NOTE
6 Il cielo delle stelle fisse, dal greco. Si allude alla pretesa scoperta di un astronomo arabo del IX secolo.
7 Quest’ultima frase traduce a senso un calembour non restituibile in italiano (et tous ceulx desquelz est escript: «Ne reminiscaris») giocato sul fatto che il ne latino e il nez francese si pronunciano allo stesso modo. In un antico testo burlesco francese intitolato Nomi di tutti i nasi, si ritrovano molti passi della sacra scrittura che cominciano per ne. Tra questi anche il Ne reminiscaris delicta nostra ecc. da un’antifona di Tobia. Si tratta dunque di una vecchia facezia.
8 È appena il caso di osservare che la lunga enumerazione dei Giganti è una parodia dell’inizio del Vangelo di San Matteo.
9 Bartachim è il nome storpiato del giureconsulto italiano Giovanni Bertacchino da Fermo. Si veda al Libro II, cap. X, che cosa Rabelais pensa di lui e di altri giureconsulti italiani del tempo.
10 V. supra, Libro II, cap. I.
11 Toro era chiamato, nelle bande svizzere, il suonatore di corno. Il personaggio cui si allude aveva giurato di inchiodare, cioè di rendere inutilizzabili con un chiodo nel focone, alcuni pezzi dell’artiglieria francese. Riuscì nell’impresa, ma venne ucciso dai lanzichenecchi.
12 Cfr. il Libro dei Re, XVII-XVIII. Jahvè, supplicato da Elia, lasciò la terra senza pioggia per tre anni.
13 Si credeva, con Sant’Agostino, che soltanto l’umidità dell’aria permettesse agli uccelli di volare.
14 Cioè disseccati, Ma questo epiteto non è usato da Omero, bensì da Plutarco nelle Dispute Conviviali, per applicarlo ai morti, in opposizione a quello di succulenti, che Omero applica ai vivi.
15 Empedocle. Cfr. Plutarco, De Placitis Philosophorum, III, 6.
16 Secondo una leggenda, la Via Lattea avrebbe guidato i primi pellegrini di San Giacomo di Compostella.
17 Lingua di alcuni antichi popoli dell’Arabia, chiamati Agareni perché discendenti da Ismaele, figlio di Abramo e di Agar sua concubina (Genesi, XVI 2, 4 e 15). Questa etimologia è un’invenzione burlesca di Rabelais: il vocabolo ‘pantagruele’ esisteva già molto prima nella letteratura francese e, come nome proprio, designava, in alcuni Misteri, un diavolo eccitatore della sete o un personaggio assetato. Come nome comune, designava un violento mal di gola, una specie di angina che soffoca e impedisce di parlare.
18 Lasciami bestemmiare.
19 Non è a proposito dei Salmi, bensì del Deuteronomio che il famoso teologo ed esegeta Nicola de Lira si prende gioco dei chiosatori ebrei, secondo i quali questo re Og avrebbe misurato trenta cubiti di altezza.
20 Chantelle è una piccola città del Borbonese che possedeva un arsenale rinomatissimo dove si fabbricavano enormi balestre.
21 Sede universitaria celebratissima a quei tempi.
22 La prima delle quattro grandi caverne scavate sulla riva destra del Clain, presso Poitiers. Alle matricole di allora veniva imposto come iniziazione di passare per questa caverna attraverso un foro scavato nella roccia sull’orlo di un precipizio.
23 Pari a circa 24 m di superficie e tre metri e mezzo di spessore.
24 La Pierre Levée esiste ancora: è un dolmen molto più piccolo di quanto non dica Rabelais e si trova sulla strada che va da Saint-Saturnin a Vadouzil.
25 Croutelle è una borgata presso Poitiers. Vi sono sorgenti d’acqua limpidissima. Si ignora a quale di esse abbia inteso riferirsi Rabelais.
26 A causa di una zanna che gli sporgeva dalla bocca. Morì nel 1248 dopo una vita di violenze e di misfatti. La leggenda fece di lui il figlio della fata Melusina, metà donna e metà serpente. Nel 1233 bruciò l’Abbazia di Maillezais e, costretto dal Papa a ricostruirla, costrinse i monaci a porre la sua effige sul portico d’ingresso.
