5

Dopo aver socchiuso la porta, Greg mise dentro la testa. «Non stai male, vero?» le domandò dolcemente.

A quel tono preoccupato, Jane cominciò a tremare. Per vincere le emozioni, si aggrappò alla coperta, serrandone il bordo nei pugni chiusi. «No, non sto male» rispose. Per quanto soffrisse, non poteva permettersi di mostrare il suo tormento. Se avesse lasciato libero sfogo alle lacrime, se avesse accettato il conforto che Greg voleva offrirle, la verità sarebbe venuta a galla senza che nemmeno se ne rendesse conto. Aveva intenzione di confessargli la verità, ma non lo conosceva ancora abbastanza e non aveva idea di come avrebbe reagito quando avesse scoperto che gli aveva mentito. Doveva proteggere se stessa. E il posto in quella casa, accanto alla nipotina. Sorridi. Convincilo che va tutto bene. E soprattutto, non piangere, per amor del cielo!

«Dimmi che cosa c’è. Perché eri così sconvolta?»

Greg era così gentile che le si strinse il cuore. Nessuno si era mai preoccupato così tanto per lei.

«Hai fatto un brutto sogno?» proseguì lui.

Non le era passato per la mente di ricorrere a quella scusa. Le sarebbe piaciuto farlo, ma Greg non meritava di sentire altre bugie. E poi la situazione era già fin troppo complicata. Scosse il capo in un silenzioso diniego.

Greg si avvicinò al letto. Le si avvicinò così tanto che poté sentire il suo profumo, poté vedere come la maglietta aderiva al suo torace ampio. Oh, perché il corpo doveva tradirla ogni volta che si trovava in sua presenza?

«Dolcezza» cominciò lui. Ebbe un attimo di indecisione, quindi si sedette sul bordo del letto. «Mi hai aiutato tanto con Joy e con la casa... Ti prego, lascia che adesso sia io ad aiutarti. Parlami.»

La sincerità nella sua voce le toccò tutte le corde del cuore. In quei due giorni Greg era sempre stato se stesso, un uomo gentile, pieno di attenzione, sensibile. L’aveva accolta in casa perché pensava che fosse senza tetto e senza lavoro. E lei come lo aveva ricambiato? Con un subdolo inganno.

Si era ripromessa di tacere ancora, ma quel proponimento vacillò. Il bisogno di riparare ai torti inflitti si fece pressante. Forse Greg non l’avrebbe cacciata via quando avesse saputo. Forse, se gli avesse spiegato le motivazioni, avrebbe capito. Da dove iniziare, però?, si chiese, la mente che lavorava a un ritmo febbrile. La lettera di raccomandazioni. Le referenze da sua sorella. La telefonata che non sarebbe mai arrivata. «Greg» mormorò, «c’è qualcosa che dovresti sapere.»

Un’altra cosa che aveva imparato di lui era che, a causa della sua professione, era un eccellente ascoltatore. E anche in quella circostanza, la guardò in silenzio, pronto a raccogliere la confessione.

«Mia sorella non chiamerà» esordì d’un fiato Jane. Poi deglutì per sciogliere il nodo di paura che le stringeva la gola. Forse stava facendo un errore. «Se n’è andata» continuò in fretta. «Non so dov’è. Né quando tornerà. E... io...»

«Oh, dolcezza.»

Greg l’attirò a sé e Jane, la guancia premuta contro il suo petto caldo e solido, fu travolta dalle emozioni: perse del tutto la capacità di ragionare lucidamente mentre si ritrovava avvolta nel suo abbraccio forte e protettivo.

«Piangi perché pensavi che ti avrei licenziata se non avessi avuto delle referenze da parte di tua sorella?»

La risatina bassa di lui le solleticò lo zigomo. Jane chiuse gli occhi, godendosi la sua vicinanza, il suono della sua voce. Il cuore le martellava in petto con una tale violenza che era certa lo sentisse battere anche lui.

Scostandosi leggermente, Greg le puntò addosso i suoi magnifici occhi verdi. «Voglio che smetti di piangere. Mi hai sentito? Voglio che ti asciughi gli occhi e stai tranquilla.»

