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Il segnale sparì in meno di due minuti ma, durante quel breve scambio, disturbato da perturbazioni atmosferiche, Augustine aveva scoperto diverse cose. La donna all’altro capo del segnale gli aveva detto di trovarsi a bordo di un’astronave chiamata Aether, per un’ambiziosa missione di esplorazione nello spazio profondo di cui lui aveva sentito parlare prima di partire per il Polo Nord, quando ancora stavano costruendo l’astronave nell’orbita terrestre. Poi la donna aveva aggiunto che erano a circa trecentomila chilometri di distanza dalla Terra, stavano tornando a casa ma avevano perso i contatti col Centro di Controllo Missione circa un anno prima. Da allora, lui era il primo e l’unico contatto radio che fossero riusciti a stabilire.

Augie invece le aveva detto di trovarsi in un centro di ricerca a 81 gradi nord, sull’arcipelago artico canadese, che era lì da parecchio e che disponeva di pochissime informazioni riguardo alla situazione del mondo oltre la sua isola ghiacciata. Che era girata voce di una guerra e poi il centro era stato evacuato, ma lui aveva scelto di restare... Da allora, il nulla. Solo silenzio e solitudine. Avrebbe voluto dirle tutto: com’era stato lasciare l’osservatorio e attraversare la tundra, abituarsi alla sua nuova casa vicino al lago, cosa aveva provato quando aveva ucciso il lupo e poi lo aveva sepolto nella neve; di Iris, com’era stato prendersi cura di lei, darle da mangiare e insegnarle a pescare, preoccuparsi per lei, provare l’emozione dell’amore; guardare la neve e il ghiaccio sciogliersi, bagnarsi nella luce del sole di mezzanotte e poi vederlo scomparire. Sì, avrebbe voluto parlarle di quei sentimenti, di quelle sensazioni travolgenti, spiazzanti, gloriose che non erano sempre un bene, anzi, spesso erano un male, eppure così vivide, così immediate, così nuove per lui.

Augie aveva così tanto da dire. Avrebbe voluto chiederle del suo viaggio, sapere cosa si provasse lassù, in mezzo alle stelle, a guardare la Terra dall’alto. Domandarle che aspetto avesse il pianeta da lassù, da quanto tempo fossero in viaggio... ma la connessione era saltata. Considerate l’immensa distanza che doveva percorrere il segnale, la rotazione della Terra e le oscillazioni dell’atmosfera, non c’era da stupirsi. Augie memorizzò la frequenza e ne programmò il monitoraggio per tutto il tempo che fosse stato necessario a ristabilire il contatto.

Nelle dodici ore successive si allontanò dalla radio solo una volta, per prepararsi un thermos di caffè molto zuccherato. Quando entrò nella tenda Iris stava leggendo su una brandina, e Augustine le raccontò tutto: della donna, dell’astronave. Lei non parve molto interessata. Cercò di convincerla ad accompagnarlo alla casupola, ma lei rifiutò e continuò a leggere. Pareva felice per lui, ma del tutto indifferente alla grande notizia. Augie si chiese se ne capisse appieno il significato. Alzò le spalle e tornò alla stazione radio col thermos in mano, cercando d’immaginare perché Iris non avesse voluto cogliere l’opportunità di sentire un’altra voce umana, di parlare con una donna di un altro mondo.

Tornato alla sua postazione, coi ricevitori sintonizzati sulla giusta lunghezza d’onda e con le orecchie tese, pronte a captare qualsiasi suono anomalo si nascondesse nel rumore bianco, si accomodò sulla sedia, cercando di non addormentarsi.

 

 

Ci mise un po’ a rendersi conto che la voce era tornata, riportandolo da un sogno nebuloso alla stazione radio gelata. Non appena la udì, Augie saltò sulla sedia, facendo cadere il thermos vuoto dalla scrivania. Sistemò il microfono. «Eccomi, ci sono. Qui KB1ZFI, confermo ricezione.» Tenne premuto il pulsante TRANSMIT per un secondo di troppo, incerto su come cominciare, cosa chiedere, cosa dire. Doveva avere pazienza, pensò. Lasciarla rispondere. «Passo.»

