«Hai portato chi?»
«È una...che cosa?»
Travis soppresse un sospiro di frustrazione mentre i due soci dello studio, che erano anche i suoi più cari amici, formulavano all’unisono le loro domande.
Aveva previsto che Sloan e Greg sarebbero rimasti sorpresi dalla notizia, ma non immaginava che avrebbe creato un simile sconcerto.
«Sentite, ragazzi» ribatté, «non posso darvi i particolari. Ho un paziente che dovrebbe arrivare da un momento all’altro...»
«Oh, no, mio caro» lo bloccò Sloan afferrandolo per la manica. «Tu non vai da nessuna parte fino a che non ti sarai spiegato meglio.»
Travis si arrese.
«Ho portato con me una Donna di Medicina Kolheek, una guaritrice della riserva.»
Greg ridacchiò e lui gli indirizzò un’occhiataccia di avvertimento.
«Allora avevamo sentito bene» mormorò sconcertato Sloan, e nel momento in cui Travis annuì, scosse piano il capo. «Ma per quale ragione?»
«Be’, i bambini devono essere preparati per...» Travis lasciò la frase in sospeso. Non aveva idea di come avrebbero reagito i due amici a quanto stava per dire.
In tanti anni che si conoscevano, non avevano mai parlato delle sue origine indiane. Ovviamente sapevano che era per metà Kolheek, ma non si era mai presentata una vera occasione per approfondire l’argomento.
Lui stesso aveva cominciato a interessarsi delle sue origini solo quando si era iscritto al college. Ad accendere la sua curiosità era stata una circostanza di cui non andava fiero, ma che finalmente lo aveva portato a interrogarsi sulle sue radici. Da quel momento aveva letto decine di libri sull’argomento. E si era persino iscritto nella lista dei membri della tribù dei Kolheek.
Sua madre non era stata felice di quel suo improvviso interesse; anzi, ne era rimasta così contrariata da arrivare al punto di diseredarlo. Lo aveva rattristato molto che si vergognasse tanto di quelle stesse radici di cui lui aveva iniziato ad andare fiero e che non volesse più avere niente a che fare con lui. Ma in fondo non era stata una gran perdita. Sua madre si era sempre concentrata molto su se stessa e molto poco sugli altri.
Quando avevano cominciato a inviargli notizie dalla riserva, aveva saputo di Jared e Josh, due orfani che necessitavano di un intervento al cuore. Da quel giorno la sua vita era cambiata.
Eppure non se la sentiva di raccontare ai suoi amici il vero motivo per cui Diana Chapman si era stabilita a casa sua. Gli dava fastidio l’idea che potessero giudicarlo, anche se a dire il vero Sloan e Greg non lo avevano mai fatto prima.
«I bambini devono essere preparati per una cerimonia in cui verrà dato loro un nome» si decise a dire. «E dato che io non so molto delle tradizioni e della cultura Kolheek, si è resa necessaria la presenza di Diana. Insegnerà ai piccoli tutto quello che devono sapere. E quando saranno pronti, officerà la cerimonia. Darà loro dei nomi indiani.»
Mentre parlava, notò che Greg aveva smesso di sorridere. Anche Sloan lo stava ascoltando con interesse.
«Wow» esclamò il primo quando ebbe finito. «È meraviglioso, Travis!»
Sloan pareva affascinato. «I gemelli verranno a contatto con le loro radici. È un’opportunità fantastica. Tutti abbiamo bisogno i sentirci orgogliosi di chi siamo.»
Travis si sentì pervadere da un’ondata di sollievo. Come aveva potuto dubitare di Greg e Sloan? Erano i suoi migliori amici.
«È un bene per i bambini» continuò Sloan. «E anche per te.»
Travis non sapeva cosa dire.
«Be’, sei curioso anche tu, no?» chiarì l’amico. «Di saperne di più sul tuo retaggio culturale, intendo.»
«Sì. Lo sono da anni» ammise lui.
«L’avevamo immaginato» interloquì Greg. «Sappiamo che sei una persona sensibile. E sappiamo che avresti aiutato i gemelli indipendentemente dalla loro razza. Ma il fatto che fossero Nativi d’America ti ha portato a vederli come... come persone... di famiglia.»