Jane riusciva solo a ricambiare il suo sguardo. Non poteva parlare, né muoversi. Era paralizzata, come un animale indifeso davanti a un fucile spianato. Il sorriso di Greg voleva essere di conforto, ma lei lo trovava sconvolgente e... sensuale. Anziché calmarla, ottundeva ancor di più le sue capacità di ragionamento.

«La telefonata era solo una formalità» continuò lui. «Domani avrò la lettera del tuo ex datore di lavoro, no? E poi ho visto coi miei occhi quanto sei brava con la mia piccolina. Voi due avete legato in fretta.»

Diglielo. Digli la verità.

Jane non poteva. Non perché non volesse. Non perché intendesse continuare a nascondergli la propria vera identità. No. Semplicemente Greg era... così vicino. Troppo vicino. E lei si sentiva perduta. Persa nel verde dei suoi occhi, nella gentilezza che le mostrava, nel calore del suo tocco...

«Puoi restare» le disse. «Voglio che resti. Sono sicuro che prima o poi riuscirò a fare due chiacchiere con tua sorella. Ma non è importante. Sento già di conoscerti. Sei perfetta per Joy. Resterai, non è vero?»

Jane batté le palpebre. Non riuscì a fare altro. Greg era così buono. E così dannatamente sexy. Di nuovo deglutì. Ma il groppo di paura non si dissolse, venne solo rimpiazzato da... qualcos’altro. Le bastarono pochi istanti per realizzare che era desiderio. Che pazzia! Doveva allontanarsi da lui, portarsi a distanza di sicurezza.

Invece, non si mosse. Non ci riusciva. E il desiderio cresceva dentro di lei di secondo in secondo. Doveva spezzare quella sorta di malia di cui era preda. Parla, le ordinò il cervello. Parla. Raccogliendo tutte le forze, Jane bisbigliò invece: «Grazie».

Perché mai lo aveva ringraziato? La sua domanda richiedeva solo un sì o un no. Greg avrebbe pensato che fosse un po’ strana. E in effetti lo era in quel momento.

Lui le accarezzò la guancia e il suo sguardo si caricò di un’emozione cui Jane non avrebbe saputo dare un nome. «Io dovrei ringraziare te, piuttosto.»

La sua voce era così calda, così vellutata e gentile. Jane non riusciva quasi più a respirare per l’emozione.

Fu allora che Greg fece qualcosa di assolutamente inaspettato. Chinò il capo lentamente e la baciò sulle labbra. Un bacio dolce e delicato che le arrivò dritto al cuore.

Prima che avesse il tempo di chiudere gli occhi, lui si era già tirato indietro, lasciandola in balia di un bisogno struggente e disperato.

Mentre lei lo fissava inebetita, un sorriso gli piegò gli angoli della bocca. «Forse dovrei scusarmi» mormorò. «Ma non posso.» Poi si alzò, raggiunse la porta e lì si voltò. «Sei una donna speciale, Jane. E sono felice che tu sia qui. Ora cerca di dormire. Domani avrai una giornata pesante, sola con Joy. Hai bisogno di riposo.»

Aprì la porta e le rivolse un ultimo sorriso. «Buonanotte.»

Jane rimase seduta nell’oscurità, chiedendosi cosa fosse successo tra loro e sapendo che quella notte non sarebbe riuscita a chiudere occhio.

«Be’, per me questa lettera di raccomandazione è stata scritta da uno che non era per niente contento di aver perso un elemento prezioso» osservò Greg con enfasi.

Era seduto al tavolo della sala riunioni dello studio con Travis e Sloan. Gli amici erano rimasti sorpresi quando aveva raccontato che Jane si era fermata da lui per tutto il fine settimana e che ora era con Joy.

«Il fax dice che era un’ottima dipendente, ma non spiega perché abbia lasciato l’impiego» obiettò Sloan.

«La cosa importante è che lo ha lasciato» asserì Greg. «Non è stata licenziata. Era affidabile, seria, onesta» puntualizzò, sciorinando tutti gli aggettivi usati nella lettera.

«Perché se n’è andata?» Alla domanda di Travis fece seguito qualche attimo di assorto silenzio. «Perché non ha dato le due settimane di preavviso? Questi particolari non giocano a suo favore.»

