Nei due anni passati da genitore single, a Sloan non era mai successo di ritrovarsi con i gomiti nella farina.
Quel pomeriggio aveva lasciato presto l’ufficio ed era passato a scuola a prendere Sydney per portarla dal dentista.
Sulla via del ritorno a casa la figlia gli aveva ricordato che il giorno seguente ci sarebbe stata la fiera invernale della scuola, un evento concepito per raccogliere fondi da impiegare nell’acquisto di nuovi libri per la biblioteca scolastica.
«Devo portare sei dozzine di biscotti al cioccolato per il banchetto delle specialità culinarie» aveva annunciato.
Di primo acchito Sloan avrebbe voluto rimproverarla per avere aspettato l’ultimo momento a dirglielo. Tuttavia aveva cercato di essere comprensivo, si era imposto di mantenere la calma e le aveva assicurato che non avrebbero avuto difficoltà a risolvere il problema.
Visto che era troppo tardi per ordinare i biscotti in pasticceria, avevano fatto un salto al supermercato e avevano comprato farina, zucchero, vani glia, burro, uova e cioccolato. Si era detto che sarebbe stata una bazzecola preparare in casa qualche biscotto. Specie con l’aiuto delle ragazze. Inoltre sarebbe stato un modo divertente di passare un paio d’ore tutti insieme.
Ma ora si ritrovava tutto solo in cucina a borbottare tra sé mentre studiava la ricetta dei biscotti al cioccolato. Non appena erano arrivati a casa, infatti, Sydney gli aveva detto senza mezzi termini che non poteva dargli una mano, dato che doveva preparare tre manifesti per la fiera e aveva un ma re di compiti per il lunedì seguente.
Sloan non si era sentito per nulla in colpa quando aveva ordinato seccamente alla figlia di salire in camera e mettersi subito all’opera.
Ragazzi.
Parevano avere un talento speciale per far uscire di senno gli adulti.
Versò una seconda tazza di farina nel composto di burro, zucchero e uova che aveva mescolato nella terrina, come da ricetta. Un cucchiaino di sale. Un cucchiaino di bicarbonato. Un cucchiaino di vaniglia. Quando fece per mescolare, però, una nuvola di farina si alzò dalla terrina impolverandogli le braccia e i calzoni.
Sospirando, posò il cucchiaio di legno e prese uno strofinaccio.
Rachel doveva essere sulla strada di casa con Sasha e Sophie. Non appena fossero arrivate, avrebbe ceduto la cucina alle due figlie.
Sydney poteva anche avere altri impegni, ma le sorelle sarebbero state ben felici di rimboccarsi le maniche.
Era una vera fortuna avere Rachel che gli dava una mano in giornate come quelle. Con l’appuntamento di Sydney dal dentista, quel pomeriggio gli sarebbe stato impossibile farsi trovare in studio, dove il pulmino della scuola depositava le gemelle dopo le lezioni. In genere le ragazze andavano in sala riunioni e facevano i compiti mentre aspettavano che avesse finito con i pazienti, poi rientravano con lui. Non gli piaceva l’idea che le figlie rimanessero a casa da sole dopo la scuola. E quando lui aveva dei problemi, Rachel si offriva sempre di occuparsi delle gemelle e di accompagnarle dopo la chiusura dello studio.
In quelle rare occasioni si spingeva anche oltre e prendeva qualcosa di pronto per la cena. Sloan sperava di cuore che lo avesse fatto anche quel giorno, perché non avrebbe trovato il tempo di prepararla lui.
Come sempre, Rachel non lo deluse. Quando entrò con Sasha e Sophie, aveva in mano vari contenitori bianchi del ristorante cinese.
Alla vista di lei, Sloan si sentì attraversare da un’ondata di calore. Fece del suo meglio per ignorare quella reazione mentre le ragazze depositavano gli zaini nel disimpegno accanto alla cucina e si toglievano i giacconi.
