Jane piegava i piccoli indumenti di Joy via via che li tirava fuori dalla macchina asciugatrice. Era sola nel grande appartamento deserto. Greg era andato al supermercato con Joy e lei si era fermata a casa per occuparsi del bucato e fare un po’ di pulizie.
Aveva fatto notare a Greg che la piccina avrebbe dovuto fare il sonnellino, lui però aveva insistito per portarla con sé. Jane non aveva osato contraddirlo, vista la sua situazione precaria.
Seppur di malavoglia, Jane doveva riconoscere che lo ammirava per come era protettivo nei confronti di Joy. Non ne era contenta, ma era innegabile che Greg si preoccupasse per la bambina... che l’amasse. Sembrava avere un forte istinto paterno. Questo doveva concederglielo.
Una delle magliette di Greg doveva essere finita per sbaglio tra i vestitini di Joy. Jane la scrollò, si mise il colletto sotto il mento e con i palmi lisciò le grinze della stoffa, premendola contro il corpo. La maglia era ancora calda. E profumava di pulito, di buono.
Non fece fatica a immaginare la stoffa che si tendeva sulla schiena muscolosa di Greg. Chiudendo gli occhi, immaginò le sue mani che...
Ansimando per lo shock, spalancò gli occhi di scatto. «Oh, no! Stai perdendo il cervello» borbottò gettando la maglietta sulla cesta della biancheria. Conosceva quell’uomo solo da due giorni. Era assurdo che fantasticasse in quel modo su di lui.
Non sei il genere di donna da cui potrebbe essere attratto, le suggerì la vocina. A quella considerazione Jane si incupì: Priscilla era la donna perfetta per un medico ricco e di successo. Con la sua chioma color platino e i suoi occhioni blu, lei era esattamente il tipo di donna che un uomo come Greg avrebbe voluto tenere tra le braccia. Priscilla era l’ape regina, bella e viziata, mentre lei era l’operaia industriosa che organizzava tutto e faceva in modo che ogni cosa funzionasse a dovere. Una donna del genere non avrebbe mai potuto catturare l’attenzione di Greg.
«Be’, meglio, perché io non voglio la sua attenzione» mormorò, afferrando un paio di microscopiche calzine.
Allora perché era travolta da quelle fantasie erotiche? Jane scacciò quella domanda dalla mente come se fosse una mosca fastidiosa.
Anche se indulgeva in qualche piccola fantasticheria, era consapevole di non avere chances con Greg. Era in casa sua sotto false pretese. Gli aveva mentito. Ripetutamente. Di proposito. E la verità sarebbe presto venuta a galla.
Non c’erano dubbi su quello, perché sarebbe stata lei a porre fine a quella catena di menzogne, quando avesse trovato il coraggio di essere assolutamente onesta, com’era sempre stata.
Questo tuttavia non significava che avrebbe rivelato tutti suoi segreti... in particolare quello che le impediva di avere una relazione con un uomo. Si sentì attanagliare dalla paura e rabbrividì, cosa che le succedeva da quando aveva appreso la verità su se stessa, sul proprio corpo. E puntualmente arrivò il ricordo del rifiuto subito dai pochi uomini che aveva frequentato.
Smettila, si ammonì risoluta. Non c’era alcun bisogno che Greg sapesse. E poi, crogiolarsi in quei pensieri negativi l’avrebbe depressa ancora di più.
Si sentiva un verme per essersi introdotta in casa Hamilton grazie alle menzogne. Ma era stato necessario. Per la salute propria, visto che era quasi impazzita nel periodo in cui aveva perso traccia di Joy.
E poi anche Greg aveva mentito. Questo naturalmente non rendeva meno gravi le sue bugie. Due scorrettezze restavano due scorrettezze, non si annullavano a vicenda.
In ogni caso Greg si era macchiato della sua stessa colpa. Quella mattina, quando le aveva detto che aveva scoperto di essere padre solo quando Priscilla si era presentata alla porta di casa sua con Joy, aveva avuto la tentazione di prenderlo a schiaffi. Quella bugia gli era uscita di bocca in modo così naturale. Era come se lui ci credesse veramente. Aveva mentito con tanta... disinvoltura da lasciarla senza parole.
Forse, intonò una vocina dal profondo della sua mente, forse stava dicendo la verità.
