Travis l’amava.
Oh, Signore. Era questo che aveva detto?
Sì. Sì, aveva capito bene.
Diana si sentì sciogliere a quella dichiarazione. Le esplose dentro una tale felicità che ebbe il timore di non riuscire a contenerla. Ma al tempo stesso una gelida paura si impadronì di lei.
Nel profondo del suo cuore aveva sempre saputo che si era sbagliata sulle motivazioni di Travis. Persino mentre lo accusava di aver voluto approfittare di lei, il tarlo del dubbio la rodeva. Lui era un uomo onesto, ne era certa. E a ragione era rimasto sconvolto quando lo aveva messo sullo stesso piano di Eric. Pensare che potesse agire per fini meschini come quelli del suo ex marito era a dir poco ridicolo. Lui era della sua stessa razza.
Allora perché lo aveva giudicato male? Perché gli aveva gettato addosso tutte quelle accuse? Perché lo aveva volutamente frainteso?
Diana aveva già la risposta a tutte quelle domande. Oh, certo che l’aveva.
Se aveva reagito in quel modo assurdo, era perché voleva mettersi al riparo da nuove umiliazioni.
«Mi dispiace» si scusò in un sussurro appena percettibile. «Mi dispiace di averti ferito. E mi dispiace di averti accusato di volermi usare. So che non è vero. Lo so.»
Diana aveva la mente in subbuglio. Non voleva parlargli di sé. Non voleva che Travis sapesse la verità su di lei.
«Sono davvero contenta che tu abbia cambiato idea su...» Le parole le vennero meno e per un attimo pensò che non sarebbe riuscita a continuare. Ma si fece forza. «...sull’amore.» C’era una tale intensità negli occhi scuri di lui che dovette distogliere lo sguardo. «Speravo che arrivassi a capire che si tratta... be’, di una parte molto importante nella vita di una persona.»
«Ora lo so.»
Ancora non riusciva a guardarlo. Era troppo sottosopra.
Perché? Oh, perché il destino le aveva giocato quel brutto tiro? Perché Travis era entrato nella sua vita, perché le aveva dichiarato il suo amore, quando lei non aveva altra alternativa che respingerlo? Era come uno scherzo crudele.
«Sin dall’inizio ho avuto la convinzione che fosse stato il destino a farmi incontrare Jared e Josh» disse Travis. «Ma, per quanto assurdo possa sembrare, non sono stato altrettanto veloce a capire che il destino aveva portato anche te nella mia vita.»
Il silenzio era assoluto. E la tensione palpabile. Diana alzò lentamente lo sguardo su di lui.
«Ha portato anche Tara nella tua vita. Proprio come Eric è entrato nella mia.»
Travis non ebbe esitazioni. «Tara era come una sorta di prova. Una lezione» rispose. «E il tuo ex è stato il tuo test. La tua lezione.»
Lei ne convenne tra sé. Era consapevole di quanto fosse inconsistente la sua obiezione.
«Quelle relazioni sono state un ottimo esempio di ciò che l’amore non è» continuò Travis. Poi ridacchiò. «Tutti e due siamo stati piuttosto lenti di comprendonio, immagino. Ci abbiamo messo un po’ a imparare.»
Diana avrebbe voluto potersi unire alla sua risata. Ma il peso della verità le gravava addosso come un macigno.
«Probabilmente non avrei mai imparato nulla da quell’esperienza, se non ci fossi stata tu qui a guidarmi.»
Oh, perché Travis era un uomo così eccezionale? Perché doveva essere così gentile e generoso? Come avrebbe fatto a chiudergli in faccia le porte del suo cuore?
Sarebbe stato facilissimo, decise improvvisamente Diana.
Doveva semplicemente pensare alle umiliazioni che avrebbe patito se non l’avesse fatto. Alla delusione che si sarebbe dipinta sul volto di Travis se non avesse rinunciato all’idea che erano fatti l’uno per l’altro.
Che erano anime gemelle.
Anime gemelle.
Quelle parole le danzavano nella mente come una brezza calda e lieve.
