CINQUE

Nei giorni successivi, tra bagni di mare e di sole sulle spiagge più lontane, discussero su come comportarsi. A poco a poco Naomi prevalse, e Sam concordò che la cosa più umanitaria da fare era tornare e portare al naufrago un cesto di cibarie e cose utili. Era semplice e giusto dal punto di vista morale, e se era semplice e giusto era anche facile. Facile, semplice e giusto – ma andava organizzato. Tutte le sere Naomi faceva attenzione alle notizie per vedere se il loro protetto fosse stato arrestato dalla polizia, ma i media non parlavano di lui e non lo sentì nemmeno nominare nelle chiacchiere dell’isola, che ormai sapeva captare perfettamente. L’uomo restava invisibile, e più lo era più lei sentiva l’emozione della sua missione. Non credeva nei segni, ma qui ce n’erano di sicuro: nessuno a Idra, ne era certa, era sensibile al problema quanto lei. E in quel salvataggio non poteva coinvolgere altri che Sam. Ma al di là di questo, aveva anche bisogno di Sam al suo fianco, complice, volenterosa, docilmente adattata al progetto in corso. Non poteva essere un’impresa solitaria. Le serviva un’amante platonica nella sua orbita.

Alle nove di un mattino, anziché fare snorkeling dalle parti di Mandraki noleggiarono un barchino col motore fuoribordo, vi caricarono due sacchetti di viveri e si diressero dalla parte opposta dell’isola.

Questa volta fu diverso. Quando arrivarono nello stesso posto dove l’avevano visto, lo individuarono subito: si stava lavando in mare; usava le mani a coppa. Non era così bello come se lo ricordava Sam, ma lo sguardo rilassato e il linguaggio del corpo, la rassegnazione e l’indifferenza gli donavano. Le due donne approdarono, misero giù i sacchetti e, con nervosa banalità, lo salutarono con la mano. L’uomo uscì dall’acqua, si asciugò e si sedette dove aveva dormito. Si vestì, ma senza fretta, e Naomi si rivolse a Sam, per chiudere ogni dubbio.

«Lo vedi? C’è solo lui. Non c’è niente da preoccuparsi. E noi siamo in due».

Finalmente l’uomo si voltò e restituì il saluto – un segnale incoraggiante –, per cui scesero alla spiaggia con tutta la calma che riuscirono a trovare.

Si era messo calze, scarpe da ginnastica e una maglietta blu scuro, lacera e quasi a brandelli; lì accanto giaceva quella che sembrava essere la cosa più preziosa in suo possesso: una saponetta avvolta in un pezzo di carta. Fu una scena di tranquilla devastazione, al centro della quale c’era un uomo non devastato. Si era persino pettinato, lisciato i capelli e la barba lunga con le dita. Avrà l’età di Naomi, pensò Sam. Forse qualche anno di più. Fu presa da un dubbio improvviso, ma dovettero parlare, e appena lo fecero il dubbio se ne andò, e invece le rimasero certe incombenze umane che necessitavano di tutta la sua attenzione. In ogni caso, Naomi pensò di chiedergli se parlasse inglese o francese, o anche greco, e lui rispose in inglese: «Le prime due». L’uomo si teneva a un paio di metri di distanza e l’ombra di Naomi gli cadeva sulla faccia, proprio come aveva voluto lei. Ma gli parlò con il tono più tranquillizzante possibile, perché certe domande, per quanto inevitabili, potevano essere fatte senza agitazione.

«Da dove sei arrivato?».

L’uomo indicò il mare, ma non ci mise nessuna veemenza per convincerle.

«Sei venuto a nuoto da una barca?».

«Sì».

«E adesso dov’è la barca?».

L’uomo si riparò gli occhi con la mano per vedere meglio la ragazza. Non era uno sguardo calcolatore né particolarmente curioso. Terra, pensò Naomi. Erano occhi di terra. Aveva la voce piana, beneducata, dal ritmo lento, dal tono poco invadente. Parlava un ottimo inglese. Ma ormai non era più una cosa degna di nota, nel mondo; evidentemente, la sua padronanza della lingua era il frutto di una scuola costosa.

