«Voglio ringraziarti» disse Travis. «Per... tutto.»
Diana si sentì sciogliere sotto il suo sguardo intenso e sensuale. Era giunto il momento più critico della giornata. Il momento in cui la lezione finiva, i buoni propositi parevano vacillare ed entrambi cadevano nella rete che inesorabilmente li intrappolava.
Da quattro sere, ormai, si incontravano in salotto dopo aver messo a letto Jared e Josh, e Diana aveva cominciato a istruire Travis con lo spiegargli come fosse organizzata la tribù.
La famiglia Kolheek in genere, gli aveva detto, era composta da un padre, una madre e dai loro figli. Ma non era insolito per gli uomini facoltosi avere più di una moglie. Sia padre che madre si occupavano con amore e attenzione dei figli.
Le punizioni corporali erano rare, e quando un bambino si comportava male, i genitori di solito lo facevano ragionare sull’errore e lo riportavano sulla retta via.
Tutto il villaggio, inoltre, era coinvolto nell’educazione dei piccoli, che potevano quindi essere rimproverati anche da persone estranee alla famiglia.
La tribù era divisa in clan, ciascuno con un proprio capo, formati da membri legati fra loro da vincoli di sangue o di adozione. Ogni offesa a un membro del clan era vissuta come un’offesa all’intero gruppo, e poiché tutti i suoi membri erano considerati fratelli o sorelle, il matrimonio tra loro era proibito anche se non si trattava di consanguinei in senso stretto. Il compagno o la compagna, dunque, dovevano essere cercati al di fuori del clan di appartenenza.
Nella tribù, che in genere era distribuita in più villaggi ed era governata dal Sachem, il capo supremo, c’erano tre classi sociali: i nobili, di discendenza reale, tra i quali veniva eletto il Sachem; i sannop, la gente comune, che costituiva il grosso della comunità; e i fuoricasta, i più umili, che facevano da servitori alle altre due classi.
Travis, come la maggior parte degli uomini, era rimasto affascinato dai racconti di guerra, e Diana aveva dedicato le ultime due serate a spiegargli le tradizioni che regolavano le battaglie. Gli aveva spiegato che, proprio come il gioco dei cerchi e dell’asta che aveva regalato ai gemelli era inteso a sviluppare certe abilità, anche molti altri giochi indiani miravano a enfatizzare le migliori qualità di un guerriero: coraggio, agilità, forza e resistenza. L’area centrale del villaggio era il terreno di prova dei futuri guerrieri.
Benché a tutti i giovani maschi della tribù fosse permesso di assistere alla danza di guerra, solo coloro che avevano compiuto i sedici anni potevano prendervi parte attiva. E solamente dopo aver dimostrato la loro maturità e la loro bravura superando una difficile prova di coraggio. Dopo essere stato condotto bendato nei territori selvaggi, in pieno inverno, un giovane doveva sopravvivere aiutandosi con l’arco, le frecce e il pugnale. Il suo ritorno al villaggio agli inizi della primavera decretava il superamento della prova.
Quella sera Diana gli aveva raccontato di come la minima provocazione potesse portare a una guerra tra tribù. Un insulto era come la scintilla che appicca l’incendio. Crudeltà e sete di sangue non c’entravano niente, aveva sottolineato. L’onore, e solo quello, era la chiave di ogni guerra.
La notte prima di una battaglia aveva luogo la danza di guerra. Venivano accesi dei falò e i guerrieri ballavano attorno alle fiamme mentre l’eccitazione progressivamente cresceva coinvolgendo tutti. Quando il capo si fermava per parlare agli uomini, scendeva il silenzio. Se il gruppo era numeroso poteva succedere che fosse il Sachem stesso a guidare la tribù in battaglia. I gruppi più piccoli, invece, erano guidati da capi di importanza minore. Ma a prescindere da chi si rivolgeva ai guerrieri, il discorso con cui il condottiero chiedeva volontari e la guida spirituale per assicurarsi la vittoria era sempre molto sentito, pieno di fervore.
Secondo la tradizione, la tribù che attaccava doveva dichiarare guerra al nemico piantando delle frecce all’ingresso del villaggio. L’attacco in genere avveniva all’alba. A volte i prigionieri venivano condotti al villaggio dei vincitori per essere adottati dalle famiglie che avevano subito perdite. Quando il prigioniero veniva accettato, prendeva il posto del guerriero morto che doveva sostituire, figlio o marito che fosse. Se non veniva accettato, doveva affrontare una lenta e orribile tortura.