Un attimo dopo arrivò la voce di un uomo, bassa e distorta dalla distanza: «KB1ZFI, qui Gordon Harper, comandante dell’Aether. Non può immaginare quanto sia felice di sentirla. Sono qui con la specialista Sullivan, che già conosce. Sully mi ha detto che è confuso quanto noi riguardo a quello che potrebbe essere successo sulla Terra. Conferma?»

«Confermo. Anche per me è un piacere, bentornati a casa. Mi spiace solo che avvenga in simili circostanze. Sa, è da tantissimo che non ricevo un segnale radio. Più di un anno, dall’evacuazione. Immagino che voi ne sappiate più di me, vista la vostra prospettiva privilegiata. Passo.»

Ci fu una lunga pausa e Augie temette di aver perso la connessione, ma poi il comandante continuò: «Troppo presto per dirlo, ma faremo del nostro meglio per tenerla informata. Lei come se la cava? Passo».

«Sorprendentemente bene. Questi avamposti di ricerca straripano di cibo. Non so se durante la guerra abbiano usato armi chimiche o nucleari, ma qualsiasi cosa sia successa gli effetti sono nulli in questa parte del mondo. La fauna sta bene, non mostra segni di avvelenamento da radiazioni. Passo.» Augie voleva sapere se sarebbero rientrati nell’atmosfera, se ci sarebbero riusciti. E nel caso... chissà cosa avrebbero trovato. Cosa c’era lì fuori, oltre la loro casa di ghiaccio? In che condizioni si trovava il resto del pianeta? Ma non sapeva come domandarlo. Erano ancora lontani. Tuttavia, dopo tanti mesi di mera sopravvivenza, all’improvviso ardeva di nuovo di curiosità, voleva sapere tutto. Un’altra pausa, più lunga, in cui Augie immaginò cosa si stessero dicendo.

«KB1ZFI, qui Sullivan, temo che la connessione...» E sparirono.

«Vi aspetto», disse Augie a voce alta, al vuoto.

 

 

Augustine aveva visto l’ultimo sole. Era ufficialmente autunno. Iniziò la notte polare, e le temperature diventarono rigidissime. Stava per cominciare una nuova ibernazione, era arrivato il momento di chiudersi dentro la tenda principale e tenere la stufa sempre accesa, al massimo. Le uscite per raggiungere la radio diventarono sempre più complicate; Augie sentiva che la sua salute peggiorava, respirare in quell’aria sotto zero gli faceva male ai polmoni. Più sforzi faceva, più era costretto a prendere respiri profondi, e più respirava profondamente peggio si sentiva.

Ciò nonostante, continuò la veglia. Continuò la sorveglianza radio, più spesso che poteva. Aspettava davanti al microfono entrando e uscendo dai sogni, che diventarono sempre più vividi, finché non ebbe difficoltà a distinguere tra il sonno e la veglia. La febbre lo teneva al caldo, facendogli ribollire il sangue nelle vene. Finalmente sentì di nuovo la voce della donna, e si svegliò. Non sapeva quanto avesse dormito. Ore, forse giorni.

«KB1ZFI», ripeteva. «KB1ZFI, KB1ZFI.»

Lui si tirò su e prese il microfono. «Ricevuto, qui KB1ZFI.»

«Oh, temevo di averla persa», disse lei, sollevata.

«Non ancora», rispose Augie con una voce roca e la gola piena di catarro. «Che ne dici di darci del tu? Chiamami Augustine.» Lasciò il pulsante TRANSMIT per tossire, un accesso profondo che gli scosse tutto il petto. Si chiese quanto tempo gli rimanesse.

«Va bene, Augustine. Io sono Sully, oggi ci sono solo io. Parlami del cielo. E degli animali. Cavolo, parlami della terra...»

Lui sorrise. Doveva essere passato un sacco di tempo dall’ultima volta in cui lei aveva posato gli occhi su quelle cose. «Be’, qui il cielo è buio per tutto il giorno. Cosa sarà, fine ottobre? Niente sole fino a primavera, soltanto stelle.»