Travis in genere non era un tipo che si commuoveva facilmente. Ma evidentemente da quando era diventato padre era cambiato. Guardò gli amici con un nodo alla gola, gli occhi improvvisamente umidi di lacrime.
Era stato fortunato a incontrare quei due ragazzi all’università. Dopo aver scoperto che, per una ragione o per l’altra, tutti e tre non avevano legami familiari, erano diventati inseparabili. Avevano condiviso gioie e dolori, e si sostenevano a vicenda nei momenti difficili.
Sì, era davvero fortunato ad avere degli amici come loro. Amici veri, di quelli che non si incontrano tanto facilmente nella vita.
«Ragazzi...» Il nodo in gola gli impediva di parlare. Ma sentiva la necessità di esprimere quello che provava per loro, quindi ritentò. «Ragazzi, io...»
Sloan lo fermò, alzando la mano. «Non metterti a fare il sentimentale, adesso» disse severo.
«Giusto» convenne Greg, distogliendo lo sguardo. «Finiremmo tutti per piangere come dei bebè, e non possiamo permettercelo. Abbiamo dei pazienti da visitare.»
Travis si alzò e li guardò in silenzio. Non c’era bisogno di parole tra loro. Ma era contento che sapessero cosa provava. Scuotendo il capo rivolse loro un breve sorriso, e si avviò alla porta, pronto a cominciare la giornata.
Un brivido increspò la pelle di Diana, avvertendola che Travis era entrato in cucina. Prima di conoscerlo, Diana non aveva mai sperimentato quella bizzarra sensazione. Era stata sposata, sapeva tutto quello che c’era da sapere sui rapporti tra uomini e donne, eppure, ogni volta che Travis era nei paraggi, lei si sentiva pervadere da quella deliziosa e inconsueta euforia che le faceva venir voglia di ridacchiare come una ragazzina. Ma dal momento che quel genere di comportamento non si confaceva all’immagine professionale che intendeva dare di sé, si impose di controllare le sue reazioni.
«Ciao» la salutò Travis.
«Ciao. Com’è andata alla scuola materna?»
Dopo il lavoro, Travis era passato a iscrivere i bambini all’asilo.
«Abbastanza bene» le rispose posando la valigetta sul tavolo e cominciando a sbottonarsi il giaccone. «Ho conosciuto la maestra. Si chiama signorina Brown. Sembra simpatica.»
«Cos’ha detto della...situazione?»
Travis si tolse il giaccone e lo sistemò sulla spalliera di una sedia. «Mi ha dato un ottimo consiglio. Dice che secondo lei i piccoli dovrebbero restare a casa ancora qualche settimana, per aver modo di abituarsi ai cambiamenti che hanno dovuto affrontare; la nuova casa, il nuovo papà, tu e la cultura che devi trasmettere loro...Le scuole presto chiuderanno per le vacanze di Natale, e ha suggerito di farli incominciare dopo le feste, quando rientreranno anche tutti gli altri bambini.»
Diana annuì, sorridendo. «Così affronteranno le cose per gradi. Sai, questa signorina Brown mi sembra una donna intelligente.»
«Lo penso anch’io» concordò Travis. «E non mi dispiace di poter passare più tempo con i bambini. Ho già provveduto ad alleggerire il carico di lavoro delle prossime settimane, così da avere più ore libere.» Lanciò un’occhiata alla porta e corrugò leggermente la fronte. «Hanno l’aria di essere sul chi vive» le confidò, «come se pensassero che prima o poi li riporterò all’orfanotrofio, o qualcosa del genere.»
«È normale» lo rassicurò lei. «Dagli tempo e vedrai che questi timori svaniranno. Per quel che mi riguarda, continuo a ripetere loro che possono fidarsi di te.»
«Grazie. Grazie infinite, Diana.»
Diana dovette lottare contro l’impulso di chiudere gli occhi e perdersi in quella voce dolce come il miele, calda e sensuale.
«Oh, quasi dimenticavo» proseguì Travis, tirando fuori dalla valigetta dei fogli. «La signorina Brown vuole sapere se i bambini conoscono lettere e numeri...»
«Certo.» Diana fece per prendere i fogli, e vedendo che lui non li mollava alzò gli occhi, confusa e lo guardò.
Travis la guardò, imbarazzatissimo.
«Non stavo dando ordini» si scusò gentilmente. «Non intendevo certo dire che devi farlo tu.»
