Vedremo cosa ha in serbo il destino.
Le parole della nonna ossessionavano Diana da quando era partita dalla riserva. Ricordava ancora con esattezza la sensazione di disagio che aveva sperimentato mentre stava davanti al Consiglio con Travis.
Di primo acchito aveva pensato che quel commento fosse rivolto a lei, e si era meravigliata del messaggio che la nonna sembrava averle voluto inviare. Ma nell’ascoltare i dubbi di Travis sulle intenzioni dell’Anziana, aveva cominciato a chiedersi se lui non avesse ragione. Forse era a lui che la nonna aveva voluto dare un avvertimento. Ma se le cose stavano così, era stata crudele. Quell’uomo stava cercando di fare del bene. Era onesto, compassionevole. E adesso doveva vivere nell’angoscia che i bambini gli venissero portati via, dopo che aveva aperto loro la sua casa...il suo cuore. Perché mai la nonna avrebbe dovuto fare una cosa tanto ingiusta?
«Per quello che ne so, il Consiglio non si è mai rimangiato una promessa» disse Diana in tono caldo, rassicurante. «E quella che ti hanno fatto oggi è una promessa. Hanno detto che volevano che tu e i gemelli diventaste una famiglia. Per i Kolheek la parola data è tutto: onore, orgoglio, integrità. Una persona vale quanto vale la sua parola. Non posso credere...»
Lasciò la frase in sospeso e si mordicchiò il labbro. Per quanto volesse tranquillizzarlo, doveva essere onesta con lui. «Ma non voglio illuderti. Questa situazione è molto diversa da tutte le altre che ho vissuto. Il Consiglio è preoccupato per i bambini. Per il fatto che vivranno lontano dalla loro terra, dalla loro gente. E per il fatto che sei scapolo.» Sospirò. «Fino a quando non avrai in mano i documenti per l’adozione con la firma di tutti i membri del Consiglio...be’, potrebbe accadere qualunque cosa.»
«Grandioso» mormorò Travis tra sé e sé.
«Hanno detto che vogliono che sia tu a tenere i bambini.»
«Hanno parlato solo due degli Anziani, però» le rammentò Travis.
«Erano i rappresentanti del Consiglio. Parlavano a nome di tutti. Se uno degli altri fosse stato in disaccordo, stai certo che l’avrebbe detto.»
Travis sorrise e lei sentì un bizzarro formicolio allo stomaco.
Proprio in quel momento una delle cannucce delle lattine dei bambini volò sopra la testa di Travis e atterrò sulla moquette blu del corridoio che separava i sedili. Automaticamente lei si chinò a raccoglierla. Dopo aver invitato i bambini a rimettersi seduti, Travis gliela tolse di mano.
Al contatto con le sue dita, calde e forti, Diana rabbrividì. Gettò un’occhiata alla mano di lui, poi al suo profilo. Per fortuna Travis era girato verso i gemelli e non si era accorto della sua bizzarra reazione.
Diana si strinse le mani in grembo. Non voleva provare mai più simili sensazioni. Non voleva lasciarsi turbare da un uomo. Gli uomini causano troppa sofferenza. Troppe umiliazioni. L’unico scopo di quel viaggio era passare del tempo con Jared e Josh per far conoscere loro le tradizioni e la cultura dei Kolheek. Se poteva placare le ansie e i timori di Travis riguardo all’adozione, lo avrebbe fatto. Se poteva aiutare i gemelli a sentirsi più a loro agio con il loro nuovo papà, avrebbe fatto anche quello. Ma non voleva alcun coinvolgimento con Travis. Niente che andasse al di là dell’interesse per i bambini.
D’accordo, lo trovava attraente. Qualunque donna l’avrebbe pensata come lei. Gli occhi color dell’onice, intelligenti e profondi, i capelli corvini, lunghi e lucenti, e la bocca piena e sensuale sembravano fatti apposta per far nascere strane idee in una donna...
Diana troncò sul nascere quel pensiero. Il suo corpo reagiva all’avvenenza di Travis. Si trattava di una questione puramente fisica. Niente altro.
