Greg varcò le porte di vetro dell’ambulatorio a passo spedito. Non c’era bisogno che guardasse l’ora per sapere che era tardi.
«La tua prima paziente ti sta aspettando» lo informò Rachel Richards, la segretaria, con un’occhiata di benevola disapprovazione.
«Lo so» ribatté lui. «Lo so.»
«Via, Greg, è solo una bimba.» Rachel gli prese la figlia dalle braccia, sorridendo al frugoletto di dieci mesi. «Da come reagisci, sembra la fine del mondo.»
Una risatina gli salì alla gola. «L’arrivo di Joy è la fine del mondo che conoscevo.» E in tono più dolce. «Sto cercando di abituarmi al mio nuovo ruolo di padre. Devi avere pazienza, Rachel.» Greg ebbe la sensazione che quella supplica non fosse rivolta solo alla sua segretaria, ma anche ai suoi pazienti, ai colleghi... e a chiunque altro fosse abbastanza comprensivo e gentile da prestargli ascolto. Destreggiarsi tra i doveri della paternità e la professione medica era un’impresa titanica. Una di quelle in cui era certo di fallire.
«Ti stavo solo prendendo in giro» replicò la ragazza, sistemandosi la bimba su un fianco e passandogli il camice. «È con te solo da una settimana. Concediti un po’ di tempo.»
Greg infilò il camice e lo abbottonò in fretta. «Non immagini nemmeno quante volte in questa settimana abbia desiderato che mamma e papà fossero ancora vivi per darmi una mano. Avrebbero amato tanto Joy...» Sospirò e proseguì: «Non riesco a credere che sia così difficile trovare una babysitter, nessuno sembra disponibile. È davvero ridicolo. E non credo che sia una buona idea metterla in un asilo nido; sarebbe perennemente ammalata, se stesse in mezzo agli altri bambini».
«Greg, milioni di padri e madri di tutto il mondo affidano i loro figlioletti agli asili nido. Joy starebbe coi suoi coetanei. Pensa a tutto quello che imparerebbe.» Gli porse lo stetoscopio e la scheda della sua prima paziente. «Devi trovare una soluzione. Io sono una segretaria» gli rammentò dolcemente. «Non una governante.»
«Lo so, lo so.» Rachel in effetti era stata la sua unica salvezza in quella settimana. Senza di lei, non sapeva come avrebbe fatto. E ora, senza volere, gli aveva dato un’idea fantastica. «Una governante...» ripeté. «Ecco cosa ci vuole.»
Rachel liquidò l’idea con un gesto della mano. «Non credo proprio che ti farebbe piacere avere qualcuno in casa giorno e notte.»
«Ma ho diverse camere» ragionò lui a voce alta. «Per l’esattezza quattro.»
«La tua vita cambierebbe drasticamente.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Come se già non fosse successo.»
Rachel rise e Joy la imitò.
Greg accarezzò la guancia morbida della figlia. «Ti piace, eh, piccolina? Sei tutta contenta di aver messo sottosopra l’esistenza del tuo papà.»
I gorgoglii gioiosi della bimba lo fecero ridacchiare. Era con lui da una sola settimana e già le voleva un gran bene.
«Questa signorina è troppo affascinante» disse Rachel toccandole il nasino. «È un peccato che il suo papà non lo sia altrettanto, stamattina. Cos’è successo, non hai trovato il rasoio?»
Greg si portò la mano al volto. «Oh, no! Mi sono scordato di radermi.»
Una luce divertita danzava negli occhi della segretaria. «Questa storia ti ha davvero sconvolto.»
Lui si guardò allo specchio: il nodo della cravatta era storto e la cintura era allacciata, ma non nel buco giusto. «Mi sento come un sopravvissuto a un terremoto» si scusò. «Un terremoto con frequenza quotidiana. Joy è deliziosa di giorno, ma la notte...» Sospirò. «Quando è l’ora di andare a fare la nanna, vuole la mamma. Devo cullarla e cantare per ore prima che si addormenti.»
Rachel gli rivolse un sorriso.