«Non c’è più. Sono rimasto io».

«E gli altri?» disse Sam.

Mosse una mano. Non c’erano altri.

Sam non gli credette, ma non disse niente.

Misero giù i sacchetti e li aprirono; quando l’uomo vide le pesche batté le mani ed esclamò: «Merci!».

«Ti abbiamo visto l’altro giorno» spiattellò Naomi.

Alla fine dovettero spiegare.

Ci fu il momento d’imbarazzo quando dovette dargli il temperino che aveva portato per tagliare le pesche e i pomodori. L’uomo lo prese e la guardò negli occhi; qualcosa stridette fra di loro. «Vi ho viste anch’io» disse, rivolto alla pesca che aveva in mano. «Ma poi siete scappate».

«Siamo venute con uno yacht, ti ricordi?».

«L’ho notato. Ma c’erano dei greci con voi».

«Allora io non sono greca?» lo interruppe Naomi.

L’uomo disse che aveva scritto addosso «inglese».

«E io?» chiese Sam con aria di sfida.

«Australiana».

Naomi guardò Sam. «Lei è Sam. Non è australiana, è americana. Io sono Naomi».

«Io mi chiamo Faoud».

Solo allora Sam ripensò a quando l’aveva visto per la prima volta e si ricordò che portava i pantaloni di una tuta e le infradito. Le venne l’idea fantasiosa che in fin dei conti non era affatto la stessa persona. Non c’è nessuna certezza, pensò. Naomi non ne sa più di me. Brancoliamo nel buio.

Ma il buio, come posto in cui stare, non era male. Si sedettero al suo fianco e tutti e tre tagliarono fette di pane e ci misero sopra pezzi di feta con pomodoro e un po’ di sale grosso che avevano portato. Era come se si fossero appena conosciuti in un parco londinese, ragazzi che si presentano e mangiano pesche insieme. Faoud non pareva insospettito né distante; sembrava aver preso le misure alle due intruse e averle giudicate in base alla propria visione del mondo. Le stava aspettando, o stava aspettando qualcuno. Disse che aveva previsto di scalare il monte e arrivare al versante sopravento, pur non sapendo affatto cosa potesse esserci. Un paese, una cittadina. Alla fine, un paese c’è sempre. Case ce n’erano sempre; posti dove si poteva chiedere acqua o aiuto. Ma avvicinarsi a una casa nelle isole più remote era un rischio, come tanti gli avevano detto in Turchia. Domandò a Naomi come si chiamava l’isola. Dopo che Naomi glielo disse, assaporò e analizzò quel nome. Idra. Non gli diceva niente. Le domandò che genere di posto era l’altro versante. Naomi disse: «C’è un porto, molte case, è un mondo diverso».

L’uomo abbassò gli occhi. «Allora sono fortunato».

«Sei arrivato dalla Turchia?».

Era arrivato dalla Turchia, ma i suoi trascorsi non furono sviscerati. Fu come se fosse superfluo fare la cronaca di una cosa tanto elementare.

D’accordo, pensò Naomi; non ne vuole parlare.

«Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?» volle sapere Sam.

«Sono passati tanti giorni».

«Atroce» disse Naomi con il tono di suo padre.

Tra una settimana saresti morto di fame, pensò freddamente Sam.

Aveva qualcosa che non le tornava, una disinvoltura in cui non vedeva chiaro. Certi modi sfuggenti erano accettabili, ma altri puzzavano di guai.

«Mangia il formaggio» disse Naomi. «Hai bisogno di proteine. Stasera ti porto qualcosa di meglio».

«Merci».

