Nati Hamik, Funerali di Yitzhak Rabin, Gerusalemme, 6 novembre 1995

1. Nati Hamik, Funerali di Yitzhak Rabin, Gerusalemme, 6 novembre 1995.

Gli accordi di pace sottoscritti nel settembre 1995 a Washington tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sollevarono l’opposizione sia dei gruppi intransigenti all’interno dell’OLP sia della destra nazionalista israeliana. Per parte araba si assistette alla ripresa su vasta scala degli attentati terroristici suicidi contro la popolazione civile israe liana, creando un forte senso di insicurezza che a sua volta alimentò in Israele la formazione di gruppi estremisti d’impronta nazionalistica e religiosa. In questa fase convulsa, che stava mettendo a dura prova la decisione israeliana di dialogare con l’autorità palestinese, il 4 novembre 1995 un giovane estremista israeliano assassinò a Tel Aviv il premier Rabin, il principale artefice della svolta in Medio Oriente. Con la sua morte il processo di pace sembrò compromesso, anche per la vittoria elettorale della destra israeliana guidata da Benjamin Netanyahu, contraria a ogni trattativa con l’OLP. Solo la pressione esercitata dall’amministrazione Clinton spinse Arafat e Netanyahu a firmare, nell’ottobre 1998, un secondo accordo che fissava i tempi del ritiro israeliano dai territori occupati.

Nati Hamik, Funerali di Yitzhak Rabin, Gerusalemme, 6 novembre 1995

2. John Ruthroff, Accordi di Dayton, base aerea di Wright-Patterson, 21 novembre 1995.

La diplomazia statunitense fu impegnata, oltre che nel processo di pace in Medio Oriente, anche nella crisi jugoslava, dove l’uE mostrava tutta la sua impotenza. Lo spiraglio per il negoziato si aprì solo in seguito all’intervento militare americano con raid aerei contro i serbo-bosniaci: nell’ottobre 1995 venne imposto il cessate il fuoco, e seguirono lunghe e complesse trattative tra i capi delle Repubbliche ex jugoslave coinvolti nel conflitto (da sinistra verso destra sono riconoscibili Slobodan Milošević, presidente della Repubblica di Serbia, Alija Izetbegović, presidente della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, Franjo Tudjman, presidente della Repubblica Croata; alle loro spalle il segretario di Stato americano, Warren Christopher). Il 21 novembre 1995, nella base dell’aviazione militare statunitense di Wright-Patterson, presso Dayton nell’Ohio, fu infine raggiunto l’accordo che poneva fine alla feroce guerra che aveva dilaniato la Bosnia. In base a esso veniva mantenuto lo Stato bosniaco, diviso però tra una repubblica serba e una federazione croato-musulmana: «La Bosnia non è stata riassestata, perché il riuscirvi è impresa sovrumana: ma è stata ingessata, che era lo scopo della comunità internazionale. Fu persino possibile svolgere, il 14 settembre del 1996, le elezioni che l’accordo di Dayton prevedeva».

Incontro tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro, Città del Vaticano, 1996.

3. Incontro tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro, Città del Vaticano, 1996.

In occasione del viaggio compiuto nel novembre 1996 a Roma per il forum mondiale sull’alimentazione promosso dalla FAO, il presidente cubano Fidel Castro incontrò il presidente Oscar Luigi Scalfaro, il presidente del Consiglio Romano Prodi, il ministro degli Esteri Lamberto Dini, gli imprenditori italiani interessati a realizzare investimenti a Cuba ma soprattutto, dopo una notte trascorsa con i francescani di Assisi, papa Giovanni Paolo II. Per la particolare circostanza, Castro rinunciò a sfoggiare la sua immancabile divisa militare e si presentò al cospetto del pontefice in un inconsueto doppiopetto blu. Una visita fortemente contestata dagli esuli cubani anticastristi, giunti appositamente a Roma per richiamare l’attenzione del pontefice sul mancato rispetto dei diritti civili nell’isola, e, negli Stati Uniti, dai repubblicani, decisi a rovesciare Castro. In realtà, l’incontro rientrava nella personale strategia adottata da Giovanni Paolo II, che mirava a favorire con il dialogo una pacifica transizione verso la democrazia anche nell’isola caraibica. Due anni più tardi il papa intraprese un viaggio a Cuba, in occasione del quale Castro fece rimettere in libertà alcune centinaia di detenuti da una lista che il segretario di Stato Angelo Sodano gli aveva fatto avere.

