Le grida della bambina continuarono ininterrotte per i quindici minuti che furono necessari a Jane per raccogliere la roba e metterla in valigia.
Jane controllava l’ora ogni trenta secondi, resistendo all’impulso di correre dalla nipotina e consolarla. Il bagno era proprio davanti alla camera di Joy, così quando andò a recuperare la borsa del trucco e gli effetti personali lasciati sul ripiano di marmo, i singhiozzi della piccola le parvero ancora più strazianti.
A quel punto pensò che le si sarebbe spezzato il cuore. Non poteva lasciare Joy. Non in quel modo. Non mentre lei piangeva disperata.
Greg aveva accennato al fatto che l’ora della nanna si tramutava ogni sera in una tragedia, rammentò. Ma non doveva essere necessariamente così. Non lo sarebbe stato, se avesse potuto cullare la nipotina. Alla fine, non resistette più. Gettata la piccola trousse sul letto, tornò in corridoio e si diresse risoluta alla stanza della bambina. Bussò e, senza attendere risposta, entrò.
Greg aveva l’aria distrutta.
«Dalla a me. Ci penso io» disse avvicinandosi. Prese Joy dalle sue braccia e la piccola immediatamente si calmò, si infilò il pollice in bocca e le posò la testolina sulla spalla.
Il silenzio scese nella cameretta.
L’espressione di Greg indicava chiaramente che era del tutto disorientato. Sedeva sulla sedia a dondolo, battendo le palpebre, volgendo lo sguardo dall’una all’altra. Ovviamente stava tentando di capire com’era possibile che le urla si fossero placate di colpo.
Jane sorrise dolcemente, mentre gli faceva cenno di alzarsi. «Lasciami qualche minuto da sola con lei, d’accordo?» Si sedette sulla sedia a dondolo e strinse la piccina tra le braccia. Joy sospirò, gli occhi fissi nei suoi. Jane sentì il cuore gonfiarsi d’amore mentre la guardava con infinita tenerezza. Era una settimana che non cullava la nipotina... una settimana che le era parsa lunga un mese. A fatica distolse lo sguardo da Joy e lo spostò su Greg, che era ancora frastornato.
Senza dire una parola lui fissò le due donne per qualche istante ancora. Poi si volse in silenzio e uscì dalla stanza.
Più tardi, dopo che la piccina si fu addormentata, Jane la mise nel suo lettino e lasciò la cameretta in punta di piedi. Trovò Greg seduto al tavolo della cucina, con una tazza di caffè tra le mani.
«Ne vuoi anche tu?» chiese lui, indicando con un cenno la caffettiera.
Lei scosse il capo. «È meglio che vada. Devo ancora trovare un posto dove dormire. Passerò dall’albergo in cui stavo. Spero che abbiano ancora...»
«No» la interruppe Greg. «Resta qui. Almeno per questa notte.»
Una scintilla di speranza le si accese in petto.
Greg le versò del caffè e le porse la tazza. Quindi prese la zuccheriera, la brocca del latte e un cucchiaino, che sistemò accanto alla tazza. «Siediti» le disse. E vedendola esitare, aggiunse: «Ti prego».
Jane si accomodò.
«Non riesco proprio a capacitarmene. Di quanto sei brava con lei, intendo.»
«Presumo che sia solo una questione di sesso» ribatté lei, vagamente sulle spine.
Greg piegò la bocca in un sorrisetto. «Non è politicamente corretto» obiettò.
Condivisero una breve risatina e la tensione di Greg parve allentarsi.
«In realtà non conta molto il fatto che sei una donna. Joy piange spesso con Rachel, la segretaria dello studio. E piange con le infermiere. Con te invece... non so, sembra che con te sia più a suo agio che con chiunque altro.» Studiò il liquido bollente nella tazza e quasi tra sé aggiunse: «Persino più che con la sua stessa madre».
Quell’accenno a Priscilla non avrebbe potuto cadere in un momento più perfetto.
Trovare sua sorella e scoprire che cos’era successo non sarebbe stato un problema. Tutto quello che doveva fare Jane era chiedere informazioni sull’assenza della madre della piccola.
