvero il tempo di assistere me. Se ho bisogno di qualcosa, do una voce a questa famiglia di sotto. Ma poi sto tutto il tempo sola, si immagini un po’, signorina… Sto qui sola, ad aspettare la morte…» e la donna cominciò a piangere chetamente.
«Via, non avvilitevi» disse la signorina. «Il vostro stato non è grave, avete solo bisogno di un po’ di compagnia per risollevarvi il morale. Ora mi dispiace che debbo andare, ma vi prometto di tornare presto a farvi una visita.»
Quando fu arrivata in cima ai centotrenta scalini, la signorina emise un sospiro di sollievo. Non era solo il sollievo fisico che fosse finita la salita: era anche il sollievo spirituale che fosse finita la vista di quelle miserie.
Arrivata in chiesa, guardò subito verso il primo banco a sinistra, dove si metteva sempre la marchesa Lastrucci; e la vide infatti, col cappellino e la veletta; ma scorse anche la nobildonna Ormanni, e allora sedette sulla prima panca libera, accanto a una donnetta dagli occhi rossi, che biascicava il rosario. Di lì a un minuto entrò il sacerdote, e la funzione ebbe inizio.
In ginocchio, col viso nascosto fra le mani, la signorina diceva una dopo l’altra le preghiere, ma il suo pensiero era altrove. Ripensava ai suoi poveri, e in un modo non proprio benevolo. Quella donna che aveva il marito disoccupato, tanto per cominciare, era tutta ingioiellata. “È così, sono zingari, quando il marito lavora e guadagna, spendono fino all’ultimo centesimo; non pensano a metter qualcosa da parte.” Quanto all’inferma, su lei magari non trovava nulla da ridire; ma possibile che la lasciassero in tale abbandono? Il marito, magari, finito il lavoro se ne andava all’osteria, invece di tornarsene a casa. E quella cognata che non s’era fatta viva una volta, in tutto il tempo della malattia?
Fuori di chiesa trovò la marchesa, che si era liberata della Ormanni. La marchesa si sorprese di vederla:
«Oh,» disse «credevo che non fossi venuta. Sai, pensavo che avessi fatto tardi…»
«No, no, sono arrivata in tempo. Ma ti ho vista con quella lì…»
«Cosa c’è di nuovo?» la interruppe la Lastrucci.
«Nulla c’è di nuovo, cara Maria» rispose la signorina con enfasi. «Sempre le solite cose, miserie, malattie, spettacoli di degradazione materiale e morale…»
Rimasero ancora a parlare per qualche minuto, e la signorina ebbe modo di dire altre frasi alate; ma intanto non perdeva d’occhio la lattaia, che se ne stava sulla porta della bottega. Aveva capito che voleva parlarle, e aveva capito anche che si trattava di una raccomandazione per il cognato. Ma stasera era troppo stanca per ascoltarla. Perciò, appena la vide occupata con un avventore, si affrettò a prender congedo dall’amica. Si abbracciarono e si baciarono, come tutte le sere; quindi la marchesa, appoggiandosi al bastone, si avviò pesantemente verso la piazza. Dal canto suo la signorina entrò svelta nel portone.
Una volta in casa si cambiò, poi passò nella stanza che le serviva da ufficio, da salottino da lavoro e da sala da pranzo. Era una stanza piccola, e non certo più allegra delle altre, perché dava su un cortiletto che era un vero e proprio pozzo, dove il sole non scendeva mai. Inoltre era la più frigida della casa. Ma tant’è, in quella stanza la signorina passava le sue giornate. Il mobilio consisteva in uno scrittoio, una poltroncina di vimini, un’altra sedia, una credenza e due scaffali su cui erano allineati i pochi libri che la signorina possedeva: Vite di Santi, altri volumi di argomento religioso, e poi tutte le pubblicazioni del Touring Club, di cui era socia da molti anni. La signorina non aveva mai avuto l’abitudine di leggere molto. Viaggiare, questo sì, le sarebbe piaciuto; ma essendo sola, non se n’era potuto levare la voglia. Più che altro aveva approfittato dei pellegrinaggi per vedere un po’ di mondo. E durante la guerra, era stata infermiera a Salonicco.