Incontro tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro, Città del Vaticano, 1996.

4. Gianni Agnelli lascia la FIAT, Torino, 29 febbraio 1996.

Nel dicembre 1995 il senatore a vita Gianni Agnelli annunciò che avrebbe lasciato nei primi mesi dell’anno seguente la presidenza della FIAT. Dopo aver retto per circa trent’anni le sorti della casa automobilistica torinese, aveva ritenuto giunto il momento di lasciare il suo posto, designando quale suo successore alla presidenza del Consiglio d’amministrazione Cesare Romiti, in FIAT dal 1974. «All’esercizio effettivo del suo potere dinastico Gianni era arrivato piuttosto tardi. Fino alla quarantina s’era goduta la vita, alternando i piaceri di un miliardario cosmopolita a un tenace attaccamento per la sua Torino [...]. Amministratore delegato della FIAT nel 1963, ne divenne presidente nel 1966,» mentre negli anni della contestazione si era segnalato per l’attitudine al compromesso, formula grazie alla quale la FIAT «è riuscita a superare molte bufere». Più difficoltoso fu però per l’azienda far fronte al provvedimento giudiziario in cui a un mese dalla nomina incorse il nuovo presiedente, coinvolto in Tangentopoli per falso in bilancio, frode fiscale e finanziamento pubblico dei partiti, capi d’imputazione che nel 2000 procurarono a Romiti una condanna a 11 mesi da parte della Cassazione. La sentenza nel 2009 fu revocata dalla Corte d’Appello di Torino perché i fatti non erano più puniti come reati.

Cesare Previti, Roma, 12 marzo 1996

5. Cesare Previti, Roma, 12 marzo 1996.

Cesare Previti, avvocato e uomo di fiducia di Silvio Berlusconi – che lo nominò ministro della Difesa nel suo primo governo –, fu al centro di un caso giudiziario in seguito alle deposizioni rilasciate da Stefania Ariosto, compagna di un altro avvocato di Berlusconi, Vittorio Dotti. La Ariosto svelò alla magistratura milanese la rete di corruzione e di favori che legava diversi magistrati di Roma, in particolare il capo dei Gip romani Renato Squillante e, per l’appunto, Previti. Quest’ultimo, secondo le parole della teste, «corrompeva per conto di Berlusconi»; ma le parole della Ariosto vennero smentite dall’avvocato, che la denunciò. La vicenda giudiziaria tuttavia non finì lì: nel 1997 la Procura di Milano chiese alla Camera l’autorizzazione ad arrestare Previti, deputato tra le fila di Forza Italia, in quanto «era stato al centro di una immane rete di corruzione, e aveva potuto contare sulla complicità dei giudici da lui foraggiati». L’attacco a Previti non era fine a se stesso, bensì rappresentava per il pool di Mani pulite la via obbligata per giungere a Berlusconi, in quel momento già «oggetto d’offensive giudiziarie senza quartiere, a Milano e a Palermo», dove erano in atto indagini a suo carico per il riciclaggio di denaro di Cosa Nostra.

Massimo Sambucetti, Prodi, D’Alema e Dini durante la campagna elettorale, Roma, 18 aprile 1996