Quell’idea fu come un fulmine a ciel sereno. Jane lasciò la lavanderia e uscì nel corridoio. Senza nemmeno rendersene conto, entrò nella stanzetta della bambina e si avvicinò al lettino. Lì si fermò, a fissare il giochino appeso a portata di manine, senza in realtà vederlo.
Forse Greg non aveva saputo niente di Joy fino a poco prima.
No, Jane si rifiutava di crederlo. Se fosse stato vero, avrebbe dovuto cominciare a dubitare seriamente della sincerità di Priscilla. E non voleva pensare che sua sorella fosse così vile da ingannarla. Che fosse così falsa da riuscire a prenderla in giro senza ritegno. Specialmente quando si erano trovate a lottare per la sopravvivenza, dopo l’arrivo di Joy. Jane aveva lavorato come un mulo per pagare le spese mediche e tutto quanto occorreva alla piccina.
No, Priscilla non avrebbe mai... Era Greg quello disonesto. Era lui che mentiva. Jane ne era assolutamente certa.
Joy piangeva a pieni polmoni e Jane corse alla porta, ancor prima che venisse aperta.
«Avevi ragione» esordì Greg con un sospiro. «Aveva sonno e non sono riuscito a prendere nemmeno la metà delle provviste. Ho provato a calmarla, ma...»
Lei gli tolse la piccina dalle braccia. «La metto a letto.»
Il sorriso che lui le rivolse fu così pieno di gratitudine che non poté non ricambiarlo. Sembrava stremato.
«Scarico dalla macchina le borse della spesa.»
Jane annuì e si avviò alla cameretta mormorando dolci paroline alla bimba. Dopo meno di cinque minuti di ninnananna Joy si addormentò. Jane rimase seduta con la nipotina in braccio a godersi quel momento. Doveva essere così che si sentiva una madre: appagata, fiera, traboccante d’amore. Non c’era sensazione più bella al mondo.
Mentre le accarezzava la testolina, inspirò a fondo il tenero profumo di bimbo della piccola. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per restare con Joy. Qualsiasi...
Una volta messa a letto la nipote, Jane andò in cucina ad aiutare Greg a sistemare le provviste.
«La casa non è mai stata così pulita e in ordine» osservò lui, mentre tirava fuori lattine e scatolette dalle borse di plastica.
«Non ho ancora finito il bucato.»
La sua risatina le provocò un brivido caldo lungo la schiena. «Con una bambina piccola in casa non si finisce mai di lavare e stirare» ribatté Greg.
Jane annuì. «Sono riuscita a mettermi in contatto col mio vecchio capo» annunciò poi. «Oggi dovrebbe mandarti una lettera via fax. La troverai domani mattina in studio.»
«Perfetto.»
Aveva dovuto implorare e supplicare per convincere Max a scriverle una lettera di raccomandazione. Quel vecchio egoista continuava a dire che non vedeva per quale ragione avrebbe dovuto fare qualcosa per lei, che lo aveva mollato in asso. Jane aveva dovuto ricordargli tutte le volte che era andata a lavorare nei giorni liberi, per sostituire un’altra cameriera, o dei giorni di festa in cui aveva sgobbato come un mulo, o delle volte che aveva dato una mano in cucina quando c’era carenza di personale.
Alla fine Max aveva acconsentito di malavoglia a buttar giù due righe in cui diceva che lei era stata una brava dipendente sino al momento in cui si era licenziata senza nessuna ragione. Le aveva chiesto, però, come le fosse venuto in mente di andare a lavorare per un medico, visto che non sapeva niente di medicina. Lei naturalmente aveva glissato. Nessuno doveva sapere cosa stava combinando. Se qualcuno avesse rivelato a Greg la sua vera identità, prima che avesse avuto modo di farlo lei, sarebbe stato un bel guaio.
«Hai telefonato a tua sorella?» chiese Greg. «Ha accettato di parlare con me?»
Jane si inumidì le labbra. «Non sono riuscita a trovarla. Ma non mi meraviglia. Lei è sempre... in giro. Lavora nelle ore più strane. Proverò di nuovo più tardi.»
Lui mise in frigo un panetto di burro. «Per il momento mi basta la lettera del tuo ex datore di lavoro. Ma mi farebbe piacere far due chiacchiere anche con tua sorella...»
Jane prese dentifricio e saponette e si diresse in bagno. Quanto odiava mentire, pensò mentre riponeva tutto nell’armadietto. Più si andava avanti, più le cose si complicavano. Ora avrebbe dovuto ricordarsi di aver detto che Priscilla faceva un lavoro che la impegnava nelle ore più strane, mentre sua sorella non aveva mai lavorato in vita sua. E se Greg le avesse domandato che genere di occupazione aveva Priscilla?
