C’era qualcosa di strano nell’aria. Le ragazze si stavano comportando in modo... sospetto. Sembravano discutere tra loro, pensò Rachel, ma non alzavano mai la voce, sempre mantenuta sui livelli di un bisbiglio indistinto. E questa sorta di piccola battaglia aveva luogo solo quando entravano nei camerini per provare qualcosa.
Ogni volta che lei interveniva per dare suggerimenti o esprimere commenti su questo o quel capo di abbigliamento, tutt’e tre le sorridevano con espressione innocente e buttavano lì qualche osservazione che induceva a pensare che fossero al settimo cielo per la felicità.
Sì, c’era qualcosa di decisamente strano nel loro comportamento.
Nel reparto abiti, quando Rachel aveva raggiunto le gemelle con un vestitino da far provare a Sophie, aveva sentito quest’ultima che sbottava con la sorella Sydney: «Non mi lascerò rovinare la serata!».
Al che Sydney aveva replicato: «Ma è stata un’idea tua!».
Rachel non era riuscita a immaginare cos’avrebbe potuto rovinare il loro shopping serale, ma non aveva avuto modo di sentire altro. Sasha era infatti arrivata di corsa alle sue spalle e aveva praticamente gridato il suo nome complimentandosi subito dopo, con eccessivo entusiasmo, per l’abito che lei aveva scelto per Sophie.
Per fortuna, qualunque tensione ci fosse stata tra le ragazze andò via via smorzandosi per poi dissolversi del tutto. Dopo due ore e mezza al centro commerciale, le gemelle avevano trovato tutto quanto occorreva loro per la festa.
«I saldi del dopo Natale sono fantastici» disse Rachel sorridendo. «Vostro padre sarà contentissimo quando saprà quanto abbiamo risparmiato. Bene, che ne dite di fermarci a prendere un gelato prima di tornare a casa?»
Le ragazze non ebbero neppure un attimo di indecisione.
Una volta sedute con una gran coppa davanti, Sydney buttò lì: «Rachel, verresti alla festa con noi?».
Sorpresa, Rachel rimase con il cucchiaino a mezz’aria.
«Non come invitata, ma come chaperon» precisò Sasha.
«Oh, capisco.»
Le parve di scorgere una punta di esitazione negli occhi di Sophie. Ma quando la guardò più attentamente, notò che il volto della ragazzina era illuminato da un sorriso, anche se a labbra strette.
«La mamma di Debbie la scorsa settimana ha chiesto se qualcuno dei genitori possa venire a dare una mano, ma noi... Ecco, non vorremmo...»
«È chiarissimo, Sophie.» Rachel sorrise con indulgenza. «A dodici anni la supervisione degli adulti non è molto gradita.» Si mise in bocca un po’ di gelato e lo assaporò lentamente.
Dopo avere deglutito continuò: «Ma non pensate che dovreste parlarne con vostro padre? Potrebbe restarci male se non gli date la possibilità di venire». E in fretta aggiunse: «Come chaperon, s’intende».
Le ragazze si scambiarono un’occhiata e Rachel ebbe la netta sensazione che stessero comunicando per via telepatica. Era ridicolo, naturalmente, ma non era la prima volta che le capitava di notarlo.
«Verresti?» chiese infine Sydney. Ed evitando il suo sguardo aggiunse: «Se per papà va bene».
Lei fissò la coppa muovendo il cucchiaino nella panna montata e giocherellando con le ciliegine, mentre si dibatteva tra le improvvise emozioni di cui era caduta preda. Aveva il cuore gonfio di calore e gli occhi colmi di lacrime. L’amore che provava per quelle ragazzine a volte la sopraffaceva. Eccole lì, a prepararsi per la loro prima festa importante, con una di loro forse in procinto di sperimentare il primo bacio, e chiedevano a lei di prendere parte a quella serata speciale.
Venne bombardata dai ricordi. Si rivide in piedi accanto al letto d’ospedale in cui giaceva la sua migliore amica, mentre prometteva a Olivia che avrebbe badato alle ragazze. Che avrebbe aiutato Sloan e avrebbe fatto tutto il possibile perché crescessero bene e diventassero donne responsabili, sicure di sé, felici.