Si sarebbe dovuta accontentare di aver trovato il suo grande guerriero. Non avrebbe avuto niente altro, perché rinunciare a lui era l’unico modo che aveva per salvare la faccia. Poteva vivere il resto della sua esistenza in pace, traendo conforto dal pensiero che la Provvidenza non si era completamente dimenticata di lei.
«Diana.»
Mentre pronunciava il suo nome, Travis le posò una mano sul ginocchio. Quel gesto le parve così intimo che le si mozzò il respiro in gola. Se non si fosse allontanata in fretta da lui, se non si fosse sottratta subito al suo tocco, sarebbe stata la fine.
«No, Travis.» Gli scostò la mano, si alzò e andò alla finestra. «È impossibile. Quello che vuoi da me, io non posso dartelo.»
Con mani tremanti aprì le tendine e fissò lo sguardo sul giardino dove tante volte aveva giocato con i gemelli. Aveva accumulato molti ricordi in quella casa. Ricordi che avrebbero dovuto esserle di sostegno per il resto della vita.
«Non ho idea del perché tu ti sia fatta questa idea» disse Travis.
Diana continuò a fissare gli alberi sottostanti.
«Ma ho il sospetto che abbia a che vedere col tuo matrimonio. Credo che tu stia ancora subendo gli effetti negativi del rapporto con quell’idiota del tuo ex marito.»
Lo sentì cambiare posizione nella poltroncina.
«Di qualunque cosa si tratti, Diana» continuò Travis in tono quasi implorante, «possiamo affrontarla e risolverla insieme.»
«No. Non c’è soluzione» ribatté lei, scuotendo piano il capo.
Prima che avesse il tempo di rendersene conto, Travis era dietro di lei. Le sue mani sulle spalle erano come fuoco che le bruciava la pelle sotto la stoffa sottile della camicetta. Tuttavia, anziché provare l’impulso di sfuggire al suo calore, sentiva un bisogno struggente di appoggiarsi al suo petto, di lasciarsi consumare dalle fiamme che sembravano sprigionarsi dal suo corpo.
«Quello che non capisco...» mormorò Travis, la bocca vicinissima alla sua tempia, «...è perché ti senti responsabile del fallimento del tuo matrimonio.»
Il suo profumo la avvolgeva, la avviluppava come un manto di seta.
«Se l’uomo che hai sposato, come mi è parso di capire, non ti amava» proseguì con una nota di disprezzo nella voce, «la colpa del fallimento ricade su di lui. Non su di te. Non c’è ragione per cui tu debba pensare il contrario.»
Diana liberò un tremulo sospiro. «Non è così semplice, Travis.»
«Allora spiegami.»
Esercitando una pressione gentile ma ferma, la fece voltare verso di lui. Quando furono viso a viso, Diana venne colta dal panico. Il cuore prese a martellarle furioso in petto e una morsa d’acciaio le strinse lo stomaco.
«Aiutami a capire.»
La supplica che lesse nei suoi occhi la straziò.
«Siamo fatti l’uno per l’altro» proseguì Travis. «Lo sento. E penso che lo senta anche tu. Anzi ne sono sicuro. Lo sappiamo tutti e due che è così. Dimmi cosa ti è successo, Diana. Dimmi perché non vuoi...»
Era roso dalla frustrazione e si sentiva impotente, anche un cieco l’avrebbe visto. E Diana, mentre guardava il suo bel viso, i suoi occhi gentili, capì che doveva dirgli la verità. Travis lo meritava. Non sarebbe stato giusto negargli una spiegazione.
Nel punto in cui si trovava, però, intrappolata tra lui e la finestra, sarebbe stato troppo arduo parlare. Si sarebbe sentita troppo a disagio. Così sgusciò via da Travis e si mise accanto al cassettone, a qualche passo di distanza.
«Non posso certo affermare che il comportamento di Eric non mi abbia ferita» iniziò. «Ma il nostro matrimonio è finito prima che si stancasse di aver sposato un’indiana.» Fece una pausa per prendere fiato. «Se abbiamo divorziato è solo colpa mia. Anche se apprezzo i tuoi sforzi per convincermi del contrario» concluse con un mesto sorriso.
