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«Andrà tutto bene» disse Sloan rassicurante, battendo qualche colpetto sulla mano di Jane.

Sdraiata sulla barella nella saletta antistante le sale operatorie, Jane aveva gli occhi scintillanti di eccitazione. Non c’era traccia di ansia nel suo sguardo.

«Sì, tesoro. Andrà tutto bene» ripeté Greg.

Anche un cieco si sarebbe accorto che era lui ad avere bisogno di sostegno e non sua moglie. E ci avrebbe pensato Sloan a offrirglielo, mentre Jane si sottoponeva al piccolo intervento chirurgico che avrebbe risolto la sua sterilità.

Era stata proprio lei a chiamarlo, la sera prima, per chiedergli di andare all’ospedale e stare vicino a Greg finché non fosse uscita dalla sala operatoria. Evidentemente, anche se era sposata solo da pochi mesi, conosceva il marito alla perfezione.

In quel momento il ginecologo li raggiunse. Salutò tutti con un largo sorriso e poi, chiacchierando con la paziente, spinse la barella verso le sale operatorie.

Greg li seguì con lo sguardo, visibilmente preoccupato. «Pensi davvero che andrà tutto bene?»

«Ma certo» rispose Sloan circondandogli le spalle con un braccio. «Coraggio, andiamo a bere un caffè mentre aspettiamo. Prima che te ne renda conto, ti chiameranno per farle compagnia fino a quando non sarà abbastanza in forze da tornare a casa.»

Greg si lasciò condurre via senza protestare.

«Sì, hai ragione» mormorò come tra sé mentre si avviavano verso gli ascensori. «Andrà tutto bene.»

Sloan represse un sorriso.

I medici sono forti come rocce quando si tratta di dare supporto ai propri pazienti, riconobbe. Ma quando un familiare si ammala, ha un incidente o deve subire un intervento, la roccia si sgretola miseramente. Viene meno il distacco emotivo che garantisce l’obiettività e si precipita nel panico.

Un buon amico tuttavia poteva fare meraviglie e lui era più che felice di poter essere d’aiuto. Greg, come del resto Travis, gli era stato molto vicino quando Olivia si era ammalata.

«Non solo andrà tutto bene» disse all’amico, «ma non appena si sarà rimessa, potrete cercare una gravidanza.»

A quelle parole Greg sorrise.

«Non penso che sarei molto attraente con la pancia grossa come un pallone.»

«Forse tu no, ma lei sarà incantevole. E se hai in mente di fare commenti del tipo grossa come un pallone in presenza di tua moglie, preparati a parare uno schiaffo» gli fece notare amichevolmente.

Greg rise assentendo divertito. Poi la sua espressione tornò seria.

«Non è il caso che ti dica quanto sia importante per lei questo intervento.»

«No, infatti» gli rispose Sloan sorridendo.

«Ci siamo sforzati di non essere troppo ottimisti, ma...»

«Ho visto i risultati delle analisi» lo interruppe gentilmente l’amico. «Non c’è ragione per pensare che sarà un insuccesso.»

«Lo so, però... non vorrei che Jane rimanesse delusa.»

«Hai consigliato questa procedura ad alcune delle tue pazienti» gli rammentò Sloan mentre entravano nella caffetteria del primo piano. «Ci sono mai state complicazioni?»

Conosceva già la risposta, ma voleva ricordare all’amico che non aveva di che preoccuparsi.

«Nessuna» rispose infatti Greg. «E, tempo pochi mesi dall’intervento, tutte quante si sono ritrovate in stato interessante.»

«Inoltre lo specialista che hai scelto è il migliore» sottolineò Sloan. «Perciò stai tranquillo.»

Sapeva che Greg non si sarebbe tranquillizzato finché non avesse visto la moglie sveglia e cosciente, dopo l’operazione. Adesso tutto quello che poteva fare era distrarlo parlando d’altro.

Mentre sedevano a un tavolino, davanti al caffè e a qualche pasticcino, chiese: «Che cosa ne dici della proposta che ha fatto Travis? Sei d’accordo che Diana venga a lavorare in studio?».

«Ha frequentato ottime scuole e ha parecchia esperienza» rispose Greg. «Potrebbe essere una valida consulente.»

«Anche secondo me. Ha davvero tutte le carte in regola.»

«Ci vorrà un po’ di tempo, però, perché ottenga il trasferimento della licenza nel nostro Stato» osservò Greg. «Bisogna compilare un mare di carte, sai?»