Invece rimase silenziosa. Non poteva permettersi di chiedere nulla. Greg si stava complimentando con lei per la sua bravura con la bambina, per la facilità con cui aveva stabilito un rapporto con lei. Non voleva dunque rovinare quel momento distraendo la sua attenzione. La possibilità di restare con Joy aveva la precedenza su qualunque altra cosa. Anche su Priscilla.
Improvvisamente gli occhi verdi di lui catturarono i suoi, intensi, penetranti, indagatori. Infine domandò: «Perché?».
Jane, nervosa più che mai, prese tempo inumidendosi le labbra secche. Poi si strinse nelle spalle. «Capita che certe persone abbiano un feeling immediato. Forse io e Joy siamo anime gemelle.»
Di nuovo la bocca di Greg si incurvò nel sorrisetto più sexy che lei avesse mai visto. «È un’espressione che in genere si usa nel caso di un uomo e di una donna... non di una donna e una bambina.»
La sua voce vellutata, carezzevole le trasmise un brivido caldo lungo la spina dorsale. Quell’uomo era davvero affascinante!
Jane si ammonì a mantenere la conversazione entro dei binari precisi. «Sai, l’istinto materno può essere una forza strabiliante.» Gli sorrise e, appoggiandosi contro lo schienale, ripeté: «Strabiliante. E alcune donne ne hanno molto più della norma».
Greg lasciò la tazza e si prese il mento tra indice e pollice. Era evidente che gli stava frullando qualcosa per la mente. Poi, inaspettatamente, le coprì la mano col palmo.
Benché sapesse che avrebbe dovuto sottrarsi al suo tocco conturbante, Jane rimase immobile.
«Ascolta» disse lui infine, «perché non resti qui per tutto il fine settimana? Avremo due giorni interi per approfondire la nostra conoscenza. Non sono di turno, quindi non dovrò tornare in studio sino a lunedì, a meno che non si presenti un’emergenza. Domani puoi chiamare il tuo precedente datore e chiedergli di mandarmi una lettera di referenza. E puoi domandare a tua sorella di telefonarmi. Mi piacerebbe parlare con lei riguardo alla tua esperienza in fatto di bambini.»
Jane era al settimo cielo, tuttavia cercò di non mostrarlo in modo troppo evidente. «E i tuoi amici? Cosa diranno? Non erano d’accordo sulla mia assunzione, no?» Doveva metterlo alla prova. Vedere quando fosse determinato a tenerla lì, in casa sua.
«È la mia vita» rispose lui. «E Joy è mia figlia. A volte bisogna impuntarsi e fare ciò che si ritiene giusto.»
Il sollievo che la pervase le fece quasi girare la testa.
«Allora, ti fermi?» chiese lui.
«Certo» ribatté lei.
Non doveva piacerle, dannazione! Non poteva permettere che succedesse una cosa del genere. Fu con questi pensieri assillanti che Jane si svegliò la domenica mattina.
Sabato era stata una giornata piena di sole. E benché quel novembre fosse uno dei più freddi registrati in Pennsylvania negli ultimi anni, lei e Greg avevano portato Joy al parco a vedere i pattinatori che saettavano sul laghetto ghiacciato. Avevano fatto una passeggiata e si erano fermati in un grazioso localino a fare merenda.
In diverse occasioni, quel giorno, Jane si era ritrovata a pensare che era così che avrebbe dovuto essere una famiglia: genitori e figli che giocano, ridono, stanno insieme. E ogni volta che aveva fatto quella considerazione si era soffermata a ricordare la propria infanzia e quella di sua sorella, così prive di calore e stabilità.
Mentre rifletteva su quell’abissale contrasto per l’ennesima volta, Greg aveva cominciato a osservarla intento. Naturalmente non poteva sapere cosa le passasse per la testa, ma aveva mostrato una sorprendente partecipazione per la tristezza che evidentemente le velava lo sguardo. Jane si era limitata a sorridergli ed era corsa via per fare un microscopico pupazzo con la poca neve che imbiancava l’erba del parco. Joy aveva assistito alla creazione ridacchiando tutta contenta.