Coperta la terrina, cominciò a recuperare piatti e posate per apparecchiare. Di solito, in serate come quella, Rachel si fermava a mangiare con loro. Ma ora, dopo il breve attimo d’intimità che avevano condiviso la sera dell’ultimo dell’anno, il loro rapporto era mutato. Anche se lei aveva tenuto a precisare che quel bacio non significava nulla. Be’, per Rachel forse non significava nulla, ma lui ne era rimasto sconvolto. Ora la vedeva in una luce completamente diversa.
In tono esitante, le chiese: «Ti... fermi con noi? A cena, intendo».
«Ma sicuro, papà» disse Sasha. «Resta sempre a cena qui quando ci accompagna a casa.»
Rachel gli indirizzò un timido sorriso e un rapido cenno di assenso, quindi iniziò ad aprire i contenitori del cibo cinese.
«Tutto bene dal dentista?» s’informò.
«Sì. La carie era così piccola che non è stata necessaria l’anestesia.»
«Meno male. So che a Sydney non piacciono le iniezioni.»
«A chi piacciono?» commentò Sophie lasciandosi cadere su una sedia.
Sloan restrinse gli occhi in segno di disapprovazione. «Cosa ne diresti di prendere i tovaglioli, Sophie? E di tirare anche fuori il ghiaccio per le bevande?»
La ragazza alzò gli occhi al cielo e sbuffando fece quanto le era stato ordinato.
«Vado a chiamare Sydney» si offrì Sasha sgattaiolando via.
«Cosa stavi facendo?» domandò Rachel occhieggiando gli ingredienti e le stoviglie che ingombravano il banco di lavoro.
«Domani c’è la fiera invernale della scuola» rispose lui con un sospiro. «Sydney deve portare sei dozzine di biscotti al cioccolato per il banchetto delle specialità culinarie.»
«Oh, sì, anch’io!» esclamò Sophie mentre apriva il freezer. «Anch’io devo portare dei biscotti.»
Sloan corrugò la fronte. «Come, anche tu?»
«Già» rispose la figlia con un’alzata di spalle. «Sei dozzine.»
Rachel e Sloan raggelarono. Un orribile presentimento si fece strada nella loro mente mentre incrociavano lo sguardo l’uno dell’altro.
«Sasha!» gridò lui.
La gemella in questione stava giusto rientrando in cucina con la sorella.
«Cosa ho fatto?» chiese.
«Devi portare dei biscotti a scuola per la fiera?»
«Solo sei dozzine.»
Sloan si accasciò su una sedia. «Come faremo in una serata a preparare diciotto dozzine di biscotti?»
«Faremo?» ripeté Sophie posando due bicchieri sul tavolo. «Sasha e io non possiamo aiutarti. Dobbiamo preparare lo striscione di benvenuto.»
«E non dimenticare che abbiamo...»
«Lo so, Sasha» la interruppe il padre in preda allo sconforto più assoluto. «Tutt’e due avete dei compiti da fare per lunedì.»
La ragazzina annuì.
«Ti aiuto io» disse Rachel.
«È venerdì sera» obiettò lui. «Non posso chiederti di rinunciare a una serata di svago.»
«Non essere sciocco» replicò Rachel cominciando a servire il riso.
Sloan ci pensò su. Forse in due ce l’avrebbero fatta. «Non credo che ci siano abbastanza ingredienti per...»
«Dopo mangiato, mentre finisci la prima infornata faccio una corsa al supermercato» disse Rachel. «Stai tranquillo. Possiamo davvero farcela.»
Sloan sorrise nel sentirle dare voce a ciò che lui stesso stava pensando. Sì, quella donna era proprio fantastica.
Mentre si affaccendavano in cucina, Sloan imparò qualcosa di Rachel. La sua capacità organizzativa non si fermava al lavoro d’ufficio. Sarebbe stata una eccellente capo cuoco in qualunque ristorante del mondo. Aveva insistito perché pulissero gli utensili che via via usavano, così tavolo e lavandino erano sgombri e immacolati. Inoltre aveva suggerito di raddoppiare ogni infornata, in modo da risparmiare tempo nella cottura.