Diana aveva concluso descrivendo le punte di freccia, i pugnali e le clave usati in battaglia. Aveva fatto vedere a Travis dei libri che aveva portato con sé e lui era rimasto molto colpito dai disegni fatti dagli indiani del New England.
Ora lo guardava a disagio, come sempre imbarazzata dalla gratitudine che lui le dimostrava alla fine di ogni lezione.
«Vorrei che la smettessi» gli disse.
«Di fare cosa?»
«Di ringraziarmi... Mi mette a disagio. Mi piace parlare delle tradizioni del nostro popolo. Non c’è bisogno che tu...»
Filava tutto così liscio, tra loro, da quando si era offerta di dargli lezioni sulla cultura dei Kolheek. Ridevano, discutevano. Era bellissimo vederlo tanto interessato. Travis poneva domande intelligenti e faceva osservazioni acute. Il tempo che passavano insieme la sera era una gioia, per lei. Se solo non ci fossero stati quei momenti di tensione quando si separavano, alla fine della lezione...
«Non era mia intenzione metterti a disagio» ribatté Travis. Inaspettatamente fece scivolare la mano su quella di lei. «Voglio solo che tu capisca quanto tutto questo è importante per me.»
Un fremito attraversò Diana. La mano di Travis era calda contro la sua. Protettiva. E quella sensazione la spaventava.
No, realizzò un attimo dopo, in realtà non era stato il suo tocco a trasmetterle quell’improvvisa ansia. Erano state le parole che l’accompagnavano. O meglio l’intimità che la gratitudine unita a quel gesto suggeriva.
I suoi pensieri si fecero ancor più confusi mentre un’idea sconcertante le affiorava alla mente. Stava succedendo qualcosa di fondamentale dentro di lei. Qualcosa che avrebbe dovuto considerare con calma, che avrebbe dovuto approfondire, analizzare. Ma non l’avrebbe di certo fatto lì, davanti a Travis.
«Sono stanca» buttò lì, alzandosi. «Vado a letto. Buonanotte.» E senza dargli modo di replicare, corse in camera sua. Solo dopo aver chiuso la porta si sentì abbastanza al sicuro per affrontare il caos che le aveva invaso la mente quando lui l’aveva toccata.
Entrambi avevano riconosciuto apertamente l’attrazione che provavano l’uno per l’altro. Ma avevano anche espresso la precisa intenzione di ignorarla. Allora perché Travis continuava a guardarla in quel modo? Con quell’intensità? C’era un che di misterioso nei suoi occhi. Come se fosse fermamente deciso a fare...che cosa?
E poi, perché mai doveva ringraziarla tutte le sere? Era sincero, ma quel suo modo di fare la precipitava nella confusione più totale.
In qualche strano modo, il desiderio e la gratitudine che Travis le dimostrava erano collegati. Diana lo sentiva. Tuttavia, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare la chiave per risolvere quell’inquietante dilemma.
La mattina seguente, di buon’ora, Travis trovò Diana in cucina, intenta a prepararsi un tè.
Nel vederla avvertì un brivido di eccitazione. Ancora adesso, dopo giorni e giorni passati insieme, si meravigliava delle reazioni che quella donna sapeva suscitare in lui. Anche coi capelli in disordine e il viso struccato gli appariva incantevole. Decisamente incantevole.
Era nervoso. Non aveva dormito molto. Il problema che si era presentato il giorno di Natale, e che aveva impiegato un po’ per mettere a fuoco, continuava a confonderlo, e allo spuntare dell’alba aveva deciso che non avrebbe trovato pace finché non ne avesse discusso con la persona che glielo aveva messo in testa.
Diana.
Gli bastava guardarla per sentirsi fremere di passione. Nonostante i buoni propositi, continuava a desiderarla come nessun’altra mai. E adesso finalmente credeva di averne intuito la ragione.
Era proprio di quelle reazioni, e del loro legame con una cosa che lei aveva detto il giorno di Natale, che intendeva parlare con Diana.
«Buongiorno» la salutò.
«Ciao. Ti sei alzato presto» osservò lei.
«Sì» rispose Travis. «Volevo preparare il caffè. E magari anche una bella colazione.»
Diana bevve un sorso di tè. «Grazie, ma non ho un grande appetito, al momento. Non avevo nemmeno voglia di caffè stamattina. Mi basta una tazza di tè.»
Solo allora Travis notò che era pallida, tirata. «Stai male?»