Greg si sforzò di dominare l’irritazione. Non voleva che i suoi amici trovassero dei difetti in Jane. Non avrebbe potuto spiegarne la ragione, ma sentiva che Jane era la persona più indicata per il ruolo di tata di Joy. «E se avesse mollato il lavoro proprio a causa del suo capo?» ragionò a voce alta. «Forse questo Max la molestava o qualcosa del genere.»

«Forse» replicò Travis.

«O forse no» aggiunse Sloan pacatamente.

«Sentite, ho passato due giorni interi con lei. È bravissima con la bambina. E sono tranquillo sapendo che Joy è con lei mentre io sono in studio.» Greg inarcò le sopracciglia. «E vorrei farvi notare che sono in studio. È la prima riunione mattutina cui partecipo da quando mia figlia è venuta a stare da me.»

Travis e Sloan annuirono.

«E poi dovrebbe arrivarmi una telefonata della sorella di Jane» proseguì Greg, senza dar loro il tempo di pensare a nuove obiezioni. «A quanto ho capito, Jane ha cresciuto la nipotina.» A quel punto, convinto che fosse opportuno cambiare argomento, abbassò lo sguardo sull’ordine del giorno che Rachel aveva battuto a macchina. «Cos’è questa voce, Travis? Anche tu hai bisogno di referenze?» Stava per fare una battuta, poi di fronte all’espressione tesa dell’amico si bloccò.

«È il Consiglio degli Indiani che me lo chiede» spiegò Travis, rabbuiandosi. «Continuano a trovare nuove motivazioni per cui non dovrei adottare i bambini.»

Travis, che era per metà un indiano Kolheek, tentava da mesi di adottare due gemellini della stessa tribù. Anni prima erano stati operati al cuore e lui aveva assistito all’intervento, ora i gemelli stavano raggiungendo un’età in cui sarebbe divenuto molto difficile trovar loro una famiglia. Così lui si era messo in testa di diventare loro padre.

«Ti scrivo con piacere una bella lettera di referenze» dichiarò Sloan.

«Anche io» aggiunse Greg. «La preparo subito. Non capisco cos’abbia contro di te il Consiglio degli Anziani.»

Il governo americano non poteva intervenire nella questione. Nella riserva Kolheek erano solo gli anziani del consiglio ad aver voce in capitolo sull’adozione.

«Be’, sono single» disse Travis. «Credo che sia questo il problema più grosso.»

Greg ridacchiò, sperando di sollevare l’umore dell’amico. «Puoi sempre sposarti. Non hai mai sentito parlare dei matrimoni di convenienza?»

«Non mi sposerò mai. Lo sai» fu la replica cupa. «Sono in grado di crescere Jared e Josh da solo. Guarda Sloan. Lui ha tre gemelle. Tre. E anche tu, Greg. Te la stai cavando benone come papà, no?»

Greg sorrise impacciato. In realtà, prima che arrivasse Jane, aveva avuto parecchie difficoltà con Joy. Il pensiero di quella ragazza e dell’amore che lei dimostrava per la bambina gli trasmise un piacevole calore per tutto il corpo.

Ma chi stava prendendo in giro?, ragionò critico. Sì, era felice che Jane si prendesse buona cura di Joy, a scaldarlo tanto però era il bacio che le aveva dato la sera prima.

Non aveva idea di cosa l’avesse spinto a fare una cosa del genere, tuttavia non se ne rammaricava affatto. E non si sentiva per nulla in colpa.

«Dimostrerò al Consiglio che sono perfettamente in grado di farcela.» La voce di Travis riportò Greg al presente. «Posso farcela» ripeté.

«Ne sono convinto» concordò Sloan.

«Certo» disse Greg. «Non ho dubbi che sarai un padre meraviglioso per quei due bambini. Avere un genitore, anche se single, è sempre meglio che vivere in un orfanotrofio.»

«Quindi, ragazzi, non vi spiace darmi una mano?» Nella voce di Travis s’insinuò una nota di incertezza. «Scriverete la lettera e la invierete alla riserva Kolheek nel Vermont?»

«Sicuro» rispose subito Sloan.

E Greg, che non sopportava di vedere Travis così preoccupato, aggiunse: «Gli amici servono per questo, no? Per dare una mano in caso di necessità».