«Non è un problema insormontabile.»

«No, è vero.»

La conversazione languì, mentre sorseggiavano il caffè e sbocconcellavano un pasticcino.

«Parlando di questioni inerenti lo studio» saltò su Greg d’un tratto. «Cosa sta succedendo tra te e Rachel?»

Sloan per poco non fece cadere la tazzina. Quella domanda l’ aveva colto di sorpresa.

«Non sta succedendo niente» rispose ostentando noncuranza.

«Oh, sicuro!» lo schernì Greg roteando gli occhi. «Allora perché la tensione in ufficio si taglia con il coltello?»

Improvvisamente Sloan perse l’appetito. Posò la tazzina e con la massima indifferenza replicò: «Non ho avvertito alcuna tensione».

La risata di Greg fece voltare qualche testa. «Non sei per nulla bravo a mentire, sai» disse poi lui. «Voi due vi comportate come due poli identici di una calamita. Non ho mai visto due persone respingersi come te e Rachel.»

«Sei pazzo.»

Purtroppo Sloan doveva riconoscere che l’analogia dell’amico era azzeccata.

Da quel fatidico venerdì sera, quando si erano baciati, lui e Rachel erano come l’acqua e il fuoco: se uno era in un angolo delle stanza, l’altro stava in quello opposto.

Gli dava fastidio pensare che i colleghi l’avessero notato. Avrebbe voluto confidarsi con Greg, ma la delicatezza della situazione l’aveva indotto al silenzio.

Rachel lavorava con loro sin da quando avevano aperto lo studio. Era diventata amica di Greg e di Travis e in seguito di Jane e di Diana. Si sentiva a disagio a parlare di lei o di quello che provava nei suoi confronti.

Nei primi stadi della relazione con le donne della loro vita, Greg e Travis avevano richiesto riunioni di emergenza in studio per discutere dei loro problemi. Nel suo caso, Sloan riteneva che non fosse giusto farlo.

Jane e Diana erano estranee per lui quando quelle discussioni avevano avuto luogo. Non aveva avuto la minima difficoltà a esprimere la sua opinione o a dare consigli.

Rachel invece non era un’estranea per Greg e Travis. Avrebbero potuto trovare imbarazzante parlare di lei.

Inoltre era sicuro che se quella conversazione con Greg fosse andata avanti sarebbe saltato fuori il nome di Olivia. E lui non era pronto a rivelare il cupo tormento che lo divorava.

Era stato diverso sfogarsi con Rachel.

Lei era stata l’amica più cara di sua moglie. E certamente l’aveva amata molto di più di quanto non l’avesse amata lui.

Assalito nuovamente dal rimorso e dal senso di colpa, distolse la mente dalle emozioni che si agitavano tumultuose nel suo cuore come le acque vorticose di un fiume in piena.

Non voleva rivisitare quel luogo di sofferenza. Non ora. Probabilmente aveva sbagliato anche a parlarne con Rachel. L’avere confessato di non aver amato la moglie lo faceva sentire e apparire come un mascalzone della peggior specie. Lui voleva solo dimenticare. Dimenticare tutto.

Ma la sua coscienza non glielo permetteva.

«Pazzo o no» seguitò Greg dopo avere finito il pasticcino, «ho qualcosa da dire.»

Sloan si ritrovò con il fiato sospeso.

Greg inclinò leggermente il capo e gli fece l’occhiolino.

«È ora che apri gli occhi, vecchio mio.»

Su cosa doveva aprire gli occhi?, si chiese lui confuso.

Greg voleva forse intendere che era tempo che si trovasse una donna? Che avrebbe dovuto togliersi la cappa del lutto e liberare gli istinti dalla buia caverna in cui li aveva imprigionati?

Poteva darsi.

Ma Sloan aveva l’impressione che il commento dell’amico avesse un significato più profondo. E coinvolgesse Rachel.

Sorseggiando la seconda tazza di caffè, rifletté sulle possibili implicazioni di quelle riflessioni.

«Dimmi una cosa, Rachel.»

Alzando lo sguardo dalla fila di cd in cui stava curiosando, Rachel vide che lui non stava guardando lei ma il paesaggio raffigurato su una delle copertine.

«Certo» rispose interrompendo la sua ricerca. «Tutto quello che vuoi.»

