[4]Prendo
qui ed in altri punti la parola agi nel senso di ozi, vale a dire
per l’opportunità di poter disporre come meglio aggrada del proprio
tempo. In francese avremmo loisirs, parola che esprime
magnificamente il concetto. (Nota del Trad.).
[5]La
natura va elevandosi costantemente dall’azione meccanica e chimica
del regno inorganico fino al regno vegetale nella sua tacita
soddisfazione di sè stessa; di qui al regno animale con cui si
mostra l’aurora dell’intelligenza e della coscienza; poi, partendo
da questi deboli principi, sale di grado in grado sempre più alto
per arrivare finalmente con un ultimo e supremo sforzo all’uomo,
nel cui intelletto raggiunge il punto culminante e lo scopo delle
sue creazioni, dando così quanto essa può produrre di più perfetto
e di più difficile. Tuttavia pur nella specie umana, l’intelletto
presenta ancora delle graduazioni numerose e sensibili, e molto di
raro arriva fino al grado più elevato, sino all’intelligenza
effettivamente superiore. Questa dunque, nel senso più ristretto e
più rigoroso, è il prodotto più difficile, il prodotto supremo
della natura; e quindi essa è ciò che il mondo può offrire di più
raro e di più prezioso, si è in una tale intelligenza che appare la
conoscenza più lucida e che il mondo si riflette quindi più
chiaramente e più completamente che altrove. Sicchè l’essere che ne
è dotato possede ciò che v’ha di più nobile e di più squisito sulla
terra, una sorgente di piacere al cui confronto tutte le altre sono
meschinissime, talmente che egli non avrà a chiedere al mondo
esterno se non agi per godere del suo bene senza molestie, e per
finire la sfaccettatura del suo diamante. Perocchè tutti gli altri
piaceri, non intellettuali, sono di natura volgare; essi tutti
hanno in vista movimenti della volontà, quali desideri, speranze,
timori, aspirazioni realizzate, qualunque ne sia la natura; tutto
questo non può compiersi senza dolori, ed inoltre, una volta
raggiunto lo scopo, s’incontrano d’ordinario disinganni in maggior
o minor numero secondo il caso; mentre nelle gioje intellettuali la
verità si presenta sempre più chiara. Nel dominio dell’intelligenza
non regna alcun dolore! tutto è cognizione. Ma i piaceri
intellettuali non sono accessibili all’uomo che per la via e nella
misura dell’intelligenza. Perchè «tutto lo spirito che v’ha al
mondo è inutile a chi non ne possede.» Tuttavia uno svantaggio non
manca mai d’accompagnare questo privilegio ed è che in tutta la
natura, la facilità ad esser impressionato dal dolore aumenta nel
tempo stesso che si alza il grado dell’intelligenza, e che in
conseguenza essa arriverà al suo massimo nell’intelligenza più
elevata. (Nota di Schopenhauer).
[6]La
volgarità consiste in sostanza nel fatto che il volere la vince
totalmente, nella coscienza, sull’intelletto, per cui le cose
arrivano ad un tal punto che l’intelletto non appare più che per il
servizio della volontà: quando questo servizio non reclama
intelligenza, quando non esistono motivi nè piccoli, nè grandi,
l’intelletto cessa completamente, e sopraggiunge una vacuità
assoluta di pensieri. Ora il volere sprovvisto d’intelletto è ciò
che v’ha di più basso; ogni tronco lo possede e lo manifesta, non
foss’altro quando cade. Si è dunque un tale stato che costituisce
la volgarità. In essa gli organi dei sensi ed una minima attività
intellettuale, necessari a fermare i loro dati, rimangono soli in
azione; ne risulta che l’uomo volgare resta sempre aperto a tutte
le impressioni, e percepisce istantaneamente tutto quanto succede
intorno a lui, al punto che il suono più leggero per esempio, o
qualunque circostanza per quanto insignificante, sveglia tosto la
sua attenzione, proprio come succede negli animali. Tutto ciò
apparisce dal suo viso e dal suo esteriore, ed è da ciò che
proviene l’apparenza volgare, apparenza la cui impressione è tanto
più ributtante in quanto che, come succede molto spesso, la
volontà, la quale allora occupa tutta la coscienza, è bassa,
egoista e cattiva. (Nota di Schopenhauer).