«Col tempo diventerà tutto più facile. Ora farai meglio ad andare dalla paziente. È già un bel po’ che aspetta.»
Prima di avviarsi, Greg diede un buffetto alla piccina che lo ricompensò con un sorriso radioso.
Pareva impossibile, invece nello spazio di soli sette giorni quella bambina lo aveva conquistato anima e corpo.
Jane sedeva sul lettino delle visite, con lo stomaco contratto per la tensione. Non avrebbe dovuto andare lì senza un piano. Quel comportamento impulsivo non era proprio da lei. Ma doveva trovare Joy. Si sentiva persa senza quella piccolina nella sua vita. Come aveva potuto Priscilla scomparire in quel modo con la bambina? Come aveva potuto sua sorella fare una cosa del genere?
Lacrime cocenti le bruciarono gli occhi mentre pensava alla nipotina, ai suoi occhioni verdi, ai riccioli rossi e alle fossette che le si formavano sulle guance quando sorrideva. Asciugò le lacrime con un gesto deciso della mano. Non poteva piangere. Non in quel momento. Doveva tenere a freno le emozioni, Greg Hamilton sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro.
Diede un’occhiata all’orologio. Il dottore era in ritardo. Cosa ci si poteva aspettare da quell’individuo irresponsabile e crudele che, dopo avere messo incinta sua sorella, non aveva più voluto saperne di lei e della sua piccola creatura?
Jane si impose di dominare la collera. Le sarebbe piaciuto molto dire due paroline al caro dottore, tuttavia aveva bisogno del suo aiuto per trovare Priscilla e Joy. Era quella l’unica ragione per cui si trovava lì.
Era passata una settimana dal giorno in cui, rientrando dal ristorante in cui lavorava, aveva trovato la casa vuota. Priscilla se n’era andata senza lasciare un biglietto. Nessuna indicazione di dove fosse o di quando avesse in mente di tornare. All’inizio Jane era andata su tutte le furie, pensando che la sorella avesse portato la piccina con sé a un appuntamento con uno dei suoi numerosi spasimanti.
Priscilla agiva sempre secondo il capriccio del momento, non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni, e quell’atteggiamento imprudente spesso la portava a trascurare il bene della figlioletta. Proprio per quel motivo avevano litigato qualche giorno prima che Priscilla sparisse.
Jane aveva scoperto che la sorella, invece che restare a casa con la bambina mentre lei era al lavoro, la lasciava da una vicina e se ne andava in giro. Per puro caso, rientrando prima del previsto, aveva incrociato Priscilla mentre usciva dalla casa dei vicini con la bimba in braccio: era tardi e Joy aveva indosso solo il pigiamino, una protezione inesistente contro il freddo di fine ottobre. Ne era seguita una terribile discussione.
In casa i soldi scarseggiavano, quindi Priscilla si era fatta dare il denaro per la babysitter da uno degli uomini con cui usciva. Uomini che accorrevano a ogni suo richiamo, che non pensavano che a divertirsi. Uomini come Greg Hamilton.
Non aveva ancora finito di pronunciare mentalmente quel nome quando la porta si spalancò e il diavolo entrò.
Jane sgranò gli occhi e il cuore iniziò a batterle più velocemente in petto. Santo cielo, quell’uomo era un vero schianto! Perché stupirsene? Se non lo fosse stato, Priscilla non l’avrebbe degnato di uno sguardo.
«Salve.»
Greg sorrise dopo averla salutata e Jane capì immediatamente da chi Joy avesse ereditato le fossettine. Nel caso della piccola erano ridicole, in quello di Greg Hamilton... mozzafiato. Anche sulla guancia non rasata, quelle fossette incantavano. E gli occhi erano verdi, come quelli di Joy.
«Salve» mormorò lei, un po’ turbata. Ehi, calmati ora, si ammonì subito. Cosa ti importa se quelle dannate fossette lo fanno apparire come un divo di Hollywood? O se i suoi occhi luccicano pieni di passione? Era stupefatta da come reagiva in sua presenza.
«Sono il dottor Hamilton.»