27 Nell’Abbazia di Maillezais Rabelais stette parecchi anni come monaco. Questo passo è ricco di riferimenti personali. A Ligugé Goffredo d’Estissac, vescovo di Maillezais, aveva costruito un magnifico castello nel quale diede rifugio a Rabelais – Ardillon era abate di Fontenay-le-Comte: uno degli umanisti del Poitou, amico e spesso ospite del vescovo di Maillezais. Fontenay-le-Comte era una delle più importanti città del Poitou. Là, in un convento di Cordiglieri, Rabelais compì il monacato e là conobbe il celebre Tiraqueau che tanta parte doveva avere nella sua vita e nelle sue fortune.
28 Orazio, Arte Poetica, 9-10.
29 Si allude qui al supplizio di Giovanni Cahors, professore di Diritto, condannato al rogo e bruciato vivo nel giugno del 1532, per aver tenuto discorsi sospetti di eresia luterana durante una cena. L’università di Tolosa, fondata dopo la crociata contro gli Albigesi, era assai poco liberale in materia di fede. Altri umanisti furono vittime della intolleranza tolosana.
30 Viceversa fu proprio a Montpellier che Rabelais studiò medicina, conseguendovi titoli accademici e lasciandovi ricordi leggendari.
31 Allusione a un sotterraneo che passava sotto la chiesa di San Pietro nel sobborgo di Valenza.
32 Tre passi dal Rodano alla Loira e un salto per passare il fiume?
33 La coda lunga del cappuccio, segno di distinzione dottorale.
34 Cosi i latini chiamavano la Senna. In linguaggio normale, tutta la battuta che segue suonerebbe all’incirca così: «Noi attraversiamo la Senna mattina e sera, gironzoliamo per le strade della città, parliamo il fior fiore della lingua latina e simpatizziamo con il sesso gentile. Certi giorni ispezioniamo i lupanari e mandiamo su il cazzo per le profondissime fiche di quelle socievolissime meretrici. Poi, nelle benemerite taverne della Pigna, del Castello, della Maddalena, della Mula, banchettiamo con bellissime spalle di montone lardellate di prezzemolo, e se per mala fortuna siamo a corto di quattrini e nelle nostre tasche non c’è più nemmeno un baiocco, lasciamo in pegno con grande dignità i nostri libri e i nostri mantelli e facciamo scongiuri perché i portalettere si sbrighino a portarci un po’ di soldi da casa. Tutto qui».
35 «Signornò, perché io, fin dalle prime luci del giorno mi reco in una qualche bellissima chiesa e là mi aspergo di abbondanti acque lustrali, mastico un qualche rimasuglio di orazioni della messa e mormorando le mie preghiere canoniche, imbianco e purifico l’anima mia dalle contaminazioni notturne. Inoltre, rispetto gli dèi, venero profondamente l’onnipotente Signore dei Cieli, amo e riamo il mio prossimo, osservo i dieci comandamenti e per quanto mi è consentito dalle mie forze non me ne discosto di un’unghia. Ma è purtroppo vero che, non degnandosi Mammone di versare una goccia del suo nelle mie tasche, mi trovo ad essere scarso nel fare l’elemosina a quei poverelli che vanno questuando di porta in porta».
36 Mi sforzo.
37 Onde locupletarla ecc., onde arricchirla con le chiome della ridondanza lalina.
38 Santissimo, dal greco agiòtatos.
39 Allusione all’etimologia del nome Pantagruele, v. supra, Libro II, cap. II.
40 Secondo una tradizione popolare, Orlando, a Roncisvalle, morì di sete.
41 Il cimitero degli Innocenti era il più antico della città, ed essendo sovraffollato, i resti dei morti venivano dissotterrati e stivati sotto un porticato dove si veniva a passeggiare, e dove convenivano, numerosi, gli straccioni.
42 Pobabile allusione a un tale Des Orbeaux, dotto francescano che insegnava a Poitiers alla fine del XV secolo.
43 Mastro Arduino, teologo di Colonia, nemico di Erasmo e bersaglio abituale degli strali degli umanisti.
44 A Parigi, i frati domenicani fondarono il loro primo convento nella via San Giacomo, perciò vennero chiamati giacobini o jacopini. Silvestrem Prieratem Jacospinum, cioè Silvestro da Priero Jacopino, aveva composto una summa dei casi di coscienza e un’apologia delle indulgenze.