[8]Mi si
permetta il neologismo. (Nota del Trad.).
[9]Mediocre et rampant nell’originale. (N. del
Trad.).
[10]Le
classi più eminenti nel loro lustro, splendore e fasto, nella loro
magnificenza ed ostentazione d’ogni natura possono dire a sè
stesse: La nostra felicità è posta interamente fuori di noi; il suo
luogo è nella testa degli altri. (Nota di
Schopenhauer).
[11]Scire tuum nihil est, nisi te scire hoc sciat alter
(Che tu sappi è niente, se non sai che gli altri lo sanno). (Nota
di Schopenhauer).
[12]Point d’honneur und puntiglio nel testo. (Nota del
Trad.).
[13]Vedemmo cosa dice lo Schopenhauer dei Francesi, degli
Inglesi e dei Tedeschi; vediamo ora come parla degli Italiani:
«Qualità dominante nel carattere nazionale degli Italiani si è
un’impudenza assoluta che proviene da ciò che eglino si considerano
come se non fossero nè al di sopra nè al di sotto di chicchessia,
vale a dire che sono a vicenda arroganti e sfrontati, oppure vili
ed abbietti. Chiunque, invece, ha pudore è per certe cose troppo
timido, per altre troppo fiero. L’italiano non è nè l’uno nè
l’altro, ma secondo le circostanze poltrone od insolente.» Dei
Tedeschi scrisse pure: «In previsione della mia morte faccio questa
confessione: che disprezzo la nazione tedesca a causa della sua
infinita stupidezza, e che arrossisco di appartenerle.» Si veda in
proposito: A. Schopenhauer. Von ihm. Ueber ihn, von Lindner;
Memorabilien, von Frauenstaedt (Berlino, 1863). (Nota del
Trad.).
[15]Nei
manoscritti di Schopenhauer Adversaria, cominciati nel marzo del
1828 a Berlino, nei quali si contiene la prima idea di un trattato
dal titolo: Schizzo d’una dissertazione sull’onore, si legge: Ecco
dunque questo codice! Ed ecco l’effetto strano e grottesco che
producono, quando sono stabiliti su nozioni precise ed enunciati
chiaramente, questi principî, a cui obbediscono ancora oggidì
nell’Europa cristiana tutti coloro che appartengono alla così detta
buona società od al così detto bon ton. Vi sono pure molte persone,
fra coloro a cui questi principi sono stati inoculati fin dalla
prima gioventù colla parola e coll’esempio, che credono in essi più
fermamente che nel loro catechismo; che portano loro la venerazione
più profonda e più sincera; che sono pronti in ogni momento a
sacrificar loro felicità, riposo, salute e vita; che sono convinti
che la loro radice stia nella natura umana, che sieno innati, che
esistano a priori e che sieno posti al di sopra di qualunque esame.
Io sono ben lontano dal voler portar colpi al loro cuore, ma devo
dichiarare che tutto ciò non fa testimonianza in favore della loro
intelligenza. Di più questi principî dovrebbero convenire meno che
a tutt’altra, a quella classe sociale destinata a rappresentare
l’intelligenza, a diventare il sale della terra, e che per
conseguenza si prepara a quest’alta missione: intendo parlare della
gioventù accademica, la quale in Germania, ohimè! obbedisce a
questi precetti più che qualunque altra classe di persone. Qui io
non vengo a richiamare l’attenzione dei giovani studenti sulle
conseguenze funeste od immorali di tali massime; lo si deve aver
fatto ben di sovente. Mi limiterò dunque a dir loro ciò che segue:
Voi, la cui gioventù è stata nutrita colla lingua e colla saggezza
dell’Ellade e del Lazio, voi, per cui si ebbe la cura
inapprezzabile d’illuminare di buon’ora la giovane intelligenza coi
raggi splendidi emanati dalle menti nobili e saggie del bel tempo
antico, come mai volete voi esordire nella vita prendendo per
regola di condotta questo codice della demenza e della brutalità?