Le porse la mano e Jane, automaticamente, allungò il braccio. Il palmo era caldo contro il suo. La stretta ferma, sicura. Come avrebbe dovuto essere la stretta di mano di un medico. «Jane» replicò, sollevata di aver almeno ricordato il proprio nome. «Jane Dale.»
«Piacere di conoscerla. Mi conceda un istante per dare un’occhiata alla sua scheda e poi potrà dirmi cosa posso fare per lei.» Andò alla scrivania e aprì la cartelletta che aveva portato con sé. Lei ne approfittò per riguadagnare il controllo e mettere ordine nelle sue idee. Il fatto che fosse attratta da un bell’uomo era naturale. Ma perché la infastidiva che Greg Hamilton fosse così affascinante? Si aspettava che lo fosse, no? Priscilla non sarebbe mai uscita con qualcuno che non assomigliasse a un dio greco. Sei arrabbiata perché uomini come lui non potrebbero mai trovarti attraente, le suggerì la vocina della coscienza.
Oh, era ridicolo! Non le importava un accidenti che Greg Hamilton, o altri, la trovassero attraente. Quello che la faceva infuriare era che quell’uomo aveva concepito una bimba e poi si era rifiutato di occuparsene, a meno che ne avesse avuto la piena custodia; non aveva aiutato Priscilla, anche se ne aveva sicuramente la possibilità. Quell’uomo non voleva mantenere Joy. Ecco i fatti.
Stai calma, si ammonì di nuovo. Se l’avesse aggredito verbalmente, come desiderava da tempo, lui non l’avrebbe aiutata a trovare Priscilla e Joy. E perché poi avrebbe dovuto aiutarla? Sua sorella le aveva detto che Greg Hamilton voleva l’affidamento della figlia e che solo a quella condizione si sarebbe preso cura di lei. Se ora Priscilla era sparita con la bimba, significava che probabilmente si era riacceso un interesse per la bimba.Jane impallidì. E se Greg avesse deciso di portar via Joy a sua sorella? Se avesse assunto un avvocato? Cosa sarebbe successo, se avesse iniziato una battaglia legale per il riconoscimento dei suoi diritti di padre?
La mente di Jane lavorava a ritmo febbrile. Perché non aveva pensato a queste possibilità prima di andare nel suo studio? Perché non si era resa conto che si sarebbe trovata in territorio nemico? Con quel gesto avrebbe potuto compromettere Priscilla irrimediabilmente.
A quella prospettiva cominciò a tremare.
Aveva la fronte imperlata di sudore e si sentiva la testa leggera. Era stato un terribile sbaglio andare lì, ormai, però, era troppo tardi per tornare indietro.
Devi solo mentire, le rammentò la vocina. Continua così e tutto andrà per il meglio.
Riluttante a rivelare la vera identità, si era limitata a dire alla segretaria che era andata in studio per una visita di controllo. Avrebbe dovuto attenersi a quella versione della storia. Tutto qui.
Per fortuna lei e la sorella, essendo nate da padri diversi, avevano anche cognomi diversi. Il dottore non la conosceva, non l’aveva mai vista. Quindi non c’era possibilità che potesse collegare la ragazza insignificante che gli sedeva davanti alla donna bionda mozzafiato che era Priscilla.
Greg intanto guardava la scheda senza realmente vederla. Quella donna non sembrava avere dei problemi: la pressione era normale e il peso perfetto per la sua altezza, eppure lui continuava a fissare la pagina.
Senza farsene accorgere, trasse un profondo respiro, poi espirò lentamente. Quando era entrato nella stanza e aveva guardato Jane Dale in viso era stato come se gli avessero dato un pugno nello stomaco. Quella donna aveva un’aria così... spaventata. Era quasi sicuro che il suo malessere non fosse dovuto a problemi fisici. Gli occhi grigio blu erano intensi, disperati.
Non era necessario essere un medico per capire che doveva aver passato la notte insonne. E dalle occhiaie scure che ombreggiavano la pelle di porcellana, si sarebbe detto che da giorni non dormiva a dovere. Qualcosa la tormentava.