6. Massimo Sambucetti, Prodi, D’Alema e Dini durante la campagna elettorale, Roma, 18 aprile 1996.

Se il centrodestra aveva il suo leader in Silvio Berlusconi, il centrosinistra presentava una eterogenea coalizione chiamata Ulivo, nella quale erano confluiti PDS, PPI, ex socialisti, Verdi e la lista di centro di Lamberto Dini, il cui uomo di punta era l’economista, ex presidente dell’IRI nonché esponente del PPI Romano Prodi. Antagonista risoluto di Berlusconi, Prodi, «aiutato con abile discrezione da Massimo D’Alema, riuscì ad accreditare in molti Italiani moderati – quelli che in un sistema maggioritario o semimaggioritario fanno la differenza, e decidono l’esito delle elezioni – l’immagine di un Ulivo saggio e insieme compassionevole, attento al bilancio dello Stato ma solidale e progressista». Una mossa che si rivelò vincente il 21 aprile 1996, quando le urne decretarono il successo dell’Ulivo, che ottenne la maggioranza assoluta al Senato e quella relativa alla Camera. Il PDS di D’Alema, erede del vecchio Partito comunista italiano, divenne il primo partito in Italia con il 21,1 per cento dei voti, scavalcando Forza Italia che si attestava sul 20,6 per cento. Il nuovo esecutivo presieduto da Prodi, che annoverava tra le sua fila numerosi esponenti pidiessini nonché l’ex magistrato di Tangentopoli Antonio Di Pietro, fu chiamato a equilibrare una politica di rigore nella spesa pubblica con la tutela dei ceti meno protetti e a rilanciare l’economia italiana e l’occupazione giovanile.

Stefano Cavicchi, Umberto Bossi e il parlamento della Padania, Mantova, 4 maggio 1996.

7. Stefano Cavicchi, Umberto Bossi e il parlamento della Padania, Mantova, 4 maggio 1996.

Nel giugno 1995 la Lega Nord istituiva il parlamento della Padania, che avrebbe dovuto nominare il governo della Padania e il Comitato per la liberazione della Padania. La sede ufficiale fu villa Riva Berni a Bagnolo San Vito, nel mantovano; successivamente, il 10 febbraio 1997, Umberto Bossi chiese che il parlamento riaprisse i lavori nella nuova sede di villa Bonin Maistrello a Vicenza. Nel 1997 si tennero le prime elezioni per l’assemblea legislativa della Padania libera: il 26 ottobre tra i 4 e i 6 milioni di cittadini italiani si recarono nei 22.000 gazebo allestiti per il voto. L’intento di Bossi era quello di coinvolgere la popolazione del Nord Italia nel suo progetto di secessione del Settentrione dal resto del Paese. Lo spoglio delle schede elettorali vide il trionfo dei Democratici europei lavoro padano con 52 preferenze, seguiti dai Liberaldemocratici Forza Padania con 50 seggi, quindi Destra padana con 27 seggi, i Cattolici padani con 20 seggi, i Leoni padani con 14 seggi, Padania liberale e libertaria con 12 seggi e infine i Comunisti padani con 5 seggi, come l’Unione padana agricoltura ambiente caccia pesca. Il voto venne subito annullato dall’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano.

Gerard Julien, Erich Priebke durante il processo, Roma, 30 giugno 1996.

8. Gerard Julien, Erich Priebke durante il processo, Roma, 30 giugno 1996.

L’ex ufficiale delle SS Erich Priebke, accusato di aver organizzato il massacro delle Fosse Ardeatine, a Roma, dove, nel marzo 1944, furono trucidati 335 civili italiani, di cui 75 ebrei, venne estradato nel novembre 1995 dall’Argentina, dove si era rifugiato sin dagli anni Cinquanta. In Italia gli animi si erano infiammati, e la sentenza del Tribunale militare scatenò l’ira dell’opinione pubblica: «nel pomeriggio del 1° agosto 1996 [il presidente] Quistelli lesse il dispositivo della sentenza [...]. Priebke venne riconosciuto colpevole di omicidio plurimo, ma le aggravanti erano considerate equivalenti alle attenuanti, il che escludeva la condanna all’ergastolo, faceva scattare i termini della prescrizione e apriva all’ex capitano delle SS le porte del carcere. Ciò che seguì fu indegno d’un Paese civile. La folla tumultuante [...] strinse d’assedio sia Priebke sia i giudici sia i carabinieri di servizio». Per porre rimedio al primo e per molti scandaloso verdetto, Priebke fu giudicato una seconda volta nel 1997: celebrato in un’atmosfera più tranquilla, il dibattimento si concluse con una condanna a quindici anni per omicidio plurimo, ma di questi dieci furono condonati all’imputato. L’anno seguente la Corte d’Appello lo condannò all’ergastolo, da scontarsi ai domiciliari vista l’età avanzata.