«Oh.» Mordicchiandosi il labbro, Diana lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. «Io...io non avevo intenzione di pestarti i piedi. Volevo solo dare una mano...»
Erano tutti e due confusi e a disagio, evidentemente. Ma Diana aveva l’impressione che quella tensione non avesse nulla a che vedere con i fogli che Travis aveva portato a casa.
«Senti, abbiamo bisogno di rilassarci» disse infine lui. «Quando siamo insieme...c’è troppa tensione.»
Rilassarsi! Ottimo suggerimento davvero, solo che non sembrava realizzabile, pensò Diana. Avrebbe potuto soffocare le sue emozioni, magari, ma non sarebbe mai riuscita a rilassarsi in presenza di Travis.
Lui guardò di nuovo verso il soggiorno, dove i bambini guardavano la televisione. «Sono tutti presi da Robin Hood, quindi credo che inizierò a preparare la cena.»
«Finisco di buttar giù le mie annotazioni e poi ti aiuto» annuì Diana.
«Cosa stai scrivendo?» chiese Travis mentre tirava fuori dalla dispensa patate e cipolle. «Qualcosa che riguarda i bambini?»
«Sì» rispose lei, prendendo in mano la penna. «Mi affascinano. Sono uguali come due gocce d’acqua, ma di carattere sono diversi come il giorno e la notte.»
«Sì, è vero» convenne Travis, iniziando a sbucciare le patate.
«Stamattina siamo andati a fare una passeggiata nel bosco. Ho chiesto loro di indicarmi tutte le creature viventi che individuavano. Jared non ha fatto che correre e saltare. Josh, invece, è rimasto al mio fianco, tranquillo. Quasi contemplativo, direi.»
«C’è un motivo» replicò lui, posando il coltello e voltandosi. «Le condizioni di Josh erano molto più gravi di quelle di Jared. È stato sottoposto a diversi interventi ed è rimasto confinato a letto per mesi. Per questo è meno attivo del fratello.»
Spinta dalla curiosità, Diana appoggiò il mento sul pugno chiuso e lo guardò. «Ho saputo che sei stato tu a far sì che venissero operati. Che cosa ti ha spinto ad aiutarli?»
Travis si strinse nelle spalle, quasi a voler minimizzare, e tornò a occuparsi delle patate. «Non lo so. Avevo appena ricevuto conferma di essere stato accettato nella tribù. E quella stessa settimana mi è arrivato il primo notiziario dalla riserva.» Le sue mani si fermarono mentre fissava il muro, assorto. Poi guardò Diana negli occhi. «Credi nel destino?» le domandò sorridendo. «Ti sembrerà sciocco, ma non sono più riuscito a togliermi di mente i gemelli e il loro problema. L’articolo diceva che si stavano raccogliendo fondi per pagare le cure mediche necessarie. Ho sentito che dovevo fare qualcosa.»
«Così hai contattato l’ospedale?»
«Già. Ho tempestato di richieste colleghi, infermiere e chiunque mi ascoltasse, finché non si è fatto avanti un cardiochirurgo.» Travis rise di gusto. «Credo che il dottor Harris abbia accettato di operare i bambini solo per levarsi di torno il sottoscritto. Si è occupato anche di tutte le pratiche necessarie, e la riserva non ha dovuto sborsare un centesimo per le cure. È un gran brav’uomo.»
«Anche tu, Travis. Anche tu.»
Era stata davvero lei a bisbigliare quelle parole? A esprimere quell’opinione su un uomo che conosceva da un paio di giorni appena?
Diana non si era mossa. C’erano parecchi metri tra lei e Travis, eppure quando lui la guardò con gli occhi neri come l’ala di un corvo, fu come se fosse vicinissimo. Il cuore prese a martellarle in petto ed ebbe l’impressione che l’aria fosse divenuta improvvisamente densa, vischiosa.
Travis pareva paralizzato quanto lei, mentre la fissava col coltello a mezz’aria. I suoi occhi scuri brillavano di... di...
Il rumore della penna che cadeva agì su di loro come lo schiocco delle dita che sveglia un paziente dall’ipnosi, costringendoli a ritornare al presente.
Entrambi arrossirono per l’imbarazzo, ma grazie al cielo Travis tornò a occuparsi delle patate e smise di fissarla.
