Sloan s’imbatté in Rachel, che stava uscendo dal suo ufficio. Le cose tra loro erano peggiorate da quando erano andati a fare compere insieme. Perché non si era arrangiato da solo a scegliere i regali per le gemelle?
Chi stava cercando di prendere in giro? Lo shopping non c’entrava nulla. Aveva rovinato tutto quando le aveva dichiarato il suo desiderio per poi annunciare che non se la sentiva di assecondarlo. Non c’era da meravigliarsi che Rachel non lo guardasse più in faccia.
«Ti ho lasciato alcuni moduli da firmare sulla scrivania» gli disse lei facendo per passargli accanto.
«Aspetta, Rachel» la fermò posandole una mano sulla spalla.
Uno degli impiegati part time guardò nella loro direzione, quindi finse di comportarsi come se nulla fosse.
«Verresti nel mio ufficio un secondo?» chiese allora Sloan a Rachel. «Ho bisogno del tuo aiuto.»
Senza una parola, lei tornò dentro.
Lui la seguì e si chiuse la porta alle spalle.
«Io... mi rendo conto che ho messo a dura prova il nostro rapporto.»
Rachel rimase silenziosa e continuò a evitare il suo sguardo.
«Ma spero che questo non t’impedirà di venire alla festa di compleanno delle ragazze» continuò Sloan.
A quel punto Rachel alzò gli occhi. «Ma certo che vengo. Non mancherei per nulla al mondo.»
Un’ondata di sollievo lo sommerse. «Bene. Ora, avrei bisogno di un consiglio. Ho ordinato tre torte identiche in pasticceria, questa mattina. La commessa che ha preso la telefonata mi ha suggerito delle torte a soggetto. Mi ha elencato le varie possibilità e io ho scelto le coccinelle. Chiamavo così le gemelle, quando erano piccole. Non appena ho riagganciato, però, ho avuto dei ripensamenti. Tu cosa ne dici?»
«Dico che quei ripensamenti forse ti indicano qualcosa» replicò lei lentamente. «E che non dovresti sottovalutarli.»
Borbottando qualcosa d’incomprensibile, Sloan si catapultò sulla sedia e afferrò l’elenco del telefono. «Coccinelle» mormorò mentre cercava il numero della pasticceria. «Ma cos’avevo in testa?» Trovato il numero, guardò Rachel. «Cosa devo ordinare? Ci sono torte a forma di fiore: dalia, papavero, girasole.... Oppure a soggetto sportivo: una palla da baseball, una racchetta, un casco da rugby. Ma nessuna mi sembra indicata.»
Perché si sentiva sempre perso quando doveva prendere qualcosa per le gemelle?
L’espressione sul volto di Rachel indicava che tutte le possibilità che aveva elencato non andavano bene.
«Oh, Rachel» gemette passandosi una mano tra i capelli. «Dammi una mano tu. È un giorno importante per le ragazze.»
Per un attimo lei non parlò.
E, per un attimo, Sloan temette che volesse abbandonarlo al suo destino.
Era quello che si meritava, pensò. Aveva giocato con i suoi sentimenti. L’aveva baciata, accarezzata intimamente, aveva detto che la desiderava... e poi aveva fatto marcia indietro. Era un idiota a pensare che lo avrebbe aiutato. Si era comportato in modo imperdonabile.
«Sloan, io amo quelle ragazze.»
Il tono di Rachel era sincero, appassionato. Ma c’era dell’altro, intuì lui. Qualcosa che chiaramente lei non intendeva dire.
«Sophie, Sasha e Sydney significano molto per me» continuò Rachel. «Farei qualunque cosa per renderle felici.»
Lui sentì la gola chiudersi per la commozione.
«Quello che devi fare» seguitò lei, «è accantonare l’idea della torta a soggetto.»
«Ma non dev’essere... particolare?»
Rachel represse un sorriso. Era così smarrito! «Le ragazze stanno per diventare teenager. Vogliono essere considerate adulte. Quindi immagino che gradiranno una torta da adulte.»
«Una torta da adulte?»
Questa volta Rachel non ce la fece a trattenere una risata.
Sloan la trovò terribilmente sexy. Si sentì pervadere dal desiderio, un desiderio tanto intenso e bruciante da togliergli il fiato. Se non avesse ritrovato il controllo, presto sarebbero arrivati il rimorso, il senso di colpa, l’autocondanna.
«Sì, una semplice torta a due strati di forma rettangolare con una scritta sopra e dei piccoli fiori come decorazione.»
Quell’idea non lo aveva nemmeno sfiorato. «Lo pensi davvero?»
«Sì. Una torta sola con i nomi di tutt’e tre. Ne saranno entusiaste.»
Gli sorrise e il cuore prese a martellargli nel petto.