All’orizzonte si era formata una linea di nubi vaporose. Via via che si allargò e diventò argento bollente, il nuovo calore si riversò a ondate sulle loro facce. L’estate stava maturando fino al pieno delirio. Il mare scurì; perse il bagliore metallico e freddo. Quando lo guardavano adesso – all’improvviso, dal fondo di un vicolo o in cima a lunghi gradini – il suo colore era febbrile e profondo, tanto da far dimenticare che si trovavano in Europa. Rimaste sotto il sole tutto il giorno, e sotto un cielo vuoto febbricitante anch’esso, le due donne cominciarono a sentirsi più sciolte, l’attenzione si indebolì deliziosamente e i loro pensieri andarono alle fresche comodità del porto, ai bar sotto i tendoni a mezzogiorno, alle birre gelate e alle pennichelle del pomeriggio. Ma nessuna di queste cose si estendeva a Faoud; perciò, cominciarono inevitabilmente a pensare al momento successivo del loro gesto di carità. A Naomi vennero subito in mente le case abbandonate di Episkopi. Gli disse che non poteva proprio rimanere lì sulla spiaggia, che era meglio spostarsi in una di quelle case. L’uomo chinò la testa e non disse niente.

«Devi andarci subito» continuò lei. «Stasera. Torno qui stasera e ti ci porto».

«Ah sì?» proruppe Sam.

Era a disagio e anche un po’ infastidita perché veniva messa sotto pressione. Ma ormai Naomi si era infervorata.

«Non c’è altro da fare. Quaggiù morirà. A Episkopi ci sono solo due o tre pastori che usano le case come riparo per le bestie. È il posto migliore per nasconderlo».

Sam pensò un momento di lasciar perdere la beneficenza e tornare semplicemente dai suoi, che il pomeriggio giocavano a scacchi e a backgammon. Era molto più facile di quelle fatiche senza senso. Provò fastidio per la propria passività e per l’indomabile zelo umanitario dell’amica più grande, al quale – in aggiunta – non credeva neanche un po’. L’allegro cinismo di Naomi – la cosa di lei che le era piaciuta di più – sembrava incomprensibilmente sparito da un giorno all’altro. La logica le era chiara, ma perché Naomi voleva a tutti i costi trasformare un tizio mai visto in un caso? Lo si poteva aiutare senza farlo diventare un caso. Si potevano informare quelli che erano in grado di intervenire. Stando ai notiziari, sembrava che i greci accogliessero piuttosto bene i profughi dalla Turchia. D’altra parte, aveva anche notato l’arrivo di nuovi poliziotti al porto, ed era ugualmente possibile che siccome Naomi conosceva quel paese meglio di lei capisse anche qualcosa di più sul clima di paura e paranoia. Potevano essere vere entrambe le cose, ammise tra sé. In ogni caso, questo problema le era stato buttato addosso; non era andata a cercarselo.

Guardò l’uomo che si riempiva la bocca di pane e olive, e naturalmente provò pena per lui. Giorni e giorni in mare a galla su un rottame con una sola bottiglia d’acqua. Una fuga dalla guerra e dal disastro della Siria – l’aveva letto mille volte sui giornali europei. Le immagini erano alla portata di tutti. Ma lui aveva risposto alle domande di Naomi con una certa vaghezza. E loro, per una forma di imbarazzo, avevano evitato domande dirette, ma non c’era motivo di non indagare meglio. Le venne voglia di chiedergli da dove veniva esattamente, se aveva dei parenti e come mai era finito su quell’isola anziché su una più vicina alla Turchia, se non aveva avuto scelta. Ma ancora una volta non riuscì a prendere l’iniziativa.

Naomi le si rivolse di nuovo, con un viso più malleabile; aveva capito che Sam ci stava, che la cosa le interessava di più delle stupide feste sull’isola.

«Andiamo, su» disse. «Ho bisogno di una birra. E poi dobbiamo riflettere, non trovi?».

Si alzarono e si ripararono gli occhi dal sole. L’uomo alzò timidamente lo sguardo e capì tutto; non ci fu bisogno di spiegare nulla. Almeno era intelligente, sguardo reattivo, attento a ogni palpito umano. Disse: «Tornate stasera?».

«Torniamo dopo il tramonto e ti portiamo a Episkopi, se troviamo una casa. Adesso andiamo a vedere».

«È un grande favore» disse. «Non so come ringraziarvi».