Il loro rapporto, sia professionale sia personale, era diventato forzato e innaturale. La conversazione di quel giorno, al bar, avrebbe dovuto avvicinarli, invece Rachel si sentiva malissimo per il senso di colpa che Sloan si portava dentro e per avergli taciuto la verità su Olivia. Dal canto suo, lui era a disagio per essersi confidato con lei.

Insomma, da qualche tempo si evitavano come la peste.

Ciò nonostante, Rachel era più che mai consapevole di lui.

In studio nessuno aveva fiatato per tutta la settimana. Quella mattina, però, una delle infermiere, non sopportando più la tensione, le aveva chiesto se lei e Sloan avessero litigato. Era riuscita a sviare in qualche modo la curiosità della donna, ma l’incidente le aveva fatto capire che bisognava fare qualcosa. Il muro di silenzio tra lei e Sloan andava abbattuto.

Così, quando lui era passato davanti al suo ufficio si era costretta a rivolgergli la parola, ben sa pendo che gli occhi e le orecchie dei colleghi non li avrebbero lasciati nemmeno per un istante.

Gli aveva chiesto con tono casuale cos’avesse in mente di regalare alle gemelle per il loro compleanno. Sloan aveva ammesso di non avere un’idea precisa e le aveva proposto di uscire insieme a fare acquisti.

Dopo un attimo di comprensibile sbigottimento, lei aveva accettato. E ora eccoli lì a scegliere cd in uno dei negozi più grandi di Philadelphia.

«Come mai disapprovavi che stessi con Olivia?» chiese Sloan in tono piatto.

Rachel rimase scioccata da quella domanda. «Disapprovavo? Ma come ti è venuta in mente un’idea simile?»

Lui tirò fuori un compact e diede un’occhiata ai titoli. Qualcosa nel suo modo di fare, tuttavia, indicava chiaramente che non stava affatto leggendo quanto stava scritto sul retro della copertina.

«Tu e Olivia dividevate un appartamento mentre frequentavate l’università» continuò. «Eri già lì quando ho cominciato a uscire con lei. E dopo avermi incontrato un paio di volte, ti sei subito resa uccel di bosco. Non c’eri mai quando venivo a trovarla.»

«M... ma... la mia assenza non aveva nulla a che fare con te» balbettò a quel punto Rachel, a corto di parole.

Non poteva dirgli che era rimasta subito affascinata da lui. Dalla sua intelligenza. Dal suo aspetto. Sloan usciva con la sua migliore amica e Olivia era pazza di lui.

Così si era fatta da parte. Lo aveva evitato quanto più possibile.

Adesso le faceva male scoprire che aveva creduto che lo disapprovasse.

«Ammettilo» disse Sloan. «Non ti piacevo.»

«Non lo ammetto perché non è assolutamente vero.» Era vero il contrario, semmai.

«Ti ero così antipatico che quando Olivia ha cominciato a parlare di matrimonio sei andata a vivere da un’altra parte.»

«No, ma cosa vai a pensare? Non me ne sono andata per causa tua.»

Si era trasferita perché la disgustava il piano che l’amica aveva studiato per farsi sposare. Se non se ne fosse andata, lo avrebbe affrontato. Gli avrebbe detto tutto. Non lo aveva fatto solo perché era erroneamente convinta che lui fosse innamorato di Olivia.

Ora, a distanza di anni, si pentiva amaramente di avere taciuto.

«È stato per via di Olivia» proseguì. «Avevamo avuto una discussione piuttosto accesa. Lei voleva... Avevamo litigato per qualcosa che... Be’, per qualcosa su cui eravamo in disaccordo.»

Sloan girò la testa e Rachel si sentì trafiggere dal suo sguardo penetrante.

«Su cosa eravate in disaccordo?»

Santo Cielo, come poteva dirglielo? Olivia era la madre delle sue figlie. Se gli avesse detto quanto era stata bugiarda e machiavellica, Sloan avrebbe cambiato opinione su di lei. Avrebbe potuto odiarla. La madre delle sue bambine.

«Una cosa da niente» mormorò infine Rachel. «Nulla d’importante.»

Detestava mentirgli. Lo stava ingannando, così come lo aveva ingannato Olivia.

No, è diverso, bisbigliò una vocina rassicurante nella sua mente. Lei non stava cercando di manipolare Sloan. Del resto, non stava propriamente mentendo. Semplicemente, teneva per sé informazioni che avrebbero potuto ferirlo.