Sospirando, chiuse l’antina dell’armadietto. La finzione e l’inganno non era adatti ai deboli di cuore, questo era sicuro.
«Ehi.»
Lei trasalì e Greg sorrise. «Scusa, non intendevo spaventarti. Come mai sei così nervosa?» E prima che potesse rispondere: «Tieni. Questa va sotto il lavandino».
Le lanciò un pacco di carta igienica che Jane afferrò al volo e sistemò al suo posto. Quando si voltò nuovamente, pronta a rispondere alla sua domanda, lui era già sparito. Jane si guardò nello specchio. La risposta era banale: assassini, ladri e bugiardi conducono un’esistenza da paranoici. Soprattutto quelli che hanno una coscienza. D’accordo, forse era eccessivo mettersi nella stessa categoria di ladri e assassini, di certo si sentiva paranoica. E piena di sensi di colpa.
In cucina Greg si stava occupando del cibo. Il tavolo era pieno di prodotti per l’infanzia: biscotti, cereali, succhi di frutta, latte. Il pensiero di Greg davanti agli scaffali del supermercato, impegnato a scegliere le pappe per Joy, la intenerì.
«Wow» bisbigliò. «Non hai dimenticato nulla.»
«Credi?»
Anche quel pizzico di incertezza nel suo tono di voce le parve affascinante. Greg voleva essere un buon padre, voleva provvedere a Joy nel migliore dei modi.
Mentre rifletteva, lui le si avvicinò e guardò gli acquisti. «Ero preoccupato. La settimana scorsa sono dovuto uscire un migliaio di volte. Prima per i pannolini, poi per il latte, e ancora per i cereali. Volevo evitare di ripetere l’errore.» Ridacchiò mentre prendeva in mano un giocattolino. «Non ho potuto resistere, ho dovuto comprarlo. Forse avrei dovuto darglielo in macchina, per distrarla, ma era troppo irritata, così sono tornato a casa più in fretta che ho potuto. Joy aveva bisogno di dormire e niente altro.»
Istinto. Greg aveva l’istinto di un papà. Sentendosi pervadere da un’ondata di calore, Jane si rese conto che trovava l’idea... sexy. Era sciocco, ovviamente, ma non poteva farci niente.
«Sai» mormorò lui dolcemente, «quando sorridi in quel modo, i tuoi occhi grigio blu scintillano come stelle in un cielo d’estate.»
Lei batté le palpebre, sbalordita. Grigio blu? Scintillano? Come stelle in un cielo d’estate? Non si era mai sentita descrivere in quel modo. Aveva sempre pensato che i suoi occhi fossero grigi, come una brutta giornata nuvolosa. Ma Greg li paragonava alle stelle. Senza nemmeno rendersene conto, sorrise. «Grazie» bisbigliò abbassando lo sguardo, improvvisamente timida.
Per un attimo si fissarono sorridendo. Jane tutta gongolante per il complimento e Greg... be’, chissà perché stava sorridendo.
«Non abbiamo avuto modo di finire la nostra conversazione stamattina» disse infine lui.
«La nostra conversazione?» ripeté lei, confusa.
«Riguardo a Priscilla» chiarì Greg, portando in dispensa le scatole di cereali. «La madre di Joy. Mi hai chiesto dove fosse.»
Jane sentì il cuore balzarle in petto sentendo quel nome.
Preso un altro carico di cibo, Greg tornò alla dispensa.
Mentre osservava le sue mani muoversi sugli scaffali, Jane si sorprese a ricordare quanto era stato gentile il suo tocco durante la visita medica di venerdì mattina. Il sangue iniziò a circolare più velocemente nelle sue vene. Concentrati sul la conversazione, accidenti!
«Be’, come stavo dicendo» continuò lui, «non immaginavo neanche lontanamente di esser padre finché Priscilla si è presentata a casa mia, la settimana scorsa. Ha bussato, mi ha detto che Joy era mia figlia, quindi me l’ha messa in braccio e ha lasciato per terra la sua sacca.»
Una sgradevole sensazione di disagio si insinuò in Jane. «Semplicemente così?» chiese. «È saltata fuori dal nulla, ti ha dato la bimba ed è sparita?»