Olivia non c’era a presenziare alla prima festa delle gemelle. Non poteva prendere foto di loro tre in abito da sera. Non poteva dare consigli sui ragazzi o comprare alle figlie abiti eleganti o far loro da accompagnatrice.
Perciò lo avrebbe fatto lei.
«Cosa c’è?» domandò Sophie, la fronte leggermente corrugata.
«Perché sei così turbata?» disse Sasha posando il cucchiaino e guardando Rachel preoccupata.
«Non è niente» assicurò lei. «Stavo solo pensando...»
Non terminò la frase. Non voleva riportare a galla tristi ricordi che di certo avrebbero fatto sentire alle ragazze il peso della loro grave perdita. No, quello doveva essere un momento di spensieratezza, di gioia.
«Stavo pensando a quanto mi ha fatto piacere che mi abbiate chiesto di accompagnarvi alla festa» riprese dopo qualche istante sorridendo. «Lo farò volentieri.»
«Splendido!» esclamò Sasha. «Così forse papà ci permetterà di stare fuori oltre la mezzanotte e mezza!»
Dunque era per via del coprifuoco che l’avevano invitata, pensò Rachel. Ma non le importava e non si sentiva offesa. Guardò le gemelle l’una dopo l’altra. Non avevano idea di quanto profondo fosse il suo amore per loro, ne era sicura. Poteva non essere la loro madre, poteva non avere dato loro la luce, ma le amava come fossero sue. Come qualunque madre amava la sua creatura.
Raccogliendo un’altra cucchiaiata di gelato disse: «Non posso promettervi che avrete il permesso di star fuori di più, ma verrò con voi alla festa».
Sydney, Sophie e Sasha apparivano soddisfatte. Fin troppo soddisfatte.
Sloan si guardò allo specchio e raddrizzò la cravatta. Provava sentimenti contrastanti sulla festa cui stava per andare con le figlie. Da una parte era al settimo cielo perché le ragazze gli avevano chiesto di accompagnarle. Dall’altra però non poteva certo dirsi impaziente di partecipare. Le ragazze avrebbero riso e chiacchierato, come avrebbe fatto qualunque loro coetanea. Ma avrebbero interagito anche con gli amici. Con i ragazzi. E quel l’idea non gli piaceva troppo.
Non era uno stupido, sapeva che le sue piccoline dovevano crescere. Ma doveva proprio essere adesso? Non potevano aspettare ancora un po’? Tipo una dozzina d’anni o giù di lì? Forse per allora sarebbe stato pronto. Per il momento, invece, non lo era affatto.
Un altro pensiero s’insinuò nella sua mente. Sarebbe mai stato pronto a vedere le sue piccine diventare donne? Ne dubitava seriamente.
Le ragazze avevano solo dodici anni, considerò per l’ennesima volta. Erano troppo giovani per andare a delle feste che si sarebbero protratte ben oltre il loro normale orario di rientro. Erano troppo giovani per ballare con i ragazzi.
Per baciarli...
Scacciò quel pensiero con decisione. Non voleva lasciarsi prendere dal panico e dall’ansia.
Se si fosse soffermato troppo su quelle inquietanti riflessioni, avrebbe finito per costringere le ragazze a festeggiare il Capodanno a casa. E sapeva che non glielo avrebbero mai perdonato.
Mai.
Del resto, considerò, non aveva realmente di che preoccuparsi. Sarebbe stato lì a sorvegliare la situazione. E quando si trattava delle sue figlie, aveva l’occhio di un falco.
Il campanello suonò e Sloan borbottò tra i denti. Probabilmente le gemelle avevano offerto un passaggio a un’amica e si erano scordate di avvertirlo.
«Ragazze!» chiamò dal pianerottolo. «Scendo ad aprire. Però fareste meglio a sbrigarvi. È ora di andare.»
Dalle camere giunse uno scalpiccio concitato e qualche gridolino di eccitazione mista a nervosismo. Sloan imboccò sorridendo le scale.
Le sue figlie potevano avere ore per prepararsi, ma riuscivano sempre a non farsele bastare.
Stava ancora ridacchiando quando aprì la porta. Alla vista che gli si parò davanti, il sorriso gli si congelò sulle labbra.
Era... Era... I29
Rachel gli rivolse un sorriso di saluto, entrò, chiuse la porta e lasciò scivolare dalle spalle la giacca dell’abito.