A quel punto, tesa come una corda di violino, intrecciò le mani davanti a sé, per poi lasciarle ricadere nuovamente lungo i fianchi. «Vedi io... io ho un problema. Non...» Le guance le si fecero di brace per l’imbarazzo, ma si costrinse a continuare. «Io non riesco a provare un normale...»
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Oh, Dio, non voleva dirglielo. Non voleva.
Ma Travis non avrebbe capito finché non fosse stato a conoscenza della tragica realtà.
Abbassò lo sguardo e scoppiò in una risatina asciutta, priva di umorismo. «Come Eric mi ha ripetuto un’infinità di volte...sono frigida. Non reagisco alle carezze di un uomo come una donna normale.» A fatica riportò lo sguardo sul suo viso. «Sono...sessualmente inibita.»
Travis sembrava scioccato. Disorientato. Come se gli avesse sferrato un pugno a tradimento, mentre aveva la guardia abbassata. «Diana, io...» disse infine.
«No» lo bloccò lei. «Non voglio parlarne, Travis. È troppo... troppo umiliante per me. Volevo solo che capissi. Te lo dovevo.»
Aveva girato il capo, ma con la coda dell’occhio lo vide riflesso nello specchio. Era annichilito, pietrificato. Le emozioni che lo scuotevano erano perfettamente visibili: era pallidissimo, rughe profonde gli solcavano la fronte e aveva la mascella contratta.
Scrollando il capo, incredulo, lasciò la stanza senza dire una sola parola.
Solo allora Diana diede libero sfogo alle lacrime.
Travis sedeva alla scrivania e guardava le carte che aveva davanti senza vederle. Quello che Diana gli aveva detto era pazzesco. Non riusciva a crederci. Santo cielo, pensava di essere sessualmente inibita. Ma lui l’aveva baciata. L’aveva accarezzata. La donna che aveva tenuto tra le braccia era calda, appassionata, travolgente...
Qualcuno bussò alla porta, strappandolo ai suoi cupi e tormentosi pensieri.
«Ciao, vecchio mio» disse Sloan, mettendo dentro la testa.
Travis gli rispose con un cenno di saluto. «Entra pure» lo invitò poi. «Ci sono problemi?»
«È quello che volevo chiedere a te.» Sloan accennò con la testa all’area dell’accettazione. «Rachel e le infermiere sono un po’ preoccupate. Qualcosa non va a casa?»
A Travis sarebbe piaciuto confidarsi con l’amico. Il suo punto di vista lo avrebbe aiutato ad affrontare il problema di Diana con maggiore obiettività. Ma i dubbi che lei nutriva circa la sua femminilità erano di natura troppo intima perché potesse discuterne con Sloan. Le era costato molto confessargli il suo problema. Si sarebbe sentita mortificata, se avesse scoperto che aveva riferito ad altri le cose che gli aveva detto.
«Niente che non possa risolvere da solo» rispose dunque, augurandosi di suonare più sicuro di quanto non si sentisse in realtà.
Sloan annuì. «D’accordo. Ma se ti va di parlarne con qualcuno...»
«Grazie, ma non è il caso» tagliò corto lui. Poi cambiò argomento. «È da un po’ che non vedo le gemelle. Come stanno?»
«Benone» rispose Sloan con un largo sorriso che la diceva lunga sull’amore che provava per le tre figlie. «Stiamo ancora discutendo sulla festa di Capodanno a cui sono state invitate.»
«Le lasci andare, no?»
Lui si strinse nelle spalle. «Immagino di sì. Ma mi rifiuto categoricamente di lasciarle stare fuori oltre una certa ora. Che razza di genitori sono quelli che invitano dei bambini a una festa che dura fino alle tre del mattino? È pazzesco.»
«Capodanno viene solo una volta all’anno» puntualizzò Travis.
Sloan inarcò un sopracciglio. «Te lo ricorderò quando i gemelli avranno tredici anni.»
