8

«Vuoi dire che la condizione di Jane non è irreversibile?»

Travis non riusciva a credere alle sue orecchie. Il mese prima Greg aveva scoperto che la donna di cui era follemente innamorato non voleva sposarlo perché non poteva dargli dei figli. Jane aveva accettato di diventare sua moglie solo dopo che lui le aveva giurato di essere più che soddisfatto di avere come unica figlia la piccola Joy. E adesso Greg asseriva che la sterilità di Jane era curabile.

Era rientrato al lavoro quella mattina, dopo la breve luna di miele alle Bahamas con Jane e Joy. Era abbronzato e ridacchiava come solo un uomo felice e soddisfatto può fare.

Travis quasi lo invidiava.

Non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe desiderato sposarsi, e invece ora eccolo lì, ossessionato dal desiderio di portare Diana all’altare.

E pensare che soltanto la settimana prima, al matrimonio di Greg e Jane, aveva espresso la sua più assoluta disillusione nei confronti delle relazioni durature e dell’amore eterno.

«Dico che potrebbe non esserlo» ribatté Greg dall’altro capo del tavolo. Erano in sala riunioni e si stavano godendo una bella tazza di caffè, prima di iniziare le visite. «Non lo sapremo per certo finché non l’avrà vista uno specialista. Ma stando a quello che ha detto a me, il suo ciclo è perfettamente normale. E dalle sue parole ho avuto anche l’impressione che il medico che l’aveva in cura non abbia mai fatto una diagnosi precisa. Ha solo espresso dei dubbi sulla possibilità che potesse avere dei figli.»

«Che incosciente. L’ha indotta a pensare che era sterile, senza nemmeno aver eseguito degli esami che confermassero la sua teoria?»

Greg si strinse nelle spalle. «Non dimenticare che Jane si è rivolta a un ambulatorio per pazienti a basso reddito. Facendo la cameriera, non poteva permettersi un’assicurazione che coprisse tutte le spese mediche. E non aveva i soldi per pagare esami che non fossero strettamente necessari. Può darsi che quel poveraccio abbia fatto del suo meglio, visti i mezzi a disposizione.»

«O forse era un incompetente» obiettò Travis.

«Sì, può essere» dovette convenire l’amico.

Travis si fermò a considerare tutto quello che Greg gli aveva detto. «Scommetto che Jane è al settimo cielo» commentò.

Il sorriso di Greg si fece se possibile ancor più luminoso. «Non sta più nella pelle, ma cerca di contenere l’eccitazione. Come me del resto. Non vogliamo correre il rischio di restare delusi, e così cerchiamo di andarci con i piedi di piombo.»

Rimasero in silenzio per qualche minuto, assaporando il caffè e le ciambelle calde che Rachel, la loro segretaria, aveva portato loro. Stavano aspettando che arrivasse Sloan, per la consueta riunione del mattino.

«Allora, cosa è successo in questa settimana?» domandò Greg.

«Le figlie di Sloan sono venute qui spesso, negli ultimi giorni. Hanno letteralmente assediato Sloan per strappargli il permesso di andare alla festa di Capodanno del loro compagno di classe.»

«Le lascerà andare?»

Travis annuì. «Ha detto di sì. Se non avesse ceduto, penso che sarebbe intervenuta Rachel. Vuole molto bene alle gemelle.»

Posata la tazza sul tavolo, Greg guardò serio l’amico. «Credi che Sloan abbia idea di quello che Rachel prova per...?»

Prima ancora che avesse il tempo di finire la domanda, Travis scosse il capo. «No, non ha il minimo sospetto. E devo dire che la cosa mi lascia di stucco. Dev’essere cieco per non accorgersi che è innamorata di lui.»

Rimasero per qualche minuto in silenzio, poi Travis si decise a parlare. «Senti, se tu, Jane e Joy non avete niente in programma per il primo dell’anno, mi farebbe piacere che veniste alla cerimonia dei nomi.»

Greg inarcò le sopracciglia, stupito. «Ma non doveva essere alla fine di gennaio?»

Travis esito un breve istante. «È così infatti. Ma Diana ha deciso di tornare a casa... prima del previsto.» L’idea di vederla partire da Philadelphia, di vederla uscire dalla sua vita, gli era intollerabile.

Greg inclinò leggermente il capo, lo sguardo inquisitivo, quindi disse: «D’accordo, cos’hai combinato?».

