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Nel pomeriggio Denis convinse i genitori che voleva andare all’istituto per assicurarsi che i suoi compagni stessero bene, e si precipitò da suor Clotilde. Il quartiere era stato risparmiato dai bombardamenti, ma il convitto era invaso da preti e studenti delle varie scuole della città che trasportavano i feriti nelle aule. Denis fece molta fatica a capire dove fosse suor Clotilde in mezzo a quella baraonda.

Vide la madre superiora che parlava con un gruppo di scout in uno dei cortili. Aspettò che rimanesse sola per avvicinarsi. La superiora aveva la tonaca macchiata di fango e si puliva la faccia con un fazzoletto. Vedendolo chiuse gli occhi, esasperata. Denis le domandò ugualmente con aria affabile dove poteva trovare suor Clotilde.

«Le sembra questo il momento per fare lezione di latino, ragazzo mio?».

Poi si girò e fece per allontanarsi.

«Ma per la miseria, voglio solo assicurarmi che non le sia successo niente!» replicò Denis.

La superiora si voltò, alzando gli occhi al cielo.

«Santi numi, farebbe perdere la pazienza anche al buon Dio! Cosa vuole che le sia successo? Suor Clotilde non ha niente. Sta aiutando gli altri e non ha certo bisogno di ritrovarsi tra i piedi un ragazzo maleducato. Se ne vada».

Fremente di rabbia, Denis tornò nel cortile d’ingresso. C’erano delle suore che accoglievano i feriti e Denis indugiò nella speranza di scorgere tra loro suor Clotilde. Ma lei non c’era. A un certo punto sulla soglia di un edificio vide una sagoma bianca che gli sembrò di riconoscere. Si mise a correre. La sagoma scomparve. Nelle sale incontrò solo suore sconosciute indaffarate e uomini che le aiutavano.

Denis uscì dall’edificio e attraversò lentamente il cortile per andarsene. Suor Clotilde gli veniva incontro, senza vederlo, con in braccio una bambina. Al suo fianco c’era una donna. La piccola sembrava priva di sensi e aveva le braccia insanguinate. Suor Clotilde si accorse di Denis solo quando gli passò accanto. Nei suoi occhi balenò un lampo di sollievo.

«Aspettami fuori» gli sussurrò.

Denis andò ad aspettarla in strada, vicino all’ingresso. Più in basso, sull’arteria principale, passavano camion carichi di mobili e macchine. Denis pensò che doveva essere gente che lasciava la città, terrorizzata dai bombardamenti.

Un attimo dopo vide spuntare suor Clotilde che correva in direzione dell’uscita. Vide anche la superiora andare verso di lei. Si incontrarono in mezzo al cortile. La superiora parlava agitando le mani. Denis ebbe un tuffo al cuore. Ma poi la suora scostò la superiora con un gesto stanco e riprese a correre verso di lui.

«Non sei ferito?» gli domandò trafelata.

«No, no. E tu?».

«Sto bene, amore mio».

Lo condusse nel gabbiotto della portineria. Non c’era nessuno. Si appoggiò alla parete.

«Ero così in pensiero per te» disse attirandolo a sé. «Questo pomeriggio ho sentito dire che il tuo quartiere è stato colpito».

«Il nostro palazzo è ancora in piedi, stiamo tutti bene».

Lei lo esaminò da cima a fondo, lo strinse a sé e lo baciò sulla guancia.

«La superiora ha avuto da ridire?» le domandò Denis.

«No, no... Non sospetta di niente. Come potrebbe sospettare di qualcosa?».

«Non intendevo questo. È che ho l’impressione di non piacerle un granché. Le ho appena parlato».

«È solo scossa, come tutti».

«Ad ogni modo, il problema è un altro» disse Denis. «Mia madre vuole mandarmi fuori città. Ne ha parlato con mio padre e lui è d’accordo. È sempre d’accordo con quello che dice lei».

Suor Clotilde si scostò bruscamente, spaventata.

«A causa mia?».

«Ma no, cosa vai a pensare! A causa dei bombardamenti!».

«E quando?».

«Quando cosa?».

«Quando dovrai andare via?».

«Al più presto. Domani, dopodomani, non so! Vogliono mandarmi da mia zia Irène, la sorella di papà. Abita vicino a Nîmes. Non c’è rischio che lo bombardino, quel paesino».

«No, non è possibile! Non puoi lasciarmi!».

«Vai a dirlo a loro, non a me».

«Non puoi lasciarmi» ripeté lei scuotendo la testa. «Non voglio. Troverò un modo. Lascerò anch’io il convitto, ecco. Chiederò il permesso di andare a stare dai miei per un po’, mi inventerò qualcosa, una scusa qualsiasi».

«I miei non staranno ad aspettare, sai».

«E i tuoi studi? Non farai più niente da tua zia. Gliel’hai detto questo?».

Poi fu questione di un attimo, e tutto fu deciso. Di colpo Denis ebbe un’idea terribile, meravigliosa e terribile, tanto che il suo cuore cessò di battere, e nello stesso istante seppe che anche lei aveva pensato esattamente la stessa cosa, che anche il suo cuore si era fermato. La strinse forte per i gomiti e la guardò in faccia, in fondo a quegli occhi azzurri.

«Forse sono pazzo,» disse «ma se puoi lasciare il convitto, dove...».