Lo steward chiese ai passeggeri di raddrizzare i sedili, allacciare le cinture e prepararsi per l’atterraggio. Diana era così presa dai suoi pensieri che lo udì a malapena.
Era un bene che avesse riconosciuto sin dal primo istante la sua attrazione per Travis, rifletté. Quel che stava sperimentando era una risposta del tutto naturale. Se fosse rimasta vigile, avrebbe potuto controllarla senza problemi.
Sì. Si sentiva perfettamente in grado di controllare il suo corpo.
I gemelli erano eccitatissimi. Non appena arrivati avevano esplorato la casa da cima a fondo. Travis era stato fortunato, anni addietro, a trovare quella grande dimora immersa nel verde. Un luogo perfetto in cui far crescere dei bambini, anche se quel pensiero non l’aveva neppure sfiorato quando aveva comprato la proprietà. All’epoca non aveva intenzione di metter su famiglia. Lui era uno scapolo incallito. E quindi, non avendo in programma di sposarsi, non contemplava nemmeno la possibilità di avere dei figli.
Sei mesi prima, però, le cose erano cambiate.
Durante una delle sue visite ai gemelli, una visita programmata esclusivamente per controllare le condizioni di salute dei piccoli, Travis aveva sentito il personale dell’orfanotrofio mormorare frasi tipo: “stanno diventando troppo grandi per avere buone chance di essere adottati”, oppure “sono bambini che necessitano di cure speciali”, e via dicendo.
Il direttore dell’istituto gli aveva detto che stavano addirittura prendendo in considerazione l’idea di separare i gemelli per poter trovar loro una famiglia adottiva. Era stato allora che Travis aveva cominciato a pensare di... diventare lui stesso il papà dei due piccoli.
I suoi amici e colleghi, Sloan e Greg, gli avevano dato del pazzo quando aveva espresso la sua intenzione di adottare due gemelli indiani. Ma alla fine era riuscito a convincerli che quella era la cosa migliore che avrebbe mai potuto fare. E, grazie al cielo, era riuscito a convincere anche il Consiglio di essere all’altezza del compito.
Mentre ascoltava i passi dei due bambini al piano di sopra, Travis sorrise tra sé, certo di non aver fatto uno sbaglio. Jared e Josh appartenevano a quella casa. E averli lì era una ricompensa più che adeguata per le pene e l’angoscia patite in quei mesi.
Salì le scale e quando bussò alla porta chiusa lo scalpiccio e i colpi si interruppero. Abbassò la maniglia ed entrò.
Aggrottò la fronte quando vide le coperte e le lenzuola dei due lettini tutte aggrovigliate. Jared, in piedi su uno dei materassi, torreggiava sul fratello con un cuscino in mano, pronto a colpire.
Uno sguardo a Travis e il piccolo lasciò cadere a terra il cuscino. Poi, lentamente, si lasciò scivolare accanto a Josh che, seduto sul pavimento, aveva gli occhi sgranati per la paura.
«Mi dispiace» mormorò Jared. «Stavamo solo giocando.»
Travis non aveva alcuna intenzione di sgridarli, e vedendo lo sguardo terrorizzato di Josh si chiese che genere di punizioni avessero dovuto subire in orfanotrofio per i loro giochi irruenti.
«Anche io da piccolo giocavo a cuscinate con mio fratello, sai?» disse avvicinandosi al letto e cominciando a rifarlo.
«Davvero?» chiese Jared con un largo sorriso. Si era reso conto che non era in collera e si era rilassato.
«Certo» confermò Travis. «Era molto divertente.» Tirò su la coperta e la lisciò. «Ma è molto tardi, ragazzi. Dovreste dormire.»
«Non siamo stanchi.» Pur protestando, Jared si infilò sotto le coperte del suo lettino.
Travis raccolse il cuscino e glielo sistemò dietro la testa.
«Se vi sdraiate e rimanete tranquilli per un po’, vi addormenterete in un batter d’occhio.»
«È silenzioso qui» osservò Josh mentre lui si occupava del suo lettino.