Per tutto il giorno Greg aveva riempito la piccola di attenzioni. Ed era anche stato gentile e premuroso con lei, pensò Jane. Non aveva nulla del tipo freddo e insensibile che aveva immaginato. Non si avvicinava nemmeno lontanamente all’uomo egoista e capriccioso che Priscilla le aveva descritto tante volte nel corso della gravidanza.
Quel comportamento la confondeva, pensò scendendo dal letto. Lui non poteva essere la brava persona che voleva far credere. E lei si rifiutava di trovarlo simpatico. Conosceva il suo segreto. Sapeva che non aveva voluto aiutare Priscilla perché non gli era stato concesso l’affidamento di Joy. Qualunque uomo avesse ricattato una donna in quel modo non poteva avere un cuore.
No, Greg non era un bravo ragazzo. Non avrebbe potuto recitare per sempre. Presto si sarebbe rivelato per quello che realmente era.
Uscendo dal bagno, Jane incontrò Greg in corridoio. Si era fatto la doccia e si era vestito. Il profumo del suo dopobarba aleggiava nell’aria, invadendole i sensi.
Perché mai provava lunghi brividi solo guardandolo? Automaticamente, si strinse al seno i bordi della vestaglietta di seta, quasi per proteggersi dall’istintiva e incontrollabile reazione del proprio corpo.
Proteggersi? Quel pensiero la irritò. Non aveva bisogno di protezione da tipi come Greg.
Devi proteggerti da te stessa.
A quella considerazione, Jane si accigliò.
«Buongiorno» la salutò lui con un sorriso luminoso.
Il cipiglio di Jane si accentuò, mentre borbottava una risposta incomprensibile, cercando di passargli accanto e sgattaiolare via.
«Ehi...» Greg l’afferrò per la manica.
Lei lo fulminò con un’occhiataccia. Non era proprio dell’umore adatto per scherzare. Era troppo confusa e disorientata.
La risatina di lui le causò una strana morsa alla bocca dello stomaco. Dannazione! Detestava sentirsi così in balia delle emozioni. Non le era mai capitato prima. Con nessuno.
«Non sei molto gioviale al mattino, eh?» chiese lui, una nota divertita nella voce vellutata. «Meno male che ho preparato il caffè. Dovrebbe placare la bestia che c’è in te al risveglio.»
Stava cercando di farla ridere, ma lei non gli avrebbe dato quella soddisfazione. «Grazie. Ne prenderò una tazza. Prima mi vesto, però.» Jane tornò in camera, consapevole dello sguardo di lui che la seguiva.
Quando arrivò alla porta, Greg la fermò. «Per fortuna ho scelto la qualità extra forte. Il contenuto di caffeina è garantito contro i peggiori malumori. C’è scritto sull’etichetta.»
A dispetto di tutto, Jane si sorprese a sorridere. Poi, per controbilanciare, sospirò. «Arrivo tra poco.» E sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
Hai perso il senno?, si redarguì irritata. Non poteva permettersi di essere scortese con Greg. Si trovava in una situazione troppo precaria per fare la scorbutica. Nonostante quello che pensava del suo comportamento con Priscilla, avrebbe fatto bene a mostrarsi più civile. Il posto di babysitter era ancora in dubbio, no?
Mentre si vestiva pensò alla lettere di referenza che lui aspettava e alla telefonata che voleva da sua sorella. Come uscire da quell’impiccio? Era un peso che le gravava sulle spalle come un macigno. Non le piaceva mentire, non rientrava nelle sue abitudini. Tuttavia, se voleva restare con Joy, avrebbe dovuto raccontare altre bugie.
Si infilò in fretta dei jeans, un maglioncino e scarpe da ginnastica. Poi si diede un’occhiata allo specchio. Si era truccata in bagno e notò che il mascara faceva apparire più grandi del normale i suoi occhi grigio blu.
Jane liberò un piccolo sospiro. Anche così non era una bellezza. Non era brutta, certo, ma non aveva di certo i lineamenti classici e perfetti di Priscilla.
