8

Nel momento stesso in cui aprì la porta, Greg capì che Priscilla aveva bevuto. La madre di sua figlia si teneva alla maniglia come se fosse un’ancora di salvataggio.

«Dov’è?» gli chiese con voce impastata. Sembrava che volesse entrare, ma era malferma sulle gambe, per cui si limitò a rafforzare la presa e rimase sulla soglia.

«Sono le dieci passate, quindi è a letto.»

Come aveva potuto trovare desiderabile quella donna?, si chiese disgustato. Sinora il ricordo dei momenti trascorsi con Priscilla era stato nebuloso, ma vederla in quello stato lo aiutò a rammentare con maggior chiarezza. All’inizio Priscilla era stata una gradevole compagnia. La serata con lei era trascorsa in un lampo, tra aneddoti divertenti e risate. Al secondo appuntamento erano andati a letto insieme, anche se non rientrava nelle sue abitudini, visto quasi non la conosceva. Dopo quella sera le cose erano cambiate. Lei era cambiata. Il suo egocentrismo, un tratto che all’inizio gli era parso affascinante, si era trasformato in un comportamento capriccioso. E in più, la terza volta che erano usciti, era passata dal sorseggiare vino allo scolare dosi generose di whisky. Liscio.

L’alcool l’aveva resa chiassosa... volgare. E per la fine della serata, rammentò Greg, aveva deciso che non voleva più rivederla.

E quella sera, mentre la guardava, non poté fare a meno di pensare al miracolo che era stato l’arrivo di Jane nella sua vita. I suoi occhi grigio blu non erano belli quanto quelli di Priscilla, i suoi capelli non erano acconciati alla moda e il volto non aveva lineamenti perfetti. Ma grazie a Jane, aveva imparato che la bellezza di una donna non ha nulla a che fare con il suo aspetto. Non che Jane non fosse bella. Sognava di continuo di baciare quella sua bocca sensuale, di affondare le mani nella sua chioma lucente, di accarezzare ogni centimetro del suo incantevole viso.

Inoltre Greg si era reso conto che prima di conoscere Jane, non aveva mai avuto idea di quel che significasse una vera relazione con una donna. Ed era questo che pensava di aver instaurato con lei... una rapporto vero. Un rapporto che, si augurava, potesse evolvere in qualcosa di più intimo. Ora, però, doveva occuparsi della madre di sua figlia.Ovviamente, Priscilla aveva percepito la sua disapprovazione. Raddrizzò le spalle, inspirò a fondo, e col dito tolse dal labbro un’immaginaria sbavatura di rossetto. Ogni movimento risultava lento, faticoso.

Alla fine sorrise.

Un sorriso sfacciato. «Forse dovrei ricominciare da capo» disse, il tono seducente. «Magari dovrei partire augurandoti buon Ringraziamento.»

«Anche a te.»

«Oh, è stata una gran giornata. E non è ancora finita.» Priscilla abbassò la voce a un sussurro, come se fosse in procinto di raccontare un piccante segreto. «Vedi, c’è un signore che mi sta aspettando nel parcheggio. Mi ha portato in città sulla sua Ferrari rossa. Una macchina molto lussuosa.»

Greg era consapevole che quel comportamento assurdo era dovuto all’eccesso di alcool, ma questo non gli impedì di trovare quella condotta imperdonabile. Priscilla non aveva alcun diritto di presentarsi lì a quell’ora e in quello stato per chiedergli di vedere Joy.

«E appena avrò parlato con lei» proseguì Priscilla, «dedicherò tutta la mia attenzione a quel gentiluomo che mi sta aspettando.» Le sopracciglia truccate si arcuarono in un gesto allusivo. Evidentemente voleva che Greg si sentisse escluso.