«Grazie» mormorò Travis.

«Di niente.» Sloan si alzò e batté un colpetto sulla spalla del socio. «Come ha detto Greg, gli amici servono a questo.» Spostò poi lo sguardo su Greg. «E devo dire che sono davvero contento che tu sia venuto alla riunione di stamattina. Volevamo parlare del pranzo del Ringraziamento, visto che mancano poche settimane, e avremmo scelto casa tua come punto di ritrovo.»

«Per me va bene» ribatté Greg. «Allora avrete modo di vedere Jane all’opera. Vi piacerà» concluse con un sorriso. Benché non ne capisse il motivo, Greg sperava ardentemente che gli amici la trovassero eccezionale. Come lui.

Via via che le settimane passavano, Jane si convinceva sempre più di aver trovato il paradiso. Era bellissimo godersi le gioie della maternità senza dover correre tutte le sere per andare al lavoro, come aveva fatto nei primi dieci mesi di vita della piccola.

Non riusciva a capacitarsi di essere sopravvissuta allo stress di quel periodo: era stata dura lavorare sino a tardi al ristorante e, dopo solo poche ore di sonno, occuparsi della bambina e della casa in modo che Priscilla potesse dormire o uscire con gli amici.

Era stato l’amore per la nipotina a darle le energie necessarie a superare quella situazione, pensò. Poi, dopo un istante di riflessione, riconobbe che anche il senso di colpa era stato una molla potente. Ne era stata oppressa durante la gravidanza di Priscilla e ancora di più dopo la nascita della bambina. Si sentiva un verme, infatti, per le cose orribili che aveva detto alla sorella per convincerla a non abortire.

Jane allontanò quel pensiero con decisione. Aveva ragionato unicamente in base a ciò che era meglio per Joy. Se non si fosse comportata in quel modo... Le vennero le lacrime agli occhi pensando a come sarebbero andate le cose, se Priscilla avesse fatto di testa sua.

Per fortuna il gorgoglio gioioso della bimba catturò la sua attenzione. «Mmh... Che ne dici, tesoro, andiamo a fare una passeggiata?»

Joy lasciò immediatamente cadere il giocattolino che aveva in mano e le tese le braccine, tutta contenta.

Dato che doveva cambiarle il pannolino, Jane la prese in braccio e si avviò verso la cameretta. Davanti alla stanza di Greg rallentò il passo, inebriata dal profumo di dopobarba che ancora aleggiava nell’aria.

Da quando si erano baciati, qualcosa era cambiato. Si era sviluppata tra loro una stupefacente consapevolezza reciproca; quando erano insieme, l’atmosfera si caricava di elettricità. Anche se sembrava ridicolo, lei si sentiva perennemente la testa leggera, come se l’aria fosse rarefatta.

C’era una spiegazione per quello che provava. Greg era un bell’uomo, era normale che lei lo trovasse attraente. E il suo fascino andava oltre all’aspetto fisico: era intelligente, forte, il genere d’uomo su cui una donna può contare. Ed era anche spiritoso, brillante.

Quello che proprio Jane non riusciva a capire era cosa lui vedesse in lei. Paragonata a Priscilla, e probabilmente a qualunque altra donna con cui era uscito, lei era insignificante. Insignificante e priva di sensualità.

Tuttavia, doveva ammettere che l’attrazione, la consapevolezza che avvertiva tra loro, la faceva sentire... graziosa. Quando Greg la guardava con quei suoi incredibili occhi verdi, quando il suo sguardo si fissava su di lei, acceso di interesse, si sentiva bella come una fotomodella.

«Che stupida!» esclamò con una risatina secca, che fece trasalire la bambina. «Scusami, piccolina» mormorò subito dopo, mentre chiudeva il pannolino. «Anche se il tuo papà provasse dell’interesse per me, sarei un’idiota a pensare che potrebbe nascere una storia tra noi. Appena scoprirà che gli ho mentito... Prima o poi dovrò dirglielo, no?» Baciò Joy sulla fronte. «Mi caccerà di casa a calci.»

