INTRODUZIONE

 

 

 

 

 

 

 

Marsiglia, il Vélodrome. Lo dice il nome: non è uno stadio da rugby. A dire la verità, non è neanche uno stadio da ciclismo, ma da calcio. Amen. Comunque, Sud Africa-Figi, Coppa del Mondo 2007, quarti di finale, trenta gradi e siamo in ottobre, cinquantanovemila e rotti spettatori, e il primo tempo che dice e non dice. Dice che il Sud Africa è più tosto e le Figi più farfallone, che il Sud Africa ha la mischia superiore e le Figi i trequarti più allegri, che il Sud Africa è organizzato e le Figi improvvisano. Non dice quello che succederà nel secondo tempo, anzi, all’improvviso in due minuti del secondo tempo, quando le Figi vanno due volte in meta. La prima con l’ala Delasau, bel cognome sardo, che riceve l’ovale a metà campo, calcia nell’area di meta sudafricana, in quattro falcate piomba sul pallone e lo schiaccia. Delasau è così grande e grosso, e piomba con tanta veemenza, che l’ovale lo schiaccia davvero, e il pallone viene cambiato. La seconda meta spetta invece all’altra ala, Bobo, Bobo di cognome, perché il nome è Sireli. L’azione parte dai propri 22, cioè dalla difesa, da dove – di solito, al massimo – si fa un calcio di liberazione in touche e tutti respirano. Invece stavolta l’azione è giocata alla mano: un figiano punta il diretto avversario sudafricano, evita miracolosamente, e anche misteriosamente, il primo placcaggio, non il secondo, ma passa il pallone, e avanti così, finché Sireli Bobo non trova avversari e va in meta. Ed è 20-20. Tutto da rifare, tutto da ricominciare. E il Vélodrome, anche se ha quel nome inadatto per un gioco di terra, s’innamora, s’infiamma, s’incendia, si arrapa. Carico come una centrale nucleare. E mancano ancora venti minuti. Ora, tutti sanno che la vera partita comincia esattamente a questo punto, dopo un’ora di scaramucce o prodezze, di trincee o noia. Tant’è che il match finisce come deve finire: con il Sud Africa che prima piazza un calcio, poi gioca con la mischia, fa due carrettini e due mete, e vince: 37-20. Ma pazienza, è stato magnifico lo stesso, le Figi – sconfitte – compiono il giro d’onore, e il Sud Africa – vincitore – forma un corridoio all’uscita del campo, e all’ingresso degli spogliatoi, aspetta i giocatori figiani per applaudirli. Ma questo, nel rugby, è normale. Forse non è tanto normale che i figiani ci mettano cinque minuti buoni per raccogliere tutte le ovazioni da tutti settori di tutte le tribune. Nel rugby, dicono i vecchi, non sempre vince chi fa più punti.

Non tutte le partite di rugby arrapano nello stesso modo. Più o meno, dipende, a volte. Ma una tensione, a dir poco erotica, c’è sempre: può accendersi una scintilla e poi scatenarsi un’iradiddio, può accendersi una scintilla e poi spegnersi. Ma l’istante della scintilla è magico. Come infilare le dita in una presa di corrente, come sfiorare la mano di chi si vorrebbe amare. Fare il buco, cercare la penetrazione, affidarsi a un dentro e fuori. Osare, azzardare, rischiare. Dichiarandosi, esponendosi, sacrificandosi. E poi vada come vada. è per questo che alla fine ci bevono tutti su, giocatori e sostenitori. Sanno che ci sarà sempre non questa ma un’altra possibilità, ci sarà un’altra scintilla, un’altra tensione, a dir poco erotica, e forse un’altra storia con un altro risultato.

L’erotismo del rugby è dappertutto: nella forma ovale del pallone, nell’amplesso della mischia, nella urgenza dei placcaggi, nella felicità terrena della meta. Più o meno, dipende, a volte, ma il rugby è una specie di amore di gruppo, con tanto di orgasmo. Lo è proprio nel gioco, anzi, nella partita. Magari i giocatori godono di più, e gli spettatori godono di meno, o forse il contrario, perché i giocatori le danno ma le prendono anche, invece gli spettatori se ne stanno al sicuro tranquilli e seduti, e lì sfogano il loro voyeurismo. Ma la sensazione finale di beata spossatezza e sopravvivenza è autentica, ed è straordinariamente simile a quella che invade chi va in meta, augura la buonanotte, si gira dall’altra parte e si addormenta.