«Sì» rispose lui, prendendo dal tavolo le scatole di biscotti. «Senza spiegazioni. Ha solo detto che aveva cercato di occuparsi di Joy ma che si era stancata. Sembrava avere una gran fretta. E Joy piangeva come una pazza: aveva fame ed era stanca. Ci ho messo parecchio a calmarla.»
Sta mentendo. Sta mentendo, seguitava a ripe tersi Jane. Priscilla non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non poteva aver scaricato la figlia in quel modo. Tuttavia, il giorno in cui aveva visto la sorella uscire da casa della vicina e Joy non aveva indosso nulla che la riparasse dal vento freddo... Jane si aggrappò allo schienale della sedia. Priscilla poteva aver lasciato la bimba dalla vicina per una sera, ma non avrebbe mai abbandonato la figlia. Mai. Greg stava mentendo. Eppure la sensazione di disagio aumentava, serrandole il petto in una morsa.
«Priscilla non si è trattenuta a lungo» proseguì Greg. «Mi ha dato il certificato di nascita della bambina. C’era il mio nome nella riga in cui è indicato il padre. Ma quello è solo un dettaglio perché ho capito che Joy era mia appena l’ho guardata con calma. È la mia fotocopia, fossette comprese.»
Jane sapeva che avrebbe dovuto aiutarlo a metter via le provviste, ma era troppo sconvolta da quello che stava sentendo per potersi muovere, per poter pensare o parlare. Così rimase dove era, le mani strette sullo schienale della sedia, come se la sua vita dipendesse da quella presa.
«Oh, mi ha dato anche il libretto sanitario. Grazie al cielo, la piccola ha iniziato le vacci nazioni.» Voltò nuovamente le spalle a Jane mentre tornava alla dispensa.
Il certificato di nascita e il libretto sanitario! Jane non aveva pensato di controllare se erano ancora nel cassetto della scrivania, a casa. La fredda morsa della paura le strinse il cuore come una tenaglia.
«Mi ha detto di non cercarla» continuò Greg con una risatina piena di disprezzo. «Che mi avrebbe contattato lei quando e se avesse voluto vedere Joy.» Si avvicinò a lei e sospirò. «Stavo pensando di parlare con un avvocato. Mi piacerebbe avere l’affidamento permanente della bambina.»
In qualche modo Jane riuscì a superare il pomeriggio. Per fortuna, dopo un sonnellino di una ora, Joy si era svegliata fresca come una rosa e pronta per giocare. Lei l’aveva accontentata volentieri: intrattenere la piccina l’avrebbe tenuta impegnata, le avrebbe offerto la possibilità di focalizzare l’attenzione su qualcosa. Non voleva pensare a Priscilla. E non voleva interrogarsi sulla sincerità di Greg.
Adesso, però, nelle ore che precedevano l’alba, non poté fare a meno di riflettere sulla situazione. Sua sorella. Greg. Joy. La rete di menzogne in cui lei si ritrovava invischiata.
Il senso di colpa la divorava come un incendio devastante, che riduceva in cenere tutte le sue spiegazioni positive, tutte le sue argomentazioni logiche.
Mentre Greg le raccontava la sua versione dei fatti, la paura si era impadronita di lei. Lui stava dicendo la verità. Le sarebbe piaciuto che stesse mentendo, ma l’onestà del suo sguardo era innegabile, il linguaggio del corpo era sereno e naturale. Non c’era nulla nel suo atteggiamento che facesse pensare che stava inventando una storia.
E poi che motivo avrebbe avuto per mentire? Greg non sapeva chi lei fosse. Non sapeva quali legami avesse con Joy. Certo, una spiegazione c’era: forse preferiva essere considerato uno che aveva subito un torto, piuttosto che uno che si era comportato da mascalzone. In realtà sembrava che si rammaricasse davvero per essere rimasto all’oscuro della paternità sino alla settimana prima.
E ora voleva vedere un avvocato per chiedere la custodia della bambina. Quello non era un gesto dettato da un senso di cavalleria. Lui teneva veramente alla figlia. Era tenero con lei, affettuoso, pieno di premure. L’amava.
Questo lasciava spazio a una sola conclusione, pensò Jane disperata: era Priscilla quella che aveva mentito. Sua sorella. La carne della sua carne. Per mesi e mesi, durante la gravidanza, lei aveva fatto gli straordinari al ristorante in modo che sua sorella potesse pensare solo alla creatura che le cresceva in grembo. Priscilla era sempre stata una fifona e nei nove mesi di gestazione aveva avuto bisogno di continue rassicurazioni e lei, nel ruolo di sorella maggiore, l’aveva accudita e tranquillizzata nel miglior modo possibile.