Un gran senso di colpa le attanagliò lo stomaco. Portava quel fardello da così tanto tempo, prima a causa del suo comportamento con Priscilla e ora per le menzogne dette a Greg, che aveva quasi imparato a convivere con quell’emozione.

Rivestì la nipote e, dopo averle messo la tutina imbottita, le sorrise. «Eccoti pronta, cucciolotta. Andiamo a fare la nostra bella passeggiata.»

Era una bellissima giornata. Faceva freddo, ma Jane si augurò che l’aria frizzante l’aiutasse a schiarirsi le idee.

Sul portone si fermò per sistemare Joy nel passeggino.

«Se posso dirlo, signorina, da quando è arrivata lei il dottor Hamilton è cambiato» dichiarò il portiere dal gabbiotto di fianco al cancello.

«Davvero?» ribatté lei incuriosita.

«Be’, prima c’era un bel viavai di donne qui» spiegò l’uomo con un largo sorriso. «Ma sembra che lei lo abbia domato. Lei e la piccolina.»

Jane lo fissò allibita. Ovviamente il portiere l’aveva scambiata per la donna di Greg. Non c’era stata volgarità nel suo commento e il suo sorriso era amichevole e aperto. Nonostante tutto Jane ritenne opportuno chiarire la situazione. «Non ho domato il dottor Hamilton» disse freddamente. «E non sono la madre della bambina. Sono solo la sua governante. Farà bene a non divulgare pettegolezzi, se ci tiene al suo impiego.»

L’uomo impallidì. «Io... io non intendevo... Mi è simpatico il dottor Greg: non volevo sparlare...»

«Me ne rendo conto. Ed è questa l’unica ragione per cui questo piccolo incidente resterà un segreto tra me e lei. In futuro, veda di tenere per sé le sue osservazioni.»

«Io... certo. Non avevo idea che lei fosse solamente la governante... Mi dispiace. Davvero.»

«Bene. Ora la saluto» replicò lei glaciale. «Solamente la governante» borbottò tra sé di malumore, mentre varcava il cancello.

In realtà, avrebbe dovuto ringraziare il portiere. Aveva bisogno di qualcuno che le ricordasse che era solamente la governante. E che lo sarebbe sempre stata. Era pura follia cullarsi nell’illusione che Greg la trovasse attraente o che tra loro potesse nascere una relazione.

Quella sera Greg rientrò più tardi del solito. Aveva telefonato per avvertire perciò Jane, prevedendo che sarebbe stato esausto, mise a letto presto la bambina.

«Allora, con quante donne sei uscito stasera?» gli chiese in tono volutamente scherzoso mentre lo raggiungeva in soggiorno col caffè, dopo che ebbero mangiato.

Lui era seduto sul divano, intento a leggere delle riviste mediche. Forse Jane non avrebbe dovuto rivolgergli una domanda così personale, ma vedendolo così stanco e teso non aveva potuto fare a meno di offrirgli un diversivo. Quell’uomo lavorava troppo.

«Così ti è finalmente giunta all’orecchio la mia reputazione, eh?» ribatté lui ridacchiando. «Chi è stato a parlartene?»

Jane si accomodò accanto a lui. «Me l’ha detto un uccellino.»

«Ah, il famoso uccellino» replicò lui posando la rivista. Il sorriso si allargò. «Un tipetto pericoloso.»

«Ti prometto che non crederò a una sola parola di quel che racconta finché non avrò chiesto conferma a te.»

Jane si sentiva... strana. Come una gatta che prova il bisogno di stiracchiarsi languidamente, facendo le fusa. Non avrebbe dovuto star lì a bere il caffè con Greg, davanti al caminetto acceso, lo sapeva. Durante la passeggiata con Joy, aveva fatto una lista di tutte le ragioni per le quali avrebbe dovuto ignorare l’attrazione che provava per quell’uomo. Ma il pomeriggio era stato lungo. Anche la sera. E si era sorpresa a pensare che Greg le mancava. Era così terribile volere un po’ di contatto umano? Desiderare di fare quattro chiacchiere con un adulto? Era del tutto naturale che, dopo aver giocato coi Lego e aver raccontato fiabe, avesse voglia di interagire con qualcuno della sua età, no?