45 Si tratta del «Pasquino», il famoso frammento romano di statua antica, recapito tradizionale di epigrammi anonimi.
46 Gioco di parole tratto dal gergo della mala: Santa Croce era anche una moneta con impressavi una croce.
47 In questa stoccata contro Accursio (v. supra, Libro II, cap. V) si riflette il disprezzo degli umanisti per i glossatori medievali che commentavano le Pandette nell’ignoranza della lingua greca.
48 I francarcieri, antica milizia francese, avevano fama di grande poltroneria.
49 Guardianuvole, traduce liberamente Franctopinus, cioè Franc-taupin, che era il soprannome dei francs-archers. Tevot era il nome di uno smargiasso nelle commedie del tempo.
50 Allusione alla inutilità dell’invasione della Provenza da parte di Antonio de Leva, generale di Carlo V.
51 Gioco di parole a proposito del mercato delle indulgenze (emulgenze da emungere, mungere, in luogo di indulgenze)
52 Gioco di parole: manducanti per mendicanti, i frati questuanti.
53 Stefano Brulefer, cordigliere, dottore in Teologia della facoltà di Parigi, il più autorevole rappresentante dello scotismo in Francia e perciò detestato dagli umanisti. Ma il titolo della sua presunta opera, più che lungimirante, appare oggi addirittura profetico.
54 Magistronostrandi e magistronostrati: così erano chiamati rispettivamente gli addottorandi e gli addottorati in teologia.
55 Eccium, storpiatura del nome del Mastro Jean Eck, avversario di Lutero.
56 Nel testo «Millesoldiers». Così erano chiamati i minorati di guerra ai quali si elargiva una pensione di 1000 soldi. La loro pitoccheria era proverbiale.
57 Storpiatura oltraggiosa: sta per frati mendicanti o monaci in generale.
58 Specie di lumaca che frigge quando butta la bava.
59 Moralizzazione della berretta dottorale sorbonica, di Mastro Leopoldo.
60 In francese nel testo, con un gioco di parole intraducibile fra éveques portatifs (vescovi in partibus) e éveques potatifs, cioè bevitori.
61 Allusione alle polemiche fra l’umanista Reuchlin e i teologi conservatori di Colonia che propugnavano la distruzione dei libri ebraici.
62 Nel testo «Les Henilles»; parola sconosciuta.
63 Nell’inferno dei Misteri francesi del Medioevo figuravano i cannoni. Erasmo, in un suo adagio, chiamava le bombarde macchine tartaree. L’Ariosto aveva scritto: «Oh maledetto, oh abbominoso ordigno / che fabbricato nel tartareo fondo / fosti per man di Belzebù maligno, / che ruinar per te designò il mondo».
64 Filosofo e teologo catalano (m. 1315), autore fra l’altro di un sistema logico, Ars compendiosa inveniendi veritatem o Ars magna.
65 «Che Dio vi conceda felicità e ricchezza, signore. Innanzitutto, mio caro signore, sappiate che quello che mi chiedete è cosa triste e penosa, e vi sarebbero da dire al riguardo molte cose tediose per chi le narra e per chi le ascolta, ancorché poeti ed oratori dei tempi andati, nei loro adagi e nelle loro sentenze, abbiano detto che il ricordo dell’indigenza e delle avversità è una gioia dell’anima».
66 Linguaggio di pura invenzione.
67 In lingua scozzese alquanto inquinata: «Signore, se siete così forte di intelligenza come di corporatura, dovete avere pietà di me, poiché la natura ci ha fatti eguali, ma la fortuna innalza certuni, altri inabissa. Spesso la virtù è tenuta a vile e gli uomini virtuosi sono disprezzati, e prima che non sia morto nessuno è buono».
68 In lingua basca: «Gran signore, a tutti i mali occorre un rimedio, ma quel che è difficile è comportarsi come si deve. Io vi ho tanto pregato. Mettiamo un po’ di ordine nei nostri discorsi; a tal fine, sia detto senza offesa, fatemi portare qualcosa onde saziarmi. E dopo chiedetemi quel che volete. Non vi sarà di peso spendere anche per due, a Dio piacendo».
69 Dio, in lingua basca.
70 Linguaggio di fantasia.
71 L’avvocato Pathelin, protagonista della farsa omonima scritta da un ignoto francese verso la fine del Quattrocento.
72 «Signore, io non parlo lingua che non sia cristiana. Mi pare tuttavia che gli stracci che ho addosso dicano chiaro ciò che desidero. Siate tanto caritatevole da darmi da mangiare».