Quando i primi biscotti erano usciti dal forno, caldi e soffici, spandendo tutt’intorno un delizioso profumino di cioccolato, Rachel lo aveva avvertito che si sarebbe ritrovato con qualche osso rotto se ne avesse toccato uno. Lui aveva riso, ma aveva promesso di aspettare sino a che i duecentosedici biscotti non fossero stati tutti sul ripiano a raffreddare. Soltanto allora si sarebbe concesso un piccolo assaggio.
Ma assaggiare un biscotto non era il suo unico desiderio. Da ore stava lottando contro il bisogno di assaporare le labbra morbide e tentatrici di lei.
Mentre Rachel disponeva i biscotti sul ripiano, lo sguardo gli corse alla sua bocca e un brivido caldo lo percorse. Distolse in fretta gli occhi e si mise a infilare nelle scatole i biscotti già freddi.
Presumeva che quel tormento dei sensi fosse causato dal fatto che lei lo aveva salvato da una situazione disperata... Dovette subito accantonare l’ipotesi. Nel corso degli anni Rachel gli era venuta in aiuto un’infinità di volte e in lui non era mai successo nulla di strano. Perché mai l’attrazione per lei aveva atteso sino a oggi per farsi sentire?
«Cosa c’è che non va?» gli chiese Rachel. «Sei corrucciato.»
«Niente» borbottò lui. «Ho solo qualche problema a sistemare i biscotti nella scatola.»
Quella tua bocca sensuale mi sta facendo impazzire di desiderio. Era questa la verità, ma non poteva ammetterlo. Dubitava che Rachel avrebbe capito.
Rise fra sé pensando a quale sarebbe stata la reazione di lei se avesse parlato chiaro. No, meglio una piccola bugia.
«Non ammucchiarli l’uno sull’altro» lo ammonì Rachel. «Non vogliamo certo che arrivino a pezzi. Rovinerebbe tutti i nostri sforzi.»
Era così seria! Sloan sorrise. «No, non lo vogliamo di sicuro.»
«Ci riderebbero tutti dietro» continuò lei, apparentemente ignara della nota divertita contenuta nella sua replica.
Ti dico io cosa voglio... Quella presa di coscienza gli esplose dentro con la forza di una bomba. Voglio te. Era così sbalordito che una risatina nervosa gli salì alla gola.
«Prima eri imbronciato e ora stai ridendo» osservò Rachel rivolgendogli un’occhiata incuriosita. «Cos’hai?»
«Non ne ho idea.» Era così in effetti. «Forse è la stanchezza.» Sì, doveva essere quello, ragionò. Era stato in piedi tutto il giorno e aveva passato la sera a lavorare in cucina. Erano quasi le undici e alle sei la sveglia lo avrebbe tirato giù dal letto.
Sì, concluse. Era senz’altro per la stanchezza che aveva fissato la bocca di Rachel come se fosse un piatto succulento e lui un uomo affamato.
Stanchezza un accidenti, lo schernì una vocina. Continua pure a pensarla in questo modo. Continua a ingannare te stesso, se è questo che vuoi.
«Ecco che ci risiamo» affermò Rachel con un pizzico d’ilarità. «Sei di nuovo corrucciato.» Sospirò. «Quello di cui abbiamo bisogno è andare a letto. Tutti e due.»
Sloan sapeva benissimo che non c’erano sottintesi nella frase, ma non poté fare a meno d’indirizzarle un sorrisetto malizioso. «Voto a favore.»
Rachel avvertì l’inequivocabile allusione e incontrò i suoi occhi.
La tensione nella stanza si fece tangibile. Sloan aveva il cuore che batteva all’impazzata. Per non parlare del calore che gli serpeggiava nelle vene.
E non era l’unico ad avere percepito il cambiamento. Le labbra di Rachel si erano incurvate in un lento sorriso.