«Sei gentile a non credere a tutte le storielle che raccontano in giro su di me» proseguì Greg. «Gli uccellini a volte sono cattivelli, sai.»

Lei ridacchiò. Il suono della sua voce, ricco e vellutato, le aveva trasmesso un brivido lungo la schiena. Percepiva di nuovo quella sorta di magia tra loro, non la capiva, ma non aveva importanza. Aveva tutte le intenzioni di goderne ogni fantastico momento.

Greg bevve un sorso di caffè e lei lo guardò affascinata, chiedendosi come sarebbe stato baciargli la gola ora, che non era rasato di fresco. La barba le avrebbe solleticato la bocca, o le avrebbe dato fastidio? I capelli erano ancora umidi per la doccia e Jane dovette stringere i palmi per impedirsi di affondare le dita in quelle onde folte e lucenti.

Il desiderio di toccarlo era così forte, così travolgente... Non aveva mai provato nulla di simile in tutta la sua vita. Era consapevole di quanto fosse folle abbandonarsi a simili sensazioni, ma quell’ondata di emozioni l’aveva catturata nel suo vortice e lei voleva solo cavalcarla, lasciandosi trasportare in paradiso.

Gli sorrise, senza vergognarsi per come stava flirtando con lui. «Be’» mormorò rauca, «mi piace dare a un uomo la possibilità di spiegarsi.»

Greg sospirò. «Devo ammetterlo. Sono uscito con parecchie donne.» Abbassò lo sguardo sul bordo della tazzina, poi lo riportò su di lei. «Sai, la nostra società induce noi maschietti a guardare le donne come se fossero... una tavola imbandita. E veniamo incoraggiati ad assaggiare quanti più piatti è possibile. Le ragazze vengono spinte...»

«A far la dieta?» suggerì lei, uno scintillio divertito negli occhi.

Lui rise. «Forse il cibo non era la metafora migliore da scegliere.»

«Ho capito cosa intendevi dire» ribatté lei passandosi una mano tra i capelli.

«Lo vedi nei film, alla televisione, sulle riviste, nella pubblicità. Gli uomini vengono spinti a essere dei dongiovanni. È come se fosse un nostro diritto allungare la mano e cogliere qualunque frutto desideriamo.»

Quanto sarebbe piaciuto a Jane che lui volesse cogliere lei! La sola idea le incendiava il sangue nelle vene. Era una sensazione così nuova ed eccitante! Voleva sentirsi desiderata! «Dunque è tutta colpa della società» osservò.

«No, no. Mi assumo la piena responsabilità delle mie azioni. Però vorrei aver imparato prima che le donne...»

Sembrava a corto di parole, così lei gli suggerì: «... non sono frutti intesi a saziare gli appetiti degli uomini?».

Sul volto di lui passò un misto di imbarazzo e di senso di colpa che Jane trovò incantevole. «Non l’ho detto per farti sentire un verme» chiarì. «Molte donne hanno lo stesso atteggiamento nei confronti degli uomini. Mia madre, ad esempio.» L’aveva detto senza neanche accorgersene. E subito dopo un altro pensiero le attraversò la mente: E mia sorella.

Jane notò che Greg era diventato silenzioso. Ovviamente aspettava una spiegazione. Be’, si disse, perché non raccontargli un pezzetto di verità sul suo passato? Doveva solo stare attenta a non menzionare Priscilla.

«Vedi, gli uomini entravano e uscivano nella vita di mia madre. Io e mia sorella abbiamo padri diversi, perché lei era troppo stupida, o forse troppo alterata dall’alcool, per proteggersi contro una gravidanza indesiderata.» Jane pensava che a quel punto sarebbe riaffiorata la collera, ma non accadde. Quando pensava a sua madre, adesso, provava solo una grande indifferenza. «Non voleva la responsabilità di un figlio, figuriamoci di due. Così, appena ho raggiunto l’età per lavorare, ha fatto i bagagli e se n’è andata. Non la vedo da anni. È meglio così. Ce la siamo cavata molto meglio senza di lei.»

Pensò a Priscilla. A quanto la sorella assomigliasse alla madre. Non era la prima volta che faceva questa considerazione, ma ora si sorprese a chiedersi se anche nel suo caso non fosse meglio abbandonarla al suo destino. Forse non doveva continuare a cercarla...