«Sì, siamo a ottobre. E gli animali? Com’è il tempo?»

«Fa parecchio freddo... venti, venticinque gradi sotto zero. E gli uccelli se ne sono andati, quasi tutti. Però ci sono i lupi, che continuano a ululare, e le lepri artiche, che saltano sul ghiaccio come pazze, peggio di quel cavolo di coniglio con l’orologio sempre in mano... hai presente? Ah, e poi c’è l’orso. Che non dovrebbe essere nell’entroterra in questo periodo dell’anno, eppure... Spesso vedo le sue orme nella neve. Che resti tra noi, credo mi stia seguendo.»

«Come dici? Ti sta seguendo? Un orso polare? Oddio, non mi sembra una cosa buona.»

«No, no, non ti preoccupare... è una compagnia piacevole, si fa gli affari suoi. E la terra, dicevi... be’, è ghiacciata. Non ho molto altro da raccontarti, mi spiace. Ci si prepara all’inverno. E voi, lassù?»

«Qui abbastanza bene. Adesso siamo entrati nell’orbita dell’ISS, speriamo di riuscire ad attraccare per iniziare le procedure di rientro.»

«E il vostro viaggio? Cosa avete visto?»

«Giove», rispose Sully. Sembrava malinconica. «Marte. I satelliti galileiani. Tante stelle, il vuoto. Non so... è difficile da descrivere. Siamo in viaggio da così tanto tempo... Augustine? Credo che tra un minuto perderò il segnale, siamo vicini all’emisfero sud. Però, ascolta... prenditi cura di te, d’accordo? Non so cosa succederà, ma spero di sentirti ancora, spero che...»

Andata. Augie spense le apparecchiature e si ritrascinò verso la tenda. Collassò sulla brandina così com’era, completamente vestito. Passarono ore prima che la stufa lo scaldasse abbastanza perché riuscisse a muoversi e, quando finalmente si tolse il parka e gli scarponi, un pensiero scivoloso s’insinuò nella sua coscienza, per poi passare al subconscio: entrava e usciva, entrava e usciva, fino a che non si addormentò.

 

 

La febbre lo teneva in pugno. Sognava di tornare alla stazione radio e accendere il generatore, i ricetrasmettitori... si accorgeva di essere ancora sulla brandina, incapace di muoversi, e il sogno ricominciava, all’infinito: la mente si svegliava e andava alla stazione radio, mentre il corpo restava lì. I rari momenti di veglia erano dolorosi e brevissimi. Sentiva caldo e freddo insieme, aveva i brividi e sudava. Per la maggior parte del tempo si trovava ai margini della coscienza, sognava di svegliarsi, sognava di sognare di svegliarsi. Il suo cervello era intrappolato in strati infiniti di subconscio: ne superava uno e ricadeva in un altro.

Iris era lì, nella vita reale, o forse nei suoi sogni, non ne era sicuro. Era davanti alla brandina e lo guardava con occhi pieni di ansia. Gli metteva una pezzuola fresca sulla fronte e stracci caldi sul petto. Cantava per lui, e i lupi le facevano eco coi loro ululati lontani. A volte Augie la scambiava per Jean, altre volte per sua madre.

Quando finalmente tornò cosciente, la tenda era buia e fredda, la lampada elettrica spenta, l’olio nella stufa esaurito. Da quanto era così? Dov’era Iris? Fece appello alla sua ultima riserva di energia e si alzò, uscì a cambiare il barile dell’olio e poi rientrò, riaccese la stufa e collassò di nuovo. Bevve almeno due litri d’acqua, così fredda da fargli venire mal di testa.

Non appena mise giù la caraffa riapparve Iris, che entrò nella tenda e si chiuse la porta alle spalle. Tolse il vetro da una delle lampade a cherosene, accese lo stoppino con un fiammifero e lo rimise a posto. Regolò la fiamma. Portò la lampada vicino al letto di Augie, la tenne un istante sopra di lui e poi la posò sul tavolo. Gli mise una mano sulla fronte, si sedette ai piedi della brandina, sorrise. I suoi occhi dicevano: Torna a dormire, ma le sue labbra non dicevano niente.