Con mano tremante, si massaggiò la nuca. Doveva assolutamente soffocare la libido. Si rifiutava di lasciarsi dominare dal testosterone.
«Inoltre ti costerà meno.»
«Grazie, Rachel» mormorò Sloan.
«Di nulla. Non vedo l’ora che sia sabato.»
«Anch’io» ribatté lui costringendosi a sorridere con naturalezza.
Avrebbe voluto raggiungerla e prenderla tra le braccia, ma il senso di colpa era in agguato, così non si mosse.
«Se non c’è altro, torno al lavoro.»
«No, ora sono a posto» le disse. «Chiamo la pasticceria e sistemo tutto.»
Rachel sembrava riluttante ad andarsene. E ogni momento in più con lei era una tortura per Sloan.
Quando fu sulla porta, lei si fermò. Aveva un’a ria così tesa e preoccupata che Sloan si sentì in dovere di chiederle se andasse tutto bene.
«No» gli rispose in un sussurro. «Non va tutto bene. Non c’è niente che vada bene. Niente.»
Non sapendo cosa ribattere a quello sbotto inatteso, Sloan rimase in silenzio. Era certo che la sua espressione stupita parlasse per lui.
Rachel sospirò e, dopo avere attraversato nuovamente la stanza, si sedette accanto alla scrivania. Quando alzò gli occhi a guardarlo, Sloan si rese conto che qualcosa di grave la turbava.
«Rachel, mi spaventi» le disse. «Cosa c’è?»
Lei trasse un altro sospiro. Qualunque cosa avesse da dirgli, era restia a farlo.
«Devo dirti qualcosa» cominciò. Poi abbassò gli occhi e per qualche istante fissò il tappeto, visibilmente dibattuta.
Quando rialzò il capo, l’ansia che la dilaniava non era svanita. Ora però appariva risoluta.
«È qualcosa che non ti piacerà» riprese. «Qualcosa che... potrebbe cambiare tutto.»
Sloan era sempre più confuso. A cosa stava alludendo Rachel? Cosa sapeva di così terribile da poter cambiare la sua esistenza?
«Si tratta delle gemelle?» chiese angosciato. «Hanno qualche problema a scuola?»
«No, Sloan. Non ha niente a che fare con loro. O meglio niente e tutto.»
«Ora parli per enigmi» replicò lui spazientito.
«Sloan, ti prego, promettimi che cercherai di non arrabbiarti.»
A quel tono di supplica la sua irritazione sbollì e lui venne colto dal panico. «Se non ti spieghi subito, mi farai venire un infarto» disse in tono forzatamente pacato. «Cosa significa che le gemelle c’entrano e non c’entrano? Non ha senso.»
«Mi dispiace. Capirai presto.» Rachel si sistemò una ciocca dietro l’orecchio e riprese coraggio. «Non c’entrano perché quello che sto per dirti è successo prima che nascessero.»
Sloan si sentì di colpo avvolgere da una nube minacciosa.
«Ha a che fare con Olivia.» Era un’affermazione, ma conteneva mille interrogativi. E molta riluttanza, perché improvvisamente Sloan non era più tanto sicuro di voler sentire ciò che lei aveva da dirgli.
Rachel annuì e lui ebbe la sensazione che il tempo avesse rallentato la sua corsa. Era come se ogni secondo si dilatasse all’infinito, greve, cupo.
«Olivia era la mia migliore amica» cominciò Rachel. «Le volevo bene. E molto anche. Ma non era una persona facile. A volte era veramente difficile per me sopportarla.»
Sloan per poco non sorrise all’ironia della situazione. Non era stato facile nemmeno per lui vivere con Olivia.
La moglie lo aveva messo a dura prova più di una volta. Era quasi buffo scoprire che Rachel condivideva da anni la sua opinione e lui non lo aveva mai sospettato.
«Come di certo saprai» proseguì Rachel, «Olivia voleva sempre fare di testa sua.»
Questa volta Sloan rise mentre assentiva piano. «Sì, senza dubbio.»
«In genere le persone come lei... le persone che hanno un carattere forte si circondano di persone deboli, di persone che possono facilmente manovrare. Ma lei non era così. Era attratta dalle persone dal carattere forte, come te e me.»
«Questo non le ha impedito di tentare di manipolarci» dichiarò lui in tono amaro.
Rachel distolse per un attimo lo sguardo e liberò un sospiro triste. «Olivia aveva una personalità complessa. Voleva che tutto andasse secondo i suoi desideri e non si faceva scrupolo di manovrare la gente a questo scopo. Ma aveva anche una coscienza.» Qualcosa di simile all’ilarità scintillò negli occhi dorati di lei. «Spesso passava del tempo prima che le rimordesse. Anche anni a volte. Ma alla fine doveva farci i conti.» C’era un grande affetto nel suo tono e nelle sue parole.