Tutto ciò che lui provava, invece, erano disprezzo e pietà. Forse, ragionò, avrebbe dovuto immaginare che si sarebbe fatta viva. Era un giorno di festa. Era normale che una madre volesse vedere la figlia il giorno del Ringraziamento. Persino una madre così folle da presentarsi completamente ubriaca. Quel pensiero condusse a un altro: Priscilla sarebbe piombata in quel modo a casa sua a tutte le feste? Ce n’erano parecchie: Natale, Capodanno, San Valentino, il compleanno di Joy... in quel momento la lista gli parve infinita. Quella sera avrebbe creato un precedente. Come doveva reagire? Essere gentile, tralasciando il fatto che Priscilla puzzasse di alcool lontano un miglio? O cacciarla fuori senza tanti complimenti, per chiarire che non doveva permettersi di andare da lui senza prima avvertirlo? Poteva impedirle di vedere la sua bambina? Lui sarebbe impazzito, se l’avessero tenuto lontano da Joy. Al solo pensiero un’ondata di dolore lo colpì. Niente risatine, niente baci... No, non riusciva a immaginare di poter stare senza la sua piccolina. Di poter vivere la sua vita senza di lei. Una esistenza simile sarebbe stata vuota, triste. Priva di senso.

Quindi non poteva dire a Priscilla di non farsi più vedere a casa sua.

D’altro canto Joy doveva essere protetta...

Mentre rifletteva, Priscilla fece per entrare. D’istinto Greg le si mise davanti, bloccandola. «Senti, penso che sia meglio che raggiunga il tuo amico» dichiarò con uno sguardo gelido. «Puoi tornare domani, quando avrai smaltito la sbornia. Allora sarai la benvenuta.»

«Be’, quello che pensi tu e quello che penso io sono due cose differenti, no?» ribatté. «Sono venuta per vederla. So che è qui. Ho alcune cosette da dirle. Poi me ne andrò.» E ripeté. «Lo so che è qui.»

«Non l’ho mai negato. Certo che Joy è qui. L’hai portata tu da me, ricordi?»

«Non sto parlando della bambina...»

«Aspetta!»

A quel grido, Greg si voltò. L’espressione di panico che vide sul volto di Jane gli provocò una stretta al cuore. Ovviamente si era spaventata, vedendo quell’estranea ubriaca sulla porta di casa nel cuore della notte.

Alzò la mano per tranquillizzarla, ma si accorse che Jane non stava guardando lui. La sua attenzione era focalizzata su Priscilla.

«Oh, non farlo, non farlo!» esclamò Jane. «Ti prego, non farmi questo. Lui non sa niente e...»

Greg si accigliò. Non sapeva cosa? Di che stava parlando Jane? Era così confuso che abbassò la guardia. Priscilla ne approfittò per scansarlo ed entrare. «Stavo parlando di lei» disse indicando Jane. «La mia dispotica sorellina.»

Greg ebbe la sensazione che il tempo si fosse fermato. Quello era un sogno. Un incubo. Inebetito, fissò le due donne che si fronteggiavano nel soggiorno di casa sua.

«Certo, sei davvero unica.» Priscilla si era messa le mani sui fianchi mentre parlava. Lo smalto delle unghie spiccava contro l’avorio dell’abito. Strano, pensò Greg, che avesse notato quello in un momento del genere. «Te ne sei andata senza lasciare una riga» continuò Priscilla. «Davvero gentile. Se non fosse stato per l’aiuto di Max, sarei ancora nel buio più assoluto.»

Max. Perché quel nome gli suonava familiare?, si chiese Greg.

«Ti sei licenziata di punto in bianco» proseguì Priscilla, ondeggiando leggermente sui tacchi alti. «Hai lasciato Max nel caos più totale.»

«Sono venuta in città per cercarti» ribatté Jane. «E per cercare Joy. Ho aspettato una settimana, Priscilla. Sono quasi impazzita non sapendo dove avessi portato la bambina...»

«È mia figlia» la interruppe la sorella con cattiveria. «Posso farne quello che voglio. Quel microbo mi ha quasi rovinato la vita. Tu mi hai rovinato la vita. Pannolini, biberon, notti insonni... non ne potevo più. Scaricarla al padre è stata la cosa migliore che abbia mai fatto per me stessa.»