Allora Naomi si domandò se l’uomo avesse un piano diverso. Si incamminarono verso la barca.

Quando si furono allontanate, Sam diede libero sfogo ai dubbi.

«Ma no, non ti scervellare troppo» disse seccamente Naomi. «Ha una storia complicata, cosa vuoi che sia? Come fa a non averla?».

Non era solo una questione di complicazioni, la rimbeccò Sam. Era vago; era evasivo.

«Non mi è sembrato. Evasivo perché?».

«Secondo te è cristiano o musulmano?».

Naomi scoppiò a ridere.

«In che senso?».

«Secondo te è cristiano?».

«Non mi interessa proprio, Sam. Dovevo chiederglielo? Non è che lo sto facendo per motivi religiosi».

«E se fosse musulmano?».

«Lo aiuterei ancora di più».

«Quindi se fosse musulmano cambierebbe qualcosa?» fece Sam. «La bontà non c’entra».

 

 

Dal molo del borgo di Palamidas camminarono un’ora in salita fino a Episkopi, finché si ritrovarono fra dirupi e campi accidentati dove sopravvivevano i ciclamini. Si sedettero su un muretto di sassi da cui guardarono il mare di sotto, le isole compatte e brulle, l’ombra dell’isola di Dokos e più avanti la massa slavata dell’Argolide. Le colline digradavano su una costa frastagliata, bagnata da un’acqua dello stesso colore della crisocolla; erano ripide, maculate di rocce grigie e piante di salvia tremolanti. A tratti spuntavano agavi solitarie, gotiche, le cime lacerate dal vento, e tutt’intorno vecchie recinzioni in fil di ferro per gli asini giacevano sui campi come relitti del mare, punteggiati qua e là da letti abbandonati e vecchie porte di case. Sembrava una terra che moriva a rilento e tornava verso la preistoria. Ma aveva un vantaggio: molte case isolate e in rovina, che Naomi, parlando greco, poteva affittare con pochi soldi se avesse trovato il proprietario.

Ormai le emozioni delle due ore precedenti si erano dissipate. Erano consumate dal vento salmastro; le menti avevano smesso di rimuginare. Passeggiarono alla ricerca di qualcuno. Più su videro greggi di capre, una fila di cavalli. C’erano due uomini distesi fra l’erba selvatica: chiaramente le stavano osservando da un po’. E se Naomi aveva sempre pensato di conoscere tutti gli abitanti dell’isola, quei due non li aveva mai visti; pastori sulla sessantina, in camicia di tela grezza rattoppata e bretelle, silenziosamente vivi tra i ciuffi di capelli bianchi. Naomi rivolse loro la parola. Gli uomini risposero con educazione. Doveva stare attenta a quello che diceva. Bastò spiegare che le serviva una baracca per lei e i suoi amici da usare ogni tanto durante l’estate. Loro adoravano andare a fare il bagno nella penisola di Nisiza, lì vicino. Poteva offrire una cifra assurda che non avrebbero mai rifiutato.

Gli uomini guardarono la giovane americana abbronzata e una parte di loro si intenerì. Fu per quell’aria di innocenza insolente. Uno aveva due baracche che usava per gli animali; erano in alto, ma facili da raggiungere. Ne indicò una con un gesto: una costruzione quadrata a un centinaio di metri, vicino al sentiero che scendeva fino al porto. Se proprio la voleva gliela poteva dare, ma era senza corrente elettrica e senz’acqua. C’era un materasso di paglia che il pastore usava per dormire e degli attrezzi, tra cui un secchio e una falce. Se le bastava, poteva portargli i soldi quel giorno, più tardi, e sarebbero stati a posto così.

«D’accordo» disse lei. «Mi sta bene».