«All’istituto c’è Sammy che piange» continuò Jared. «E la signorina Bassett tiene alto il volume della televisione, di sera. Dice che siamo la sua croce perché non le facciamo sentire i suoi programmi preferiti. Si arrabbia da matti. Diventa tutta rossa in faccia.»
«Capisco» ribatté Travis.
«La signorina Bassett grida sempre» disse Josh con un filo di voce. «E Jared non poteva dormire con me. Un solo bambino per letto. Quella è la regola.»
L’istituto ospitava una trentina di orfani, e i gemelli probabilmente erano abituati alla confusione e al rumore.
Ci sarebbe voluto un po’ di tempo perché si abituassero alla loro nuova sistemazione.
«Vuoi che Jared dorma con te?» chiese Travis.
Josh deglutì, sbatté le palpebre pieno di apprensione, quindi annuì.
«D’accordo» acconsentì lui. «Non preoccupatevi» aggiunse poi, mentre Josh raggiungeva il fratello. «Vi abituerete alla quiete. E scoprirete che a volte può essere anche molto piacevole.»
«M...ma non siamo stanchi» ripeté Jared.
«Vi andrebbe di ascoltare una storia?»
Travis diresse lo sguardo verso la porta.
Diana aveva indosso una semplice vestaglia bianca annodata in vita. I capelli lucenti erano raccolti su una spalla. Il candore della stoffa enfatizzava il colorito bronzeo di braccia e gambe, e lui non poté fare a meno di notare le ginocchia ben modellate, i polpacci sodi e le caviglie sottili. Persino i piedi erano stupendi.
Per una frazione di secondo sbarrò gli occhi, sbalordito da se stesso, poi distolse in fretta lo sguardo. Dannazione! Sbavare come un adolescente davanti al corpo di una bella donna non era da lui.
Certo, anche lui era un essere umano. Un maschio. Nulla di strano che apprezzasse una degna esponente dell’altro sesso. Ma mangiarla con gli occhi era un’altra cosa.
Se fosse caduto in quella trappola ogni volta che si trovavano insieme nella stessa stanza, i due mesi a venire sarebbero stati decisamente molto... imbarazzanti.
«Vuoi...» Avvertendo la nota rauca della propria voce, Travis si schiarì la gola. «Vuoi raccontare una storia ai bambini?»
Diana annuì, un dolce sorriso sulle labbra.
Quel sorriso gli fece accelerare i battiti.
«Se vogliamo andare a dormire, non c’è altra soluzione» spiegò Diana. «I piccoli hanno bisogno di una medicina che li calmi.»
«Una medicina?»
La risatina calda e profonda di Diana gli trasmise un brivido caldo lungo la schiena. Accidenti, quella donna era troppo affascinante! Controllati! si impose.
«Stai tranquillo, nessuna droga» proseguì lei. «Alludevo al vecchio intrattenimento serale...» Spostò lo sguardo su Jared e Josh, «... riservato ai bambini prima della nanna.»
Con ciò si sedette sul bordo del letto. Travis avvertì l’aroma di limone del suo bagnoschiuma.
«Molto tempo fa» cominciò Diana, «prima che inventassero carta e penna, i Kolheek si tramandavano la loro storia attraverso i racconti. La sera sedevano attorno al fuoco, sotto le stelle, e insegnavano ai bambini le loro origini. Raccontavano storie dei tempi andati. Raccontavano dei loro sogni e delle speranze per il futuro. Le parole dello Sciamano facevano rivivere le battaglie, le guerre con le altre tribù, le dispute per i diritti di caccia, gli scontri con gli europei. I bambini imparavano dei bei tempi andati, quando i raccolti erano abbondanti. E dei tempi di magra, quando arrivavano le tempeste e il vento soffiava impetuoso, cosicché era impossibile andare a caccia. Lo Sciamano raccontava anche le gesta dei grandi capi coraggiosi...»
I gemelli ascoltavano incantati e Travis si sedette sul letto, badando a non sfiorare Diana. Era così vicina. La guardò, osservò i suoi occhi espressivi, e si ritrovò a sua volta catapultato nel passato. La voce di Diana era come una ninnananna che cullava, calmava, ammaliava...