Sloan non riusciva a pensare coerentemente. Diavolo, non riusciva a pensare per nulla. Era come se il suo cervello fosse andato in corto circuito. Trasse un gran respiro. Si costrinse a deglutire e sbatté le palpebre una, due volte.
Rachel era splendida.
I capelli rossi, in genere legati da un fermaglio o da una banda elastica, erano sciolti sulle spalle. Le davano un’aria sensuale e molto, molto femminile. La pelle normalmente pallida riluceva perlacea contro lo sfondo di quella chioma fiammeggiante e pareva più bella, più delicata.
In studio, Rachel era una donna qualsiasi. Quella sera però aveva fatto qualcosa per mettere in risalto gli occhi castani. Infatti non si era mai accorto che le iridi fossero spruzzate di un caldo colore dorato che ricordava il miele. E la bocca. La curva delle labbra era... perfetta. Il rossetto leggero ne accentuava la pienezza. Il solo guardare quella bocca faceva venire voglia di baciarla.
A quel pensiero sentì prosciugarsi la saliva. Avrebbe dovuto vergognarsi di se stesso, lo sapeva. Ma la sua mente era troppo impegnata in altre cose per avere il tempo di muovergli rimproveri.
L’abito nero era decorato da strisce d’argento. La stoffa aderiva al corpo snello seguendone i contorni. Sloan percorse con lo sguardo la morbida curva del seno, la vita sottile, i fianchi rotondi.
Una clessidra. Rachel era una soffice, voluttuosa clessidra.
Quell’idea gli si piantò in gola come un boccone andato per traverso e lui cominciò a tossire furiosamente.
Rachel gli batté dei colpetti sulle spalle. «Stai bene?» chiese seguendolo mentre si ritirava in salotto.
La verità era che Sloan stava cercando di scappare. Da cosa, non ne aveva idea.
Ma lei gli rimase alle costole, gli tenne dietro con quelle sue gambe lunghe e affusolate fasciate nelle calze nere. Alzò con grazia un braccio dalla carnagione lattea e con la piccola mano riprese a battergli dei colpetti sulla schiena.
Non hai freddo?, avrebbe voluto domandarle. Non lo sai che è inverno? Dov’erano le maniche di quel vestito? Non l’aveva mai vista mostrare così tanta pelle.
Lavorava con lei tutti i giorni. Tuttavia era politica dello studio che gli impiegati indossassero camici colorati sopra gli abiti. Infermiere e personale ne avevano di diversi per ogni giorno della settimana. Lui non aveva mai realizzato quanto fossero informi quelle divise. Prima di quel momento, non aveva mai realizzato che Rachel... aveva un corpo.
Be’, ovviamente lo sapeva che aveva un corpo. Per amor del cielo, lui era un medico. Ma non si era mai reso conto di che corpo avesse.
Oh, Signore!
Datti una regolata, ordinò a se stesso.
Dio onnipotente, ma cosa gli stava succedendo? Doveva semplicemente prendere le distanze. Tutto qui. Si aspettava di aprire la porta a una delle amiche delle gemelle, non si sognava neppure di trovarsi davanti Rachel. La sua improvvisa comparsa lo aveva sorpreso.
Sorpreso? Lo aveva sconvolto al punto da ridurlo a un essere incapace di pensare razionalmente, questa era la realtà.
«Sto bene» dichiarò. «Non è nulla.»
Rachel si fermò, ma lui continuò a camminare per mettere qualche passo di distanza tra loro.
Una volta raggiunto il divano, si fermò a sua volta per prendere il respiro e raccogliere le idee.
Solo allora si decise a voltarsi a fronteggiarla.
«Sei sicuro che vada tutto bene?» indagò lei.
La preoccupazione che lesse nei magnifici occhi dorati lo turbò profondamente. In genere l’interesse di Rachel era focalizzato sulle gemelle. Era la loro madrina e si era sempre curata di loro, specie dopo la morte di Olivia. Ma negli ultimi tempi, il suo attaccamento alla famiglia si era fatto più intenso che mai.
No, rispose Sloan silenziosamente. Non sono per niente sicuro di stare bene.
Tuttavia ribadì: «Certo, sto benissimo. Mi è andata la saliva di traverso, tutto qui».