Vedetelo, questo codice, quando, come ho fatto io, lo si stabilisce
su nozioni chiare, come è spiegato, là, davanti i vostri occhi,
nella sua miserabile nullità; fatene la pietra di paragone non del
vostro cuore, ma della vostra ragione. Se questa non lo respinge,
allora la vostra mente non è atta a coltivare un campo per cui
qualità indispensabili sono una forza energica di raziocinio che
spezzi facilmente i legami del pregiudizio, ed una ragione
chiaroveggente che sappia distinguere nettamente il vero dal falso
anche là dove la differenza è profondamente nascosta, e non
solamente dove, come qui, è palpabile; se così fosse, miei buoni
amici, cercate qualche altro mezzo onesto per tirar avanti nel
mondo: fatevi soldati, o imparate qualche mestiere, che una buona
arte è sempre un podere d’oro. (Nota dell’editore
tedesco).
[16]Cioè chi vuole scimiottare i nobili ed i militari.
(Nota del Trad.).
[18]Nel
già ricordato «Schizzo di una dissertazione sull’onore»
Schopenhauer così racconta questa storia: Due uomini d’onore, l’uno
dei quali si chiamava Desglands, corteggiano la stessa donna: essi
sono seduti a tavola vicini, e dirimpetto alla dama, di cui
Desglands cerca fissar l’attenzione con discorsi vivaci; ma ciò
durante, gli occhi della persona amata carezzano costantemente il
rivale di Desglands, ed ella non presta a quest’ultimo che un
orecchio distratto. La gelosia provoca in Desglands, che tiene in
mano un uovo a bere, una contrazione spasmodica; l’uovo scoppia, e
il suo contenuto salta sul viso del rivale. Questi fa un gesto
colla mano, ma Desglands gliela afferra e gli dice nell’orecchio:
«Lo tengo per dato». Si fa un profondo silenzio. L’indomani
comparisce Desglands colla guancia destra coperta da un gran tondo
di taffetà nero. Ha luogo il duello e il rivale di Desglands riceve
una ferita grave, ma non mortale. Desglands diminuisce allora di
alcune linee il suo taffetà. Alla guarigione del rivale, secondo
duello; Desglands gli cava sangue nuovamente e impiccolisce ancora
il noto circoletto. E così per cinque o sei volte di seguito: dopo
ogni duello Desglands riduce sempre più stretta la circonferenza
dell’impiastro, che finalmente fa sparire alla morte
dell’avversario. (Nota dell’editore tedesco).
[19]L’onore cavalleresco è figlio dell’orgoglio e della
follia (la verità opposta a questi precetti si trova nettamente
espressa nella commedia El Principe constante colle parole: Esa es
la herencia de Adan, gli affanni sono il retaggio dei figli di
Adamo)Reca stupore che questo orgoglio estremo non s’incontri che
in seno di quella religione che impone ai suoi aderenti l’umiltà
estrema; nè le epoche anteriori, nè le altre parti del mondo
conoscono tale principio dell’onore cavalleresco. Tuttavia non è
alla religione che bisogna attribuirne la causa, ma al regime
feudale durante il quale ogni nobile si considerava come un piccolo
sovrano; egli non riconosceva fra gli uomini alcun giudice che
fosse messo al di sopra di lui; imparava così ad attribuire alla
sua persona una inviolabilità ed una santità assolute; ed è per
questo che qualunque attentato contro la sua persona, una percossa,
una ingiuria, gli sembrava un delitto meritevole di morte. Per ciò
il principio dell’onore ed il duello non erano in origine che un
affare concernente i nobili; essi si estesero più tardi agli
officiali, a cui si unirono poi qualche volta, ma giammai d’un modo
costante, le altre classi più eminenti, nello scopo di non perdere
in considerazione. Le ordalie, quantunque abbiano fatto nascere il
duello, non sono l’origine del principio dell’onore cavalleresco;
esse non ne sono che la conseguenza e l’applicazione: chiunque non
riconosce in altro uomo il diritto di giudicarlo ricorre al giudice
divino. — Le ordalie stesse non appartengono esclusivamente al
Cristianesimo; le troviamo spesso nel Brahmanismo, benchè più di
sovente nelle epoche più antiche; ne esistono però vestigi anche
oggigiorno. (Nota dell’Autore). (*) Le parole sopra citate fra
parentesi, si leggono così nel Principe costante (Jorn. III, Esc.
8, ed. Hartzenbüsch). (Don Giovanni entra con un pane) Don Giovanni
Per portarti questo pane io fui inseguito dai Mori e le loro spade
mi ferirono; arrivo or ora fieramente minacciato. Fernando La
miseria (gli affanni) è il retaggio d’Adamo (dei figli d’Adamo).