Mentre si guardava drizzò le spalle. Un guizzo di stupore attraversò il suo sguardo. Non si era mai preoccupata tanto del suo aspetto prima. Quindi perché preoccuparsene ora? Visto che temeva la risposta, allontanò quei pensieri e lasciò la stanza.
Un muto avvertimento le echeggiava nella testa. Sii gentile. Altrimenti si sarebbe ritrovata per strada, a piangere disperata per aver perso Joy. Nessuno le chiedeva di trovare Greg di suo gradimento. Doveva solo essere cortese.
Prima ancora di entrare in cucina, avvertì nell’aria il profumino della pancetta che sfrigolava nella padella e le venne l’acquolina in bocca.
«Wow!» esclamò quando vide Greg davanti ai fornelli. «C’è un profumino delizioso.» Diede un’occhiata al seggiolone vuoto e aggiunse: «Joy dorme ancora?».
«Sì, ma non per molto, ci scommetto» rispose Greg togliendo dalla pentola le strisce di pancetta. «Perché non tosti il pane, mentre preparo le uova?»
«Certo.»
Dopo aver messo nel tostapane le fette, Jane si versò una tazza di caffè. «Un vero nettare» commentò mentre lo sorseggiava, appoggiata contro il bancone.
Greg rise e lei ricambiò. Sarebbe riuscita anche lei a dare il meglio di sé.
Mentre Greg cucinava, l’attenzione focalizzata su quanto stava facendo, Jane ne approfittò per studiarlo: i capelli erano castano chiari, lucenti e folti, e avevano un taglio ordinato e classico. E le orecchie erano ben modellate. La mascella e il collo erano lisci, rasati di fresco. E il naso...
Le fette saltarono su dal tostapane, facendola trasalire.
«Il burro è sul tavolo» disse Greg tranquillo.
Qualcosa nel suo tono le diede la netta sensazione che si fosse accorto che lo stava ispezionando. O meglio, mangiando con gli occhi. Imbarazzata come non mai, impiegò più tempo del solito a imburrare le fette. E in tutto quel tempo non osò una sola volta volgere lo sguardo in direzione di lui.
Non le piaceva per niente la sensazione che dilagava nel suo cuore, come il profumo di un grande mazzo di fiori in un ambiente ristretto. La tensione sembrava crescere di secondo in secondo. Ne era sconcertata. Che fosse solo frutto della sua immaginazione? Non aveva mai sperimentato prima sensazioni del genere.
Greg divise le uova in due porzioni e, di colpo, Jane venne sopraffatta dall’ansia all’idea di sedere sola a tavola con lui. Il formicolio che le attanagliava lo stomaco ebbe la meglio. «Vado a dare un’occhiata a Joy.»
«No» la bloccò lui. «Mangiamo finché siamo in tempo. Se c’è una cosa che ho imparato da quando la mia bellissima bambina vive con me è che bisogna approfittare di ogni momento libero.»
Da come lo aveva detto, sembrava che avesse cresciuto lui Joy. E invece ce l’aveva solo da una settimana.
Greg mise i piatti sul tavolo. «Succo d’arancia?» chiese aprendo la porta del frigorifero.
Lei gli rivolse un breve cenno di assenso. Poi, lentamente, scostò una sedia e si sedette.
Mentre Greg si curvava su di lei per versarle il succo d’arancia, il suo profumo la avviluppò come un abbraccio vero e proprio. Senza volerlo, chiuse gli occhi e inspirò, concedendosi per un istante di godere del suo calore, della sua vicinanza. Non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma Greg aveva un profumo di gran lunga migliore della pancetta abbrustolita.
Jane spalancò gli occhi. Possibile che avesse appena messo a confronto il profumo sensuale di Greg con quello stuzzicante e delizioso della pancetta? Meno male che da quel confronto era uscito vincente, pensò, sopprimendo una risatina.
Una risatina? La sola idea era un insulto alla sua intelligenza. Non aveva mai ridacchiato come un’ochetta in tutta la sua vita. Le stava accadendo qualcosa di molto strano. Si sentiva come una ragazzina che volesse fare buona impressione su qualcuno che la attraeva...