«In quello sei bravissima» disse Jane pacatamente. «Fai sempre quello che è meglio per te, fregandotene degli altri.»

«Ognuno per sé, cara Jane.»

«Le ultime parole della mamma.»

«Imparo dai migliori» dichiarò Priscilla.

«Speravo che in questi anni avessi imparato qualcosa anche da me.»

«Oh, sì.. «Impariamo dalla signorina-mi-sacrifico. Molliamo gli studi. Troviamoci un lavoro da schiavi sottopagato. Sopravviviamo come una bella famigliola unita.»

«Eravamo felici» obiettò Jane. «E ce la cavavamo abbastanza bene.»

«Tu eri felice» l’accusò la sorella. «Io non sono mai stata una che si accontenta di sopravvivere. Ho bisogno di divertimento. Di soldi.»

«Di uomini.»

«Sì, anche di quelli.»

Priscilla sembrava immune alle stoccate di Jane. Greg sapeva che avrebbe dovuto intervenire, che avrebbe dovuto metter fine a quella discussione prima che degenerasse. Ma era ancora troppo scioccato per poter parlare. Possibile che Jane fosse la sorella di Priscilla? Le bugie che gli aveva detto volteggiavano nel suo cervello come uccelli impazziti. Ma non era in collera. Si sentiva stranamente... distaccato.

«Vedo che ti ho delusa, cara Jane. Del resto, sono sempre stata una delusione per te, non è vero? Non hai mai capito per quale ragione non riuscissi ad adeguarmi ai tuoi elevati standard morali. Be’, sai qual è la ragione? Non me n’è mai importato un accidenti di quello di quello che provavi per me. Volevo quello che volevo. Ed ero, sono, decisa a ottenerlo. A qualunque prezzo.»

«Ho provveduto alle tue necessità» puntualizzò Jane in tono controllato.

«Non era abbastanza» sbottò acida Priscilla. «Ci vogliono tempo e impegno per avere quello che voglio dagli uomini con cui esco. Non potevo lasciarmi incastrare da una mocciosa.»

«Allora perché non hai lasciato Joy a me?»

Era la prima volta che Jane alzava la voce e Greg, guidato da un impulso misterioso, le si avvicinò. Gli occhi di lei erano lucidi di lacrime e il volto recava i segni delle violente emozioni che la scuotevano. Tuttavia, un muro invisibile e impenetrabile sembrava separarli. Perciò si fermò.

«Potevi fare i bagagli e andartene» continuò Jane. «Se ti trovavi così male, potevi filartela col primo uomo disposto a prenderti. Ma non avresti dovuto portarmi via la bambina. Ho passato l’inferno senza di lei. L’inferno!» Singhiozzò e si asciugò le lacrime col dorso della mano.

Greg avrebbe voluto confortarla, a dispetto delle bugie che lei gli aveva raccontato. Ma non lo fece. Non poteva. Così rimase silenzioso.

«Vuoi sapere perché ho portato via Joy?» chiese Priscilla, indifferente. «Perché ce l’avevo a morte con te. Non tolleravo più che mi manipolassi. Tu mi facevi sentire in colpa. Se non fosse stato per te, avrei abortito. Tu mi hai costretta a sopportare quell’orribile gravidanza... tutti quei mesi con quel pancione. Non dimenticherò mai i dolori del parto, è stata un’esperienza terribile. E come se non bastasse, poi ti sei messa a criticarmi perché volevo uscire a divertirmi un po’. Sei una mamma ora, mi dicevi. Devi mettere la testa a posto. Quanto ti odiavo in quei momenti... Ma adesso sono libera. Mi sono liberata di te, della bambina. E abbandonarvi è...»

«È stata la miglior cosa che tu abbia fatto per te stessa» terminò Jane per lei. «Sì, l’hai già detto.»