73 «Signore, sono stanco di tanto parlare, perciò supplico Vostra Reverenza di considerare i precetti evangelici a ciò che essi muovano Vostra Reverenza ad operare secondo che la coscienza detta; e quando essi non bastassero a muoverla a pietà, c’è pur sempre una pietà naturale che io credo la commuoverà come di ragione. E più di questo non dico».
74 In danese: «Anche se io non parlassi alcuna lingua, come i bimbi e le bestie, il vestito e la magrezza della mia carcassa direbbero chiaramente ciò che mi abbisogna, cioè mangiare e bere: abbiate dunque pietà e fatemi dare di che placare i latrati del mio stomaco, così come si mette una zuppa davanti a Cerbero».
75 In ebraico: «Signore, la pace sia con voi. Se volete il bene del vostro servitore, datemi subito un tozzo di pane secondo il precetto: è dato a Dio ciò che è dato al povero».
76 In greco: «Mio ottimo signore, perché non mi date del pane? Voi mi vedete penare miseramente di fame e tuttavia siete senza pietà per me, poiché mi chiedete cose fuor di proposito. Eppure tutti i filologi ammettono unanimemente che quando i fatti sono evidenti le parole sono superflue; i discorsi sono necessari solo quando le cose di cui si discute non si appalesano chiaramente».
77 Linguaggio di fantasia.
78 «Già tante volte vi ho scongiurato per le cose sacre, per tutti gli dèi e le dee che, se pietà alcuna vi muove, soccorriate alla mia miseria; ma nulla ottengo con grida e lamenti. Lasciate, vi prego, lasciate, uomini empi, che io me ne vada dove i fati mi chiamano, né m’infastidite più oltre con le vostre vane domande, memori del vecchio adagio: ventre affamato orecchie non ha». Questa la risposta in latino che, visto il suo impegno negli studi, Pantagruele avrebbe dovuto capire benissimo. Ma il realismo di Rabelais non ha molto a che fare con il principio di verisimiglianza.
79 Mitilene fu assediata nel 1502 dai Francesi per compiacere il Papa che voleva celebrare il suo giubileo con una piccola crociata. Ma l’assedio fallì e alcuni prigionieri rimasero nelle mani dei Turchi.
80 È un’altra stoccata ai legisti chiosatori, specie italiani.
81 Bartolomeo Cipolla, veronese, ebbe fama per una vasta raccolta di consigli, cavilli, espedienti per eludere la legge, da lui intitolata Cautelae Juris utilissimae, quibus advocati et procuratores suis clientis in omni strepitu iudiciorum facile subvenire possunt.
82 Errore: Pomponio e non Ulpiano.
83 «...et en usent comme un crucifix d’un pifre». Questa frase, scomparsa dopo le prime edizioni, è stata variamente interpretata. Fra le interpretazioni possibili ho scelto la più insolente, come quella che maggiormente giustifica l’autocensura dell’autore.
84 Tito Livio, Storia romana, lib. XXI, 4, § 1.
85 Famoso accattone del XVI secolo.
86 Dove Lautrec fu battuto dagli imperiali il 29 aprile 1522.
87 Uno dei giochi di Gargantua (cfr. Gargantua, cap. XXII), qui in luogo di pille, nade, jocque fore, compreso anch’esso nell’elenco di cui al detto cap. XXII, dove figura tradotto con piglia, nada, ioca, fora.
88 Opera in versi di un famoso retore, Giovanni Meschinot, stampata la prima volta nel 1453.
89 Tmesi per: in verbo sacerdotis.
90 Cfr. Gargantua, Libro I, cap. XXXV (nota 103).
91 Cfr. Gargantua, Libro I, cap. XLIX (nota 140).
92 Tutto, fino alla fine.
93 Uno dei nove modi della prima figura del sillogismo.
94 Tutte leggi ritenute di difficile interpretazione: la loro lista figurava in testa a tutte le edizioni del Digesto.
95 Cioè per seicentocinquanta anni.
96 Secondo alcuni Santi Padri, gli uomini sarebbero stati creati per sostituire gli angeli ribelli, per cui, come spiega Sant’Anselmo, «completata la sostituzione, cesserà la generazione degli uomini».
97 Nicolò da Cusa, che aveva fissato la fine del mondo al 34° giubileo dopo Cristo, ossia nell’anno 1700.
98 Nell’Icaromenippo di Luciano, il filosofo protagonista, arrivato sulla luna, vi incontra Empedocle che vi era stato lanciato dai vapori dell’Etna, nel cui cratere egli si era buttato.