Improvvisamente Jane prese coscienza di tre cose: del calore che emanava dal caminetto, del silenzio sceso nella stanza e dello sguardo intenso di Greg fisso su di lei. Era uno sguardo intimo ed eccitante come una carezza.

Batté le palpebre, si mordicchiò il labbro e, dopo aver inspirato profondamente, finì il suo caffè in una sorsata. «Mi dispiace molto» disse poi. «Non intendevo annoiarti col mio triste passato.» Tentò di alleggerire l’atmosfera con una risatina, senza successo. «Volevo solo stuzzicarti un po’, vista la reputazione che hai.»

L’aria era così pesante che per Jane era quasi difficile respirare. Se Greg non avesse smesso di guardarla con tanta intensità, sarebbe crollata in pezzi. Nessuno aveva mai mostrato tanta preoccupazione per lei.

«Sarà meglio che vada a letto ora» mormorò alzandosi.

Greg la prese per un polso e di colpo lei si sentì protetta, coccolata. Era sciocco, lo sapeva, ma non poteva farci nulla. «Aspetta» bisbigliò lui, facendola sedere nuovamente sul divano. «Penso che tu sia stata eccezionale a prenderti cura di te stessa e di tua sorella.»

Jane gli rivolse un sorriso imbarazzato. «Grazie.»

«Non lo dico soltanto per educazione. Parlo sul serio. Sei una proprio persona da ammirare. Raccontami qualcosa di più. Quanti anni avevi quando sei stata costretta a diventare il capofamiglia?»

Greg sembrava sinceramente interessato e Jane si sentì lusingata da quell’attenzione. Ma erano troppo vicini alla verità. Se si fosse messa a parlare della sua vita con Priscilla, prima o poi si sarebbe tradita e avrebbe rovinato tutto. Non poteva rischiare il suo posto di governante. Per quanto desiderasse essere onesta con lui, non era ancora il momento di confessare la verità.

Gli occhi di Greg erano verdi come una foresta lussureggiante. Le teneva ancora la mano sul braccio e, di colpo, Jane si rese conto che le stava accarezzando il polso dolcemente, sensualmente.

Dato che non se la sentiva di rivelargli altro sul suo passato, le venne in mente solo un modo per distrarlo. Lo baciò.

Greg attendeva da giorni quel momento. Gli sembrava di aspettare quel bacio da un’eternità. Anche se erano passate solamente due settimane da quando Jane si era stabilita lì, sentiva di conoscerla come nessun’altra donna: era gentile, amorevole, dolce. E al tempo stesso aveva un carattere forte, deciso.

C’era un’innegabile attrazione tra loro, ma lui si era ripromesso di non fare avances. Non voleva che Jane si sentisse usata, o sfruttata. Così aveva deciso di lasciare che fosse lei a fare il primo passo... o a non farlo per nulla. Era stato uno sforzo immane non cedere al desiderio che lo torturava, però era contento di essere riuscito a controllarsi. Jane era tra le sue braccia ora e lo stava baciando perché voleva farlo.

A quel pensiero Greg si sentì pervadere dalla gioia. Provò l’impulso di abbandonarsi al bisogno che aveva di lei, perché le labbra di Jane erano calde, morbide, appassionate. Tuttavia si trattenne. Doveva essere lei a guidare il gioco.

Quando la bocca di Jane gli sfiorò la gola, rabbrividì di piacere. Il suo profumo gli invadeva i sensi e non c’era nulla che avrebbe desiderato di più che toccarla, accarezzarla, esplorare ogni centimetro della sua pelle. Non gli era mai capitato prima di provare qualcosa di così intenso e irresistibile per una donna. «Jane» bisbigliò rauco. «Oh, Jane.»

Senza nemmeno rendersene conto, lasciò cadere la tazzina e l’attirò a sé. Lei iniziò a mordicchiargli il lobo, ad accarezzargli la schiena, le spalle. Non erano le carezze di una donna esperta, sembravano piuttosto il tocco impaziente di un bambino in un negozio di dolci. Un bambino che voleva vedere tutto, che voleva sentire e assaggiare tutto.