Riportò lo sguardo sul banco e prese a scorrere i cd con le dita, ma era così turbata da registrare a malapena i titoli che le passavano davanti.

«Ecco!» disse tirando fuori un compact. «Sasha adora la musica latino americana. Vado laggiù a dare un’occhiata alle offerte. Non hai nulla in contrario a risparmiare qualche soldo, vero?»

Senza attendere risposta girò sui tacchi e si allontanò.

«Sono perfette.»

Sloan guardava le tre felpe che stavano posate accanto alla cassa. Con aria assente, tastò il collo di quella che era sistemata in cima alla pila.

«Sei sicura?» le chiese. «Sono così differenti.»

Rachel sorrise. Per la prima volta da quando aveva fatto acquisti nel reparto musica del negozio, un’ora prima. «Le tue figlie possono anche essere identiche nell’aspetto, ma quanto a personalità sono diverse come il giorno e la notte» ribatté. «I loro gusti in fatto di vestiario, per esempio, sono totalmente differenti.»

Lui stava sempre guardando le felpe. «E la distribuzione quale sarebbe?»

«Mi stai prendendo in giro, vero? Sasha adora farsi notare, quindi sarà entusiasta di quella a righe viola e giallo. Il colore preferito di Sydney invece è il rosso. La troverà stupenda.»

«Non avevo idea che a Sophie piacesse il rosa» commentò lui.

«Be’, non sono sicura che le piaccia» ammise Rachel. «Ma l’ho sentita dire che voleva prendersi qualcosa di quel colore.» Si strinse nelle spalle. «A quanto sembra, il suo ragazzo pensa che le starebbe bene.»

Sloan inarcò un sopracciglio. «Abbiamo comprato una felpa rosa perché il giovane Bobby ha senso estetico?»

Un sorrisetto le incurvò le labbra mentre si stringeva nuovamente nelle spalle. Sloan pensò di non avere mai visto nulla di più sexy.

«Sai, Rachel» disse in tono pacato e serio, «mi dispiace terribilmente che le cose tra noi si siano guastate.» Lei abbassò immediatamente lo sguardo e Sloan la costrinse con gentile fermezza ad alzare il viso. «Dico davvero, Rachel. Mi dispiace. Non avrei dovuto lasciarmi andare in quel bar. Non avrei dovuto scaricarti addosso la mia...»

«Non devi pensare neppure per un istante che per me sia un peso quando mi parli dei tuoi problemi» lo interruppe lei. «Quali che siano i problemi. Le ragazze, il lavoro o... qualunque altra cosa. Mi fa piacere poterti offrire una spalla su cui appoggiarti.»

Era tipico di lei essere così generosa e Sloan si sentì scaldare il cuore.

«Senti» le disse, «abbiamo preso cd, libri e felpe. Mi pare più che sufficiente. Cosa ne dici di andare a divertirci un po’? Dimentichiamo tutto. Le ragazze, il compleanno, tutto quanto e conce diamoci qualche ora di sana evasione.»

«Sana evasione?»

Alla punta di scetticismo del suo tono, Sloan gettò indietro la testa e rise di gusto. Quando guardò di nuovo il suo incantevole viso, vide che gli occhi le brillavano di anticipazione.

«Non mi tiro mai indietro quando si tratta di divertirsi» dichiarò Rachel, un sorrisetto birichino sulle labbra.

«Allora hai la giusta disposizione d’animo per quello che ho in mente.»

La sala giochi era rumorosa e piena di ragazzini. I più piccoli erano con i genitori, i più grandicelli da soli. Tra quelli che non avevano bambini, l’età massima doveva arrivare sì e no ai vent’anni. Era decisamente un posto per teenager, ma in mezzo a loro Sloan sembrava nel suo elemento.

Avevano preso un tavolo da hockey e sulle prime Rachel si era sentita un tantino a disagio. Via via che si accalorava nella competizione, però, non aveva più badato al fatto che loro due erano gli unici adulti a giocare. Doveva batterlo, accidenti! Fosse l’ultima cosa che faceva.

«Ho vinto!» gridò mettendosi a saltare.

«D’accordo, d’accordo» borbottò Sloan. «Non hai mai sentito parlare della generosità degli sportivi?»

«Che razza di...! Non sai perdere, caro mio.»

«Di’ quello che vuoi, ma ti ho lasciato vincere.»

«Per sei volte di seguito?»

«Sicuro, sono un gentiluomo» ribatté lui, gli occhi che scintillavano d’ilarità.