Sloan lo avvertì distintamente e quasi la invidiò. Avrebbe voluto provare anche lui quelle emozioni, quando pensava a Olivia. Invece sentiva solo rimorso, vergogna e, sì, anche risentimento. «Rachel, apprezzo quello che mi stai dicendo» tagliò corto, «ma non è niente di nuovo per me.»
«Abbi pazienza. Devo partire dall’inizio. Altrimenti potresti arrabbiarti così tanto da mutare completamente l’opinione che avevi di lei rovinando tutti i ricordi, il passato stesso. Non voglio che accada.»
Quella conversazione diventava più strana di minuto in minuto.
Alla fine Sloan non poté più sopportare la tensione. «Cos’ha fatto Olivia?»
«Ci sono state volte nel corso degli anni in cui ho dovuto prendere le distanze da lei» ribatté Rachel senza lasciarsi mettere fretta. «Olivia tentava di farmi fare qualcosa che non mi andava o manifestava l’intenzione di mettere in atto qualcosa che non approvavo e ritenevo sbagliato.»
«Lascia che ti aiuti» disse Sloan. «La gravidanza. È di questo che stiamo parlando, non è vero? Non è stato un incidente di percorso. L’aveva pianificata lei, giusto?»
Ogni domanda era stata come una staffilata per Rachel. Dio, non sarebbe stato facile confessargli la verità.
«Ne ho avuto il sospetto non appena mi ha detto che era incinta. Ma a cosa sarebbe servito accusarla? Ormai il danno era fatto. Non mi restava che assumermi le mie responsabilità.»
«Ti amava» mormorò lei.
«Credi davvero che sapesse cos’è l’amore?»
«Io penso...» rispose Rachel, il tono acceso di speranza, «che alla fine lo sapesse.»
Lui non poté fare a meno di distogliere lo sguardo, dubbioso.
«Mi diceva di continuo che ti amava. Che tu eri l’unico. Il solo uomo con cui voleva passare la sua vita» proseguì lei. «Ma era anche impaziente. Ti mancavano ancora tre anni di università. Non poteva aspettare tanto.»
«Così fece in modo di rimanere incinta.»
Rachel non aveva il coraggio di guardarlo in faccia. «Però non voleva che tu lasciassi gli studi» continuò evitando di ribattere alla sua affermazione. «Aveva pensato a tutto, mi disse. Sareste andati a stare a casa dei suoi genitori e suo padre ti avrebbe pagato gli studi.»
«Be’, come dicevi prima, era attratta dalle persone con un carattere forte. Non avrei mai potuto farmi mantenere da suo padre. Sarebbe umiliante per qualunque uomo con un minimo di dignità.»
«Già» convenne Rachel con un filo di voce.
Sloan era contento che avesse compreso le ragioni che lo avevano spinto a lasciare l’università e a rifiutare l’offerta del padre di Olivia.
Avrebbe provato disgusto per se stesso, se l’avesse accettata.
«In ogni caso» disse Rachel, «quando mi mise a parte del suo piano mi arrabbiai molto. Arrivai persino a minacciare di raccontarti tutto. A quel punto Olivia tornò sui suoi passi. Riconobbe che sarebbe stato sbagliato ingannarti e promise di mettere la testa a posto. La cosa mi confortò, naturalmente. Ma ero così disillusa, così nauseata dalle macchinazioni che era stata sul punto di mettere in atto, che sentii il bisogno di allontanarmi per po’ da lei. Per questo me ne andai.»
«Quindi non volevi evitare me perché mi disapprovavi.»
«Era lei che disapprovavo. Non mi piaceva che la mia più cara amica fosse capace di simili intrighi. Avevo bisogno di prendere le distanze.»
Sloan aveva la netta sensazione che gli stesse tacendo qualcosa. Non le fece pressioni, tuttavia.
«D’accordo, così mi hai rivelato che Olivia aveva pianificato la gravidanza. Non ne sono affatto sorpreso, Rachel, perché, come ti ho detto, lo avevo sospettato sin dall’inizio. Non è il caso che tu ti senta come se mi avessi appena condannato all’ergastolo o roba del genere.»
«Non ti ho ancora detto il peggio.»
Lui inarcò le sopracciglia. C’era dell’altro?
«Me ne andai dall’appartamento che dividevamo, lo sai. Smisi di chiamarla e di vederla.»
Sloan sentiva crescere l’apprensione di secondo in secondo.
«Quando mi arrivarono per posta le partecipazioni, andai subito da lei e l’affrontai. Le chiesi senza mezzi termini se ti avesse incastrato.» Rachel chiuse gli occhi per un istante, sopraffatta dalla pena. «Fu così dolce, così remissiva. Mi convinse che non c’era stato bisogno di ingannarti, perché tu volevi sposarla e non vedevi l’ora che diventasse tua moglie. Mi diede a intendere che foste pazzamente innamorati.» Nel suo sguardo c’era una profonda tristezza. «Sloan, Olivia non era incinta quando vi siete sposati.»