«È tutta colpa di Sloan.»

«Che cosa sarebbe colpa mia?» Sloan entrò nella stanza e posò la valigetta su una sedia vuota.

«Sei stato tu a suggerirmi di convincerla che... be’, che è una donna piena di passione» ribatté Travis, una nota di accusa nel tono.

«Cosa? Ma tu avevi detto che pensava di non essere carina. Di non essere intelligente.»

«Non potevo certo parlarti del suo vero problema, no?»

«Perché no?» domandò Greg con l’aria più serafica di questa terra. «L’hai appena fatto.»

Inorridito, Travis se ne rese conto solo in quel momento. Ma ormai il danno era fatto. «E comunque» continuò, «secondo Sloan avrei dovuto convincerla che era ciò che credeva di non essere.»

«Ma... ma...» balbettò Sloan.

«Ragazzi» mormorò Greg, «ne sono successe delle belle mentre io non c’ero.» Sorrise ai due amici. «Be’, allora com’è finita? Sei riuscito a convincerla?»

«Ci ho provato, ma tutto quello che ho ottenuto è di offenderla a morte. Vuole andarsene al più presto.» Era disperato, e si vedeva. «Non voglio che se ne vada.»

I due amici lo fissarono incuriositi. Fu Greg tuttavia a palesare per primo la sua incredulità. «Sembra che il nostro Travis cuore di pietra sia stato colpito dalla freccia di Cupido.»

«Allora è nei guai fino al collo» gli fece eco Sloan. «Perché non ci sono cure per quel genere di ferita.»

«Non voglio una cura» replicò lui stancamente. «Voglio solo che Diana resti con me. Ma ho paura di non avere abbastanza tempo. Ha detto che se ne andrà dopo il primo dell’anno...»

«Perché, cosa succederà il primo dell’anno?» volle sapere Sloan.

«Officerà la cerimonia dei nomi» spiegò lui. «Mi farebbe piacere che ci foste anche tu e le ragazze, se non avete altri impegni.»

«Ci saremo.»

«Verremo tutti» garantì Greg.

«Grazie.» Travis era realmente grato ai suoi amici. Non lo avevano mai deluso.

«Senti, che cosa portiamo ai bambini?» chiese Sloan. «Un regalo? Dei soldi?»

Lui scosse il capo. «Non dovete portare niente. La tradizione vuole che siamo noi a darvi dei doni. Per rispetto. Perché avete accettato di condividere con noi la giornata. Diana ha bisogno di tre giorni per preparare tutto. Sta aiutando i ragazzi a confezionare i regali.»

«Wow» commentò Greg, «che bella tradizione. Al giorno d’oggi i bambini sono così abituati ad avere sempre tutto, che si aspettano di veder soddisfatti subito i loro capricci. Questo è un modo meraviglioso per insegnare loro che è più gratificante dare che ricevere.»

«Lo penso anche io. Diana ci ha insegnato molto della nostra cultura. Ci sono così tante cose che vale la pena imparare dai Kolheek: l’onore, la lealtà, il rispetto per gli anziani...»

«Be’, il rispetto per gli anziani è proprio uno dei valori che i nostri giovani dovrebbero recuperare» disse Sloan.

Greg scoppiò a ridere. «Le tue tre pesti sono sulla soglia dell’adolescenza, amico mio, e gli adolescenti non hanno rispetto per nessuno.»

«L’avranno, invece, se gli verrà insegnato che è questo che ci si aspetta da loro» lo contradisse Travis pacatamente. «I bambini fanno quello che noi ci aspettiamo da loro. Se ci aspettiamo poco, è esattamente questo che otterremo.»

«E l’hai imparato dopo un solo mese da padre?» chiese Sloan.

«È stato un mese lungo e faticoso.»

Tutti e tre risero di gusto. Poi Travis dovette ammettere: «Devo ringraziare Diana. Mi ha fatto capire cose che, senza di lei, avrei impiegato anni a imparare.»

«Oh, Signore» mormorò Sloan rivolgendosi a Greg. «La freccia deve averlo colpito dritto al cuore, se è disposto ad attribuire a Diana il merito dei suoi successi.»

Travis prese le cartelle cliniche dei casi che dovevano discutere quella mattina. Non voleva che la riunione si trasformasse in una gara di abilità con lui come bersaglio delle battutine scherzose dei due amici.