(Nota dell’editore tedesco). . (*)
[20]Venti o trenta colpi di canna sulle natiche sono, per
così dire, il pane quotidiano dei Chinesi. È questa una correzione
paterna del mandarino, correzione che non ha niente d’infamante, e
che viene ricevuta con vivi ringraziamenti (Lettres édifiantes et
curieuses, ediz. del 1819, voi XI, pag. 454). (Citazione
dell’Autore).
[21]Ecco, secondo me, qual’è il vero motivo per cui i
governi non si sforzano che in apparenza a proscrivere i duelli,
cosa ben facile, sopra tutto nelle Università, e d’onde viene che
essi pretendano non potervi riuscire; lo Stato non è in grado di
pagare con danaro i servigi dei suoi officiali e dei suoi impiegati
civili al loro giusto valore; perciò fa consistere l’altra metà dei
loro emolumenti in onore, rappresentato dai titoli, dalle uniformi
e dalle decorazioni. Per mantenere tale prezzo ideale dei loro
servigi ad un corso elevato, bisogna, con ogni mezzo, sostenere,
avvivare ed anche esaltare un po’ il sentimento dell’onore; siccome
a tal uopo l’onore borghese non basta per la semplice ragione che è
proprietà comune di tutti, si chiama in aiuto l’onore cavalleresco
che si stimola, come abbiamo già dimostrato. In Inghilterra, ove il
soldo dei militari e degli impiegati civili è molto maggiore che
sul continente, non si ha bisogno d’un tale espediente; sicchè, da
una ventina d’anni specialmente, il duello vi è quasi affatto
caduto in disuso; e nelle rare occasioni in cui vi si ricorre
ancora, il pubblico ne ride come d’una pazzia. È certo che la
grande Anti-duelling Society, che conta fra i suoi membri una folla
di lord, d’ammiragli e di generali, ha contribuito assai a questo
risultato, e il Moloch deve così far a meno di vittime. (Nota
dell’Autore).
[22]Ecco la famosa nota: Ma se altri cercasse di altercare
con lui, come dovrà egli comportarsi? Rispondo ch’egli non avrà mai
alterchi, se non si presterà abbastanza per averne. Ma infine, si
seguiterà a chiedere, chi sarà salvo da uno schiaffo o da una
smentita da parte d’un brutale, d’un ubbriaco, o d’un bravaccio
briccone che per avere il piacere di uccidere un uomo comincia col
disonorarlo? Allora è un’altra cosa: è necessario che l’onore dei
cittadini e la loro vita non sieno in balia d’un brutale, d’un
ubbriaco o d’un bravaccio briccone, e non si può preservarsi da un
tale accidente meglio che dalla caduta di una tegola. Uno schiaffo
ed una smentita ricevuti e sofferti hanno effetti civili che
nessuna saggezza può prevenire, e di cui nessun tribunale può
vendicare l’offeso. L’insufficienza della legge gli rende dunque in
ciò l’indipendenza; egli è allora il solo magistrato, il solo
giudice tra l’offensore e sè stesso: egli è il solo interprete e il
solo ministro della legge naturale, egli si deve giustizia e solo
può rendersela e non v’ha sulla terra governo tanto insensato per
punirlo di essersela fatta in caso tale. Non dico che debba andare
a battersi, sarebbe una stravaganza; dico ch’egli si deve giustizia
e che ne è il solo esecutore. Senza tanti vani editti contro il
duello, se io fossi sovrano, garantisco che non sarebbero mai dati
schiaffi nè smentite nel mio regno, e ciò con un mezzo molto
semplice, con cui i tribunali non avrebbero a che fare. Checchè ne
sia Emilio conosce la giustizia che in tal caso deve a sè stesso, e
l’esempio che deve alle persone d’onore. Non dipende dall’uomo il
più risoluto l’impedire che lo si insulti; ma dipende da lui
l’impedire che si possa vantarsi a lungo di averlo insultato. (N.
del Trad.).
[23]E
il medico che assiste al duello, come andrebbe trattato? (domanda
il traduttore).