Travis non poté non ridere. Ma il pensiero di Diana, della sua stupefacente rivelazione, si insinuò di nuovo nella sua mente e ogni traccia di allegria svanì.
Sloan lo conosceva troppo bene per non accorgersi che qualcosa lo tormentava. «Sei sicuro che sia tutto okay?» gli chiese.
«Senti» ribatté lui cedendo al bisogno di sfogarsi. «Cosa faresti se qualcuno... be’, se una persona che conosci pensasse di sé qualcosa che non risponde al vero?»
«Stai parlando di un paziente? O di uno dei bambini?»
«Diciamo che si tratta di una persona che per me è importante» disse Travis, teso.
Sloan si limitò ad annuire, evitando di fargli ulteriori pressioni. Aveva capito perfettamente che la questione era di carattere riservato.
«Mi serve qualche informazione in più. Cos’è che pensa di sé questa persona?»
Senza nemmeno rendersene conto, Travis afferrò una penna e cominciò a giocherellarci nervosamente. «Diciamo che tu sai che è intelligente, ma lei crede di non esserlo. O che pensa di essere brutta quando invece... ti toglie il respiro solo a guardarla.»
Sloan si avvicinò alla scrivania e si accomodò su una sedia. Visto che era sciocco fingere di non aver capito di chi stavano parlando, andò dritto al punto. «Ho conosciuto Diana. È una donna colta, sicura di sé, e...»
«Chi ti dice che stiamo parlando di lei?» scattò Travis, sulle difensive.
Si stava comportando da stupido, ne era consapevole. Ma non avrebbe tradito la fiducia che Diana aveva riposto in lui, rivelando ad altri le confidenze che gli aveva fatto. «Se non vuoi darmi una mano, basta dirlo» aggiunse asciutto, seguendo l’onda della sua malriposta irritazione.
«Certo che voglio aiutarti» replicò Sloan con prontezza. Poi sospirò. «D’accordo, se mi trovassi nella situazione che hai descritto, farei di tutto per convincere questa persona che... be’, che è bella e intelligente. Nonostante ciò che pensa di sé.»
L’espressione di Travis si rischiarò. Che idea fantastica! «Convincerla...» mormorò assorto.
«Esatto, convincerla che è proprio ciò che crede di non essere» annuì Sloan.
Travis era pronto. Dopo cena aveva dato una scorsa ai libri che Diana gli aveva prestato e si era preparato le domande giuste per guidare la conversazione nella direzione che interessava a lui.
Certo, non era corretto manovrare un dialogo in quel modo, ma le sue motivazioni erano più che onorevoli. Voleva convincere Diana che era una donna bellissima e irresistibile, una donna che lo accendeva di desiderio senza alcuno sforzo. Prima che la serata fosse finita, avrebbe realizzato che non aveva alcuna inibizione per quanto riguardava il sesso. E sarebbe stata costretta a riconoscere che loro due erano senza dubbio anime gemelle.
Dopo aver chiuso la porta della cameretta dove Jared e Josh dormivano beati, Travis passò in camera sua a prendere i due libri. Poi scese a cercare Diana.
La trovò in salotto, assorta in contemplazione dell’albero di Natale illuminato.
«Credo che tra qualche giorno dovremo disfarlo» mormorò Travis.
Nell’istante in cui avvertì la sua presenza, Diana si irrigidì.
«In breve gli aghi si seccheranno e cadranno.»
Lei assentì con un lieve cenno del capo.
«Ho dato un’occhiata ai libri che mi hai dato» continuò Travis avvicinandosi, ma lei si ritrasse così di scatto da sorprenderlo. Forse l’impresa non sarebbe stata facile come pensava, si disse. «Posso farti qualche domanda?»
«Stasera non sono in vena, Travis.»
Lui la prese gentilmente per un braccio, mentre le passava accanto. «Concedimi solo qualche minuto. Ti prego.»
Per un terribile istante Diana parve sul punto di rifiutare. Poi però l’incertezza svanì dai suoi occhi. «D’accordo, ma solo qualche minuto» acconsentì, liberandosi dalla sua presa. «Io...sono davvero stanca stasera.»