«Per quanto riguarda la cerimonia» disse loro, ritornando al punto, «mettetevi qualcosa di caldo. Diana dice che sarà all’aperto.» Si schiarì la gola. «Bene, vogliamo metterci al lavoro?»

Greg, che ovviamente non voleva lasciar cadere così il discorso, gli posò una mano sul braccio. «Dammi retta, Travis. Se ami Diana, segui il tuo cuore. Troverai il modo di appianare le cose. Ne sono sicuro.»

Travis gli fu grato per il sostegno. Purtroppo non era sicuro quanto Greg che sarebbe riuscito a sistemare tutto.

Il primo dell’anno il cielo era di un blu intenso. L’aria era fredda e pungente. Come lo era l’atmosfera fra Travis e Diana dalla sera in cui lui l’aveva baciata per dimostrarle che era una donna piena di sensualità.

Diana era sempre di una gentilezza squisita in presenza dei bambini, ma quando si ritrovavano da soli diventava di ghiaccio. Travis aveva tentato più di una volta di parlarle, ma lei non voleva ascoltare ciò che aveva da dirle.

Lei e i gemelli avevano passato le serate a infilare perline di vetro colorate in lacci di cuoio e a cucire piccole borse di pelle che poi avevano decorato con conchiglie e piume acquistate nel negozio di artigianato locale.

In diverse occasioni Travis le aveva chiesto come impiegassero la giornata mentre lui era in studio, ma Diana si era tenuta sul vago. «Ci stiamo preparando» era stata l’invariabile risposta.

Quella mattina gli aveva fatto una strana richiesta. Rientrando dal giardino, gli aveva chiesto se poteva togliere le decorazioni dall’albero di Natale. Una volta fatto, lei e i ragazzi avevano trascinato l’abete dietro il filare di alberi del cortile. Non aveva idea di cosa ne avessero fatto, e quando lo aveva chiesto ai ragazzi, all’ora di pranzo, i loro occhi si erano accesi di eccitazione. «Vedrai» gli aveva detto Jared con fare misterioso, e poi si erano precipitati di nuovo fuori.

Il sole ora stava per tramontare e presto sarebbero arrivati i loro ospiti, ma di Diana e dei bambini non c’era traccia.

A Travis era stato assegnato il compito di preparare una cenetta da offrire agli invitati dopo la cerimonia.

Diana aveva suggerito qualcosa di semplice. Un arrosto freddo con dell’insalata, delle tartine, o qualche piatto che sarebbe stato facile scaldare quando fosse venuta l’ora di mangiare. La parte centrale della festa dovevano essere i bambini, non il cibo.

Travis aveva optato per il chili, che in quel momento sobbolliva lentamente nella pentola. In frigorifero c’era una bella insalata mista pronta per essere servita. Il pane, fresco e croccante, era già tagliato nei cestini.

Dalla finestra, vide Diana e i gemelli che emergevano dal filare di piante con una pala, un’accetta e altri attrezzi che si erano portati nel bosco.

La sua Donna di Medicina gli parve così regale mentre si inginocchiava per dire qualcosa ai bambini. La sua partenza avrebbe lasciato un vuoto incolmabile nel suo cuore.

Magari sarebbe riuscito a parlarle, prima della cerimonia, pensò Travis. Forse sarebbe riuscito a farle capire...

Ma Diana non rientrò coi gemelli. Travis la vide tornare sui suoi passi e sparire nel bosco lungo il sentiero che si erano aperti nella neve. Di lì a poco Jared e Josh entrarono in cucina.

«Ciao, papà» lo salutò Jared, le guance arrossate dall’aria tagliente. Il suo visetto brillava di anticipazione. «Non manca molto.»

Il cuore di Travis fece una capriola. Non si era ancora abituato a sentirsi chiamare papà. I ragazzi invece sembravano non avere più problemi nell’usare quel termine. «Aspettate un secondo» li chiamò mentre correvano alla porta. «Dove state andando?»

«Dobbiamo lavarci» spiegò Jared.

«E vestirci» aggiunse Josh.

«D’accordo.» Era evidente che avevano fretta e Travis non ebbe cuore di trattenerli oltre. «Se avete bisogno di una mano, fate un fischio.»

«Va bene» risposero i piccoli all’unisono, prima di sparire su per le scale.

Travis diede un’ultima mescolata al chili e spense il fornello. Poi si spostò in sala da pranzo per controllare che in tavola ci fosse tutto: piatti, posate, bicchieri, tovaglioli...