Mentre parlava, dovette lottare con se stesso per mantenere lo sguardo sul volto di lei. Avrebbe desiderato invece guardare il suo corpo, quelle splendide gambe tentatrici. A un certo punto, negli ultimi secondi, il suo subconscio doveva avere registrato che l’orlo dell’abito arrivava a metà coscia. Il bisogno di fissare quelle gambe, di mangiarle con gli occhi, era travolgente. Non riusciva a capire cosa gli stesse accadendo.
Rachel era davvero incantevole. Averlo notato e non fare apprezzamenti sarebbe suonato piuttosto insolito. Perciò, assestando distrattamente il risvolto della giacca, buttò lì: «Sei... sei magnifica».
«Anche tu.»
Per la prima volta Sloan si avvide che Rachel era vagamente confusa.
Tuttavia era troppo preso dall’effetto che la sua improvvisa apparizione aveva avuto su di lui per chiedersi cosa la stesse turbando.
«Ovviamente hai dei progetti per stasera.» Non appena pronunciate quelle parole, Sloan sperimentò una sensazione curiosa. Era come se gli si fosse piantato sul petto un blocco di cemento.
«Vado alla festa con le ragazze» spiegò Rachel. «Mi hanno chiesto se potessi dare una mano alla mamma di Debbie e io ho acconsentito. Sono venuta a prenderle. Sono pronte?» Poi inclinò leggermente il capo. «Non te l’avevano detto?»
Non appena registrato che Rachel sarebbe stata alla festa con loro, la bizzarra pesantezza evaporò, sostituita da una buffa e inspiegabile leggerezza quasi gioiosa. Anche di questa sensazione Sloan non riuscì a comprendere l’origine.
Cosa c’era che non andava nel suo sistema nervoso? Che gli stesse venendo l’influenza?
«No» replicò, preoccupato dalle emozioni che gli si agitavano dentro. «Le ragazze non mi hanno detto nulla.»
Chissà perché?, si chiese sconcertato.
Ragazzi. Sarebbero mai divenuti responsabili delle loro azioni?
«An... anche tu sembri avere progetti per la serata» balbettò Rachel, di colpo esitante. «Esci?»
Sloan ridacchiò annuendo con fare ironico. «Vengo anch’io alla festa.»
La luminosità che aveva poc’anzi notato in Rachel parve dissolversi. «Vieni anche tu?» ripeté incerta.
«Proprio» confermò Sloan dolcemente. «Me lo hanno chiesto oggi. Immagino che ci sia stata una sorta di confusione nei messaggi.»
«Ma erano insieme quando...» Rachel scosse piano il capo decidendo infine, evidentemente, di lasciar perdere. «Non importa» terminò infatti.
Un pensiero improvviso parve colpirlo. «Senti, dal momento che ci vado io con loro... non è indispensabile che ti disturbi...»
«Ma, papà!»
«Vogliamo che venga anche lei.»
«Deve venire, papà. La mamma di Debbie conta sul suo aiuto.»
Sloan si voltò verso le figlie, ferme ai piedi della scala. La prima cosa che notò fu la loro espressione. Definirla sospetta sarebbe stato troppo? Cosa diavolo avevano in mente?
Prima di poter dare alla domanda l’attenzione che meritava, si avvide del loro abbigliamento. Le sue piccole erano bellissime con quegli abiti eleganti. Sembravano più grandi. I lunghi capelli castani scintillavano lucenti, i visetti erano luminosi, gli occhi splendenti. Erano così incantevoli che ogni altro pensiero abbandonò la sua mente mentre il cuore gli si gonfiava d’amore.
La musica era a livelli assordanti e Sloan si era piazzato in fondo alla sala del banchetto per preservare l’udito. Era ancora sbalordito dalle elaborate decorazioni che la signora Fox, la madre di Debbie, aveva usato per addobbare il salone.
Ovunque c’erano palloncini colorati, stelle filanti e festoni. Sulle tovaglie erano stati spruzzati coriandoli luccicanti. Una tavolata stracolma di leccornie e beveraggi occupava un lato intero della sala.
L’area discoteca era illuminata da luci stroboscopiche e raggi laser e a occuparsi della musica era proprio un disc jockey, un vero professionista.
Indubbiamente la signora Fox aveva speso parecchio per quella festa.