[24]Perciò si fa un brutto complimento quando, come è di
moda oggidì, credendo render onore ad opere, le si chiama atti. E
ciò perchè le opere sono, per la loro essenza, d’una specie
superiore. Un atto è sempre un’azione basata sopra un motivo, per
conseguenza, qualche cosa d’isolato, di transitorio, ed
appartenente all’elemento generale e primitivo del mondo, alla
volontà. Una grande e bella opera è cosa durevole, perocchè la sua
importanza è universale, ed ella stessa procede dall’intelligenza,
da quell’intelligenza innocente e pura che si leva come un profumo
al di sopra del basso mondo della volontà. Fra i vantaggi della
gloria delle azioni v’ha pur quello di prodursi ordinariamente
d’improvviso con grande splendore, così grande che talvolta
l’Europa intera ne è abbarbagliata, mentre la gloria delle opere
non giunge che con lentezza od insensibilmente debole da bel
principio, poi cresce più e più, e di sovente non arriva a tutta la
sua potenza che dopo un secolo; ma allora rimane così per migliaia
d’anni, perchè anche le opere rimangono. L’altra gloria, passata la
prima esplosione, s’indebolisce gradatamente, è sempre meno
conosciuta, e finisce col non esister più che nella storia allo
stato di fantasma. (Nota dell’Autore).
[25]Per
ben comprendere il senso delle parole di Schopenhauer bisogna
sapere che il grande pessimista, non traduce mai le citazioni
latine, e che delle greche dà solamente, e non sempre, la
traduzione in latino. Per Epicarmo fa un’eccezione in favore
degl’ignoranti sempre da lui profondamente dispregiati. (Nota del
Trad.).
[26]Siccome il nostro maggior piacere consiste
nell’ammirazione degli altri verso di noi, ma siccome d’altra parte
gli altri non consentono che assai difficilmente ad ammirarci anche
quando l’ammirazione sarebbe giustificata appieno, ne risulta che
più felice è colui che è giunto, non importa come, ad ammirare
sinceramente sè stesso. Solamente ei non deve lasciarsi sviare
dagli altri. (Nota dell’Autore).
[30]Come il nostro corpo è avvolto nei vestiti, così il
nostro spirito è inviluppato di menzogne. Le nostre parole, le
nostre azioni, tutto il nostro essere sono bugiardi, e non è che a
traverso questo intonaco che si può qualche volta intravvedere il
nostro vero pensiero, come a traverso i vestiti le forme del corpo.
(Nota dell’Autore).
[32]Tutti sanno che i mali si sentono meno sopportandoli
in comune: pare che fra questi mali gli uomini contino la noja, ed
è per questo che si riuniscono allo scopo di annojarsi insieme.
Nello stesso modo che l’amore della vita non è alla fin fine che la
paura della morte, così l’istinto sociale degli uomini non è un
sentimento diretto, vale a dire non è fondato sull’amore della
società, ma sulla paura della solitudine, perocchè non è in verità
la benefica presenza degli altri che si cerca, ma si fugge
piuttosto l’aridità e la desolazione dell’isolamento, e così pure
la monotonia della propria coscienza; per togliersi alla solitudine
ogni compagnia è buona, anche la cattiva, e ciascuno si sottomette
volontieri alla fatica ed alla riservatezza forzata che qualunque
società porta necessariamente con sè. — Ma quando il disgusto di
tuttociò ha preso il sopravvento, quando, come conseguenza, la
solitudine si ha caparrata la nostra simpatia e noi abbiamo vinto
quella prima impressione che essa produce, in modo da non provar
quegli effetti che più in alto abbiamo descritti, allora si può a
bell’agio restar sempre soli; non si rimpiangerà di certo il mondo,
perchè non si avrà bisogno diretto di esso, e perchè ormai si sarà
avvezzi alle conseguenze benefiche dell’isolamento. (Nota
dell’Autore).
