UN IDIOTA

Fiocco, quell’idiota che a trent’anni leticava coi ragazzi perché non lo lasciavano in pace quando voleva ritagliar con le forbici le figure di carta nel cortile, si addormentò profondamente.

Erano le due dopo mezzogiorno; nessun pigionale, dei cinque piani, si affacciava, e i suoi non erano in casa. I più stavano già a lavorare nelle botteghe o negli ufficî; i ragazzi e le donne dormivano, perché era un gran caldo. Si udivano le serve far rumore nelle cucine, l’una sopra all’altra, con le finestre socchiuse; e basta.

Fiocco sognò e credette che il Re di picche avesse sposato la Donna di cuori. Quelle due carte gli eran sempre state simpatiche, del resto!

Allora, chiese il permesso che lo facessero entrare nel loro reame, esprimendo a loro la sua contentezza.

— So che vi volete molto bene! Ma l’avevo capito da parecchio tempo. Quando rifacevo il mazzo, se m’accadeva di mettervi uno accanto all’altra, mi pareva di vedervi fare un movimento. E avrei anche smesso di giocare. Ed, ora, perché ho ritrovato proprio voi due soli nel mucchio della spazzatura? Ditemi, un poco, quel che facevate.

Sopra le due carte c’era anche piovuto; ma il sole le aveva rasciugate, e, quantunque stinte, gli piacevano sempre. Aveva voglia che gli rispondesse la Regina; ma il Re, che parlava più volentieri di lei, con noi uomini, la guardò e gli disse:

— Tu sai giocare soltanto a briscola e a sette e mezzo e a toppa. Ti farò sapere, dunque, quel che succedeva quando giocavano soltanto gli altri della tua famiglia; e tu in vece andavi a letto. Senti che memoria ho io: Cecilia e Laura sono le tue sorelle; Arturo è il fidanzato di Laura; Matilde la tua mamma; Ugo tuo padre; Enrico e Giulio i vostri amici. E poi ti dirò altro ancora. Devi sapere, dunque, e da te non potresti certamente saperlo, che l’asso di fiori s’era innamorato di Cecilia; quello di cuori, che è un mio suddito, di Laura; il tre di quadri era amico di Arturo e la donna di fiori gli voleva bene. Il fante di cuori e quello di quadri avevano simpatia per Matilde; il tre di fiori e di picche avevano antipatia per tuo padre, e nessuna carta voleva andar nelle sue mani. La donna di quadri era quasi impazzita per Enrico. Stai bene attento, per non imbrogliarti. Quando la partita comincia noi stiamo, tra noi, più attente delle persone stesse che giocano. Sarebbe impossibile, anche a me, dirti come cerchiamo di aiutare i nostri protetti; ma, del resto, anche noi non possiamo far niente contro il caso, e ci limitiamo, se ci si trova insieme, a esprimere le nostre contentezze o il nostro dispiacere. Voi uomini non ve n’accorgete! Del resto, io e la mia augusta moglie non abbiamo mai preso parte per nessuno; e cercavamo soltanto, quando ci mettevano volte in giù, al buio, di abbracciarci. Come facesti a capire del nostro amore? Non lo indovinavano né meno le farfalline che svolazzavano intorno alla luce!

«Una volta, la donna di fiori, convinto ad aiutarla il tre di quadri, voleva per forza far vincere Arturo. Ma che pena tutte le volte che Laura, la tua sorella fidanzata di Arturo, la toccava; perché n’era gelosa! Più d’una volta, riescì a scivolarle di mano cadendo scoperta, in modo che gli altri la vedessero. Il tre di quadri, per far piacere a lei, s’era procurato molte amicizie tra noi carte e anche la protezione della mia augusta consorte. Al terzo giro, la donna di fiori capitò in mano di Cecilia, l’altra tua sorella. Cecilia, mentre gli altri giocavano, se la mise alla bocca; così come talvolta fate aspettando e riflettendo intanto. La donna di fiori sentì subito che il suo cuore non poteva battere così forte per il gioco. Cecilia ha sempre giocato sbadatamente e per far numero! Benissimo! La carta capì subito che erano in due a volere che Arturo vincesse. Per fortuna l’asso di fiori, come t’ho detto innamorato di Cecilia, non era stato ancor messo; e, quindi, poteva darsi che riescisse utile. Ma Arturo vuol bene a Laura, e non s’accorgeva di niente.