Non mancava niente.

Non passò molto che suonò il campanello. Travis sorrise divertito quando vide che gli amici erano arrivati tutti insieme. Jane, Greg e Joy, oltre a Sloan, Sophie, Sydney e Sasha. E prima che la piccola folla avesse modo di varcare la soglia, l’auto di Rachel comparve nel vialetto.

Dopo un caloroso giro di abbracci e strette di mano, Travis fece accomodare tutti quanti in salotto. Stavano ancora decidendo se era il caso o meno di togliere i cappotti, quando i gemelli entrarono nella stanza.

Al loro ingresso calò il silenzio. «Siamo pronti» annunciò Jared, gonfio d’orgoglio.

«Ma... ma credevo che avreste indossato i vostri abiti migliori» balbettò Travis, interdetto.

Josh si fece avanti timidamente. «Diana ci ha detto di mettere i nostri indumenti preferiti.» Infilò una manina sotto la giacca e si accarezzò il torace. «Non avevo mai avuto un pigiama così morbido. E nemmeno Jared. Così abbiamo deciso di metterci la giacca del pigiama invece della camicia.»

«E questo me l’hai regalato mentre ero in ospedale, ricordi?» disse Jared togliendosi il cappello da baseball.

«Ne hai portato uno anche a me» gli fece eco il fratello. «Ci piacciono da matti.»

Travis aveva le lacrime agli occhi. I suoi ragazzi erano un dono del cielo e se quelli erano i vestiti che preferivano, per lui andava bene.

«Siete perfetti» si complimentò Jane.

«Un vero schianto» disse Rachel.

Jared corse alla finestra. «È ora. Diana ha detto di uscire quando vedevamo il fumo.»

Travis e i bambini si infilarono in fretta la giacca a vento e poi, seguiti dagli invitati, scesero in giardino.

Gli alberi erano ormai spogli, ma i pini secolari, col loro verde brillante, si stagliavano contro il marrone e il bianco del paesaggio invernale. I raggi rosati del sole al tramonto illuminavano il sentiero.

«Ehi, guardate» esclamò Sophie, une delle tre figlie di Sloan. «È un fortino.»

«Ma dai, si vede lontano un miglio che è una capanna» replicò sua sorella Sasha.

«Siete due ignoranti» interloquì la terza, Sydney. «È un igloo di legno, si vede benissimo!»

Sophie fece una smorfia di disgusto. «Non sono un’ignorante. E gli igloo sono fatti di ghiaccio. Anche gli idioti lo sanno.»

Jared, che era a capo del gruppo, si voltò verso di loro. «È un wigwam. Io e mio fratello abbiamo aiutato Diana a costruirlo.»

«Non è fantastico?» chiese Josh a suo padre.

Travis non riuscì nemmeno a fare un semplice cenno di assenso. Era letteralmente senza parole. Dunque era a quello che lavoravano i ragazzi mentre lui era allo studio.

Un sorriso gli incurvò le labbra quando vide che i rami dell’albero di Natale erano stati usati per rivestire l’esterno della capanna. Evidentemente Diana non aveva voluto rovinare le preziose piante della proprietà strappandone la corteccia. Il wigwam era esattamente come lei lo aveva descritto. E pensare che i suoi progenitori vivevano in dimore come quelle, si meravigliò Travis con un brivido.

Dopo essersi scambiati un’occhiata, i bambini focalizzarono l’attenzione sull’entrata del wigwam e gridarono: «Ehi!». Jared si girò verso Travis e bisbigliò. «È il saluto.»

«O’ho» ripose Diana. «Benvenuti!»

Travis seguì i piccoli all’interno, chinando la testa mentre oltrepassava la soglia.

L’interno del wigwam era piacevolmente caldo; un piccolo fuoco era stato acceso in un buco al centro del pavimento. Spirali di fumo salivano verso l’alto e uscivano dal buco sulla sommità del tetto.

«Accomodatevi.»

Travis guardò Diana e il respiro gli si mozzò in gola. L’abito cerimoniale era di daino bianco e aveva sul davanti delle elaborate decorazioni di perline colorate. Le frange che bordavano le maniche ondeggiavano nell’aria a ogni movimento delle mani e delle braccia. I lunghi capelli corvini, lasciati sciolti, scintillavano nella calda luce del fuoco. Era stupenda. Bella da togliere il fiato.