[33]Gli
aforismi sulla saggezza nella vita fanno parte di una raccolta di
scritti pubblicata da Schopenhauer sotto il titolo di Parerga und
Paralipomena. Ecco l’apologo di cui l’autore parla nel testo: «In
una rigida giornata d’inverno una truppa di porcospini si era messa
in mucchio serrato per salvarsi scambievolmente dal freddo col loro
proprio calore. Ma subito sentirono le offese delle loro punte, ciò
che li fece allontanare gli uni dagli altri. Quando il bisogno di
riscaldarsi li avvicinò di nuovo, si rinnovò lo stesso
inconveniente, dimodochè essi furono ballonzolati di qua e di là
tra i due patimenti fino a che non ebbero trovato una distanza
media che rese loro sopportabile la situazione. Così il bisogno di
società, nato dalla vacuità o dalla monotonia del loro interno,
spinge gli uomini gli uni verso gli altri; ma le numerose loro
qualità ributtanti e i loro insopportabili difetti li disperdono
nuovamente. La distanza media che essi finiscono collo scoprire, e
nella quale la vita in comune diventa possibile, si è la pulitezza
e le belle maniere. In Inghilterra si grida a chi non mantiene la
dovuta distanza: Keep your distance! — Con questo mezzo il bisogno
di mutuo riscaldamento non è invero soddisfatto che a metà, ma in
cambio non si sente la puntura delle spine. — Chi però possede
molto calorico suo proprio preferisce rimanere fuori della società
per non provare nè cagionare sofferenze.» (Nota del
Trad.).
[34]L’invidia, negli uomini, dimostra quanto si sentono
infelici, e la continua attenzione che portano a tutto ciò che
fanno o non fanno gli altri, prova quanto si annojano. (Nota
dell’Autore).
[36]n
francese nell’originale. Si veda a proposito di questo motto la
nota a pag. 10. (Nota del Trad.)
[37]Il
sonno è una piccola porzione di morte che noi prendiamo a prestito
anticipando (*) e col cui mezzo riguadagniamo e rinnovelliamo la
vita consumata nello spazio di un giorno. Le sommeil est un emprunt
fait à la mort. Il sonno prende a prestito dalla morte per
mantenere la vita. Oppure esso è l’interesse pagato
provvisoriamente alla morte, che rappresenta il pagamento completo
del capitale. Il rimborso totale è chiesto con un ritardo tanto più
lungo quanto più l’interesse è alto e pagato regolarmente. (Nota di
Schopenhauer). (*) In italiano nel testo originale. (Nota del
Trad.).
[40]In
italiano nel testo originale. (Nota del Trad.).
[41]Se
negli uomini, tali quali sono nella maggior parte, il lato buono
superasse il cattivo, sarebbe cosa saggia fidarsi alla loro
giustizia, alla loro equità, alla loro fedeltà, alla loro affezione
od alla loro carità piuttosto che al loro timore; ma siccome
succede affatto il contrario, fare il contrario sarà più saggio.
(Nota dell’Autore).
[42]Cfr. nell’op. Il mondo come volontà e come
rappresentazione, 3a ed., vol. II, p. 256 le toccanti parole del D.
Johnson e di Merk, l’amico di gioventù di Goethe.
[43]Vedi Oraculo manual y arte de prudencia, 240 (Obras,
Amberes 1702, P. II, p. 287).
[44]Per
tirar avanti nel mondo amicizie e camerate sono, fra tutti, il
mezzo più potente. Ma le grandi capacità danno fierezza; si è
allora disadatti per adulare coloro che ne sono privi e davanti ai
quali, precisamente a causa di questo, si devono dissimulare le
proprie qualità eminenti. La coscienza di non avere che mezzi
limitati agisce in senso opposto; essa si accorda perfettamente
coll’umiltà, l’affabilità, la condiscendenza ed il rispetto per ciò
che è cattivo; giova quindi per farsi amici e protettori. Tutto
questo non si applica solamente alle funzioni dello Stato, ma pure
alle cariche onorifiche, alla dignità, ed anche alla gloria nel
mondo della scienza; ciò che produce, per esempio, che nelle
accademie la buona e brava mediocrità occupa sempre il primo posto
e che la gente di merito non vi entra che tardi o forse mai: lo
stesso succede da per tutto. (Nota dell’Autore).