Prima di cena, ebbe tempo di scrivere una lettera. Dopo mangiato, sfilò dalla fascetta «L’Osservatore Romano», che le arrivava con la posta della sera. Stava leggendo delle persecuzioni religiose nel Messico, quando suonò il campanello. «Vittoria» chiamò la signorina. Vittoria stava rigovernando e siccome era un po’ sorda non sentì. Con un’espressione sofferente, la signorina andò lei ad aprire. Era la lattaia. La signorina accentuò l’espressione sofferente.
La lattaia si scusò di essere venuta a quell’ora, ma disse, durante il giorno era sempre occupata col negozio… «Un minuto solo, signorina.» La signorina la fece passare nel salottino, ma non le disse di sedere. «Venivo per quel mio cognato» riprese la donna. «Lei sa, quello che è infermiere all’ospedale…» La signorina disse che ricordava benissimo. Era stata lei stessa ad adoprarsi perché fosse assunto.
Si trattava di questo: ora che il capo infermiere aveva raggiunto i limiti di età, si sarebbe liberato un posto nell’organico: era l’occasione propizia per far entrare in pianta stabile il cognato. C’era un altro aspirante, che aveva meno anzianità e che inoltre era scapolo. Ma, a quanto risultava a suo cognato, aveva l’appoggio del Fascio…
«Capisce, signorina: se mio cognato potesse entrare in pianta stabile, sarebbe tutta un’altra cosa. Intanto, la paga verrebbe a essergli quasi raddoppiata, e poi avrebbe la sicurezza per l’avvenire… Perché un avventizio può essere sempre mandato via da un momento all’altro. Basta che cambi il direttore…» Non soltanto il cognato aveva diritto perché più anziano e per il carico di famiglia; ma era anche un lavoratore, che all’ospedale si era fatto benvolere, tanto dai malati che dalle suore… «Non chiediamo mica un favoritismo, signorina; chiediamo il giusto. Provi a domandarlo alle suore, se sono contente di lui…»
«È vero che maltratta la moglie?» disse improvvisamente la signorina. «Mi hanno detto anche che la picchia.»
La lattaia rimase sconcertata; ma si riprese subito:
«In famiglia, questo è vero, non vanno tanto d’accordo. Ma, cosa crede? la colpa di tutto, è la miseria. Quando un uomo porta a casa centoventicinque lire la quindicina, e con quelle deve pagare l’affitto, la luce, il carbone, e dar da mangiare a quattro bocche, lei capisce che i soldi non possono bastare. E allora, per forza, lui è di cattivo umore, la moglie lo stesso, e le occasioni dei litigi sono facili.»
«Ma voi un po’ d’aiuto glielo date.»
«Qualcosa, certo, gli diamo,» disse la donna «dopo tutto si tratta di mia sorella, dei bambini di mia sorella… E mio marito, è il primo lui a dire: Aiutiamoli. Come se fossero parenti suoi…»
La signorina promise che ci avrebbe messo una buona parola. «La porta, la trova da sé» disse interrompendo i ringraziamenti della lattaia.
Passò di cucina a dir qualcosa alla donna, e si ritirò in camera.
La camera era piccola, imbiancata a calce; e a differenza delle altre stanze, era semplice e nuda. In camera la signorina aveva appunto voluto ispirarsi a una nudità francescana. La chiamava “la mia celletta”. Dalla ringhiera del letto di ferro pendeva un ramo d’olivo; sopra il cassettone una stampa a colori raffigurava San Francesco nell’atto di ricevere le Stimmate.
La signorina si spogliò, si tolse lo scapolare, infilò la camicia da notte, poi davanti allo specchio del cassettone sciolse i lunghi capelli ormai grigi. Quindi si coricò e spense la luce.
Mentre le sue labbra mormoravano i Pater, gli Ave, i Gloria e i Requiem, e poi la preghiera speciale composta dal Papa per le Terziarie, la sua mente era occupata altrove. Dal vicolo venivano voci e risate. Per l’appunto lì sotto c’era una bettola. Ancora voci, ancora risate, poi una sonora bestemmia.
“Sono proprio bestie” pensò la signorina. Si voltò su un fianco. Era ormai vicina ad addormentarsi, quando si ricordò che anche quel giorno aveva pensato male e sparlato della Ormanni. Si disse che doveva tenerlo a mente per la confessione.