Diana li invitò ad avanzare e quando furono entrati tutti Sloan, l’ultimo della fila, srotolò la coperta fissata sopra l’ingresso per chiudere il wigwam e conservare all’interno il calore.

«Prego, sedete» disse Diana, e tutti presero posto attorno al fuoco, sulle stuoie e sulle coperte che coprivano la nuda terra.

L’eccitazione e le anticipazioni erano palpabili. Probabilmente perché nessuno di loro sapeva cosa aspettarsi.

La voce melodiosa di Diana si levò nella capanna e tutti rivolsero lo sguardo verso di lei mentre levava le mani, a palmo aperto, in atteggiamento di preghiera.

Travis si chiese cosa pensassero gli altri della sua splendida Donna di Medicina. Ma era troppo occupato a guardarla per poter osservare le reazioni dei suoi amici.

Le parole algonchine le sgorgavano dalle labbra come oro liquido, trasmettendo agli astanti la sensazione della grande sacralità dell’evento.

Infine, Diana abbracciò con lo sguardo i convenuti e salutò ognuno con un sorriso di sincero benvenuto. «Questa sera» disse, «Jared, Josh e Travis riceveranno il loro nome Kolheek. È per noi tutti un grande onore avervi qui, e per ringraziarvi, i ragazzi hanno preparato dei regali da offrire alle signore.»

Guardò i gemelli, quindi accennò col capo alle tre figlie di Sloan.

«Molto tempo fa» cominciò Jared emozionato, «le ragazze indiane si adornavano i capelli con fili di conchiglie. In seguito le conchiglie vennero sostituite da perline di vetro colorato, che venivano usate anche come moneta di scambio ed erano chiamate...»

Ebbe un vuoto di memoria e, in preda al panico, si rivolse a Diana in cerca di aiuto, ma lei si limitò a sorridergli serenamente.

«Erano chiamate wampum» terminò per lui Josh, offrendo a Sydney un filo di perline. «Ecco, questo è per te.»

La ragazzina gongolò di piacere. «È bellissimo, grazie.»

Jared ne porse uno anche a Sasha e a Sophie, che ringraziarono a loro volta tutte contente. Subito dopo le tre sorelle si aiutarono l’un l’altro a inserire le decorazioni nei capelli.

«Anche nel passato, come ai giorni nostri, le bambine giocavano con le bambole» continuò Jared rivolto a Jane, che teneva in braccio la piccola Joy. «Così abbiamo fatto una bambolina per Joy. È di pannolenci. Gli indiani ne facevano anche di legno, ma noi non siamo capaci di intagliare.»

«È davvero splendida» commentò Jane.

Joy sgranò gli occhioni deliziata mentre prendeva la bambolina di pezza coi capelli di fili di lana.

«Per Jane e per Rachel abbiamo preparato delle borsette» seguitò Josh. Le due donne gli sorrisero e lui arrossì.

«Sono più pratiche di quelle che si comprano nei negozi» spiegò Jared. «Si legano attorno al polso, così le mani restano libere.»

Jane e Rachel furono prodighe di complimenti per i magnifici regali ricevuti.

I ragazzi tornarono al loro posto e Diana disse. «Sono stata io a realizzare i doni per Sloan e Greg, ma vi prego di ricordare che sono Travis e i gemelli a offrirveli.» Si girò e quando tornò a voltarsi verso di loro, Travis vide che aveva in mano due strisce di pelle.

«Le cinture wampum erano importanti per i Kolheek» spiegò. «Raccontavano la storia di chi le portava. Queste parlano di voi. Vi si possono aggiungere tutti i cambiamenti significativi che segnano la vita di una persona.»

Greg prese la sua con un’esclamazione di meraviglia. «È stupenda, Diana. Ti ringrazio.» Poi, indicando le figure di perline che decoravano la pelle, disse alla moglie. «Guarda, questo sono io... e qui ci siete tu e Joy.»

«Sulla mia ci sono io» mormorò Sloan a ruota. «E le mie tre meravigliose bambine...»

«Fantastico» commentò una delle gemelle.

«Ma questo simbolo cos’è, Diana?» chiese Greg.

«Rappresenta la tua professione di medico» rispose lei. «E le volute in basso simboleggiano il fumo. I Kolheek sono il Popolo Del Fumo.»

Tutti tornarono rapidamente al proprio posto, ma l’eccitazione che si avvertiva nell’aria non diminuì affatto.