Luciano Paternò, Oscar Luigi Scalfaro, 1997.

9. Luciano Paternò, Oscar Luigi Scalfaro, 1997.

Eletto al Quirinale il 25 maggio 1992, Scalfaro rappresentava per il suo rigore morale la tradizione positiva di una classe politica ormai screditata da Tangentopoli. Nel 1997 si schierò senza mezzi termini a fianco del presidente del Consiglio Romano Prodi, il quale era riuscito l’anno prima a imporsi nelle elezioni su Berlusconi, nella vertenza che ebbe con l’alleato Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione comunista. Questi minacciava di compromettere la tenuta dell’esecutivo di centrosinistra a causa della finanziaria, che secondo lui andava modificata per essere una «vera finanziaria di sinistra. Dunque nessun taglio alla spesa sociale, un impegno per la diminuzione dell’orario di lavoro a 35 ore [...], l’abolizione dei ticket a carico dei malati cronici, non il decesso ma anzi la rivitalizzazione dell’IRI: che avrebbe dovuto procedere all’assunzione di trecentomila giovani per lavori non precisati di pubblica utilità». La sfida lanciata da Bertinotti venne pubblicamente biasimata da Scalfaro, secondo cui era «Incosciente chi mette[va] i bastoni tra le ruote del Paese per seguire interessi di parte». Il rifiuto di Prodi, appoggiato da Scalfaro, di assecondare il ricatto di Bertinotti alla fine prevalse, assicurando la continuità del governo.

David Thomson, Tony Blair in campagna elettorale, Londra, 3 febbraio 1997.

10. David Thomson, Tony Blair in campagna elettorale, Londra, 3 febbraio 1997.

Nel 1994 Tony Blair fu eletto segretario del Partito laburista inglese e procedette sulla strada della trasformazione del partito, iniziata negli anni Ottanta da Neil Kinnock, verso la socialdemocrazia liberale. Il New Labour si presentò alle elezioni del 1° maggio 1997 e vinse con il 43,2 per cento dei voti; i Tory si fermarono al 30,7 per cento e i liberaldemocratici al 16,8. Il punto di forza della vittoria laburista stava nell’esser riuscita a ottenere il voto della classe media, delusa da vent’anni di governo conservatore. Il nuovo direttivo guidato da Blair introdusse radicali riforme dello stato sociale, della giustizia e della scuola, con la riduzione della presenza dello Stato a tutto vantaggio dell’iniziativa privata. I tagli introdotti nella spesa sociale sollevarono il malcontento degli strati più disagiati della popolazione, che usufruiva dei programmi assistenziali. In politica interna, Blair conseguì due successi: l’uno, il rilancio del processo di pace in Irlanda del Nord con la ripresa dei negoziati tra protestanti e cattolici; l’altro, la riforma costituzionale basata sulla devolution, ovvero sul decentramento amministrativo che assicurò al Galles e alla Scozia l’istituzione di due parlamenti con ampie autonomie.

Luciano Paternò, Massimo D’Alema presidente della commissione bicamerale, Roma, 5 febbraio 1997.

11. Luciano Paternò, Massimo D’Alema presidente della commissione bicamerale, Roma, 5 febbraio 1997.

Nell’Italia della cosiddetta seconda Repubblica era sempre più sentita da ampi settori della politica la necessità di un progetto organico di riforme istituzionali che modificassero la carta costituzionale. Per permettere alle forze politiche di dibattere i nuovi cambiamenti, nell’agosto 1996 fu deciso di istituire una commissione bicamerale, che tuttavia iniziò i lavori solo il 5 febbraio 1997, una volta sciolto il problema della presidenza del nuovo organo. La soluzione venne dal «sottile ma tenace filo d’intesa che, nei momenti tòpici, ha legato Massimo D’Alema a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere sapeva di non avere [...] speranze: gli erano contrari sia i numeri sia gli umori. [...] Nel campo avversario il candidato meno ostico per il Polo pareva D’Alema, ben deciso a parole [...] a distinguere nettamente i problemi della Bicamerale, e le sue maggioranze, dai problemi e dalla maggioranza di governo». Nominato D’Alema presidente con l’appoggio del Polo, iniziarono le consultazioni, che si orientarono sulla proposta di istituire un sistema semipresidenziale (sostenuto dal Polo contro il premiera-to forte appoggiato da D’Alema), di introdurre elementi di federalismo e di modificare la legge elettorale. Il riacutizzarsi delle tensioni tra i due poli portò tuttavia alla momentanea sospensione dei progetti riformisti.