«Cecilia pensò, forse come per un presentimento, che la donna di fiori sarebbe stata utile ad Arturo, e allora la mise in tavola. l’asso di fiori, ch’era in mano di Matilde, faceva di tutto per escirne. Matilde, che lo guardava fisso, indecisa di qual carta dovesse mettere, lo prese, quasi obbedendo. Cecilia saltò su la sedia dalla contentezza! Allora, Arturo, che aveva una briscola, s’ebbe tutti quei punti; e, alla fine, vinse.

«Arturo, in casa tua, non è soltanto un bravo giovine e uno dei migliori meccanici d’automobili, ma la speranza della famiglia contro tuo padre che n’è la rovina. Non varrebbe la pena che i tuoi stassero insieme se il matrimonio di Laura con Arturo non facesse aver fiducia nell’avvenire. Allora, sarebbe bene che certe famiglie, come la tua, si rompessero e che ogni individuo si sentisse, nel mondo, soltanto responsabile di se stesso. Tante liti e tanti delitti di meno; più serenità e più forza spirituale. Tu a pena mi comprendi e non so per qual miracolo, oggi, ti si possano riflettere nel cervello queste considerazioni. Certo, non ti ci diverti come quando, con le forbici in mano, i tuoi occhi divengono esilaranti! Come soffri quando non puoi fare a meno di pensare! Se ti dicessero che devi ammazzarti, non rimarresti così a bocca aperta. È strano: tu capisci soltanto le cose che ti piacciono e quelle che vuoi fare. Tutto il resto, lo pensi con soddisfazione, non vale una delle tue figure ritagliate!

«Tu vuoi anche vendicarti con Laura perché le sue scarpe non sono di coio greggio come le tue. Con che spregio gliele guardi, tuttavia! Come la spii, dalla serratura, quando si veste! Tu conosci tutte le cose più segrete della tua famiglia, che essi non intuiscono né meno. Potresti, se tu sapessi parlare, dire quanti rammendi aveva, cinque anni fa, quel dato paio di calze di tua madre.

«Ma non sai perché, quando tua madre accanto a te s’inginocchia a pregare sperando che tu guarisca, ti senti più intontito; e perché, quand’ella ci piange, tu guardi con sospetto, stringendo i denti, chiunque s’avvicini; anche se è Cecilia! Tutte le volte che sei un poco allegro, vuoi raccontare quanti mattoni ci sono negli impiantiti di ogni stanza. Tu li hai contati, senza che nessuno s’avvedesse di quel che facevi! E a Cecilia tu riportasti, dopo dieci anni, la prima matassina di capelli rimasti al suo pettine. l’avevi raccattata nel cortile! E perché biascichi sempre, per un giorno intero, gli avanzi delle gugliate che tua madre butta via quando cuce? Bisognò che ti mettessero le dita in bocca; e tu serbasti rancore per più d’un mese.

«Tu intendi, ecco perché te l’ho detto, che Arturo sposi Cecilia e non Laura. Cecilia ti vuol bene e ti fa veramente da sorella; ma Laura ti ha anche percosso. Mai t’ha asciugato la bava della bocca quando tu mugoli perché ti senti peggio e non capisci più niente. Cecilia ti terrebbe perfino con sé; e non ha mai voluto che ti mettessero al manicomio.