«Uno di questi capi» stava dicendo lei, «si chiamava Mezza Luna. Gli era stato dato quel nome per via della cicatrice a forma di mezza luna che aveva qui» spiegò, sfiorandosi uno zigomo. «Da piccolo si era avventurato in un recinto di cavalli selvaggi. La madre lo aveva guardato impotente mentre veniva circondato dagli animali spaventati, che scalciavano, si impennavano, sgroppavano... Mezza Luna avrebbe potuto morire, invece era uscito dal recinto da solo. Aveva preso un calcio in faccia e lo zoccolo gli aveva lasciato sulla guancia quella curiosa cicatrice. Tutta la tribù capì allora che Mezza Luna era sopravvissuto a un incidente che per qualsiasi bambino sarebbe stato fatale, e che sarebbe diventato un grande uomo. Che sarebbe stato saggio, intelligente e coraggioso. E che avrebbe guidato i Kolheek verso imprese grandiose.»
Travis spostò lo sguardo dal volto luminoso di lei a quello dei gemelli. Erano affascinati dalla storia, completamente avvinti dalla magia che Diana aveva creato.
Quella connessione col passato era una buona cosa per loro, ora ne era sicuro.
«E Mezza Luna divenne un grande capo» disse Diana. «Fu lui il primo a negoziare con gli europei. Sapeva che erano venuti nella nostra terra per restarci. E sapeva che in breve tempo sarebbero stati più numerosi della sua gente. Così fece il possibile perché la tribù avesse un suo territorio. Raccolse la sua gente e si spostò nella regione che ora è conosciuta come Vermont. I Kolheek, il vostro popolo, sopravvivono ancora oggi perché Mezza Luna fu così accorto da trattare la pace, anziché continuare la guerra.»
Era così fiera di appartenere a quel popolo, notò Travis. Lo si capiva dalla postura diritta, dalla luce che le brillava negli occhi. Un tratto, questo, che lo incantò.
Con la coda dell’occhio colse una visione fuggevole delle sue cosce. La vestaglia si era aperta leggermente e la pelle color bronzo riluceva setosa nel chiarore della stanza. Quella vista gli procurò un’inequivocabile tensione al basso ventre. Una tensione dolorosa e piacevole al tempo stesso. Trasse alcuni profondi respiri per riguadagnare il necessario distacco, ma non gli fu per nulla facile. Dannazione, non gli era mai capitato di reagire in quel modo a una donna.
Le donne portano guai, intonò una vocina nella sua mente.
Spostando lo sguardo sull’angolo opposto della camera, Travis serrò le mani a pugno. Non aveva bisogno di avvertimenti. Sapeva tutto sulle donne. Sul genere di ferite che l’amore infligge. Lo aveva visto nel matrimonio dei suoi genitori. In quello di suo fratello. Diavolo, lui stesso ne aveva avuto un assaggio quando era studente.
Non intendeva lasciarsi intrappolare da una donna, per quanto bella e affascinante fosse.
Doveva solo reprimere l’attrazione che provava per Diana. Poteva farlo. In qualunque momento avesse sentito qualcosa di anche solo vagamente simile al desiderio, lo avrebbe soppresso sul nascere. Lo avrebbe scacciato via senza pietà, come si fa con un insetto molesto.
I piani semplici sono i più facile da seguire. E quel piano era semplicissimo. Poteva farcela. Diana non sarebbe rimasta con loro a lungo.
La storia era finita. Diana era in piedi e stava sorridendo a Jared e Josh. Poi spostò su di lui il suo meraviglioso sorriso e fu come se un camion lo avesse investito.
«Buona notte» disse Diana.
La sua voce gli risuonò nelle orecchie come una melodia conturbante e ammaliatrice. Di nuovo Travis venne attraversato da un brivido caldo.
È pazzesco, si disse. Ridicolo!
«Lascio a te il compito di rimboccare le coperte ai piccoli» gli annunciò Diana andandosene.
Puoi combattere questo sentimento, Travis. La tua mente è più forte del tuo corpo. Ignora questa assurda attrazione. Ignorala e basta.