«No. Sono solo stanca.» Gli rivolse un sorriso stentato. «Se non ti spiace, me ne torno in camera. I bambini dormiranno ancora per un po’ e...»
«Esatto» concordò lui precipitosamente. «E speravo proprio di trovarti alzata. Volevo parlarti.»
La vide irrigidirsi, e per un attimo pensò che gli avrebbe detto che non era il momento adatto. Così si affrettò ad aggiungere: «Ti prego, Diana. Ho bisogno di parlarti di una cosa».
Con un impercettibile sospiro di rassegnazione, lei posò sul tavolo la tazza e, scostata una sedia, si sedette.
Travis era teso come una corda di violino. Come poteva farle capire ciò che lo tormentava da giorni, quando nemmeno lui era riuscito a venirne a capo? Be’, in realtà ne era venuto a capo, si corresse. O almeno credeva di averlo fatto. Anche se ancora non riusciva a credere alle conclusioni a cui era arrivato.
Ore prima aveva deciso che la cosa migliore da farsi era parlare con lei di quella faccenda. Dirle che aveva cambiato opinione, che il suo cuore era cambiato.
Ma non sapeva come lei avrebbe reagito, e la cosa lo preoccupava.
«Dammi solo un attimo per mettere su il caffè» disse Travis sperando che quei pochi minuti gli avrebbero permesso di calmarsi un pochino.
Poco dopo si sedette accanto a Diana. Non osava toccarla, anche se avrebbe voluto farlo. Temeva di spaventarla con l’intensità delle sue emozioni, dei suoi pensieri, così intrecciò le mani davanti a sé. «La prima cosa che voglio dirti» cominciò lentamente, «è che in tutta la mia vita non ho mai incontrato una donna tanto straordinaria. Stai aiutando i miei bambini. Aiuti me. E qualunque cosa abbia in serbo il futuro, voglio tu sappia che ti sono grato.»
Era sospetto quello che si leggeva nei suoi occhi bellissimi? si chiese. Com’era possibile che Diana avesse difficoltà a credergli? Le stava parlando in tutta sincerità. Col cuore in mano.
«Mi hai già ringraziato ieri sera, Travis» rispose lei circospetta, dopo un momento di silenzio. «E anche la sera prima. E quella prima ancora. Non è il caso, te l’ho detto.» Spostò leggermente indietro la sedia. «Se è questo di cui volevi parlare...»
Quando fece per alzarsi, lui allungò il braccio e la trattenne tirandola per la manica. «No, aspetta. Non ho finito.»
Diana rimase seduta, ma era visibilmente tesa. Con riluttanza, lo guardò negli occhi.
«Il giorno di Natale hai detto una cosa che mi ha fatto pensare» continuò Travis, «che... be’, ha cambiato il mio modo di vedere le cose.» Non riusciva a capire perché fosse così tirata. Ma decise in fretta che probabilmente le stava trasmettendo il suo nervosismo. «Stavamo parlando di come trascorrevo le feste quando ero bambino» proseguì. «Del fatto che i miei litigavano e urlavano.»
«Me lo ricordo» replicò lei in un sussurro.
«Tu hai detto che i miei non si appartenevano.»
Un vago senso di allarme si insinuò in Diana. «Oh, ma non stavo emettendo giudizi. Devi credermi. Si trattava di una semplice osservazione.»
«Non è quello che hai detto che mi ha turbato» ribatté lui. «Come avrebbe potuto turbarmi, visto che era la pura e semplice verità?»
Era chiaro che Diana non aveva idea di dove volesse andare a parare con quel discorso. Ma non osava esporle le conclusioni a cui era giunto. Non ancora. Doveva farlo per gradi...
«Al ricevimento nuziale hai detto che alle ragazze Kolheek insegnano che c’è in serbo per loro un grande guerriero. L’anima gemella. Il solo e unico amore di tutta la vita.»
«E tu hai replicato con prontezza che sono tutte stupidaggini.»
Travis ridacchiò piano. «Me lo ricordo, sì.»
Il profumo del caffè riempiva la cucina, ma lo notò a malapena. «Cosa ti ha detto tua nonna?» chiese, sforzandosi di mettere ordine nei pensieri che gli turbinavano nel cervello. «Ti ha parlato della tua anima gemella?»
Diana annuì. «Certo che l’ha fatto. Tutte le donne parlano dell’amore con le figlie. Come voi parlate coi vostri bambini di api e fiori. Del sesso. La storia non è completa senza il capitolo che spiega cosa significa un rapporto fisico.»