Senza smettere di baciarlo, Jane raccolse le gambe sul divano e gli scivolò sulle ginocchia. Lui sgranò gli occhi per la sorpresa e sperimentò un guizzo di timore, realizzando che presto si sarebbe accorta della sua eccitazione.

In effetti, dopo poco Jane si immobilizzò. «Oh» gemette piena di imbarazzo. «Oh, cosa ho fatto...» Rossa come un peperone, si allontanò subito da lui. Se ne avesse avuto la forza, sarebbe scappata via, ma tremava così tanto che di sicuro le gambe non l’avrebbe sorretta.

«Va tutto bene» la tranquillizzò Greg, mettendole una mano sul braccio.

«Mi dispiace» mormorò Jane, passandosi il palmo sulla fronte umida. «Mi dispiace tanto. Non avrei dovuto...»

«Ti prego» la interruppe lui. «Non devi scusarti.»

«M... ma io... io non intendevo...»

Lui sorrise. «Non dire nulla. Non ce n’è bisogno.»

«Non... non voglio perdere il mio lavoro. Non sai quanto è importante per me.»

Sembrava terrorizzata e Greg, per calmarla, ridacchiò. «Non lo perderai, credimi.»

Ma le sue parole non ebbero alcun effetto su di lei. Jane spostò lo sguardo prima sul caminetto, poi di nuovo su di lui e infine sul tavolino.

Era così bella. Così perfetta. Così dannatamente desiderabile, pensò Greg, mentre un brivido di piacere gli percorreva la schiena.

«Oh, no!» la sentì esclamare.

Lui seguì la direzione del suo sguardo e vide che la tazzina cadutagli di mano era finita sul tappeto: il caffè aveva macchiato il tappeto color crema! Prima che potesse fermarla, Jane si alzò e corse in cucina. Dopo un attimo tornò con un panno bagnato e si mise a strofinare la macchia con vigore. «Oh, è tutta colpa mia» disse, agitata.

Lui la prese per un braccio. «No, Jane. Era la mia tazzina. Sono stato io a lasciarla cadere.» Anche se non se ne ricordava minimamente. «Vieni qui vicino a me» continuò tirandola gentilmente. «Non preoccuparti della macchia. Farò venire qualcuno che se ne occupi.»

Dopo che l’ebbe fatta sedere, le tolse di mano lo strofinaccio e lo posò sul tavolino. Quindi prese le sue mani tra le proprie. «Sei sconvolta per quello che è successo.»

«Ti sono... saltata addosso, Greg» fu la replica, appena percettibile. «Io... oh, mi dispiace molto.» Poi, sopraffatta dalla vergogna, distolse lo sguardo.

Greg si sentì sciogliere dall’emozione: lei era così diversa dalle donne che aveva conosciuto. Avrebbe voluto stringerla tra le braccia, proteggerla dall’insicurezza che sembrava averla travolta. Normalmente era una donna sicura di sé, lo dimostrava ogni giorno nel suo ruolo di governante. Adesso però era vulnerabile, indifesa, impotente. Un vero enigma, Jane. Un enigma che lo intrigava molto. «E ti ho già detto che non devi scusarti» ribadì in tono pacato, ma fermo. «Lo volevo anche io... e mi è piaciuto quanto è piaciuto a te.»

Jane raddrizzò le spalle e si costrinse a guardarlo negli occhi. «Voglio che tu sappia che non mi aspetto niente da te. So che sei abituato a... divertirti solamente con le tue amiche.»

Lui aggrottò la fronte. «Pensavo che non avresti prestato orecchio ai pettegolezzi.»

«Non posso spiegarti perché...» Jane si bloccò, si mordicchiò il labbro, trasse un tremulo respiro. «Non so perché ti ho baciato in quel modo. Ma ti giuro che non sto cercando una... relazione.» Si liberò della sua stretta e scappò via.

Greg rimase seduto a lungo, immobile. I ciocchi nel caminetto scoppiettavano allegramente, ma lui non ne registrò il rumore. Le ultime parole di Jane lo avevano infastidito. No, il termine infastidito era troppo leggero per descrivere il peso che gli gravava sul cuore. Turbato, ecco l’espressione giusta.

Ora si trattava solo di capire perché si sentiva turbato.