Era impazzita?, si chiese Diana. Cosa le era venuto in mente di uscirsene con un commento così sorprendente? Così... rivelatore? E quel tono sensuale, rauco...Che cosa avrebbe pensato di lei, Travis?
Non c’è modo di aggiustare le cose, ormai, le suggerì il buon senso. Cambia argomento. Inventati qualcosa. Fai finta di niente e passa oltre...
«Allora, hanno superato il test, i bambini?»
Anche se il tono di Travis era pacato, Diana trasalì. «Il test?»
«Nel bosco, oggi pomeriggio. Hai detto che dovevano indicarti tutti gli esseri viventi che vedevano.»
«Oh, sì.» Diana incomincio a giocherellare nervosamente con la penna. «In realtà non era un vero e proprio test. Volevo solo...ho cercato di far capire ai gemelli...che tutte le creature viventi sono...be’, sono sacre. Che dobbiamo rispettarle... e che...»
Era come se le parole fossero svanite dalla sua mente. Non riusciva a mettere insieme una frase senza perdere il filo di quel che stava dicendo... Piena di vergogna, trasse un profondo respiro e continuò. «Abbiamo discusso parecchio sulle piante. Jared sosteneva che erano morte perché avevano perso le foglie. Ma Josh ha concluso che dovevano essere vive...visto che in primavera le foglie spuntano di nuovo...»
Diana guardò di sfuggita Travis. Ma perché quell’uomo doveva avere delle spalle così larghe? Perché si era arrotolato le maniche, scoprendo gli avambracci? Perché la luce deliziata che gli danzava negli occhi le faceva battere più forte il cuore? Accidenti, le tremavano le mani e faceva fatica a respirare!
Si alzò di scatto, facendo stridere la sedia sul pavimento. I loro sguardi si incrociarono e Diana comprese che Travis sapeva. Si era accorto che era turbata, anche se lei si era sforzata di tenerglielo nascosto. Non solo. Sapeva che lei lo trovava attraente.
«Mi è venuto un terribile mal di testa» sbottò, tesissima. «È meglio che vada a sdraiarmi. Non aspettatemi per cena. Non ho appetito.»
E senza aggiungere altro, si precipitò fuori.
Puro desiderio. Questo aveva letto negli occhi intensi di Travis. Chiaro come la luce del sole.
Diana premette la schiena contro la porta della sua camera, come se volesse tener fuori tutto l’universo. No, si corresse. Non tutto l’universo. Solo Travis. E la passione che da lui irradiava.
Quell’uomo la turbava. Se n’era accorta fin dal primo istante.
Si era imposta di reprimere quell’attrazione. Di annullarla. Ma questa continuava a riaccendersi, come le braci che si riattizzano al primo soffio d’aria.
Ed era sicura che anche Travis voleva soffocare il suo desiderio. Si era resa conto della sua determinazione a non cedere alla passione fin dalla prima sera che aveva passato a casa sua. Eppure, pochi minuti prima, erano rimasti lì a fissarsi come due adolescenti alla prima cotta, col cuore in tumulto e il respiro affrettato.
Be’, lei non era un’adolescente, ma una donna adulta. E rifiutava anche solo di prendere in considerazione un rapporto di natura fisica con Travis Westcott.
Quel che provava era solamente il capriccio di un momento.
Un capriccio che poteva, che doveva, vincere.
Chiudendo gli occhi, Diana pregò di poter avere la meglio su quelle ridicole emozioni. Perché se non ce l’avesse fatta, ne sarebbe uscita umiliata oltre ogni dire.
La luna scintillava tonda e argentea nel cielo invernale, disegnando lunghe ombre sul pavimento della cucina. Ombre che Travis notava appena mentre se ne stava seduto al tavolo, perso nei suoi pensieri.
Erano le undici passate ed era certo che presto o tardi Diana, spinta dalla fame o dalla sete, avrebbe lasciato la camera in cui si era rifugiata prima di cena.
Dopo aver messo a letto i bambini aveva passato un’oretta a studiare le cartelle cliniche di alcuni pazienti, poi aveva cercato di dormire. Ma aveva continuato a rigirarsi tra le lenzuola, senza riuscire a prendere sonno, e alla fine aveva rinunciato.