«E cosa ti ha detto?» la incalzò Travis. «Ti ha spiegato come avresti riconosciuto l’uomo che era destinato a te sola? La tua anima gemella?»
«Come avrei riconosciuto...» Diana scosse piano la testa. «Travis, non capisco dove vuoi arrivare.»
«Rispondimi» insistette lui, circondandole il polso con le dita, sforzandosi di frenare l’impazienza.
Diana aggrottò la fronte, sforzandosi di ricordare. «In realtà non me l’ha spiegato» ribatté. «Ha solo detto che avrei dovuto ascoltare il mio cuore. Che l’avrei saputo.» Abbassò la voce mentre ripeteva: «Che quando avessi incontrato l’uomo della mia vita, l’avrei capito».
«E ti è successo, con il tuo ex marito?» domandò Travis. «Hai sentito che era l’uomo della tua vita?»
Lei arrossì. «Be’, non lo so» balbettò, evitando di guardarlo negli occhi.
Travis non aveva intenzione di metterla in imbarazzo, ma doveva sapere come erano andate le cose, perché si era sposata.
«Non ci ho mai pensato seriamente. Ero una bambina quando mia nonna ha affrontato il discorso.» Diana si strinse nelle spalle. «Quando ho conosciuto Eric ero ancora sconvolta per la morte del nonno. Non mi sono soffermata ad ascoltare il mio cuore. Sembrava che andassimo d’accordo. Sposarlo mi è parsa la cosa giusta da fare.» Arrossì mentre aggiungeva: «Non ero tipo da rapporti prematrimoniali».
«Quindi l’hai sposato non perché stavi tentando di rimpiazzare tuo nonno, ma perché volevi fare esperienza... in campo sessuale.»
«Assolutamente no!» esclamò lei, cercando di sottrarsi alla sua presa.
Ma Travis non la lasciò andare. «Ti prego, non sentirti in imbarazzo. Voglio solo capire.»
«Capire cosa?» sbottò Diana, una nota di collera nella voce. «Non capisco perché mi stai dicendo queste cose.»
«Quello che voglio capire» riprese lui senza più provare a trattenersi, «sono i sentimenti che continuo a provare. Sono sentimenti sorprendenti. Incredibili. Per te, Diana. Sto tentando di capire se questi sentimenti... sono in qualche modo collegati a quello che hai detto dei miei genitori. Al fatto che non si appartenevano.»
Diana lo guardava con occhi sgranati.
Non c’era da stupirsene, pensò Travis. Probabilmente pensava che fosse uscito di senno.
Trasse un profondo respiro. «Senti, sono convinto che avessi perfettamente ragione sui miei. Non erano fatti l’uno per l’altro. Per questo si sono separati e hanno divorziato. Era inevitabile. Credo che anche mio fratello e sua moglie non si appartenessero. E la mia storia con Tara non ha funzionato perché non ci appartenevamo.»
Spinto dall’eccitazione, si avvicinò a Diana e le prese il viso fra le mani. «Tu e tuo marito vi siete lasciati perché non eravate anime gemelle.» Si inumidì le labbra e aggiunse dolcemente: «Non vi appartenevate.»
Negli occhi di lei brillava un misto di incredulità e confusione, ma Travis era deciso a venire al punto. Le si avvicinò ancor di più, e il suo delicato profumo di limone aggredì i suoi sensi come un afrodisiaco.
«E visto quello che provo per te» bisbigliò, «visto che non riesco a soffocare il mio desiderio, penso che...» Si curvò verso di lei. «Forse...» Abbassò ancora di più il capo. «Forse noi...»
«Noi?»
Non avrebbe saputo dire se Diana aveva realmente parlato, o se quella singola parola l’avesse formata solo con le labbra, ma sentì il suo respiro caldo sfiorargli la guancia e un brivido lo scosse.
«Forse noi ci apparteniamo» le sussurrò a fior di labbra. E quando la baciò, ebbe la sensazione di essere finalmente arrivato a casa.
Diana non era più in grado di ragionare. Travis si era avvicinato sempre di più, continuando a farneticare di anime gemelle e di appartenersi.
Ma non aveva senso. Non aveva alcun senso.
La deliziosa pressione della sua bocca sulla propria, il suo sapore...il calore delle sue mani sulla schiena e tra i capelli...non facevano che aumentare il suo turbamento.