«In quanto Donna di Medicina, è mio dovere conoscere a fondo un bambino per potergli dare un nome che si adatti perfettamente alla sua personalità. In genere adempio a questo compito parlando con i genitori del piccolo. Tuttavia, in questo caso, ciò mi è stato impossibile. Così ho passato molto tempo con i gemelli. Abbiamo discusso di un’infinità di cose. Spero che abbiano imparato qualcosa da me, proprio come io ho imparato da loro.»

Allungato il braccio, tese la mano a Jared che si alzò e andò a mettersi in piedi davanti a lei. «Sarai chiamato Gans Xewulon kwan» annunciò, «che significa Ali Ruggenti. La tua mente è veloce. Le tue capacità di comunicare, sorprendenti. Ti ho osservato correre e giocare con abbandono. Volerai alto e otterrai molti successi nella vita.»

Poi fu il turno di Josh. «Tu sarai chiamato Kulamapuw Ox cho. Montagna Quieta. La montagna è una sorella leale, un punto fermo su cui si può fare affidamento. Offre rifugio e cibo. E la sua età millenaria è garanzia di saggezza. Anche tu, Josh, avrai successo nella vita.»

Travis aveva la gola chiusa dalla commozione. Non avrebbe mai potuto ripagare Diana per l’orgoglio che aveva instillato nei bambini, per i ricordi che stava donando loro.

Diana chiese ai piccoli di voltarsi verso il fuoco. Gli occhi di tutti erano fissi su loro tre. «Questi bambini avranno bisogno di amore e di guida per diventare adulti forti e responsabili. Vi chiedo di garantire loro l’affetto di cui hanno bisogno per sviluppare un profondo senso di sicurezza, e la guida che è loro indispensabile per diventare uomini di valore.»

Un mormorio di assenso si levò tra gli invitati. Poi Diana tacque e nel wigwam calò nuovamente un silenzio pieno di aspettativa.

Chiudendo gli occhi, Diana sospirò. Quindi si alzò, andò a sistemarsi dietro Travis, e gli mise le mani sulle spalle. «Per Travis ho scelto il nome Xing wee E lah. Grande Guerriero.»

Travis sussultò. Era certo che lei se ne fosse accorta, ma non poteva vedere il suo viso, quindi non aveva idea di quale fosse la sua espressione. Per quale ragione avrebbe scelto quel nome se non perché aveva cambiato idea?, si chiese. Se non perché aveva capito che erano fatti l’uno per l’altro, che lui era il suo Grande Guerriero...?

«Solo il più grande dei guerrieri sarebbe accorso in aiuto di due piccoli ammalati» continuò Diana in tono tranquillo. «Solo il più grande dei guerrieri avrebbe fatto ciò che Travis ha fatto per Jared e Josh. Salvandoli quando erano perduti. Prendendoli con sé. Amandoli. Provvedendo alle loro necessità. Quando non avevano nessun altro.»

A ogni parola, la delusione di Travis si faceva più bruciante. Aveva pensato che il nome che Diana gli aveva dato avesse a che fare con i sentimenti che nutriva per lui. Con quello che provavano l’uno per l’altro. Ma a quel punto era chiaro che non era per quello che lo aveva scelto.

Travis era fiero del suo nome Kolheek. E lo riempiva d’orgoglio che lo vedessero come il salvatore dei gemelli. Ma era una cosa reciproca. Quei ragazzi avevano salvato lui. Avevano portato luce e calore nella sua esistenza buia e solitaria. Avevano dato un senso alla sua vita. E per questo sarebbe stato sempre grato al Signore. Amava i suoi ragazzi. Li amava moltissimo.

«So che tutti voi volete bene a Travis» disse Diana al gruppetto degli invitati. «Durante il mio soggiorno a Philadelphia ho potuto constatare che vi lega una profonda amicizia. Tutto ciò che vi chiedo è di continuare a stargli vicino. Di continuare a volergli bene. Di continuare a essere suoi amici.»

L’emozione aveva raggiunto picchi sorprendenti. Le donne avevano gli occhi umidi di commozione e anche gli uomini sembravano toccati dalle belle parole di Diana.

Travis aveva un nodo in gola. Era sopraffatto dall’orgoglio e dall’amore che provava per i gemelli. Così come dall’affetto per gli amici, dalla felicità che gli dava averli intorno.