99 Gli antichi credevano che i raggi della luna facessero freddo e così cagionassero i catarri.
100 È stato osservato che il medico Rabelais, per solito così minuzioso in descrizioni del genere, questa volta ha dimenticato i polmoni.
101 Giovanni Murmel fu professore di belle lettere e autore di vari trattati filologici ed educativi. R. lo sbeffeggia attribuendogli questa Apologia da burla.
102 «Ma dove son le nevi dell’altr’anno?» trattandosi di una citazione, non ho creduto di dover tradurre questo bellissimo e famosissimo verso di Villon: anche per non guastarlo.
103 Luogo di svago o casino di campagna.
104 È la definizione della ferita data da Ippocrate: vulnus est salutio continui.
105 Latino bastardo del gergo scolastico: «E da che si deduce?».
106 Allusione al racconto della bisaccia narrato da Esopo.
107 Tutte sostanze esalanti un orribile fetore.
108 I dottori avevano un locale riservato, delimitato da un graticcio da dietro il quale ascoltavano gli scolari esaminandi.
109 Pierre d’Ailly, cancelliere dell’università, vescovo e cardinale.
110 O trichite, allume che si presenta in filamenti bianchi e lucenti come cristalli, con frange molto simili alle barbe delle piume. Alcuni lo confusero con l’amianto (v. Libro III, cap. LII) e lo ritennero incombustibile. Qui gli è attribuita una proprietà pruriginosa della quale nessuno ha mai parlato.
111 Formula di ringraziamento (Grates vobis do = Vi rendo grazie) corrotta con un finale maccheronico (Grates vobis dominos = Grazie, signori).
112 Detto per irrisione ai giuristi che citavano il Bartolo a proposito e a sproposito.
113 I filosofi nudi, monaci adepti della filosofia brahmanica.
114 Rabelais attribuisce ad Eraclito una sentenza che gli antichi attribuivano a Democrito.
115 Libro sconosciuto di autore altrettanto sconosciuto.
116 Nessun libro del genere risulta essere stato scritto dal poeta giambico Ipponace o Ipponatte.
117 Il primo epiteto e i tre ultimi della serie, sinonimi rispettivamente di ubriacone, tracotante manesco e spione, sostituiscono altrettali giochi di parole intesi al dileggio dei dottori della Sorbona, mal restituibili in italiano.
118 Ed ecco qui un uomo che è da più di Salomone (Matteo, XII, 42).
119 Su questa disputa senza parole, Janunculus (op. cit.) annota fra l’altro: «Ma, senza risalire alla Storia dei quaranta visir o ai Racconti Tomil, si può ritenere che la fonte dell’aneddoto rabelaisiano si trovi in una glossa di Accursio al Digesto, libro I, titolo II, Dell’origine del diritto, fram. 4 – Ivi Pomponio, parlando dell’origine della legge delle Dodici Tavole, dice che i Romani, desiderando avere buone leggi, ne richiesero i Greci. Ed Accursio aggiunge nella glossa: “Prima di aderire alla richiesta, i Greci mandarono a Roma un filosofo perché esaminasse se i Romani ne fossero degni. I Romani, dopo aver macchinato sul da fare, delegarono a disputare col Greco un pazzo, per potere, in caso di sconfitta, volgere in burla la faccenda. Il filosofo greco, probabilmente per la inscienza della lingua latina, si mise a disputare per gesti, ed alzò un dito per significare che Dio è uno. Il pazzo, credendo che fosse la minaccia di crepargli un occhio, tese due dita ed il pollice quasi volesse creparli tutti e due all’avversario. Il Greco vide in queste tre dita il simbolo della Trinità, ed aprì allora tutta la mano per significare che ogni cosa è manifesta a Dio. Il pazzo, interpretando questo gesto come la minaccia di un ganascione, distese il pugno chiuso quasi a minacciare alla sua volta. Il Greco credette che ciò significasse che Dio tiene chiuse tutte le cose nel suo pugno, e giudicando i Romani degni delle leggi, si ritirò e le fece loro accordare da Atene”. Questa storiella venne poi ripetuta ed ampliata da vari scrittori anteriori o contemporanei di Rabelais; e non poteva essere da lui ignorata, perché il Budé – di cui egli era fervente ammiratore l’aveva addotta come esempio della ‘ignoranza accursiana’, rilevando lo sciocco anacronismo di una discussione sulla Trinità quattro secoli e mezzo prima della venuta di Cristo. Però, dove che gli altri autori hanno mantenuto l’equivoco della interpretazione dei gesti da parte dei due avversari, facendo in esso appunto consistere l’effetto comico, Rabelais, invece, fa una minuta esposizione di lazzi volgari e sbeffeggiamenti osceni, ma si guarda bene, poi, dal darne una spiegazione”.