Solo pochi giorni prima, Travis era decisissimo a non cedere all’attrazione che vibrava tra loro. Aveva addotto ottime e solide ragioni per giustificare il desiderio di tenersi alla larga da qualunque relazione, la precisa volontà di evitare legami e vincoli. Le aveva detto chiaro e tondo che considerava un cumulo di sciocchezze le sue teorie sull’anima gemella...
Ne era convinto. E allora perché quell’improvviso voltafaccia?
Sei una donna straordinaria, le aveva detto. Hai aiutato i miei bambini. Hai aiutato me.
E dopo quelle frasi, le aveva espresso ancora una volta la sua gratitudine. Con grande enfasi.
Sei una donna straordinaria. Quelle parole le echeggiarono ancora una volta nella mente. Hai aiutato i miei bambini. Hai aiutato me.
I pezzi del puzzle volteggiavano nel turbine dei suoi pensieri. Alcuni di essi trovarono una collocazione. L’immagine era sfocata, ma l’istinto le diceva che il quadro, una volta completato, non le sarebbe piaciuto.
Le tremavano le mani e strinse i pugni, per paura di cedere all’impulso di allungare le braccia e di stringerlo a sé. La lingua di Travis danzava sulle sue labbra. Il suo dolce profumo l’avvolgeva come una calda, morbida coperta. Finché le fosse rimasto così vicino, finché avesse continuato a baciarla, non sarebbe riuscita a mettere ordine nei suoi pensieri.
Gli posò le mani sul petto e spinse. Non fece fatica ad allontanarlo.
La disperazione che scorse nel suo sguardo fu l’ultimo pezzo del puzzle ad andare a posto. Non si era sbagliata. Il quadro che aveva davanti agli occhi non era solo sgradevole... era orribile.
«Non farmi questo, Travis» disse, una nota stridente nella voce. «Io sono una novità per te. E le novità finiscono col venire a noia. Non mi metterò mai più in una situazione del genere.»
Travis fu bravissimo a fingersi sorpreso. «Una novità?»
Scuoteva il capo con l’abilità di un attore consumato. Una donna più ingenua ci sarebbe cascata sicuramente.
«Di cosa stai parlando?»
Diana si alzò e lui fece altrettanto.
«Senti» replicò calma, «sono contenta di poter dare a te e ai gemelli il mio contributo. Vi dirà tutto ciò che c’è da sapere sulla nostra cultura, mentre sono qui. Ti chiedo solo di non giocare coi miei sentimenti. Non so che idea ti sei fatto di me, ma non ho alcuna intenzione di...»
«Ehi, frena. È evidente che non hai capito.»
«Ho capito perfettamente, invece. Soltanto pochi giorni fa mi hai detto che non credevi nelle relazioni sentimentali. Che sei sicuro che Greg e Jane finiranno col divorziare e farsi del male.»
Gli puntò contro un dito accusatore. «Mi hai detto che non credevi nell’amore. E adesso, dopo che abbiamo incominciato a incontrarci la sera, dopo che ho cercato di farti capire cosa significa essere un Kolheek, te ne vieni fuori a dire che dobbiamo stare insieme.» Gli batté sul petto con l’indice. «Non sono una stupida, Travis. So fare due più due. Mi vuoi perché ritieni che sarebbe un bene per i gemelli avermi intorno. Perché pensi che avrei una buona influenza su di loro, che potrei dar loro le basi di cui hanno bisogno. Di cui tu hai bisogno.»
Gli occhi di Diana, ristretti a due fessure, lo trafiggevano come lame. «Mi vuoi perché sono una Kolheek!»
«Diana, ascoltami...»
Travis fece per toccarla, ma lei si ritrasse. Quella reazione lo fece rimanere di sasso, come l’avesse schiaffeggiato.
«Eric pensava che sarebbe stato carino avermi intorno. Ero diversa dalle altre donne che conosceva. Una novità. Ma le novità perdono in fretta la loro attrattiva.»
Diana era consapevole della collera che le brillava nello sguardo e fece il possibile per tenerla desta. Era la sua unica ancora di salvezza. Se l’avesse lasciata evaporare, sarebbe scoppiata a piangere. E preferiva morire, piuttosto che rivelare i suoi veri sentimenti, il suo dolore.
Non avrebbe saputo dire perché stava soffrendo tanto. Sapeva solo che si sentiva come se le avessero strappato il cuore dal petto.
«Mentre sono qui, farò tutto quello che posso per Jared e Josh. E anche per te, Travis» disse. «Ma, ti prego...non usarmi.»