«Lo sai dove sei ora? Tu sei nel mio reame; bada bene di non pestare i piedi alla mia consorte. È vero, però, mio caro Fiocco, che una volta volevi buttarla nel pozzo, Laura! Se non s’acchiappava al gangio della carrucola, lasciando andar giù la brocca, l’avresti fatta annegare. Non te ne ricordi? Non ti riesciva a dire né meno una parola; e, siccome sei forte, avresti vinto. E perché ti diverti sempre a farglielo ricordare? Specie a tavola, alzi sempre la mano, e ridendo le fai cenno verso il pozzo e poi lo stesso gesto che ci vuole per piegare il capo a qualcuno. Dimmi la verità: se ti lasciassero solo con lei, non aspetteresti che passasse né meno un giorno! E perché le spennasti vive le due tortore? Perché eran sue? E perché, una volta, dasti una coltellata ad Arturo? Per fortuna, gli tagliasti soltanto il polpaccio d’una mano! Ora, è successo questo: Laura questiona con Cecilia perché ti difende. Se Laura non dovesse prender marito presto, non dormirebbero più insieme. Ma tu la vuoi uccidere, lo so: le vuoi troppo male. Ora io ti dico che quando l’avrai uccisa, perché tu saprai sorprenderla prima che sia in tempo ad accendere la luce, nascondendoti dietro la porta del salotto, Arturo non sposerà mai Cecilia. E, allora, comincerai a picchiar Cecilia; rifacendotela con lei. Finché gli amici dei tuoi genitori, Enrico e Giulio, non ti faranno rinchiudere con gli altri malati.

«Tutto questo avverrà perché quel briaco di tuo padre, nel suo segreto, ci si diverte. Egli spera che tu gli uccida Matilde; ma basta ch’ella ti guardi, perché tu cada in ginocchio. Se tu gli uccidessi Matilde, così, senza nessun pretesto, senza nessun sospetto per lui, andrebbe a rubare un milione per farti ricco. Ridi? Bada di non sbavare il vestito della mia moglie. Stai più discosto! Enrico e Giulio gli farebbero sposare quella loro amante; e non si separerebbero mai più da lui.

«Soltanto i temporali ti fanno paura; allora, ti raccomandi perfino a Laura. E, quando non tuona più, la tratti male. Ma devi sapere che la Donna di cuori, che tu guardi con cotesti occhi di piombo, cavati ad un agnello sgozzato, farà di tutto per mettere in guardia la tua sorella. Quanto sei pazzo! Figurati che la sua corona ti sembra d’oro e la sua veste rossa di seta! Tu pensi a lei come gli altri a Dio; ma basta il nero della mia barba per scoraggiarti.

«Sai come tutta la gente chiama Laura e Cecilia? Le sorelle dell’idiota. Esse, che lo sanno, da prima si sentivano offese ingiustamente; poi provarono pena per quella cattiveria così sfrontata e cinica. Quella specie di soprannome faceva a loro lo stesso effetto di una deformità comune che fosse caratteristica della tua famiglia. Si sentivano riconoscibili dovunque. E da prima credettero anche di essere idiote elle stesse; al meno, in parte. E poi che avete, indubbiamente, certe somiglianze fisiche, nessuna di due se n’è fatta una ragione. Si sentono legate, tra sé, dalla tua malattia; e, certo, invecchierebbero presto.

«Tua madre t’ama perché riprova in se stessa, continuamente, sempre più forte, la tua infelicità. Tu sei dentro di lei; e tutto ciò che fai l’attribuisce a se stessa: è la maternità. Le tue sorelle non stanno volentieri dove sei, perché hai un odore quasi sempre nauseabondo. Ne sono atterrite. Quand’erano più giovani, si burlavano di te; ed elle stesse, a scuola, ridacchiavano di te più che non seguiti a far la gente. Qualche volta ti credono una bestia, e si convincono che tu non sia loro fratello.