120 Che è un modo tutto rabelaisiano di mandare ogni tanto anche il lettore a quel paese.
121 Qui nel senso insolente di Sacra Rappresentazione.
122 Cioè la Bièvre, che attraversava appunto il recinto della Scuola Teologica di San Vittore.
123 Per un paio di secoli si è continuato ad attribuire il successo della tintoria dei Gobelin a proprietà misteriose delle acque della Bièvre. L’urina (umana e non di cane) era usata in tintoria per il suo contenuto di ammoniaca.
124 La turpe beffa narrata in questo capitolo non è invenzione di Rabelais. Se ne parla in un manoscritto della prima metà del XVI secolo: «Per fare che i cani piscino addosso a qualche uomo o a qualche donna, prendi lo spurgo della vulva di una cagna in calore ed ungine le vesti». Cfr. «Revue des Études rabelaisiennes», anno II, p. 225.
125 Così nelle prime edizioni. In quella del 1537, Enoch ed Elia sono già sostituiti da Ogiero ed Artù. Autocensure del genere non sono infrequenti in Rabelais e rispecchiano ovviamente le sue preoccupazioni ‘politiche’ nei vari momenti della sua vita. Le edizioni francesi più recenti e autorevoli (la Pléiade ad esempio) a differenza della presente traduzione, avallano generalmente tali autocensure, limitandosi a richiamare in nota il testo originario.
126 Secondo Aulo Gellio (XVII, 9) i Lacedemoni, per trasmettere messaggi segreti, li scrivevano dall’alto in basso su di un nastro avvolto a spirale su di un bastone. Il destinatario, per decifrarli, doveva riavvolgere il nastro su di un bastone uguale a quello usato dal mittente.
127 Non c’è nel testo l’espresso riferimento al Cristo crocefisso. Ma suppongo che il pubblico cui si rivolgeva Rabelais non avesse bisogno di una nota esplicativa per afferrare a volo l’allusione. Così, in questo caso (come in pochi altri dove ciò era possibile senza grave alterazione dell’insieme), ho creduto lecito ed opportuno inserire nel testo l’informazione necessaria, anziché rinviare il lettore alle note in calce.
128 Nel testo, «me prelasser par les bandes». Letteralmente, gironzolare fra i reparti con aria da prelato: versione macchinosa qui sostituita con una vanteria equivalente e anche più blasfema, come il personaggio consente.
129 Zopiro, devotissimo a Dario, per penetrare in Babilonia, città assediata dal suo Re, si tagliò il naso e le orecchie, per fingersi scacciato dai suoi.
130 Il famoso simulatore greco che indusse alla rovina i Troiani.
131 Pacolet, nome di un nano nel romanzo Istoria dei due nobili e valenti cavalieri, Valentino ed Orsone, nipoti del re Pipino. Da quel bravo negromante che era, aveva costruito un cavallo di legno che volava per l’aria come un uccello. Qui il suo nome è attribuito al cavallo.
132 Reminiscenza virgiliana (Eneide, VII, vv. 125-129, nella versione di Annibal Caro), dove di Camilla si dice che
Era fiera in battaglia e lieve al corso
tanto che quasi un vento sopra l’erba
correndo, non avrebbe anco de’ fiori
tocco, né dell’ariste il sommo appena.
133 Nel testo, aironi, che, a quanto ne so, non sono commestibili. Per cui non dubito che Rabelais approverebbe l’emendamento.
134 Piccioni selvatici.
135 Né Erodoto né Pompeo Trogo (storico latino del I secolo d.C.) hanno dato le cifre citate da Rabelais. Secondo Erodoto, l’esercito di Serse comprendeva circa 700000 fanti, secondo Pompeo Trogo circa un milione.
136 Si irride qui a certe teorie della fisica scolastica che ravvisavano nei mutamenti di stato dell’aria dovuti ad esalazioni mefitiche delle vere e proprie metamorfosi dalle quali nascevano piccoli animali.