Ma persino mentre si ripeteva quelle parole, Travis si sorprese a inspirare il lieve profumo di limone che lei si era lasciata dietro.
La casa era immersa nel silenzio e Diana, dopo essersi fatta una tisana, si era seduta nel portico a contemplare l’oscurità, ad ascoltare i suoni della notte. La luna illuminava di una pallida luce argentata i pini che svettavano verso il cielo stellato.
I bambini erano semiaddormentati quando li aveva lasciati con Travis. Erano ragazzini fantastici, pieni di immaginazione e di energia. La storia che aveva raccontato loro era piaciuta moltissimo, se ne era accorta dai loro visetti attenti e interessati. Non le sarebbe pesato per nulla stare qualche tempo con loro per aiutarli a familiarizzare con il passato.
Anche Travis aveva prestato attenzione alla storia, rifletté Diana mentre sorseggiava la sua tisana. O almeno sperava che fosse stata quella a interessarlo tanto. Aveva sentito i suoi occhi su di lei per tutto il tempo. Si era sentita vulnerabile sotto quello sguardo intenso e penetrante. Aveva avuto la sensazione che lui le stesse leggendo nell’anima. Non le era stato per nulla facile concentrarsi sul racconto. Avrebbe voluto passarsi una mano tra i capelli, accostare i lembi della vestaglia, che si erano aperti scoprendole le gambe. Ma si era costretta a restare immobile, con le mani intrecciate in grembo. Non le era piaciuto affatto sentirsi come una ragazzina al primo appuntamento. Grazie al cielo, era riuscita a dominare il nervosismo e a proseguire nel racconto come nulla fosse.
Ma ancora adesso, mentre ripensava a quegli occhi scuri e profondi che la fissavano...
Diana raccolse le gambe sotto di sé e serrò le dita attorno alla tazza. Travis era rimasto affascinato dalla storia di Mezza Luna, si disse con fermezza. Non c’era nient’altro.
Eppure il suo sguardo era stato così penetrante, così... Non le venne in mente un aggettivo che definisse esattamente ciò che aveva scorto negli occhi di Travis. Era stato come se qualcosa di misterioso la chiamasse, la braccasse.
Sospirando, Diana alzò gli occhi al soffitto. Perché continuava a fantasticare su quell’uomo? Da quando aveva incontrato Travis le sembrava di non aver più alcun potere sui propri pensieri, come se la sua mente fosse dotata di vita propria.
Scosse piano il capo nel tentativo di schiarirsi le idee. Semplicemente rifiutava di arrendersi all’immaginazione.
Ma fu un tentativo vano. Cosa c’era in Travis che evocava in lei fantasie così sensuali? Da quando aveva divorziato non aveva mai avuto difficoltà a evitare gli approcci degli uomini. Aveva declinato tutti gli inviti che le erano stati rivolti, e lo aveva fatto con educazione e con tatto, in modo da non ferire nessuno. Eppure si era trovata a fantasticare su Travis Westcott, un uomo che conosceva appena, immaginando che l’avesse guardata...con desiderio.
Con desiderio? Era quella la direzione che stavano prendendo i suoi pensieri?
No. No. No. Non poteva.
Non si sarebbe lasciata confondere da quella ridicola fantasticheria. Travis era rimasto affascinato dalla storia di Mezza Luna. Tutto qui.
«Mi fa piacere che tu ti senta come a casa tua.»
Diana guardò verso la portafinestra che dava accesso alla casa. La figura di Travis si stagliava contro la luce soffusa della cucina. Appariva forte, protettivo...
Dannazione, no. Doveva liberarsi di quelle stupide sensazioni. Soprattutto visto che sapeva benissimo che nessun uomo l’avrebbe mai fatta sentire al sicuro e protetta.
«Ho l’abitudine di bere una camomilla prima di andare a letto» rispose, sollevata nel notare che non le tremava la voce.
«Me ne sono versato una tazza anch’io. Spero non ti dispiaccia. Posso unirmi a te?»
«Prego.»