«Diamine, Radcliff» disse lei in tono pacato. «Se non ti conoscessi, direi proprio che mi stai stuzzicando.»
Sloan alzò le spalle. «Forse non mi conosci bene quanto credi.»
Di certo lui non si riconosceva più. Non aveva idea di cosa gli fosse preso, ma era su di giri come un ragazzino.
«Forse no» ribatté Rachel, gli occhi scintillanti.
Lui rise di cuore, poi disse: «Mi fa piacere sa pere che non sono così posato e prevedibile come pensano tutti. È fantastico scoprire che riesco a sorprenderti dopo tanti anni che ci conosciamo».
Mentre parlava, una sorta di forza inarrestabile lo spinse in avanti. Le si avvicinò sino a sfiorarle il viso con il proprio.
«Non avrei mai usato l’aggettivo posato per descriverti» replicò lei con voce spezzata. «Ma devo ammettere che ultimamente sei del tutto imprevedibile.»
Chiaramente sbalordita da ciò che stava accadendo, aveva gli occhi sgranati. E la bocca dischiusa in quello che Sloan deliberatamente interpretò come un invito.
Con tutta probabilità non lo stava affatto invitando a baciarla, bensì si stava chiedendo in quale manicomio farlo rinchiudere, ma non gli importava. Voleva essere pazzo. Voleva approfittare di quel momento senza lasciarsi intrappolare dalla ragione.
Voleva agire e basta.
Le sfiorò la bocca con le labbra e la sentì trasalire. Ovviamente Rachel era stupefatta dal suo comportamento. Be’, non era la sola.
Sloan tuttavia non si lasciò distogliere dall’intento. Si appoggiò contro di lei godendo della sensazione meravigliosa delle sue cosce contro le proprie, del suo ventre sodo contro l’addome, del suo seno pieno contro il petto.
Avvertendo un vago profumo di cioccolato sulle labbra di lei, si scostò quanto bastava per poterla guardare negli occhi.
«Hai mangiato un biscotto» l’accusò deciso.
Un lampo di rimorso le guizzò nello sguardo. «Solo un morso» riconobbe lei. «Quando sei salito a controllare se le ragazze dormivano.»
Sloan si mise a ridere. «Avevi minacciato di picchiarmi se ne avessi toccato uno.»
«Be’, non proprio picchiarti...»
«Come no? Hai detto che mi avresti rotto qualche osso.»
«Davvero?»
Era terribilmente attraente con quell’espressione contrita sul volto. Sloan si sentì pervadere dal desiderio. «Sai cosa dice il libro delle regole per le ragazze che non si comportano bene, vero?»
Rachel si finse piuttosto impaurita. «No, cosa dice?» sussurrò.
«Che devono essere punite» rispose lui dolcemente. «A suon di baci.»
«Oh, mio Dio.»
Qualcosa di misterioso gli accendeva lo sguardo. Qualcosa di carnale, di selvaggio.
Rachel gli affondò le dita tra i capelli. «Allora... smettila di torturarmi...» mormorò in un tono che trasudava sensualità. «Dammi la punizione che merito.»
Poi si baciarono.
La luna inargentava gli alberi coperti di neve nella notte tersa e fredda. Rachel, seduta accanto alla finestra, rabbrividì. Tuttavia non si alzò per prendere dal letto la coperta, quella coperta che le avrebbe offerto calore e conforto.
Ma lei non meritava calore e conforto. Meritava tutti i disagi che quella notte gelida poteva dare: pelle d’oca, denti che battevano, muscoli irrigiditi.
Il senso di colpa che la tormentava era più pungente dell’aria che penetrava dalle fessure delle vecchie imposte.
Come aveva potuto flirtare in quel modo con Sloan?
Era stanco. Per questo l’aveva stuzzicata. Non era stato lui, però, a dare il via al bacio infuocato che si erano scambiati. Avrebbe dovuto fermarlo quando aveva cominciato a fare lo stupido.
Ma non lo aveva fatto. Peggio. Era stata al gioco. Poi aveva afferrato il suo volto e lo aveva praticamente obbligato a baciarla.