A quel punto aveva tentato di riflettere sul pomeriggio che Diana aveva trascorso coi gemelli. Jared e Josh lo avevano subissato di racconti, a tavola e mentre facevano il bagno. Una delle storie che avevano ascoltato riguardava un vecchio albero saggio che era felice di aver passato la vita a offrire riparo agli animali del bosco e agli esseri umani che si erano fermati a riposare sotto le sue fronde. Un’altra storia parlava del grande rispetto che gli indiani nutrono per gli uccelli e dell’importanza di saper riconoscere i versi di ogni singola specie. Un bravo cacciatore deve imparare a decifrarli, così da poter avvertire i compagni in caso di pericolo.
Diana aveva anche detto ai bambini che la terra stessa è viva e in continuo mutamento.
«Diana dice che dobbiamo rispettare ogni creatura vivente» aveva concluso Jared. «Uccelli, orsi, alberi, fiori, fiumi. Tutto quanto.»
Arricciando il nasino, Josh aveva aggiunto: «Persino gli insetti, compresi i ragni».
La lezione di quel giorno li aveva stimolati a riflettere, realizzò Travis. Una semplice passeggiata si era trasformata in un mezzo per sviluppare la loro coscienza. La filosofia dei Nativi d’America, basata sul sacro rispetto per la vita in tutte le sue forme, era perfetta. Erano valori che spesso mancavano ai bambini di oggi. Perché, se no, ci sarebbe stata tanta violenza sia tra i giovani che tra gli adulti? Perché, se no, la gente avrebbe continuato a inquinare fiumi e laghi senza il minimo scrupolo?
Diana aveva fatto ragionare i piccoli, quel giorno, e Travis prese nota mentalmente di esprimerle il suo apprezzamento.
Mentre se ne stava sdraiato a fissare il soffitto, aveva cominciato a riflettere, per l’ennesima volta, sulla sua ignoranza in materia di cultura Kolheek. Aveva tante domande da fare. Era sicuro che a Diana non sarebbe dispiaciuto rispondere ai suoi interrogativi, ma non aveva ancora trovato il coraggio di chiederglielo.
Da quando era tornato dalla riserva, il suo mondo era cambiato. Era un padre, ora, e questo bastava a trasformare completamente l’esistenza di un uomo. Ma c’era di più, molto di più, doveva ammetterlo.
Era come se la sua casa fosse improvvisamente abitata da una dea bellissima ed eterea.
Si era sempre considerato felice e soddisfatto, sicuro di sé. Eppure tutta la sua sicurezza sembrava dileguarsi come neve al sole non appena vedeva Diana.
La regale serenità che pareva permeare il suo essere continuava a stupirlo. I suoi occhi color del cioccolato sembravano conoscere tutto. E la sua voce...
Era stato il ricordo di quella voce - della nota rauca e sensuale che aveva avvertito quando lei gli aveva detto che lo considerava un brav’uomo - a strapparlo dal letto e a spingerlo a scendere nella cucina buia.
Voleva Diana. Voleva baciarla. Toccarla. Voleva affondare il viso nel suo collo e inebriarsi del suo profumo.
Dannazione! Doveva smetterla. Doveva smetterla subito!
Ma soffocare il desiderio non era così facile. E per una ragione semplicissima: quella sera aveva scoperto che anche Diana aveva lo stesso problema. Anche lei provava per lui un’attrazione folle e intensa come la sua. Glielo aveva letto negli occhi. Lo aveva percepito nella sua voce. Lo aveva capito dal linguaggio del suo corpo. Era rimasta così scioccata dalla nota sensuale della sua stessa voce, che non era riuscita a terminare il racconto del pomeriggio che aveva trascorso con i bambini. Ed era corsa via. Aveva tirato fuori la scusa del mal di testa ed era corsa a rifugiarsi in camera sua.
Forse sperava che in quel modo avrebbe potuto cancellare quel momento, far finta che non fosse successo niente. Forse si augurava che il vecchio adagio “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” fosse vero. Ma non era così. Anche se si era chiusa in camera, Travis non aveva smesso un solo istante di pensare alle sue parole, al suo tono di voce così sensuale.
Dovevano assolutamente parlare di quel che era successo, decise Travis mentre sedeva in cucina ad aspettarla. Doveva dire a Diana che non aveva intenzione di cedere a quelle sensazioni. A prescindere da quanto il suo corpo lo desiderasse.