Ci fu qualche istante di silenzio, poi Priscilla guardò Greg. «Mi ero dimenticata che eri qui» gli disse. Trasse un profondo respiro e riportò lo sguardo sulla sorella. «Sai, mi sento meglio ora. Sono passata dall’appartamento, oggi, per chiarire le cose una volta per tutte, ma tu non c’eri. Quando sono andata al ristorante, Max mi ha raccontato che avevi trovato lavoro da un medico di Philadelphia.» Fece una risatina sgradevole. «Mi è quasi venuto un colpo quando l’ho sentito. Ci risiamo, ho pensato. La cara sorellina si intromette di nuovo nella vita degli altri.» Una ciocca bionda le ondeggiò sul viso mentre piegava il capo di lato, l’espressione ferita. «Non mi hai mai voluto bene. Hai sempre avuto a cuore solo Joy.»

«Oh, Priscilla, non è vero!»

«Sì, invece! E sappiamo tutt’e due perché.»

Lo sguardo di Greg saettò verso Jane.

«Senti...» cominciò Jane.

«No» tagliò corto la sorella. «Ora me ne vado, c’è qualcuno che mi sta aspettando.» Si girò verso Greg. «Stai attento: Jane è una che manovra le persone a suo piacimento. E non si fa scrupolo di usarle per ottenere quello che vuole.» Drizzò le spalle. «Ho mentito su di te» confessò. «Ti avrà incolpato di non avermi aiutato con la bambina, come le avevo detto io.» La bocca si incurvò in un sorriso. «Mi piacerebbe dire che mi dispiace, ma non posso. Dovevo proteggermi, capisci?» Priscilla si avviò alla porta con passo malfermo. Le ci vollero due tentativi per aprirla, ma alla fine ci riuscì. E sparì.

Jane aveva il petto serrato in una morsa di paura. Quale sarebbe stata la reazione di Greg? Era inevitabile che prima o poi la verità venisse a galla, ma non in modo così brutale.

Greg fissava impietrito la porta chiusa. Non c’era traccia di emozione sul suo viso, ma Jane sapeva che quell’espressione neutra era dovuta allo shock. Appena avesse assimilato tutte le informazioni ricevute, la collera sarebbe emersa prepotente come lava eruttata da un vulcano.

La paura induceva Jane a fuggir via. A scappare prima che lui avesse modo di reagire. Ma sarebbe stato uno sbaglio. Gli aveva raccontato bugie, si era introdotta in casa sua con l’inganno e gli aveva nascosto la propria parentela con Joy.

«Così quella è la sorella...» iniziò lui. Il processo di assimilazione era iniziato. «... che mi doveva telefonare.» Jane rimase silenziosa. «Quella è la persona che doveva darmi delle referenze su di te. La donna cui hai cresciuto la figlia.»

Il mosaico si stava ricomponendo rapidamente. Jane era così oppressa dalla vergogna e dal senso di colpa che le era difficile sostenere lo sguardo di lui. Tuttavia non abbassò il capo. Greg meritava la sua piena attenzione.

«Bugie» continuò lui. «Erano solo bugie.»

«Non erano tutte bugie» ribatté lei. «Devi credermi.»

«Perché? Per quale ragione dovrei crederti?»

Greg stava soffrendo.. I begli occhi verdi erano offuscati dal dolore. «Ti prego... Ti prego, Greg, lascia che ti spieghi.»

Era evidente che stava conducendo una strenua battaglia con se stesso. L’avrebbe ascoltata? O l’avrebbe piantata in asso? Comunque fosse andata, avrebbe dovuto accettare la sua decisione.

Passarono attimi che le parvero eterni. Poi lui si mosse. Raggiunse il divano e si sedette. «Ti ascolto» dichiarò incrociando le braccia sul petto.