137 Il mito della guerra perpetua dei nani contro le cicogne o le gru è antichissimo. Cfr. Omero, Iliade, III, 37; Aristotele, Storia degli animali, VIII, 12, e Plinio, IV, 2.
138 Una orrenda mistura di sostanze venefiche, caustiche e purgative bastante a mettere fuori combattimento chiunque ne ingoiasse una minima porzione.
139 Si tratta di miscele o eiettuari variamente medicamentosi: il lithontripon per il mal della pietra, il nefrocatartichon per la purga dei reni, ambedue descritti nell’Antidotario della Scuola Salernitana. Le proprietà diuretiche della cantaride erano state indicate fin dall’antichità (Ippo
crate, Galeno, Dioscoride) ed anche la sua virtù afrodisiaca era nota ai tempi di Rabelais.
140 A proposito di Mattutino e grattacoglioni, val forse la pena di richiamare, a contrasto, i versi di Dante (Par., X, 139-145): «Indi, come orologio che ne chiami / nell’ora che la sposa di Dio surge / a mattinar la sposo perché l’ami, / che l’una parte e l’altra tira ed urge, / tin tin sonando con sì dolce nota, / che ’l ben disposto spirto d’amor turge...».
141 Ricorda l’etimologia di Pantagruele, spiegata al Libro II, cap. II.
142 Acciaio dei Calibi, popolo dell’Asia Minore, famoso nell’antichità per l’estrazione del ferro.
143 La cosiddetta ‘tour de beurre’ era stata costruita da poco col denaro offerto dai fedeli per conseguire il privilegio di consumare burro in quaresima, e andò a rimpiazzare un’altra torre crollata all’inizio del XVI secolo.
144 Eroi di un romanzo di cavalleria.
145 Eroi del ciclo bretone.
146 Famoso paladino di Francia.
147 Questo papa pare sia stato il primo a portare la barba. Se la strappò e tagliò alla notizia che i Francesi avevano ripreso Brescia ribellatasi. Se la fece ricrescere, poi di nuovo se la tagliò a causa della vittoria di Gastone di Foix, a Ravenna.
148 Eroe di un romanzo popolare.
149 Così chiamato per aver osato traversare una foresta incantata, è l’eroe di un romanzo cavalleresco.
150 Eroe del ciclo carolingio.
151 Cavaliere spagnolo le cui vitiorie dovevano restaurare la cavalleria decaduta in seguito alla disfatta di Roncisvalle.
152 V. Gargantua, Libro I, cap. XX e Libro III, cap. XXX.
153 Famoso umanista francese contemporaneo di Rabelais, autore fra l’altro di un Trattato dei diversi scismi e concilii della Chiesa latina e della preminenza ed utilità dei concilii della santa Chiesa anglicana.
154 Famosi buffoni di corte. Al secondo si ispirò il Rigoletto verdiano.
155 Protagonista di una celebre farsa del Quattrocento.
156 Ponte leggendario del romanzo di Fierobraccio.
157 Nel testo, «Au bout de l’aulne fault le drap»: un proverbio del quale non ho trovato, e credo che non esista, il corrispondente italiano.
158 L’idea di un viaggio dentro una bocca gigantesca appartiene alla tradizione popolare, mentre questo particolare fu suggerito forse a Rabelais da un racconto di Luciano (Una storia vera, I, 33), dove, nel ventre di una balena, alcuni ortolani sono intenti a coltivare legumi.
159 Cioè gola, dal greco.
160 Il nome della Sorbona è dovuto notoriamente al suo fondatore Roberto di Sorbona. Ma gli umanisti, a scherno dei teologi, gli attribuirono le più diverse origini. Erasmo, nel Convito profano, lo faceva derivare da sorbendo. Budé, in una lettera a Erasmo, diceva che la Sorbona doveva chiamarsi Serbona, dalla palude omonima, che Strabone menziona confondendola con il lago di Sodoma. Rabelais tien conto di tutto questo e si spinge più in là, identificando addirittura la Sorbona con lo stagno di Serbona e citando Strabone in appoggio.
161 Come dire i confini del mondo conosciuto.
162 Così nel testo.
163 Sarabaiti, o Sarraboviti, erano certi monaci egiziani, detti anche Girovaghi, i quali erano usciti dai conventi per vivere in libertà, licenziosamente. Ne parlano Cassiano e San Girolamo.
164 Si fingono austeri come Curio, ma loro vita non è che un baccanale.