Era sicuro che se fosse riuscito a spiegarle la situazione, il suo punto di vista, quello che pensava, se fosse riuscito a raccontarle del suo passato e a razionalizzare le sue motivazioni, lei avrebbe capito. E allora entrambi avrebbero potuto archiviare definitivamente il problema.
Un movimento sulla soglia della cucina attrasse la sua attenzione.
«Oh, scusami...» Diana stava indietreggiando ancor prima di essere entrata. «Credevo che fossi a letto.»
«Diana, torna qui» la chiamò dolcemente Travis. «Dobbiamo parlare.»
«Qualche problema coi bambini?»
Nel percepire la preoccupazione che suonava nelle sue parole, Travis si commosse profondamente. «No» la tranquillizzò. «I piccoli stanno bene. Volevo parlarti di noi due.»
«N.. non si può aspettare?» ribatté lei con voce tremante. «Sono scesa solo per bere. E per vedere se c’erano dei cracker.»
«Non hai cenato. Ti va un panino? O preferisci che ti scaldi qualcosa di quello che è avanzato?»
«No, grazie.»
Era come se trasudasse timore, e Travis sapeva esattamente quel che provava: nemmeno lui era ansioso di affrontare l’argomento. Ma non potevano andare avanti così. Dovevano discuterne. Solo così avrebbero potuto lasciarsi il problema alle spalle.
«Per favore, siediti» le disse in tono pacato ma fermo.
Lei rimase immobile per qualche secondo, poi con un sospiro di rassegnazione lo raggiunse al tavolo. La luce della luna si rifletteva nei suoi occhi scuri, brillava sui suoi capelli come se fossero un fiume di scintillante oscurità. E se Travis l’aveva trovata bella prima, a quel punto non poté che notare come la notte, le ombre, la luce della luna non facessero che accentuare la sua bellezza.
Imprecando mentalmente si sforzò di non far caso alla reazione febbrile che quella visione aveva innescato in lui. «Senti, Diana...» esordì per poi fermarsi di colpo, impacciato. Quello era un argomento da trattare con delicatezza. «Dobbiamo parlare di...»
Parlare di cosa?, si chiese, disperato. Come poteva definire l’emozione che si accendeva e vibrava tra loro quando erano insieme? Bisogno? Desiderio? Si schiarì la gola e tornò a guardarla. «Da quando ti ho conosciuto, io...»
Di nuovo non riuscì a trovare le parole giuste. Accidenti, perché non riusciva a mettere insieme una frase che avesse senso compiuto?
«Voglio che tu sappia che non sono interessato a una relazione» buttò lì tutto d’un fiato. «So che uomini e donne non possono andare d’accordo a lungo. I miei genitori si sono praticamente sbranati mentre divorziavano. Ed è successo lo stesso a mio fratello con la moglie. A dirla tutta, mio fratello è rimasto così segnato dall’esperienza che non riesce più ad avere una residenza stabile, non riesce più a fermarsi in un posto abbastanza a lungo da costruirsi delle amicizie, dei contatti. E io sono fermamente deciso a non permettere che accada anche a me. Dunque...qualunque cosa sia quello che accade tra noi quando siamo nella stessa stanza... be’, dobbiamo fare in modo di ignorarlo e...controllarci.»
La prima reazione di Diana a quel discorso gli fece venire in mente un animaletto indifeso messo con le spalle al muro. Era spaventata, e non sapeva dove nascondersi. Poi un lampo di collera brillò nei suoi occhi color della cannella, quasi fosse sul punto di rispondergli per le rime, dandogli dell’arrogante o del presuntuoso.
Ma lasciarsi prendere dall’ira sarebbe stato come non voler vedere la verità, e Diana aveva troppa dignità per ricorrere a una scappatoia così banale. Anche se la conosceva solo da pochi giorni, Travis era certo che non avrebbe perso le staffe.
Infatti lei si alzò lentamente. «Non ho intenzione di parlarne.»
Travis la imitò. «A nessuno dei due fa piacere affrontare l’argomento, ma dobbiamo farlo. E sono molto contento che tu non abbia cercato di negare l’evidenza.»
«E se l’avessi fatto?» lo sfidò Diana.
«Ti avrei dato della bugiarda» rispose lui, serafico. «E questo ti avrebbe offesa a morte, visto che sei una persona onesta e sincera.»