«Ora, tu sogni un’immensa sciocchezza. Figurati che credi di avere cento o dugento milioni. Dimmi se non è vero! Lo sai perché a Cecilia batteva il cuore? Perché, onestamente, da cognata, vuol bene ad Arturo; ed ha il presentimento ch’egli sarà infelice e che non sarà mai amata da lui, dopo la morte di Laura. Io non so come faccia a saperlo; ma non è punto tranquilla, e piange anche per via della vostra mamma, perché Ugo la fa troppo soffrire. Tu eri andato a letto; ossia, ti ci avevano mandato, e Cecilia era venuta a toglierti le scarpe. Ugo entra e dà un pugno alla moglie. Dietro a lui c’erano i suoi due amici, che non dicono niente; anzi, fanno finta di non aver visto. Arturo era, tra la tenda e la finestra, con Laura. Cecilia, allora cassiera in un magazzino di mode, era in cucina. Matilde si scansa e ripara la testa con un gomito. Arturo si fa avanti. Laura, naturalmente, lo supplica che difenda la mamma. Quando Ugo è briaco ride proprio come te e cammina come te. Prende la tua mamma e la scaraventa in cucina, addosso a Cecilia che si versa l’acqua bollente su le mani. E ancora non è guarita. Arturo prende tuo padre, e cerca di tenerlo in dietro; verso il muro. Laura piange. Tuo padre, infuriato, prende un coltello da tavola e la picchia sul capo dalla parte del manico. Arturo, allora, fa forza, quanta può, e riesce a tenerlo fermo. Ma i suoi amici gli danno ragione, e lo liberano. Fu una festa che durò fino al mattino. Bevvero altri cinque fiaschi; e, dopo aver giocato, buttarono tutte le carte, con le sedie e la tavola, dalle finestre giù nel cortile dove tu ci hai trovati. Le donne con Arturo si chiusero in cucina, a medicarsi.

«Tuo padre, così addormentato com’eri, voleva prenderti dal letto e farti sedere in una specie di trono su la poltrona. Venne, con i suoi amici, a vederti; e versarono un fiasco di vino sopra le tue lenzuola; perché anche tu bevessi. Poco mancò che il tuo letto non prendesse fuoco.

«Non credere, però, che tuo padre ti ami. Una volta, quando avevi vent’anni, voleva mozzarti le dita con quelle forbici che tu adopri ancora. E non sai che ti fece quand’eri ragazzo? Allora, non abitavi in questa casa; ma in campagna. Siccome eri caduto in una fonte, ti mise, per asciugarti, dentro un forno dove avevano finito di cuocere il pane proprio allora. E come rideva! Per convincerlo che saresti morto e che l’avrebbero condannato, bisognò toglierlo di lì e intanto tua madre, di nascosto, ti salvava. Ma non s’è mai voluto convincere; ed egli stesso, come tu sai, per quanto tu capisca poco quando gli altri parlano, se ne vanta raccontandolo; e scommette che t’avrebbe fatto bene! Tu lo diverti, quando è briaco: e basta.

«La mattina, tuo padre non ebbe il coraggio di farsi vedere; ed ecco perché ancora non è tornato a casa. Arturo è troppo buono per lasciare Laura. Ora, vogliamo stare in pace.

Ma Fiocco rispose:

— Giacché a voi posso parlare senza dir niente e senza le solite parole, vi prego di fare in modo ch’io non uccida la mia sorella. È possibile che mi riesca? È vero, però, che mi sento molto astuto e che sono vendicativo: è la mia astuzia che mi tenta. Sarebbe per me una gran gioia ucciderla, ma se la Donna di cuori non vuole, pensateci voialtri a farla diventare una carta e a dirle che non mi odî più. Quel che avete detto è inevitabile, e non dipende da me. E vi confesso che quando m’avvicino a lei.... Ma perché è mia sorella?

Rispose la Donna di cuori:

— Io spero che ti cada una tegola sul capo prima che tu compia questo delitto.

Fiocco mugolò a lungo. Sua madre, affacciatasi nel cortile, lo vide e andò a destarlo chiamandolo più d’una volta dentro un orecchio. Fiocco si alzò, ma volle portare con sé le due carte; per tagliarle a pezzettini.

Una serva, dalla finestra della sua cucina, rise.