Travis, che aveva rivolto al cielo una muta preghiera perché Diana accettasse di rimanere, rimase profondamente deluso quando la vide sedersi nella poltrona accanto al caminetto. «Forse sarebbe meglio se venissi a sederti qui accanto a me, sul divano» suggerì. «Così potremmo guardare insieme il libro.»
Di nuovo l’esitazione adombrò il viso di Diana. Era ovvio che sedersi vicino a lui era l’ultima cosa che voleva. Ma ancora una volta accondiscese alla sua richiesta, e Travis, aprendo il libro alla pagina che aveva scelto per avviare la conversazione, non riuscì a contenere un moto di esultanza, come se avesse vinto la prima delle molte battaglie che temeva avrebbe dovuto combattere quella sera.
«Sai, sono rimasto stupito nell’apprendere che non tutti gli indiani vivevano nei tepee.»
La foto ritraeva una bellissima tenda conica. La pelle conciata era decorata con raffigurazioni simboliche a colori vivaci.
«Dobbiamo ringraziare i registi di Hollywood per questo stereotipo» rispose Diana. «Anche se molti di quei vecchi film di John Wayne erano ambientati nel vecchio West.»
Il suo sorriso gli scaldò il cuore.
Non appena aveva cominciato a parlare del suo soggetto preferito, Diana si era rilassata.
«Gli indiani del Midwest vivevano nei tepee tradizionali» continuò. «Erano facili da trasportare, di modo che la tribù poteva spostarsi senza difficoltà per cercare cibo o per sfuggire ai nemici. In particolare gli indiani delle praterie del sud, come i Sioux e i Cheyenne, usavano tre pali di sostegno per i loro tepee. I Crow e i Piedi neri, invece, che vivevano nelle praterie del nord, ne usavano molti di più, a volte sino a diciotto. Le pelli di bisonte venivano conciate e affumicate, in modo che diventassero impermeabili, pur restando morbide, e poi venivano coperte e legate con spille intagliate nel legno di salice. Il salice è molto flessibile.»
Quando si chinò in avanti per osservare più da vicino la foto, una ciocca dei suoi lunghi capelli neri ricadde sulla gamba di Travis, che subito sentì una vampata di calore riscaldargli i lombi.
«Questo è il simbolo dei Piedi Neri» continuò Diana indicando la testa di bisonte dipinta sul tepee. «È l’animale totem del clan, e doveva proteggere la famiglia che viveva nel tepee dalle malattie e dalla sfortuna.»
Diana alzò lo sguardo e Travis notò che non c’era più traccia di circospezione nei suoi occhi.
«Vedi, i Pellerossa avevano dimore dalla forma e dalle dimensioni più svariate» proseguì, sistemandosi distrattamente la ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Coni, cupole, quadrati, rettangoli... E i nomi erano altrettanto vari: chickee, hogan, igloo, tepee, lean-tos, wickiup. I Kolheek, che facevano parte degli Algonchini, vivevano nei wigwam, capanne a pianta ovale fatte di arbusti piantati nel terreno. Il legno novello è molto flessibile e quindi la parte superiore poteva essere curvata e intrecciata facilmente, così da formare una cupola. I lati della struttura e la cupola venivano poi rinforzati con altri ramoscelli e ricoperti con stuoie di giunchi intrecciati.»
«Sembrano abitazioni ottime per l’estate. Ma d’inverno, come si difendevano dal freddo?»
«Coprivano il wigwam con corteccia d’albero.» Diana si curvò di nuovo sul libro e girò un paio di pagine. «Perlopiù adoperavano corteccia di betulla, che è leggera e flessibile e che quindi si poteva arrotolare e trasportare facilmente quando dovevano spostarsi.»
Travis era inebriato dal suo fresco profumo di limone. «Affascinante» mormorò. E se gli avessero chiesto a cosa si riferiva, se alle informazioni che Diana gli stava dando, o a lei, non avrebbe avuto difficoltà a dire la pura e semplice verità.