[45]Bacone da Verulamio dice così: «Non è piccola
prerogativa di prudenza se alcuno con una certa arte e grazia possa
presso gli altri far mostra di sè, col millantare opportunamente le
sue virtù, i meriti ed anche la fortuna (quando ciò possa esser
fatto senza arroganza o fastidio), e all’opposto coll’occultare
artificiosamente i vizi, i difetti, gl’infortuni e i disonori; in
quelle trattenendosi e volgendole come contro a luce, in questi
cercando sotterfugi o purgandoli coll’interpretarli destramente, e
altre cose di simil fatta. Così Tacito intorno a Muziano, uomo
della sua età prudentissimo e ad operare prontissimo, disse: Di
tutte le cose che aveva dette e fatte, con una certa arte
vantatore. Questa cosa abbisogna senza dubbio di un qualche
artifizio, onde non generi noja o spregio: cosicchè, nondimeno, una
certa millanteria, benchè fino al primo grado della vanità, sia
piuttosto vizio in Etica che in Politica. Imperciocchè siccome suol
dirsi della calunnia, arditamente calunniando sempre qualche cosa
rimane affissa (semper aliquid haeret), così possa dirsi della
jattanza (se pur non sia stata brutta e ridicola) con audacia va
gloriando te stesso, chè sempre qualche cosa resta attaccata
(semper aliquid haeret). Starà impressa di certo presso il popolo,
abbenchè i più savi sorridano. Dunque la stima ottenuta appresso i
più compenserà in gran copia il fastidio dei pochi». (De augmentis
scientiarum, Lugd. Batav. 1645. L. VIII, C. 2, p.644 e seg.). (Nota
dell’Editore tedesco)
[46]Il
caso ha in ogni cosa umana un campo d’azione così vasto che se noi
cerchiamo subito di prevenire per mezzo di sacrifici un pericolo
che ci minaccia di lontano, spesso questo pericolo per un nuovo
indirizzo impreveduto degli avvenimenti scompare, ed ecco che non
solo vanno perduti i sacrifici fatti, ma ancora i cambiamenti che
da questi risultarono, riescono, per la mutata condizione delle
cose, a dirittura di pregiudizio. Non dobbiamo quindi, prendendo le
nostre misure, andar troppo avanti nell’abbracciare l’avvenire,
bensì calcolare anche sul caso ed audacemente affrontare qualche
pericolo, sperando che esso, come tante nere nuvole di temporale,
passi oltre. (Nota di Schopenhauer).
[47]Nell’età matura si sa meglio guardarsi
dall’infelicità, in giovinezza a sopportarla. (Nota
dell’Autore).
[48]La
vita umana, propriamente parlando, non può esser detta lunga nè
corta, perocchè, in sostanza, è la scala su cui misuriamo tutte le
altre lunghezze di tempo. Le Upanishadi dei Veda (Oupnekhat, Vol.
II, p. 53) danno 100 anni per durata naturale della vita, e con
ragione, a mio credere; perocchè ho notato che coloro solamente che
passano i 90 anni finiscono coll’eutanasia, cioè muojono senza
malattia, senza apoplessia, senza convulsioni, senza rantolo,
qualche volta anche senza pallore, il più di sovente seduti,
specialmente dopo aver preso cibo: sarebbe più esatto dire non che
muojono, ma che cessano soltanto di vivere. In qualunque altra età
anteriore a questa non si muore che di malattia, dunque
prematuramente. — Nel Vecchio Testamento (Salmo 90, 10) la durata
della vita umana è valutata di 70 anni, tutto al più di 80; e, cosa
più importante, Erodoto (I, 32 e III, 22) dice lo stesso. Ma ciò
non è vero, e non è che il risultato di una maniera grossolana e
superficiale d’interpretare l’esperienza giornaliera. Perchè, se la
durata naturale della vita fosse di 70-80 anni, gli uomini tra 70 e
80 anni dovrebbero morire di vecchiaja; ciocchè non succede: essi
muojono di malattia, come i loro cadetti; ora la malattia, essendo
essenzialmente una cosa anormale, non costituisce la fine naturale.
Non è che tra 90 e 100 anni che diventa normale morir di vecchiaja,
senza malattia, senza lotte, senza rantolo, senza convulsioni,
qualche volta senza impallidire, in una parola di eutanasia. —
Anche sopra questo punto le Upanishadi hanno dunque ragione
fissando a 100 anni la durata naturale della vita. (Nota di
Schopenhauer).
[49]Circa 62 nuovi pianeti sono stati scoperti ancora, ma
è questa una innovazione di cui non voglio sentir parlare. Così
tratto con essi come i professori di filosofia hanno trattato a mio
riguardo; non ne voglio sapere, perocchè ciò discrediterebbe la
mercanzia che ho in negozio. (Nota dell’Autore).
[50]Taschenspielerstreich, colpo di giuocatore di
bussolotti. (Nota dei Trad.).