Santo cielo, era attratta da Greg Hamilton? No. Era assurdo. Ridicolo. Per quanto fosse bello, non era possibile che... Gli lanciò un’occhiata furtiva. Il polso accelerò e un brivido la percorse.
Oh, no! Era attratta da lui!
In quell’istante un altro pensiero deprimente la colpì: era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva provato qualcosa per un uomo che erano stati necessari due giorni per rendersi conto di cosa la stava tormentando. Jane soffocò un gemito.
Be’, non era colpa sua se da tempo non usciva con nessuno. Negli ultimi dieci mesi era stata impegnata a crescere la nipote. E prima aveva dovuto lavorare sodo per garantire l’indispensabile alla sorella incinta. E prima ancora...
«Passami una fetta di pane, per favore.»
La voce di Greg riportò Jane al presente. Allungò il piatto e Greg si servì, prese un boccone di uova, fece scivolare la forchetta tra le labbra, iniziò a masticare... Rendendosi conto che lo stava fissando, Jane distolse in fretta lo sguardo. Accidenti, non avrebbe permesso che una stupida attrazione fisica dominasse il suo corpo. O la sua mente. Poteva contrastarla. E lo avrebbe fatto.
Doveva distrarsi, decise. E quale diversivo migliore di una conversazione? Magari su un argomento pericoloso, pericoloso quanto bastava per scacciare dalla sua testa quegli assurdi pensieri e tenerla coi piedi per terra. Senza fermarsi a riflettere, seguì a capofitto l’ispirazione. «Se non ti spiace che lo chieda» cominciò, «dov’è la madre di Joy?» E proseguì: «Sei vedovo? Divorziato?».
Greg era un medico affermato. Rispettato da tutti, pazienti, colleghi, amici. Non avrebbe avuto il coraggio di confessare che aveva avuto un figlio da una donna senza essersi sposato, rifletté lei. Avrebbe di certo inventato una montagna di bugie. E così facendo si sarebbe tradito. Avrebbe rivelato la sua vera natura di dongiovanni, senza nemmeno accorgersene. Ed era questo ciò di cui Jane aveva bisogno per soffocare quell’assurda attrazione che provava per lui.
«A dire la verità, non mi sono mai sposato» rispose invece lui. Jane inarcò le sopracciglia, stupefatta. E il senso di colpa che la tormentava per le menzogne che lei aveva imbastito si fece più forte. «Non fare quella faccia» continuò. «Per ogni madre nubile in genere c’è un padre scapolo.»
«Presumo che sia vero» ribatté Jane. «Ma dov’è la madre di Joy? E i tuoi genitori? Non hai fratelli o sorelle? Nessuno che ti abbia dato una mano in questi dieci mesi?»
«Non ho fratelli o sorelle e i miei sono morti molti anni fa. Sono entrato tardi nella loro vita, quando ormai avevano rinunciato all’idea di poter avere dei figli.»
«Oh, mi dispiace» mormorò lei.
«No, non è il caso» replicò lui. «Ho Sloan e Travis. Una delle cose che ci lega è il fatto che nessuno dei tre ha una famiglia alle spalle. Così ci sosteniamo a vicenda.» Per qualche istante rimase silenzioso. Poi riprese: «Non mi va di doverlo ammettere, ma prima di venerdì, non sapevo neppure di essere padre». Ci siamo, pensò Jane. Ora cominciano a piovere bugie. «Circa diciotto mesi fa, sono uscito qualche volta con una donna» continuò lui. «Abbiamo avuto una... una...»
«Una breve relazione?» gli venne in aiuto Jane.
Lui distolse lo sguardo, a disagio. «Sì» annuì. «Una storia senza importanza, che però è finita con una... una bambina. La mia bambina.»
Proprio in quell’attimo Joy si mise a gridare. Jane scostò subito, ma Greg la fermò. «Vado io. Tu finisci la colazione. Devi imparare a mangiare più in fretta».
Jane notò che Greg aveva ripulito il piatto. E lei? Aveva mangiato solo un boccone di pane tostato. Niente altro.