Ma nel suo cuore c’era anche una profonda tristezza, perché presto avrebbe perduto la donna della sua vita.

Dalla finestra del soggiorno, Diana guardava la notte buia. Il cielo si era rannuvolato e i primi fiocchi di neve avevano cominciato a cadere.

Gli ospiti se n’erano andati, i bambini dormivano e la casa era immersa nel silenzio. Diana non aveva idea di dove fosse Travis, ma era sicura che non era a letto. Sapeva che voleva parlarle. Lo aveva capito dagli sguardi intensi che le aveva indirizzato mentre erano a tavola.

Gli aveva detto la verità, ma le era costato moltissimo. Non voleva che lui sapesse che non era una donna completa. Era inevitabile comunque, che il suo problema venisse alla luce. Travis continuava a ripeterle che erano fatti l’uno per l’altro, che erano anime gemelle...

Ma non aveva importanza se lui ora sapeva, si disse. Presto sarebbe partita e non lo avrebbe mai più rivisto. Quel pensiero le fece salire le lacrime agli occhi.

«Diana.»

Lei chiuse gli occhi. Era venuto il momento. Doveva affrontarlo.

«Ti prego, non essere in collera con me» le disse dolcemente. «Non avrei dovuto baciarti in quel modo. Non avrei dovuto ricorrere a quell’espediente per convincerti che...»

Le parole gli morirono sulle labbra. Era evidente che soffriva. Tuttavia lei non poteva farci nulla. Così come non poteva far nulla per attenuare il dolore che la dilaniava. «Non sono più arrabbiata» gli disse. «Capisco che le tue intenzioni erano buone. Ora lo so.»

«Però non vuoi ammettere che siamo anime gemelle, vero?»

Lei sospirò e si volse a guardarlo. «Ti dirò la verità, Travis. Credo anch’io che siamo fatti l’uno per l’altro... ma partirò lo stesso.»

«Perché?»

Le posò le mani sulle spalle e Diana sentì le lacrime scorrerle sul viso. Odiava vederlo soffrire. E ancor più intollerabile era la consapevolezza di essere stata lei a ridurlo in quello stato. «Ho delle prove inconfutabili della mia...condizione.»

«Delle prove? Ma di cosa stai parlando?»

Diana trasse un tremulo sospiro. «Tutti quei mesi in cui sono stata sposata. Non ho mai...non ho mai avuto...»

«Un orgasmo?» le venne in aiuto Travis. «Non hai mai provato piacere?»

Senza osare incontrare il suo sguardo, lei annuì. «Se restassi... se ci mettessimo insieme... la nostra relazione andrebbe a rotoli molto prima di quanto immagini. Per un uomo è difficile convivere con la frustrazione. Lo so. Ci sono passata.» Si costrinse a guardarlo in viso e aggiunse: «Non sopporterei di vedere che mi guardi con rabbia, o con disprezzo. Per questo me ne vado. Domani.»

Schiacciata dal peso del suo dolore, Diana lasciò la stanza senza una sola parola di più.

Ore più tardi, si rigirava ancora nel letto, troppo disperata per riuscire a prender sonno.

Cosa avrebbe detto la nonna? si domandava. Come avrebbe reagito vedendola tornare alla riserva col cuore a pezzi? Per la seconda volta?

Fu allora che le tornarono in mente le sue enigmatiche parole di commiato: Vedremo cosa ha in serbo il destino.

Diana si drizzò a sedere di scatto. Possibile che la nonna sapesse? Che avesse previsto che si sarebbe innamorata di Travis?

Quando sentì bussare alla porta, diede un’occhiata all’orologio. Le due.

L’ultima cosa che voleva era un’ennesima discussione sulle sue disfunzioni sessuali. Si tirò la coperta sulla testa e pregò che Travis se ne andasse. Passò qualche minuto senza che ci fossero altri colpetti alla porta. Perché mai Travis avrebbe dovuto starsene lì in silenzio?

Spinta dalla curiosità, scese dal letto e andò ad aprire. In corridoio non c’era nessuno, ma Travis le aveva lasciato un messaggio: Vediamoci al wigwam.

Oh, Signore, voleva costringerla a respingerlo di nuovo. Diana si infilò gli scarponi, li allacciò con cura, quindi tirò via la coperta dal letto e se la buttò sulle spalle. Non ci sarebbe voluto molto, dunque perché perdere tempo a vestirsi?