«Facciamo un’altra partita» propose Rachel con aria di sfida.

«No, no, no» replicò Sloan facendo il giro del tavolo per portarsi vicino a lei. «Sei diventata troppo brava nell’hockey da tavolo, è ora di passare a qualcos’altro. E poi c’è gente che aspetta di giocare. Non vorrai fare soffrire dei bambini, spero.»

«Hai solo paura che ti batta di nuovo.»

Un largo sorriso gli incurvò le labbra. «Ecco quello che fa per noi.»

Il tiro della palla si rivelò molto più difficile di quanto si fosse aspettata. La palla di legno, delle dimensioni di un palmo, doveva essere lanciata lungo una pista in fondo alla quale c’era una serie di buchi. Un tabellone indicava il punteggio conseguito a ogni lancio.

Mentre lei si affannava senza peraltro ottenere grandi risultati, Sloan segnava punti su punti.

Alla fine, frustrata, si girò verso il suo avversa rio. «Cosa faccio di sbagliato?»

Dopo avere dato un’occhiata al punteggio che aveva totalizzato, Sloan commentò: «Be’, è abbastanza buono. Dieci punti per ogni palla che hai tirato».

«È impossibile fare meno di dieci punti a lancio» ringhiò Rachel in risposta prendendolo scherzosamente a pugni.

Lui gemette massaggiandosi con fare melodrammatico.

«Farai meglio a smetterla o chiamerò la sicurezza.»

«Quello che farai» ribatté lei puntandogli l’indice sul petto, «è insegnarmi come si fa a ottenere punteggi alti in questo stupido gioco.»

«Va bene, va bene» disse Sloan di rimando con una gran risata. «Diavolo, non avevo idea che fossi così... energica.»

Anche Rachel rideva, adesso.

«Devo esserlo per forza. Come pensi che riesca a tenere in riga gli impiegati? O le tue figlie?»

«Sarà meglio che partiamo con la lezione, non vorrei t’innervosissi di nuovo.» Le indicò il fondo della pista. «Devi fare pratica con le buche più facili» la istruì. «Non è sempre vero che si deve puntare subito al massimo.»

Ma il massimo è l’unica cosa che valga la pena avere.

Quel pensiero le sfiorò la mente come una brezza estiva. E diede vita alle sue terminazioni nervose facendole vibrare ogni centimetro di pelle. Sloan le era così vicino che il suo torace le toccava la schiena.

Il calore che emanava dal suo corpo l’avvolgeva come una coperta protettiva e confortevole.

Quando si chinò leggermente per prendere una palla, una certa parte della sua anatomia le sfiorò il fondoschiena.

Un brivido delizioso le corse lungo la spina dorsale e il respiro le si fece affrettato.

«Vediamo se riesco ad aiutarti a migliorare la tecnica.»

Il bisbiglio di Sloan le giunse carezzevole all’orecchio.

Rachel sentì il bisogno di chiudere gli occhi per gustare il suono della sua voce, la sua vicinanza, il suo profumo. Inconsciamente s’inumidì le labbra aspettando con il fiato in gola la sua prossima mossa, la sua prossima parola.

Lui le mise in mano la palla. Le palpebre abbassate, Rachel aveva una percezione maggiore delle sensazioni tattili.

Sentì il legno freddo e duro contro la pelle e il palmo caldo e forte di lui che le avvolgeva la mano. Quando Sloan tirò indietro il braccio per prepararsi al lancio, lei istintivamente si piegò sulle ginocchia e i loro corpi ondeggiarono in perfetta sincronia.

Un istante più tardi la palla rotolava sulla pista, legno contro legno.

«Oh, Rachel.»

A quel gemito quasi tragico, lei girò la testa e sollevò languidamente le palpebre.

Quando incontrò gli occhi di Sloan, vi si perse.

Tutto quanto li circondava svanì nello sfondo. Sul volto di lui era riflesso lo stesso desiderio che la consumava.

Sentì le ginocchia farsi deboli, quasi liquide, e temette di afflosciarsi a terra come un sacco vuoto nel giro di pochissimi istanti.

«Cosa ci sta succedendo?»

Rachel non rispose. Non poteva.

Poté solo riempirsi i polmoni lentamente, a fondo. Se non lo avesse fatto, avrebbe perso i sensi.

«Tutte le volte che siamo soli» mormorò Sloan, «avverto questo travolgente bisogno di...»

«Dottor Radcliff!»