Tanta formalità la metteva a disagio. «Senti, Travis, mi dispiace di esserti stata imposta in questo modo» proseguì in tono sincero. «So che mi vedi come un’intrusa. Sognavi di approfondire la conoscenza coi bambini, di farti conoscere meglio da loro così da poter diventare una vera famiglia e godervi insieme il Natale...»
Lui non ribatté subito. Si limitò a sorseggiare la sua tisana, osservandola da sopra il bordo della tazza. Alla fine alzò impercettibilmente una spalla. «È ciò che è meglio per i piccoli.»
Diana non avrebbe saputo dire se gli credeva o meno. Sapeva solo che era incantata dai suoi occhi. Persino alla debole luce del portico lo sguardo di lui brillava di una forza senza nome, di un’energia magnetica che l’attirava...
Diana avrebbe voluto dire qualcosa per interrompere quel silenzio che la metteva tanto a disagio, ma si accorse di aver perso la facoltà della parola.
«Era vera?» chiese lui d’un tratto, facendola quasi trasalire. «La storia che hai raccontato ai bambini, intendo.»
«Sì» rispose lei, annuendo. «Sono eventi che appartengono al lontano passato. Si parla di generazioni fa. Naturalmente non mi sono addentrata in particolari. Jared e Josh sono piccoli. La versione base della storia è più che sufficiente per loro.»
«La versione base?» domandò lui. «C’è di più?»
«Oh, molto di più.» Diana si mosse sulla sedia. «Mezza Luna non arrivò tanto facilmente alla decisione di negoziare con gli europei. I Kolheek sono un popolo fiero e ostinato. Prima combatterono a lungo.»
«La cosa non mi sorprende affatto» osservò Travis. «La terra su cui vivevano era la loro.»
Diana scosse lentamente il capo. «Nessuno possiede realmente la terra. Ma avevamo il diritto di viverci, di cacciare in quei territori.» Si interruppe un istante e si corresse: «O perlomeno Mezza Luna era convinto che la nostra gente avesse quel diritto».
Travis annuì. Una luce di comprensione gli brillava nello sguardo. O era interesse?
«Molti uomini della tribù, giovani e vecchi, persero la vita in battaglia prima che Mezza Luna decidesse di trattare con gli europei. Le guerre andarono avanti per anni, violente, sanguinose. È stato un periodo orribile della nostra storia.»
Travis era seduto a gambe larghe, con le mani serrate attorno alla tazza. E il suo sguardo era fisso su di lei. Sulla sua bocca.
L’ansia le strinse lo stomaco in una morsa, quando se ne accorse. La stava ascoltando? Sembrava come in trance.
Travis si passò la lingua sulle labbra. Era stato un gesto istintivo, non si era quasi reso conto di averlo fatto. Non era esattamente come se stesse flirtando con lei, ma per Diana fu l’indicazione lampante che i suoi timori erano fondati. Non se l’era solo immaginato che Travis provasse qualcosa per lei. La trovava attraente, ora ne era sicura.
Il panico la mandò in confusione. Avrebbe dovuto affrontarlo subito e dirgli chiaro e tondo che non era interessata ad alcun coinvolgimento emotivo. Avrebbe dovuto essere onesta con lui, come lo era stata con tutti gli altri uomini che avevano tentato di avvicinarla. Ma quando ebbe raccolto le idee quanto bastava per parlare, accadde qualcosa di assolutamente imprevisto. Travis si raddrizzò e fissò lo sguardo nell’oscurità. Respirò a fondo un paio di volte, e quando tornò a guardarla ogni traccia di interesse era svanita dai suoi occhi. Aveva spento le sue emozioni come si spegne la fiammella di una candela.
Diana si rilassò. D’accordo, era vero, Travis la desiderava. Ma era altrettanto ovvio che intendeva soffocare i suoi sentimenti, proprio come lei sopprimeva i suoi.
I motivi che stavano alla base della decisione di Travis non le importavano. Ma era contenta che avesse intenzione di controllarsi.
Finché fossero riusciti a contenere la reciproca attrazione, tutto sarebbe andato per il meglio.