Profughi albanesi in Puglia

12. Profughi albanesi in Puglia.

La fine del regime comunista di Enver Hoxa in Albania inaugurò gli esodi di albanesi verso le coste dell’Italia meridionale, raggiunte a bordo di vere e proprie «carrette del mare». Nel marzo 1991 giunsero a Bari 25.000 profughi, cui fece seguito nel mese di agosto lo sbarco di altri 20.000, che colsero alla sprovvista le autorità italiane, impreparate a far fronte a un’emergenza di tali proporzioni. La soluzione momentanea fu di condurre le persone giunte nel porto del capoluogo pugliese nello stadio della Vittoria, dove però la carenza di viveri e di acqua diede ben presto luogo a scontri con le forze di polizia che durarono tre giorni. Molti albanesi vennero rimpatriati con i C-130 dell’aviazione, ma 26.000 restarono in Italia. Una seconda ondata di disperati in fuga dall’Albania si verificò nel 1997, in seguito al crollo degli investimenti privati nel «Paese delle aquile», che causò una profonda crisi e la guerra civile. Altri 10.000 albanesi giunsero così sulle coste pugliesi: dopo averli accolti il governo Prodi procedette al respingimento di ogni altra imbarcazione diretta verso l’Italia con un blocco marittimo approntato nel basso Adriatico. Lo sforzo per contrastare gli sbarchi fu però segnato da una tragica vicenda: il 28 marzo 1997 la nave Kater I Rader fu speronata da una motovedetta della marina militare e 80 persone morirono.

Trattato di Schengen

13. Trattato di Schengen.

Il 14 giugno 1985 nella cittadina lussemburghese di Schengen venivano firmati da cinque Stati (Belgio, Francia, Lussemburgo, Repubblica Federale Tedesca e Paesi Bassi) gli accordi relativi alla libera circolazione delle persone all’interno dell’area CEE. Successivamente, il 19 giugno 1990, essi misero a punto una convenzione che entrò in vigore nel 1995, a cui aderirono via via l’Italia (che ha firmato gli accordi nel 1990 e li applica dal 26 ottobre 1997), il Portogallo, la Spagna, la Grecia e l’Austria, quindi la Danimarca, la Finlandia, la Svezia, l’Islanda e infine la Norvegia. Anche i paesi ammessi nella uE tra il 2004 e il 2007 entrarono nello «spazio Schen-gen», a eccezione di Romania, Bulgaria e Cipro. Non ne fanno invece parte Gran Bretagna e Irlanda, dove vigono leggi diverse sull’immigrazione. In base al trattato, sono stati aboliti i controlli delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen, mentre sono stati rafforzati quelli alle frontiere esterne; le forze di polizia possono agire in alcuni casi al di là dei propri confini nazionali; infine è previsto un coordinamento degli Stati aderenti nella lotta alla criminalità organizzata internazionale.

Lady Diana.

14. Lady Diana.

Le nozze del secolo si tennero il 29 luglio 1981 presso la Saint Paul’s Cathedral tra il principe del Galles, Carlo, erede al trono d’Inghilterra, e la ventenne Diana Spencer: fu il primo matrimonio mediatico, seguito da quasi un miliardo di telespettatori in tutto il mondo. Nonostante la gioia del momento e la nascita nel 1982 del primogenito William, la giovane coppia conobbe momenti di crisi, con tradimenti da parte di entrambi che portarono nel 1992 alla separazione e poi al divorzio. Dal 1996 Diana, ormai nota come «Lady D», si trasferì nel suo appartamento a Kensington Palace e divenne molto popolare per l’assiduo impegno in favore dei bisognosi, che la portò in prima fila nella lotta all’AIDS e alle mine antiuomo che nei primi anni Novanta avevano fatto stragi di civili nella ex Jugoslavia. Comparve inoltre accanto al presidente del Sudafrica Nelson Mandela, al Dalai Lama e a Madre Teresa di Calcutta. Il 31 agosto 1997, a Parigi, rimase vittima con il suo compagno Dodi al-Fayed di un incidente automobilistico, per il quale i cultori del complotto chiamano in causa i servizi inglesi e la stessa Corte d’Inghilterra, contraria al matrimonio tra un membro della famiglia reale e un musulmano.