D’istinto l’avrebbe presa tra le braccia e stretta a sé, per darle quel conforto di cui aveva tanto bisogno. Ma sarebbe stato un comportamento ben poco professionale, così, con la scusa di dover dare un’occhiata ai suoi dati, si allontanò da lei.
Una simile reazione lo aveva colto del tutto di sorpresa. Era certo, comunque, che la causa fosse da ricercarsi nel suo nuovo atteggiamento nei riguardi delle donne in generale. Era stato uno shock vedere Priscilla con la bimba in braccio sulla soglia di casa sua. E quella settimana con la piccola era stata dura. Oh, se lo era stata! Ma essere padre regalava anche emozioni meravigliose.
Quella situazione rocambolesca aveva alterato drasticamente il suo modo di pensare al gentil sesso: non riusciva ancora a credere di essere stato così irresponsabile e insensibile da aver messo incinta una donna. E non lo aveva saputo finché aveva trovato madre e figlia davanti a casa sua.
Greg lanciò un’occhiata furtiva a Jane Dale, chiedendosi cosa l’affliggesse. C’era solo un modo per scoprirlo. Si voltò a fronteggiarla. «Allora, cosa posso fare per lei?»
«Sono qui per una visita di controllo.»
La risposta affrettata e il tono brusco lo resero ancor più curioso circa quella donna dall’aria così delicata.
«Ha avuto problemi ultimamente?» le chiese prendendo lo stetoscopio.
«No, affatto» lo rassicurò lei. «Ma mi serve una visita di controllo.» E aggiunse frettolosamente: «Per un lavoro».
«Oh, sta per iniziare un nuovo lavoro?» Una breve conversazione medico-paziente l’avrebbe aiutato a conoscere qualcosa in più su di lei, sul suo stile di vita... sui suoi guai.
«Be’... Non ne ho ancora uno. Sono appena arrivata in città. Ma conto di trovare presto una occupazione. Per pagare un affitto... L’albergo in cui sto non è a buon mercato.»
«Benvenuta a Philadelphia» disse Greg con un sorriso. «Che genere di lavoro sta cercando?»
Mentre parlava, le si era avvicinato per auscultarle il torace e rimase sorpreso nel vederla ritrarsi. «Devo controllare cuore e polmoni» spiegò con calma, per metterla a suo agio.
Jane distolse lo sguardo, ma rimase immobile quando lui le fece scivolare l’apparecchio sotto la camicetta e glielo premette sul torace.
La pelle di lei era calda e setosa sotto le dita. Greg dovette spostare in fretta lo sguardo dal bordo di pizzo del reggiseno. Che diavolo gli stava succedendo? Era abituato a visitare pazienti di ogni età e sesso e non gli era mai capitato di sentirsi turbato per la vista di un po’ di pizzo. Ora però lo era. Al punto che si augurò che le mani non cominciassero a tremare. Era pazzesco! Tieni la mente occupata. È la solita routine.
Dovevano continuare a parlare.
Greg si rese conto che lei non aveva ancora risposto alla domanda e riprese da quel punto. «Io la vedo come... un’insegnante delle elementari?»
Jane sorrise e quel sorriso la trasformò. L’espressione si addolcì e le piccole rughe di preoccupazione si distesero. Era molto carina. Una bellezza acqua e sapone, pensò lui.
«Adoro i bambini» rispose Jane. «Ma non sono un’insegnante.»
«Una fotografa, allora» seguitò lui. «O un’impiegata. Un’infermiera. Un’autista di camion...»
«Una cosa?»
C’era ilarità nella voce di lei, a dispetto del tormento che la dilaniava. Greg non aveva mai sentito un suono più melodioso. «Ehi, siamo nel nuovo millennio. Le donne possono fare ed essere quello che vogliono.»
Il sorriso di Jane svanì. «Be’... se lo dice lei.»
Ecco di nuovo quell’ombra nei bellissimi occhi grigio blu. Greg tastò con le dita i lati del collo e la tiroide, chiedendosi come sarebbe stato posare le labbra su quella pelle delicata e morbida. «Dunque, cosa vuole fare da grande?» chiese, ignorando con risolutezza le immagine erotiche che gli si erano affollate nella mente.