E dopo la nascita di Joy, aveva continuato a lavorare per permettere alla sorella di riprendersi, di stringere un legame con la piccina. Ma quel legame non si era mai instaurato. E, dopo appena un mese, Priscilla era tornata a frequentare le feste e gli uomini.
Jane si era sforzata di essere paziente. Facendo attenzione alle spese e continuando a fare straordinari, era riuscita a far quadrare il bilancio.
Sì, erano sopravvissute. Ma si erano dovute privare di tante cose... be’, almeno lei e Joy. Priscilla aveva sempre trovato qualcuno che la portava fuori a cena, che le pagava il parrucchiere, l’estetista o qualunque frivolezza le venisse in mente di soddisfare.
Joy invece aveva dovuto fare a meno della culla, del seggiolone e di tutte quelle comodità intese a render più agevole la vita dei genitori. Quelli erano lussi che Jane non si poteva concedere. Per questo a un certo punto aveva chiesto alla sorella di andare dal padre della bambina e metterlo di fronte alle sue responsabilità.
E Priscilla le aveva detto che l’aveva fatto, che Greg si sarebbe curato della figlia solo se ne avesse avuto il pieno affidamento. La sorella le aveva riempito la testa di storie orribili sul conto del dottor Hamilton. Storie che, ora si scopriva, erano totalmente inventate.
Jane, però, non poteva saperlo.
Anzi, aveva spiegato alla sorella che lo Stato avrebbe obbligato il padre a sborsare gli alimenti per la piccola e aveva insistito perché si rivolgesse ai Servizi Sociali. Ma Priscilla non l’aveva mai fatto. E lei era arrivata alla conclusione che quell’Hamilton fosse un bruto e sua sorella avesse troppa paura di affrontarlo davanti a un giudice.
Adesso si rendeva conto che Priscilla aveva mentito su tutto. Non solo non era andata da Greg, ma non gli aveva neppure mai confessato che sarebbe diventato padre.
Perché?
Le salirono le lacrime agli occhi al pensiero dei sacrifici fatti per garantire alla sorella e alla nipotina un’esistenza decente. Non rimpiangeva nulla. Amava la sua famiglia... con tutto il cuore. La addolorava che Priscilla l’avesse presa in giro per tanto tempo. E lei non si era accorta di niente.
Ora sapeva. E quella consapevolezza la straziava. Al primo singhiozzo, afferrò un fazzolettino di carta dalla scatola che teneva sul comodino e se lo premette sulla bocca. Più pensava al tradimento della sorella, più il dolore diventava insopportabile, finché a un certo punto eruppe come un fiume in piena. Jane cercò di non fare rumore, ma non riuscì a contenere il pianto.
Come aveva potuto Priscilla fare i bagagli e sparire? Come aveva potuto portar via la bambina senza lasciar detto dove andava e quando sarebbe tornata? Sua sorella non aveva in mente di tornare, ecco la spiegazione.
Un gemito disperato le salì alla gola, inarrestabile come un terremoto. Stringendo al seno il cuscino, Jane tentò invano di arginare la sofferenza. Perché? Perché? Per quale ragione sua sorella voleva farle del male? Perché svanire nel nulla con Joy quando lei aveva fatto i salti mortali per tenere unita la famiglia?
Sentendo bussare alla porta, Jane si tirò a sedere di scatto.
«Jane?» La voce di Greg era gentile, piena di premura. «Tutto bene?» E, visto che lei non rispondeva, chiese: «Posso entrare?».
«No!» Lei cercò altri fazzoletti e inspirò profondamente, nel tentativo di riprendere il controllo. «Sto bene.» Non voleva che Greg la vedesse in quello stato, avrebbe voluto una spiegazione e lei non aveva intenzione di dire altre bugie. Mentre si soffiava il naso e si asciugava le guance desiderò di aver chiuso a chiave la porta.
«Ti ho sentita piangere» insistette lui con un tono così caldo e partecipe da farla sciogliere per la tenerezza. «Per favore. Lasciami entrare.»
L’inatteso istante di piacere evaporò in un lampo quando vide la maniglia abbassarsi. Gli occhi sgranati, fissò paralizzata la porta nell’oscurità.
Greg stava entrando.