Lei gli coprì la bocca con la mano e disse in fretta:

«Sì, sì, faremo così. Proporrò ai tuoi genitori di portarti a casa dei miei. Tu sei un ragazzo, loro mi conoscono, si fideranno di me».

«Oh, sì, sì!».

Denis si gettò festosamente tra le sue braccia, le coprì il viso di baci, e sembrava pazzo davvero.

«Dove potremmo andare?».

«Oh, molto più lontano di Nîmes. Tutto sta che non ci sia nessuno in questo momento. I miei hanno una casa nell’Alta Loira. Ci sono andata altre volte a riposarmi negli ultimi anni. Ma ho bisogno di un paio di giorni per sistemare le cose. Tu cerca di guadagnare tempo».

Travolto da un eccesso di gioia, Denis temette di sperare l’impossibile. Insieme a lei, sempre. Troppo bello per essere vero! Le premeva le labbra così forte sulla guancia che lei dovette prenderlo per le spalle per scostarlo.

«Adesso è meglio che tu vada. Abbi fiducia, tesoro mio. Farò qualunque cosa, ma ci riuscirò».

Uscirono dalla portineria tenendosi ancora per mano. Lei se ne andò senza voltarsi, con la testa piegata di lato, la schiena dritta, una figurina bianca e affusolata in mezzo alla folla di estranei nel cortile. Non appena scomparve, Denis sferrò un calcio al grande portone di ferro, facendosi male.

 

 

Quella sera tardi, suor Clotilde trovò il modo di parlare con la superiora. Camminavano fianco a fianco per i cortili deserti. Suor Clotilde non sapeva ancora come formulare la richiesta. Non ce ne fu bisogno. La superiora la tolse d’impaccio dicendo:

«Sa che suor Marthe ci lascia alla fine del mese? Va a stare da suo fratello minore ad Avignone, nella Valchiusa. Avrà bisogno di lei, data la situazione».

«Stavo appunto per chiederle lo stesso favore» disse suor Clotilde con un risolino.

«Vuole andarsene anche lei? Non può aspettare le vacanze?».

«Se vuole, resterò fino alle vacanze, visto che la partenza di suor Marthe la priva di un’insegnante. Ma anche a me sarebbe piaciuto andare dai miei genitori, stare vicino a mia madre... Insomma, non si può mai sapere che cosa succederà...».

«Capisco» disse la madre superiora. «La giornata di oggi l’ha scombussolata».

Rivolse lo sguardo alle foglie dei platani nel cortile.

«Quest’anno l’estate è arrivata in anticipo» disse. «Non credo che sentiremo la mancanza di suor Marthe. Molte allieve lasceranno la città con le loro famiglie. La gente è scossa dai bombardamenti e tutti si aspettano uno sbarco al Sud. Lei lo crede possibile?».

Suor Clotilde rimase in silenzio. Continuò a camminare al fianco della superiora, a passi lenti e con gli occhi bassi.

«Sì, si può fare» seguitò la superiora. «Parlo della sua richiesta, naturalmente. Andrà a Villarguier, come gli altri anni, non è così? Con i suoi genitori?».

«Sì» rispose suor Clotilde. «Grazie, madre, grazie infinite. Posso partire quando parte suor Marthe?».

«Non sia così impaziente» disse la superiora. «Partirà all’inizio del mese. Ad ogni modo, mi sa che quest’anno la scuola finirà in anticipo».

Già parlava d’altro, mentre continuava a passeggiare in cortile, contemplando i platani e scuotendo la testa a ogni frase che diceva. Suor Clotilde non l’ascoltava più.

Stare con lui giorno e notte. Sembrava tutto così semplice adesso! Non sarebbe stato difficile convincere i genitori di Denis. Se gliel’avesse presentata come una sorta di colonia estiva, avrebbero pensato che ci sarebbero stati altri ragazzi oltre a Denis. E finché fossero rimasti a Villarguier, la superiora non avrebbe avuto modo di venire a sapere della presenza di Denis. In seguito si sarebbe inventata una qualche spiegazione. Comunque fosse, era una questione che riguardava il dopo, quindi perché preoccuparsene? Adesso sto con lui, non lo lascio più, sono tra le sue braccia, lo amo. Poteva esserci felicità più grande sulla terra? Ritornò alla realtà e si sforzò di prestare ascolto alla superiora.

«... Quest’anno non ci sarà l’esame finale. L’anno venturo dovremo fare una selezione sulla base dei voti...».

Ma subito si distrasse di nuovo, rivedeva il proprio viso di dieci anni prima, lei, la sua vera se stessa, sulla terra, e Denis sulla terra, e la terra, e la felicità di esserci, di camminare in quel cortile, in attesa di un nuovo carico di felicità, e la felicità di rivedere il proprio viso più giovane di dieci anni, di cinque anni e di camminare ancora su quella terra, con quella felicità.

«Vedrà, non durerà ancora per molto» diceva la superiora. «Tutto tornerà alla normalità, com’è già successo in passato...».

Il passato? Quale passato? Il suo viso non tradiva nessuna emozione, mentre dentro di sé scrollava le spalle all’idea di quel passato che non esisteva più, che non sarebbe mai esistito, giacché lei era là, con lui, in quel breve istante, in quella breve vita, perché quella era la vita, ed era la felicità, qualcosa che non aveva né inizio né fine, da percorrere fino in fondo.