«È davvero importante? Sono una banale, insignificante cameriera.»
Non c’è nulla di banale o di insignificante in te, Jane Dale. Vorrei tanto fartelo entrare nella testa. E vorrei scoprire cosa ti affligge. Quel pensiero lo indusse quasi a ritrarsi di scatto. Si impose invece di restare al suo posto, facendo appello alla professionalità di cui era molto orgoglioso: essere medico non significava solamente trovare una cura per i mali fisici del paziente, spesso un medico è chiamato a scavare nella psiche di una persona, a entrare nella sua mente per tentare di capire quali preoccupazioni sono alla base di un malessere o di un disagio. Ciò che lo disorientava di più era la confusa mescolanza di emozioni che stava sperimentando. Partecipazione, curiosità e... attrazione. Sì, attrazione.
«Mi piacerebbe poter dire che ho un diploma di insegnante, o che sono una fotografa affermata» continuò la ragazza con un sospiro. «Ma posso vantarmi solo della mia abilità nel tagliare le verdure e impastare la carne.»
Greg rise. Jane Dale aveva senso dell’umorismo. Una gran qualità. «Peccato che non sia una specie di Mary Poppins» si ritrovò a mormorare.
Lei si immobilizzò. «Come, prego?»
«Oh, be’, una governante, ha presente?» Greg si strofinò la guancia assorto. «Se avesse esperienza coi bambini, potrei avere un lavoro per lei.» Diavolo, non aveva idea del perché lo avesse detto. Non conosceva neppure quella donna. Ma il pensiero di Joy, delle notti insonni e dell’interminabile mucchio di micro indumenti che lo aspettavano in lavanderia, a casa, oltre alle lamentele di Rachel, l’aveva spinto a parlare senza riflettere. Jane era graziosa. Era sana. L’aveva appena appurato, no? E gli piaceva. E aveva bisogno di un lavoro.
«Oh, sta cercando qualcuno che...»
Greg ridacchiò. «Ovviamente, essendo una cameriera, non è interessata a cambiare pannolini o a far mangiare i piselli a una bimbetta.»
«Una b... bimbetta?»
«Sì. Nuova» ribatté lui. «Be’, non proprio» aggiunse. «Joy ha dieci mesi. È vivace, bellissima e ha un carattere d’oro. E, ciliegina sulla torta, ha le fossette, come me.» Piegò le labbra in un largo sorriso e indicò le proprie guance.
D’accordo, era un padre orgoglioso, questo si era capito. «Le... le serve una babysitter?»
«Pensavo piuttosto a una tata a tempo pieno, notti comprese. Probabilmente a lei non interessa questo genere di impiego.»
«No, aspetti» replicò lei in un sussurro. «Ho esperienza di bambini. Io... stavo con mia sorella. Ha una bambina e, be’, me ne occupavo quasi del tutto io. Quando non ero al lavoro, insomma.»
Lui rimase sbalordito dal fatto che Jane stesse prendendo in considerazione la sua proposta. «Grandioso» ribatté. «Posso conoscerla? Sua sorella, intendo. O potrei almeno avere una...» Esitò un istante, sentendosi un verme. Ma era di sua figlia che si stava parlando, dunque... «Una lettera di raccomandazione?»
«Certo.»
La vide deglutire nervosamente, particolare che rafforzò la sua convinzione che dovesse avere un bisogno disperato di un impiego.
«Le chiederò di scriverla immediatamente» seguitò Jane. «E... di passare da lei, la prossima volta che verrà in città.» Si mordicchiò il labbro, e Greg dovette distogliere lo sguardo dalla sua bocca. «Le sembra sufficiente?»
Per un attimo lui esitò. Forse non avrebbe dovuto essere così precipitoso, ma in quel momento, per la prima volta da quando era entrato in quella stanza, le ombre che velavano lo sguardo di Jane erano svanite: era come se fosse stata liberata da un gran peso dalle spalle, ed era merito suo, pensò Greg orgoglioso. «Più che sufficiente» disse quindi con un gran sorriso. Le strinse la mano. «Ha problemi a iniziare subito? In questo stesso istante, voglio dire.»