Sloan era sbalordito dal numero di ragazzini che circolavano in giro. Un gruppetto gli passò accanto senza nemmeno rivolgergli un’occhiata, figurarsi un saluto. Erano persi in un mondo tutto loro, considerò. Un mondo che non includeva la presenza di chaperon. Ridacchiò tra sé a quel pensiero. Si sentiva... strano. E non riusciva ad afferrarne il motivo.
Leggero. Spensierato. Quasi euforico. La musica era forte, d’accordo, e di un genere che non era certo il suo preferito, ma più di una volta si era ritrovato a battere il piede a ritmo.
Tuttavia, oltre a quella strana sensazione di euforia avvertiva anche un senso di premonizione. Non poteva smettere di pensare che stava per succedere qualcosa. Gli capitava di frequente e il più delle volte non passava molto che dal servizio segreteria riceveva un messaggio da un paziente che aveva bisogno di lui. Sarebbe stato tremendo se avesse dovuto lasciare le figlie proprio quella sera. Per fortuna, se se ne fosse presentata la necessità, sarebbe rimasta Rachel con loro.
Sì, c’era qualcosa di strano nell’aria. Di questo era sicuro. E aveva la sensazione che quel qualcosa avesse a che fare appunto con Rachel.
Il pensiero di lei lo indusse a perlustrare la sala con lo sguardo. Non gli ci volle molto per individuarla in mezzo alla folla.
A dirla tutta, era come se il suo subconscio non l’avesse persa di vista da quando erano arrivati.
Come al solito, Rachel si era data subito da fare dimostrandosi un valido aiuto per la signora Fox. Rideva con i ragazzi, che non sembravano ignorarla come facevano con lui. Aveva persino trascinato alcune coppie a ballare quando si era resa conto che nessuno si decideva a lanciarsi nel vortice delle danze. Si era ritrovato a sopprimere un sorriso mentre la osservava ballare, le spalle che scintillavano sotto le luci, il fondoschiena che ondeggiava al ritmo della musica. A sopprimere un sorriso e ad allentarsi il colletto della camicia.
Persino ora, mentre ci pensava, si era messo a battere con un piede per terra, un sorrisetto sulle labbra. Poteva quasi sentire la pressione che si alzava, anche se Rachel non stava più ballando, ma era intenta a riempire bicchieri di coca cola per un gruppetto di adolescenti assetati.
Signore, era davvero bella.
«Dottor Radcliff...»
Sloan trasalì accorgendosi solo in quell’attimo di quanto fosse preso a osservare Rachel. «Signora Fox» rispose salutando la donna con un cenno.
«Ti prego, chiamami Virginia. Le nostre figlie sono amiche da troppo tempo ed è ridicolo che noi restiamo così formali.»
Lui sorrise. «D’accordo, Virginia. Tu chiamami Sloan.»
«Con vero piacere.»
L’inatteso timbro sensuale assunto dalla voce di lei lo bloccò per un istante.
Poi lui disse: «Hai organizzato una gran festa. I ragazzi si stanno divertendo parecchio».
«Lo pensi davvero?» domandò lei, gli occhi azzurri appena velati da un’ombra di apprensione.
Sloan annuì a conferma delle sue parole.
«Ti ho raggiunto qui...» Virginia gli fece scivolare una mano sul braccio e lui dovette lottare contro l’impulso di ritrarsi. «... per ringraziarti di essere venuto ad aiutarmi.»
Il suo sorriso era così caldo che avrebbe potuto sciogliere l’asfalto.
Sloan era disorientato.
Virginia Fox lo aveva colto del tutto alla sprovvista. Gli venne da pensare che fosse una sorta di cacciatrice amazzone e che lui fosse la preda. Non gli era mai capitato di trovarsi in una situazione simile. Quella era la prima volta.
Virginia gettò uno sguardo oltre le spalle, quindi si voltò nuovamente verso di lui bisbigliando: «Dopo la festa ti andrebbe di andare a bere qualcosa?».
Sloan fece fatica a controllare lo sbigottimento. «Non sarà troppo tardi?» La domanda gli uscì di bocca prima che potesse pensare a qualcos’altro. «Inoltre le mie ragazze avranno bisogno di me... Dovrò riaccompagnarle...» Era esterrefatto dall’invito. Avevano entrambi dei figli di cui occuparsi. Come poteva pensare che lasciasse le gemelle da sole nel cuore della notte?
