Greg Hamilton mise del dopobarba sul volto appena rasato e si guardò allo specchio. Per abitudine passò le mani umide di profumo sul petto nudo, quindi prese il pettine e lo affondò nei capelli bagnati. Si sentiva a meraviglia. Come un uomo che ha appena concluso una settimana di duro lavoro ed è in procinto di godersi una bella serata di svago.
I suoi pazienti lo avevano impegnato parecchio quella settimana. C’era stata l’anziana signora Brown, col suo atteggiamento mi-dia-una pillola-e-tutto-andrà-a-posto: le aveva appena diagnosticato un inizio di diabete e la cara vecchietta si rifiutava di credere che solo con la dieta avrebbe potuto continuare a restare in salute. Si era trattenuto con lei quasi un’ora, nel tentativo di spiegarle le sue condizioni, ma sembrava che nessuna delle argomentazioni riuscisse a convincerla che doveva rinunciare ai suoi amatissimi dolci.
E il piccolo Bobby Lee, che aveva cercato di scendere dal letto e nella caduta si era procurato un taglio che aveva richiesto tre punti di sutura.
Greg fece una smorfia, chiedendosi come mai quel genere di incidenti capitava sempre intorno alle undici di sera.
Oltre a questi due casi, c’erano state una miriade di bronchiti, raffreddori, influenze e altre varie congestioni delle vie respiratorie. Tra i tanti casi, tuttavia, quello che maggiormente lo aveva preoccupato era quello della giovane Tracy Morgan, che mostrava tutti i sintomi dell’anoressia. Non era stato per nulla facile convincere i genitori che la ragazzina aveva un problema serio: il loro rifiuto ad aprire gli occhi a una prognosi potenzialmente mortale lo aveva riempito di frustrazione. Così aveva finito col terrorizzare i due poveretti: non aveva avuto altra scelta, purtroppo. E la sua tecnica era risultata così efficace che i due avevano garantito che avrebbero portato al più presto la figlia da uno specialista.
Greg sospirò mentre si infilava la maglietta bianca. Basta pensare ai pazienti, si disse. Aveva lavorato tutta la settimana, ora era tempo di rilassarsi e divertirsi. E aveva un appuntamento con una bionda mozzafiato che di certo lo avrebbe aiutato a farlo.
Mentre si abbottonava la camicia, si ritrovò nuovamente a pensare allo studio, che condivideva con i suoi due migliori amici. Pensò al suo grande appartamento, situato nella zona più bella della città. E alla macchina sportiva rosso fuoco che aveva acquistato un paio di mesi prima.
Ah, sì, tutto andava a gonfie vele.
E qual era l’aspetto migliore dell’essere un medico scapolo di successo? Diamine, la fila interminabile di belle donne che volevano passare con lui i venerdì e i sabato sera. Una cenetta, quattro salti in discoteca, un bacio al chiaro di luna...
Era fantastico essere single.
Certo, lui non approfittava delle donne. No. Aveva una regola ben precisa: non fare mai sesso al primo appuntamento. L’unica volta in cui non si era attenuto a quella regola si era sentito un vero verme, al risveglio. Quell’episodio aveva rafforzato la sua convinzione che era preferibile evitare incontri troppo ravvicinati, se la storia non aveva un significato profondo.
Greg si allacciò la cintura, quindi si infilò le scarpe nere di marca italiana. Dopo essersi dato un’ultima occhiata allo specchio, afferrò la giacca, controllò che vi fossero chiavi e portafoglio e... si bloccò interdetto al trillo del campanello di casa.
Mentre si metteva la giacca, diede uno sguardo all’ora e si chiese chi potesse essere. Travis e Sloan, i suoi due soci, sapevano che quella sera aveva un appuntamento di fuoco.
Sentì il pianto del bambino ancora prima di aver raggiunto l’atrio. Nessuno dei suoi vicini aveva figli piccoli. Che fosse un paziente? Ma come mai la segreteria non lo aveva avvertito dell’emergenza? Perché i genitori del piccolo non erano andati direttamente al pronto soccorso? Per quale ragione portarlo lì? Con la mente piena di interrogativi, aprì la porta.
La donna che vide era visibilmente infastidita. E vagamente familiare. L’irritazione che irradiava dalla sua persona era quasi palpabile: la piccina che teneva in braccio urlava a pieni polmoni, il visetto tutto rosso, le braccine che si agitavano nell’aria. D’istinto, Greg si avvicinò alla bambina. «È malata?»
«No» rispose la madre, passandogli la piccolina. «È tua figlia.»
Greg aprì la bocca esterrefatto mentre la bimba si agitava tra le sue braccia. Lo shock gli aveva paralizzato le corde vocali. Dove aveva conosciuto quella donna?, si domandò. Il cervello lavorava febbrilmente nel tentativo di far emergere un nome dalle profondità della memoria.
Lei depositò sulla soglia una borsa e lasciò cadere a terra il grosso pacco di pannolini che teneva a tracolla. Sollevata da quello che pareva un peso insostenibile, sorrise per la prima volta, uno scintillio nello sguardo. Uno scintillio che Greg definì... trionfante.
«Tua figlia si chiama Joy» annunciò, «e ho deciso che è tempo che te ne occupi tu.»