Sava Radanovic, Soldato italiano a Sarajevo, 28 ottobre 1997.

15. Sava Radanovic, Soldato italiano a Sarajevo, 28 ottobre 1997.

Per dare concretezza agli accordi di Dayton nel quadro della pacificazione della Bosnia venne istituita l’Implementation Force (IFOR), forza di peacekeeping a comando NATO con il mandato di un anno, alla cui scadenza subentrò la Stabilisation Force (SFOR), decisa secondo la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1088 del 12 dicembre 1996, durata circa otto anni. L’Italia prese parte a entrambe le missioni con una forza di 2000 uomini, per un totale di 20.000 soldati che si sono avvicendati ogni sei mesi fino al 1° dicembre 2004, anno in cui è cessata ufficialmente la SFOR. Il contingente, che era di stanza a Sarajevo e a Mostar inserito in una divisione multinazionale sotto comando francese, ha subito diverse perdite, specialmente nel settore dell’aeronautica. Di natura diversa, su cui i pareri dei ricercatori sono tutt’ora contrastanti, sono i decessi di numerosi soldati (il Ministero della Difesa parla di 77 morti, l’Osservatorio militare di 170) ai quali, terminata la missione in Bosnia, è stato diagnosticato il linfoma di Hodghrim. Questa neoplasia sarebbe per alcuni medici riconducibile agli effetti delle armi all’uranio impoverito, le cui nanoparticelle sprigionatesi dopo le deflagrazioni restano nell’aria penetrando nei polmoni o nell’apparato digerente e favoriscono l’insorgenza dei tumori.

Gerry Penny, Conferenza stampa del negoziatore del Sinn Fein Martin McGuinness, Londra, 26 febbraio 1998.

16. Gerry Penny, Conferenza stampa del negoziatore del Sinn Fein Martin McGuinness, Londra, 26 febbraio 1998.

Gli anni Novanta videro trionfare, seppur con fatica, la pace anche in un angolo d’Europa che dal 1969 era straziato dalla guerra tra la minoranza cattolica e i protestanti. Il 31 agosto 1994 l’IRA, l’esercito repubblicano irlandese, annunciò la sospensione di ogni atto militare, ma in seguito delle resistenze del governo conservatore di John Major a che il Sinn Fein, l’ala politica dell’IRA, sedesse al tavolo delle trattative, riprese le ostilità. Solo con le elezioni del 1997 e la vittoria di Tony Blair si tornò alla tregua, seguita, l’anno seguente, dall’incontro tra Blair e il premier irlandese Bertie Ahern, che presenziarono entrambi ai primi colloqui tra i delegati cattolici e protestanti. Il risultato fu raggiunto il 10 aprile 1998 con l’accordo del Venerdì Santo, per cui il governo dell’Irlanda del Nord sarebbe stato composto dalle due comunità in modo proporzionale ai risultati elettorali. Le prime elezioni videro la vittoria di David Trimble dell’Ulster Unionist Party, protestante, seguito da Seamus Mallon, membro del Social Democratic and Labour Party, partito cattolico moderato. Il processo di pace, nonostante i rigurgiti di violenza di un’ala scissionista dell’IRA, è continuato e ha visto nel 2007 imporsi ancora i protestanti, seguiti dal Sinn Fein; come risultato, il nuovo governo è presieduto dal reverendo Paisly, che come suo vice ha Martin McGuinness, vicepresidente del Sinn Fein ed ex capo di stato maggiore dell’IRA.