Aveva smesso di nevicare e una pallida luna illuminava il sentiero candido. Diana tremava per il freddo, ma non tornò indietro. Una volta al wigwam, alzò la coperta che copriva l’ingresso, piegò la testa ed entrò.

«Travis...»

La capanna era vuota, ma c’era il fuoco acceso e le fiamme diffondevano tutt’intorno un piacevole calore. Diana lasciò cadere a terra la coperta. Dov’era Travis?

Un istante più tardi, le dolci note di un flauto ruppero il silenzio della notte. Travis le stava facendo una serenata! L’idea era così romantica che le strappò un sorriso. Quell’uomo era impossibile. Non si dava per vinto...

Senza nemmeno rendersene conto, Diana si sedette sulla stuoia a gambe incrociate e ascoltò la semplice melodia. Con quelle note Travis le stava dicendo che la voleva nonostante il suo problema. Che l’amava tanto da accettarla così com’era...

Il cuore le si gonfiò d’amore.

La serenata finì e il bel volto di lui comparve sulla soglia. «D’accordo» disse, «non ho un gran talento musicale.»

Nonostante la tragicità della situazione, Diana scoppiò a ridere.

Travis entrò e scivolò al suo fianco. «Questo è il suono più bello che abbia mai sentito. Persino più bello di quello del flauto. Quando non sono io a suonarlo, s’intende.»

«Sei uno sciocco» ribatté lei con un dolce sorriso.

«Ma mi ami» bisbigliò Travis. «Dillo. Voglio sentirtelo dire.»

«Oh, Travis.» Diana cercò di distogliere lo sguardo, ma lui le prese il viso tra le mani. «Sì» ammise. «Ti amo. Ma...»

«Niente ma. Fidati di me.»

«Sono pronta a farlo, ma...»

«Di nuovo quell’antipatica parolina» la redarguì lui, gli occhi che scintillavano ardenti. «Cosa ti ho detto un secondo fa?» Poi la baciò. Con passione travolgente.

«Lo sai quanto sono felice?» le sussurrò a fior di labbra. «Quanto mi onora sapere che sarò il primo...che il tuo primo orgasmo lo avrai con me?»

«Ma come fai a esserne così sicuro...?»

Travis scosse piano il capo. «Basta coi ma, d’accordo?» Le tracciò una scia di baci infuocati sulla gola, sul collo. Poi si scostò leggermente da lei, senza tuttavia smettere di accarezzarla. «Diana, il tuo ex marito era un idiota. Uno stupido egoista che non si è mai curato della tua felicità. Non ha neppure tentato di darti piacere. Lo so. Lo sento.»

Le diede un altro bacio, appena sopra il seno, e Diana non riuscì a trattenere un gemito. Un calore sconosciuto le serpeggiava nelle vene. Non aveva mai provato nulla del genere.

«Ora» continuò Travis tra un bacio e l’altro, «la prima preoccupazione di un uomo innamorato è soddisfare l’amata.»

«La prima...» ansimò lei travolta da un vortice di sensazioni meravigliose, «preoccupazione...»

Travis la baciò e la accarezzò, dappertutto... fino a farle perdere la ragione. Diana voleva fidarsi di lui. Voleva che Travis fosse il suo uomo. Il suo cavaliere dalla bianca armatura. Il suo Grande Guerriero. Voleva che le desse piacere in tutti i modi possibili.

E lui lo fece.

Lì.

Quella notte.

Ore più tardi, giacquero in languido abbandono, uno nelle braccia dell’altro. «Dovremmo rientrare» mormorò Travis. «I ragazzi potrebbero svegliarsi.»

Diana annuì, ma lo trattenne quando fece per alzarsi.

«Devo dirti una cosa.»

«Di che si tratta?»

«Sento il bisogno di essere onesta con te» rispose lei, rossa. «Riguardo al nome.»

«Il mio nome Kolheek?»

«Sì. Quello che hai fatto per i gemelli è meraviglioso, però ho scelto quel nome perché...» Gli posò il palmo della mano sulla guancia in un gesto pieno d’amore, «perché hai conquistato il mio cuore. Perché hai vinto una battaglia che nessun altro poteva vincere.»

Gli aveva accordato la sua fiducia.

E in lui aveva trovato un amante. Un amico. Un uomo che, ne era sicura, l’avrebbe resa felice. In Travis aveva trovato il suo Grande Guerriero.