Di nuovo Rachel rabbrividì. E di nuovo rimase immobile ignorando la coperta. «Mi dispiace, Olivia» sussurrò rivolta alla finestra, augurandosi che le sue parole arrivassero sino in cielo dove l’amica poteva sentirla. «Mi dispiace» ripeté tra le lacrime.
Si sentiva una donnaccia. Una sgualdrina. Non c’era limite agli epiteti che poteva darsi.
In circostanze normali avrebbe riso ricordando gli insulti cui ricorreva Olivia se qualcuno le pestava i piedi, quando erano ragazzine. Ma adesso non aveva voglia di ridere. Neppure di sorridere, per la verità.
Quello che le aveva detto Diana qualche giorno prima le aveva scaldato il cuore. Era persino arrivata a pensare che fosse vero. Ma l’idea che Olivia volesse vederla felice con Sloan... No, era inconcepibile. L’amica defunta aveva speso troppe energie nel manipolare la sua relazione con Sloan per vederlo finire con un’altra. Qualsiasi altra.
Rachel non aveva difficoltà a immaginarla con il dito puntato contro di lei, gli occhi fiammeggianti di collera e di rimprovero, mentre le gridava parole orribili.
Donnaccia. Sgualdrina.
Rachel sentiva di meritarli, quegli insulti. E quel che era peggio, aveva la certezza che Olivia sarebbe stata d’accordo con lei.
«Come mai non parcheggi?» chiese Sophie visibilmente confusa.
«Non entri con noi?» le fece eco Sasha.
«Devi venire, papà» disse Sydney. «Cosa penseranno le insegnanti, se non ti fai vedere?»
«Se non vengo a spendere un po’ di soldi, vorrai dire.»
Stanco e tirato, Sloan era perfettamente consapevole di quanto fosse stato fuori luogo il suo commento. Tuttavia, anziché rimangiarselo, strinse le dita attorno al volante e sospirò.
Il giorno prima era stato sfiancante. Prima lo studio, poi la serata in cucina a preparare biscotti e, come ciliegina sulla torta, la notte di sonno popolata di sogni erotici con Rachel. Quei baci e quelle carezze immaginarie erano stati una tortura. Si era alzato più stanco di quando si era buttato sul letto, alle due passate.
Ma il suo peggior carnefice era il senso di colpa. Gli gravava sulle spalle come un masso di granito.
Cosa gli era frullato in capo di flirtare in quel modo con Rachel? Doveva avere perso il senno.
Cos’avrebbero pensato le sue tre ragazze se lo avessero saputo? Cos’avrebbero pensato gli amici?
Cos’avrebbe pensato Olivia?
La domanda gli procurò una fitta di dolore, lancinante come il colpo inferto da una pugnalata.
Sì, i sogni erotici lo avevano assillato durante la notte. Ma era quel senso di colpa a schiacciarlo a terra, a sfiancarlo. Se non avesse fatto qualcosa per rimediare, non sarebbe più riuscito a scrollarselo di dosso.
«Devo andare in un posto» disse alle figlie. «Ho una cosa da fare. Non ci metterò molto. Tornerò tra meno di un’ora. E comprerò i biscotti che abbiamo fatto io e Rachel. Qualcuno, almeno.»
Mentre le gemelle scendevano dalla macchina, le chiamò. «Non dimenticate i biscotti.»
«Eccoli qui» ribatté Sydney alzando la scatola.
Le altre due fecero altrettanto.
«Rachel ha detto che sarebbe venuta» disse Sasha. «Non sai quando arriva?»
La menzione di quel nome gli causò una sorta di scarica elettrica in tutto il corpo e al tempo stesso il senso di colpa gli serrò lo stomaco in una morsa. «No, non ne ho idea» rispose. «Ma se ha detto che viene, verrà.»
Sasha assentì. «Hai ragione. Rachel non ci delude mai.»
Costringendosi a sorridere, lui replicò: «Già. Mai».