Salirono alla baracca e guardarono dentro. La porta era senza serratura. Era un posto fresco, con quel caldo, e asciutto. Non c’erano ragni e nemmeno correnti – poteva andare. La prese subito. L’uomo rimase piacevolmente sorpreso e fece dei passetti di danza sulle punte dei piedi. Naomi gli spiegò tutto con attenzione. Nessuno doveva andare alla baracca e l’uomo non doveva dire a nessuno che l’aveva affittata. Era per via della gente, disse. Suo padre non sarebbe stato d’accordo, e lei non voleva che venisse a saperlo. Come caparra diede all’uomo un biglietto da cinquanta euro, quindi lei e Sam si rimisero in cammino verso Palamidas. Loro restarono in piedi a guardarle con espressione leggermente perplessa. Presto le ragazze scomparvero e il mondo ritornò al suo normale stato di torpore, calore e noia, uno stato nel quale i due uomini erano pienamente felici perché non offriva loro aspettative bensì divini e di conseguenza inspiegabili guadagni imprevisti.

 

 

A Palamidas le ragazze si trattennero un poco nell’ombra che un picco gettava sull’imbarcadero. Il posto era desolato, ma illuminato dalle acque fatate. La banchina era mezza spaccata, disseminata di rottami arrugginiti come a Mandraki. Una piccola lampada con un pannello solare, pontili con gomme legate lungo i lati. La spiaggia era cosparsa di pezzi di legno, come dopo un’esplosione in uno chalet. Era un luogo assorto nelle proprie fatiche.

«Di cosa avete parlato?» chiese finalmente Sam.

«Solo di soldi. Metto Faoud in quella baracca e il vecchio me l’affitta per tutta l’estate. Andrà benissimo, finché non trovo qualcosa di meglio».

«Sì, ma lui vorrà un albergo carino, secondo me».

«Faoud?».

«Mi sembra un po’ viziato».

«Be’, forse è una parola grossa. Non ti è simpatico, eh?».

Sam scrollò le spalle e incrociò i piedi. Era solo riconoscente di non essere più sotto il sole implacabile. Per Faoud provava solo sentimenti fisici, istintivi, non ragionati.

«Ma no, mi è indifferente» si sentì costretta a dichiarare.

«Figurati. Non ti è simpatico, l’ho capito benissimo».

«A te invece sì» disse Sam.

«Quindi ora è colpa mia?».

«Gli muori dietro».

«Tu, semmai, lo guardavi per bene. A me non la fai».

«Ma dài, non lo guardavo proprio».

«Ho visto tutto. Comunque non ha importanza. Può piacerti chi vuoi».

Sam guardò un momento dall’altra parte. Doveva decidere se essere sincera o inventare una panzana. Aveva notato con la coda dell’occhio il movimento artrosico di due anziane vestite di nero come secoli prima, che attraversavano lo spazio dietro l’approdo riparate da un parasole rosa cupo. Gli esseri umani, da vecchi, sono come i ragni; si spostano di ombra in ombra sotto il sole a picco, senza posa, inesausti. Ma lei non sarebbe mai finita così nemmeno se fosse rimasta lì per tutta la vita, cosa che naturalmente non avrebbe fatto. A New York non sarebbe invecchiata così. Si sarebbe ribellata. Allora decise di non rispondere affatto a Naomi: sì, Faoud era bello, ma lei non vedeva il motivo di spiegare perché la cosa le interessava. Era un fatto suo, una sua debolezza, sempre che fosse una debolezza, ed era una crisi puramente privata. Le cose belle ti sopraffanno. Non riguardava nessun altro. Era un mistero riservato a una sola devota. Perciò ripresero il mare per Idra in silenzio. A Sam andò bene così. Quando arrivarono a Kamini sbarcò, diede un bacio sulla guancia a Naomi e s’incamminò da sola verso la villa dei suoi, sulla lunga stradina per Vlychos. Naomi tornò a Belle Air e dormì tutto il pomeriggio.