Lei si mise sulla sedia di fronte al divano e tormentandosi nervosamente le mani, cominciò: «Quando sono venuta nel tuo studio la prima volta non intendevo mentire. Volevo solo... volevo chiederti se avevi visto Priscilla e Joy. Erano sparite da una settimana, non avevo idea di dove fossero». L’agonia di quei sette, interminabili giorni riemerse, velandole lo sguardo di lacrime. Jane trasse un tremulo respiro e proseguì: «Ma tu eri in ritardo quel giorno. Sono rimasta in quella saletta per diverso tempo. A pensare. A pormi mille interrogativi... All’inizio non mi aveva neppure sfiorato l’idea di venire da te. Quando Priscilla mi comunicò che era incinta, le suggerii di contattarti, di darti la possibilità di offrire il tuo aiuto». Si umettò le labbra e ammise: «Un aiuto economico. Ne avevamo bisogno. Lei non lavorava. Non ha mai lavorato, in realtà. E con il misero stipendio che portavo a casa io... Qualche tempo più tardi Priscilla mi disse che aveva parlato con te e che tu non... non avresti sborsato un centesimo, se non ti fosse stata data la piena custodia della bambina. Lei era d’accordo di affidarti Joy, ma io... non ho potuto permetterlo». Jane non ritenne opportuno approfondire le proprie motivazioni.

«Non è mai venuta da me.»

Il tono glaciale di Greg la spaventò. «Adesso lo so, allora no. Avevo cercato mia sorella e la piccola dappertutto. Avevo mosso mari e monti per trovarle, nessuno aveva idea di dove fossero finite. Così, colta dalla disperazione, sono venuta nel tuo studio. Purtroppo, mentre ti aspettavo, il panico ha preso il sopravvento. Ho cominciato a pensare che forse stavo facendo uno sbaglio, che avresti potuto andare su tutte le furie, quando fossi venuto a sapere che Priscilla era sparita con la bambina. Che ti saresti rivolto a un avvocato per portarcela via... Ero già pronta ad andarmene, quando tu sei arrivato. Così... ho mentito. Sulla mia identità e sul motivo che mi aveva condotto lì. È stato imperdonabile, ne sono consapevole. E mi dispiace. Mi dispiace moltissimo.»

Il volto di Greg sembrava scolpito nel marmo.

«Ti prego, cerca di capire» lo implorò lei. «Ho fatto da madre a Joy per dieci mesi. La amo come se fosse mia.» Di nuovo il senso di colpa la travolse e Jane pregò che Greg non sospettasse la vera ragione del proprio disperato attaccamento alla piccina. «Erano giorni che era sparita ormai» proseguì. «Ero fuori di me per l’angoscia. Quando hai detto che avevi una bambina di quell’età, sono precipitata nella confusione più assoluta. Mi hai offerto un lavoro come governante di Joy e ho creduto di toccare il cielo con un dito.» Lacrime cocenti le bruciavano gli occhi, ma si costrinse a non crollare. «Morivo dalla voglia di vederla. Volevo stare con lei. Perciò ti ho fatto credere che ero semplicemente una donna che non aveva un lavoro, né un posto in cui stare.» Sospirò piano. «Ben presto ho realizzato che non eri l’uomo che mi aveva descritto Priscilla. E mi sono affezionata a te. Mi sono...» Attenta, le sussurrò la solita vocina. Non è il momento di uscire completamente allo scoperto. In effetti, vista la situazione, era probabile che non venisse mai il momento di rivelargli i propri veri sentimenti. «La mia unica colpa è stata quella di non dirti che sono la sorella di Priscilla e la zia di Joy. Tutto il resto era la verità. La pura e semplice verità.»

Greg la fissava in silenzio e lei non ebbe difficoltà a immaginarlo nei panni di un giudice implacabile che doveva decidere del suo futuro.

«Intendi cacciarmi Greg?» gli chiese. «Intendi tenermi lontana da Joy? Ti prego, permettimi di avere una piccola parte nella vita della bambina. Per favore. Capisco che sei arrabbiato. Ti senti tradito e ne hai tutte le ragioni. Ti supplico...»

La voce le si spezzò mentre lui si alzava, scuotendo piano il capo. «Non lo so. Non so cosa pensare.» Poi lasciò la stanza, senza degnarla di uno sguardo.