Virginia liquidò con un gesto le sue scuse pietose.
«Puoi chiedere alla tua segretaria, come si chiama? Rachel?, di occuparsi di loro.» Volse lo sguardo intorno. «Sembra simpatica. E competente.» La voce scese di un’ottava mentre aggiungeva: «Se ti piace il tipo appariscente, certo».
Rachel appariscente?
Sloan fu sul punto di scoppiare a ridere. La capigliatura di Rachel quella sera era un tantino selvaggia, certo, ma lei aveva tutto il diritto di lasciar sciolti i capelli di tanto in tanto, no?
Quanto al vestito nero e argento e al corpo che vi stava sotto... Be’, non gli sarebbe spiaciuto per nulla stringersi a quelle curve voluttuose.
Stava perdendo il controllo, pensò. Quelle fantasie su Rachel diventavano più curiose e incontenibili via via che la serata trascorreva.
La mano di Virginia risalì lungo il suo braccio lentamente.
«Andiamo» sussurrò. «Sarà divertente bere qualcosa insieme.»
Aveva incontrato la madre di Debbie qualche volta all’uscita di scuola, ma lei non gli aveva mai fatto avance così palesi. Non voleva ferire i suoi sentimenti, tuttavia non era interessato a...
«Ciao, papà.»
Sloan non era mai stato così felice di vedere qualcuno come lo fu quando vide Sophie. Rachel era con lei e Sloan ne approfittò per liberarsi dalle grinfie di Virginia.
«Ciao, tesoro» salutò con dolcezza. «Ti stai divertendo?»
«Sì.» Sophie puntò gli occhi addosso a Virginia che, visibilmente delusa, si scostò da lui. «Grazie per la bella festa, signora Fox.»
«Di nulla. Chi sei delle tre?» La donna fece una risatina nervosa mentre si girava verso Sloan. «Le tue figlie sono così simili che non riesco mai a distinguerle.»
«Sono Sophie» precisò la ragazzina.
La mente altrove, Virginia la ignorò e, stampatasi un sorriso sulle labbra, commentò senza troppo entusiasmo.
«Oh, Raquel ha portato del punch. Che carina.»
«Si chiama Rachel» la corresse Sophie. «E il punch è per papà.»
Rachel rivolse un sorriso di scusa alla donna. «Tua figlia pensava che potessi avere sete» spiegò porgendo il bicchiere a Sloan.
Dopo qualche manovra di Sophie, Sloan si ritrovò vicino a Rachel, che osservò: «C’è spazio in abbondanza. Non c’è bisogno che ci affolliamo attorno a tuo padre».
Lui fissava il contenuto del bicchiere, troppo preso dalla stranezza della situazione per avere voglia di bere.
Poi Sophie buttò lì: «Papà, avevi in mente di ballare stasera?».
Lui le sorrise.
«È un invito?»
«Santo cielo, no!» proruppe sua figlia inorridita. «Diventerei lo zimbello della festa se ballassi con mio padre. Bobby mi sta aspettando.» Un largo sorriso le distese le labbra. «Pensavo che forse ti farebbe piacere ballare con Rachel.»
Che idea grandiosa! Sloan l’avrebbe abbracciata per avergli dato sia la scusa di sfuggire a Virginia sia la giustificazione perfetta per tenere Rachel tra le braccia.
E quest’ultima cosa, riconobbe, era ciò che lui desiderava fare sin da quando se l’era trovata sulla porta di casa, bella da mozzare il respiro.
«Grazie per il suggerimento, tesoro!» Poi aggiunse scherzoso: «Ma agli accompagnatori è permesso ballare? Non vorrei metterti in imbarazzo».
«Non ci sono problemi, se non ti metti a fare lo stupido» fu la sorridente, ma decisa replica di Sophie.
Lui ridacchiò.
«Prometto di controllarmi.» Quindi si girò verso Rachel. «Ti va di ballare?»
I begli occhi castano dorato si riempirono di meraviglia e Rachel annuì sorridendo contenta.
Sloan passò il bicchiere a Virginia.
«Ecco, tieni. Bevilo tu.»
E lasciata la bionda a fissare sbalordita il bicchiere, guidò Rachel verso la pista da ballo.