«Ma... mi ha detto che lo era. Non l’avrei sposata, altrimenti.»
«Io sapevo che non era incinta» proseguì lei, «ma non avevo idea che tu non lo sapessi. L’ho scoperto solo dopo la cerimonia, al ricevimento. Stavamo ballando, ricordi?, e tu dicesti che speravi di diventare un buon padre.»
Ora Rachel parlava velocemente, quasi non ve desse l’ora di tirare fuori tutto quanto. «Ero inorridita. Ma non c’era più nulla da fare, ormai eravate sposati. È stato il momento più terribile della mia vita. Pensai di dirti tutto, ma prima ti chiesi se la amassi. Tu mi rispondesti di sì. Così... decisi di tacerti la verità.»
«Cos’avrei dovuto risponderti?» replicò lui. «Credevo che mia moglie avesse in grembo il mio bambino. Avevo giurato a me stesso che avrei fatto il possibile perché il matrimonio funzionasse.» La risata che gli eruppe dalla gola era assolutamente priva di allegria. «Ammirevole, davvero.»
«Come?» bisbigliò lei.
Sloan sospirò. «Greg e Travis pensano che abbia tenuto un comportamento ammirevole. Ma dicono anche che sono stato uno stupido ingenuo. E hanno ragione.»
«La coscienza cominciò a rimorderle quasi subito» si affrettò a ribattere Rachel. «Si era accorta che eri infelice. E aveva un gran rispetto per te, per le rinunce che avevi fatto. Dopo la nascita delle bambine, mi disse che eri molto a terra. Obiettai che era naturale, visto che i tuoi sogni erano stati spezzati.»
Sloan si commosse al pensiero che Rachel avesse preso le sue parti, tanti anni prima. Che lo conoscesse così bene già allora.
«Olivia tentò di spiegarmi che aveva sperato di poterti dare nuovi sogni. Ma ammise che era stato un errore. E fece il possibile per indurti ad accettare il suo fondo fiduciario, non appena ne entrò in possesso.»
«Disse che era una sorta d’investimento per il futuro» replicò Sloan in tono amareggiato. «Io non volevo i suoi soldi. Discutemmo per giorni e giorni. Lei voleva che li considerassi i nostri soldi, non i suoi. Un investimento per il futuro» ripeté scuotendo piano il capo. «Voleva solo fare ammenda, mettere a tacere il suo senso di colpa.»
«No, voleva davvero investire nel futuro. Il suo. Il tuo. E quello delle bambine. Olivia ti amava. Può anche essere che solo dopo abbia capito che non avrebbe dovuto ingannarti, ma che avrebbe invece dovuto aiutarti a raggiungere i tuoi obiettivi e a realizzare i tuoi sogni. Però alla fine l’ha capito.»
Sloan si abbandonò contro lo schienale e studiò il volto di lei. Oltre alla pena vi erano dipinte altre emozioni indecifrabili. C’era qualcosa in quella conversazione che non gli riusciva di afferrare.
«Perché mi stai dicendo queste cose?» chiese. «Per quale ragione era necessario che sapessi di essere stato ingannato da mia moglie? Perché è così importante per te che comprenda le motivazioni di Olivia? Perché non vuoi che mi arrabbi, come peraltro succederebbe a qualunque persona normale?»
«Per via di quello che mi hai detto nel bar quella mattina» rispose Rachel senza esitazioni. «Ti senti in colpa per non avere amato Olivia come un marito dovrebbe amare la moglie. Sei ossessionato dal rimorso, Sloan. E devi liberartene. Pensavo che l’unico mezzo a tuo disposizione per superare quel tormento potesse essere conoscere la verità.»
«La verità mi fa solo sentire amareggiato» ribatté lui neutro.
Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Ti prego, cerca di capirla, Sloan. Non per amor suo, ma per il tuo bene. Sostituire il tuo senso di colpa con la rabbia e il risentimento non ti sarà di alcun aiuto. La rabbia non rende liberi.» Una lacrima le rotolò lungo la guancia di porcellana. «Il perdono sì.»
«Tu vuoi che la perdoni?» Sloan era incredulo.
Giocherellava con una matita che aveva nelle mani; la faceva girare tra le dita, premeva alle due estremità. Alla fine il legno si spezzò in due. E anche dentro di lui qualcosa si spezzò.
«Ho bisogno di stare solo» disse perentorio.
Lei annuì e, in silenzio, si affrettò a lasciare la stanza.
Quando la porta si fu richiusa, Sloan provò a dare sfogo alle emozioni. C’erano tante cose da comprendere, tante novità con cui venire a patti.
Ma era come istupidito. L’unica emozione che avvertiva era una profonda, smisurata tristezza.