Diana alzò lo sguardo e sorrise. «Lo penso anche io.» E dopo un istante proseguì: «Mi pareva che in questo libro ci fosse la foto di un wigwam, ma devo essermi confusa. Faccio un salto in camera mia a...».
Fece per alzarsi, ma lui la fermò.
«Non importa» le disse, trattenendola delicatamente per la mano. «Posso vederla più tardi. Ho un’altra domanda da farti.»
Concentrandosi sul libro, Travis andò alla pagina che gli interessava. Quella che riportava la foto di un uomo e di una donna in abiti nuziali.
«Abbiamo parlato dei clan e delle famiglie» disse. «E mi hai detto che i matrimoni all’interno di uno stesso clan sono proibiti. Così mi chiedevo... come facevano a conoscersi, uomini e donne? E quando un uomo aveva messo gli occhi su una ragazza, quando voleva sposarla, come avveniva il corteggiamento?»
Diana si strinse leggermente nelle spalle. «Le tribù si riunivano piuttosto spesso per celebrare i riti sacri e per le feste che scandivano il passaggio delle stagioni. Sono sicura che in quelle occasioni i ragazzi e le ragazze passavano gran parte del tempo a cercarsi un compagno. E probabilmente lo facevano anche i vedovi e le vedove. Avere qualcuno con cui dividere la vita era molto importante. Proprio come ai giorni nostri.»
In quel momento Diana parve rendersi conto dell’argomento di cui stavano discutendo, e subito sul suo viso ricomparvero incertezza e ritrosia.
La sua vulnerabilità, così evidente in quel momento, toccò Travis nel profondo, evocando in lui un fortissimo istinto di protezione.
«Quando un uomo e una donna provano...» Diana deglutì nervosamente, «...provavano un’attrazione reciproca, si incontravano fuori dal wigwam della ragazza. Seduti vicini, si tiravano una coperta sulla testa, così da poter parlare con un minimo di privacy pur rimanendo davanti agli occhi della comunità. Immagino che non fossero molto contenti di essere costantemente osservati.»
«È più che comprensibile.»
I loro sguardi parevano incatenati. Diana si inumidì le labbra, a disagio. Era evidente che avrebbe voluto abbassare gli occhi, ma era altrettanto chiaro che non riusciva a farlo.
Come non ci riusciva lui.
«Un altro rituale di corteggiamento erano le serenate» continuò Diana con la sua voce calda, dolce come il miele. «Nel cuore della notte, il giovanotto strisciava di soppiatto fino al wigwam dell’amata e si metteva a suonare col flauto romantiche canzoni d’amore.»
Improvvisamente le sue labbra piene si incurvarono nel sorriso più sexy che Travis avesse mai visto.
«Naturalmente, se il giovane innamorato non era un abile musicista, poteva sempre portare alla ragazza dei doni. Un cesto intrecciato con le sue stesse mani. O una collana di perline fatta da lui.»
«Oh, capisco...» Questa volta fu Travis a sorridere maliziosamente. «Così sono migliaia di anni che le donne si fanno regalare gioielli!»
«Immagino che si possa dire di sì.»
Travis faceva fatica a respirare, come se nella stanza non ci fosse più ossigeno. Se non avesse allungato il braccio, se non l’avesse toccata in quel preciso istante, era certo che non sarebbe sopravvissuto fino al sorgere del sole.
La guancia di Diana era soffice come la seta. Risalì con la punta delle dita fino a sfiorarle il lobo dell’orecchio. L’orecchino che portava era semplice, ma sintetizzava alla perfezione la sua essenza. Diana era rara e preziosa, proprio come la perla che baluginava opalescente contro la sua pelle color del bronzo.
«Non so intrecciare cestini» le disse dolcemente, «e nemmeno infilare perline. Dunque come posso farti capire quello che provo per te?»
Diana gli ricordava un uccellino fragile e delicato, che voleva disperatamente volare ma aveva paura di spiccare il volo. Incapace di trattenersi oltre, la baciò.