 

 

Quella sera gli Haldane cenarono a casa. La cameriera preparò una zuppa al limone e moussaka, e mentre mangiavano nel patio i fulmini lampeggiarono sull’orizzonte del mare buio. Poi arrivarono i tuoni, lontani e attutiti, e si alzò il vento; le fiamme delle candele tremolarono. Amy alzò gli occhi su Sam; cercò di indovinare dov’era stata la figlia per così tante ore. «Pare che voglia piovere...» disse. Dopo cena, sparecchiata la tavola, Sam si distese sul divano del giardino e prese il galaktoboureko insieme a tazze di tè carico di fette di limone. La famiglia si riunì intorno al tavolino con del jazz sul giradischi, mentre pezzetti di carta volavano per il patio portati dalle folate di vento. Il padre, col giornale aperto – il «Tribune» del giorno prima – batteva un piede sulla musica di Louis Jordan e fumava la pipa.

«Ah,» biascicò con il bocchino fra i denti «oggi, mentre tua madre e io tornavamo dal porto, ci ha fermato la polizia. Pensa. Gente col mitra. Per poco non litigavamo».

«Non sono stata io a innervosirmi» precisò subito Amy.

«Ci hanno fermato e chiesto il passaporto, che ovviamente non avevamo».

Il giornale si abbassò e Jeffrey incrociò gli occhi della figlia al di là del tavolino di vetro.

«A te, Sam, è mai capitato?».

«Mai».

«Capito, Amy? Fermano la gente di mezza età in pieno giorno, non i ragazzi che stanno in giro tutta notte. Oltre che invadenti, sono anche stupidi».

Sam suggerì che lo facevano solo perché d’estate arrivavano le droghe. Ma Jeffrey insistette sulla «deriva a destra» a proposito della quale si dilungava il «Tribune». Bastava vedere cosa stava succedendo in Ungheria e in Polonia.

Allungata su un fianco, Sam si prefisse di non lasciar sconfinare nella sua calma interiore nessuna parte della filippica di suo padre. Lei sapeva perché sull’isola c’erano i poliziotti armati, visto che al riguardo era già più informata di lui. Bastava fare due più due. E curiosamente non condivideva nemmeno un po’ la sua indignazione per la deriva a destra, il controllo dei passaporti, i fatti in Ungheria. Era da una vita che lo sentiva recriminare su questioni di giustizia sociale; aveva smesso pian piano di farle effetto. E cosa mai voleva dire il termine «fascista» dopo così tanti anni, dopo che era stato usato e abusato? All’università lo sentiva di continuo e ormai non ci faceva neanche più caso. Avvicinandosi ai ventun anni cominciava a rendersi conto di intuire più cose del mondo reale del suo informatissimo padre, proprio perché tutte le cose che lui sapeva gli arrivavano dai libri e nessun’esperienza vera e vissuta poteva smentirle – perché non ne aveva fatte, di esperienze. Lei, invece, aveva guardato negli occhi Faoud, e non gliel’aveva detto. Le indignazioni di suo padre erano ingenue e teoriche. Però rimase per un po’ a sentirlo; concordò, quindi si alzò e disse che voleva andare a dormire. Era un metodo per non essere sbrigativa o sgarbata. Jeffrey annuì, benché visibilmente perplesso. Si domandò se Sam avesse qualche problema.

Sam baciò il viso bollente di sua madre e disse che era stanca. Si era messo a piovere. Di sopra, a letto, con le finestre aperte, ascoltò la pioggia che cadeva tranquillamente sui pini e lasciò vagare i pensieri finché ricevette un messaggio di Naomi: Per il naufrago tutto a posto.

Le rispose: Brava. Coraggiosa.

Dopo dieci minuti arrivò un altro messaggio: Sono stravolta. Vado a dormire per 24 ore.

Anch’io, le scrisse Sam, dopodiché i messaggi finirono. Ma pur essendo stravolta, non riuscì a dormire. Pensò a Faoud nella baracca dall’altra parte dell’isola e alle facce dei due pastori, piene, almeno per lei, di ambigue intenzioni. Ma forse non era così. Troppa immaginazione, osservò con sarcasmo. Eppure non era convinta. Non era convinta nemmeno del suo disinteresse per Faoud. Anzi, si domandò se il giovane disteso su quel pagliericcio al buio a sua volta non stesse pensando a lei, e fu sicura che sì, a modo suo la stava pensando.