Si fronteggiavano al chiaro di luna, lui deciso a farle ammettere quello che stava avvenendo tra loro, lei altrettanto determinata a rifiutare qualunque discussione in merito.
«Se cercassi di negare, sarei costretto a dimostrarti coi fatti che ho ragione» disse infine lui pacatamente, tendendo le braccia verso di lei.
«Non farlo» lo supplicò Diana con un filo di voce.
Ma era troppo tardi. Travis l’aveva già toccata. L’aveva già presa fra le braccia. Sentiva il suo seno soffice contro il petto, il lieve aroma di limone della sua pelle, il calore del suo corpo attraverso la stoffa leggera della vestaglia...
Pazzo!, gridava il suo cervello. Ma era proprio così che si sentiva quando era vicino a lei: completamente folle.
Non baciarla. Non azzardarti a baciarla!
Era un pensiero chiaro, forte.
Ma il desiderio era più forte, più pressante.
Il viso di Diana era a pochi centimetri dal suo. Sentiva il suo respiro tiepido sulla guancia, lieve come una carezza. E improvvisamente, mentre si guardavano, la paura lo abbandonò. E abbandonò Diana. Tra loro rimase solo il desiderio, un desiderio così intenso e selvaggio da far male, così dannata mente palese che nessuno dei due avrebbe potuto negarlo.
Un attimo dopo le loro labbra si unirono in un bacio che si poteva definire solo frenetico. Appassionato e selvaggio.
Abbandonandosi a quell’esaltante follia, Diana gli affondò le mani tra i capelli con un gemito, mentre lui le accarezzava il viso, la gola, la curva delle spalle...
La vestaglia di Diana si aprì sotto le sue carezze, e all’improvviso Travis sentì sotto le dita la morbida rotondità del seno. A quel contatto intimo entrambi spalancarono gli occhi, e lui ritrasse la mano di scatto, come se il calore della pelle di Diana lo avesse scottato. Contemporaneamente fecero un passo indietro. Lei si richiuse la vestaglia, si passò una mano tra i capelli, si toccò con dita tremanti le labbra senza smettere di guardarlo negli occhi.
Deglutì, e Travis provò di nuovo l’intenso desiderio di baciarle il collo, di accarezzarle la linea delicata della mascella.
Chiuse gli occhi e cercò di riprendere il controllo, di arginare il desiderio che pulsava in lui come il rullare insistente di un tamburo. Poi infilò le mani in tasca e si costrinse a guardarla negli occhi.
Diana raddrizzò le spalle e tornò ad indossare la sua solita corazza d’orgoglio. «Be’, immagino che avessi ragione» mormorò con voce roca e sensuale. «Non ha senso negarlo.»
Strano, pensò Travis. Nemmeno lei era riuscita trovare una parola per definire quella sorta di febbre di cui erano preda entrambi. Ma era meglio così. Con un po’ di fortuna, avrebbero potuto limitarsi a riconoscere la presenza di quell’emozione senza doverla chiamare per nome, senza permettere che avesse potere su di loro.
Con un po’ di fortuna...
«Nemmeno io voglio una relazione» proseguì Diana. «Di nessun tipo. Leggera, seria, fisica... Non mi interessa e basta. E farò il possibile per evitare di lasciarmi coinvolgere. Da te, o da chiunque altro.»
Travis sgranò gli occhi, sconcertato dalla risolutezza che si avvertiva nella voce di Diana. Ma annuì rapidamente. «Bene. Sono contento che siamo sulla stessa lunghezza d’onda» affermò.
«Oh, sì. Lo siamo senz’altro.»
Rimasero a fissarsi in un silenzio che si faceva sempre più teso e imbarazzato.
«Okay. Allora me ne vado a letto.» Travis le passò accanto, badando a evitare qualsiasi contatto, anche fortuito. «Così puoi prepararti qualcosa da mangiare in tutta tranquillità.»
Era l’immagine della calma, ma qualcosa lo disturbava. Lui aveva spiegato i motivi che stavano alla base della sua decisione di non impegnarsi in una relazione. Diana invece aveva solo espresso la sua ripugnanza. E l’aveva fatto con particolare forza.
Mentre saliva le scale, una domanda gli rimbalzava insistente nel cervello.
Che cosa l’aveva resa tanto dura?