Fu un bacio tenero e delicato, che tuttavia lo infiammò di desiderio come il più ardente degli amplessi. Sarebbe stato facile gettare via il libro che aveva in grembo e lasciarsi andare alla passione. Dio solo sapeva quanto la desiderava. Ma avrebbe rovinato tutto. Perché il suo piano avesse successo, doveva essere Diana a fare la mossa successiva. Doveva essere lei a trasformare quel bacio in qualcosa di più.
Per un attimo pensò che Diana non avrebbe abboccato all’amo che tanto sfacciatamente le aveva messo sotto il naso.
Ma quando le sfiorò le labbra con un altro bacio, tenero, delizioso e assolutamente casto, la passione che covava in lei divampò all’improvviso.
Gli affondò le dita tra i capelli e lo attirò verso di sé. Dischiuse le labbra e la sua lingua intrecciò una danza sensuale con la sua.
Il cuore di Travis batteva all’impazzata. Diana aveva un vago sapore di tè canadese, ricco, caldo, tentatore.
Avrebbe potuto perdersi in lei, lo sapeva. Ma non voleva perdere il controllo, voleva solo dimostrarle che era una donna capace di provare una passione travolgente.
Prendendola per i polsi sottili, con uno sforzo immane la allontanò gentilmente da sé.
Diana smise di baciarlo e lo guardò.
Il desiderio che le accendeva lo sguardo fece vacillare le sue buone intenzioni. Travis fu sul punto di gettare al vento il suo piano per godere delle gioie che lei poteva offrirgli. Ma alla fine il rispetto ebbe la meglio. Voleva aiutarla. Lo voleva davvero.
«Non te ne rendi conto, Diana?» mormorò. «Non ti accorgi che sei una donna appassionata? Che sembri fatta per amare?»
Lei ammiccò, ancora visibilmente scossa dagli attimi di travolgente desiderio appena vissuti. In silenzio, cercò lo sguardo di Travis.
Poi, quando assimilò appieno il senso della domanda, sgranò gli occhi, prima per lo shock e poi per la collera, una collera cieca, dirompente.
«Come hai osato?» sibilò sfregandosi le labbra ancora umide come per voler cancellare il suo bacio. «Non riesco a credere che tu abbia fatto una cosa simile.»
Quell’esplosione di furia colse Travis del tutto alla sprovvista. Diana era così arrabbiata che la sua voce graffiava come gli artigli di un puma.
Si alzò in piedi, i pugni stretti contro i fianchi. «Io non sono un animale da laboratorio con cui fare esperimenti. Non mi farò trattare...»
«Aspetta» la bloccò lui, ritrovando finalmente la voce. «Volevo solo aiutarti. Io...volevo farti cambiare idea...farti capire...»
«Quello che mi hai fatto capire è che sei un uomo crudele e senza cuore» replicò Diana, furibonda. «E mi rifiuto di rimanere in questa casa un minuto più del necessario» esclamò dirigendosi a passo di carica verso la porta.
«Io...io volevo solo...farti aprire gli occhi...» balbettò Travis.
Era disperato. Voleva farle cambiare idea su se stessa e al tempo stesso rivelarle quanto fossero profondi i suoi sentimenti per lei. Ma chissà come, il suo piano gli si era ritorto contro.
«Diana!» gridò, correndole dietro.
Lei si fermò ai piedi della scala e si voltò a guardarlo, fredda come il ghiaccio.
«E i ragazzi?» le chiese. «La cerimonia?»
«Non ho intenzione di deludere i piccoli. Avranno la loro cerimonia, proprio come avevo promesso.» Diana tremava di collera. «Ti suggerisco di limitare gli inviti agli amici intimi, comunque. In questo modo saranno sufficienti tre giorni per preparare tutto.»
«Tre giorni? Ma fra tre giorni è Capodanno» obiettò Travis.
«Direi che è perfetto: un nome nuovo il primo giorno dell’anno nuovo» fu la gelida replica. «E dopo la cerimonia, Travis Westcott, lascerò la tua casa. Se qualcuno si prenderà il disturbo di chiedermi spiegazioni, si sentirà rispondere che non vedo l’ora di andarmene.»