25

I Leterrand decisero finalmente il da farsi una settimana dopo l’inizio dell’anno scolastico. Non fu una decisione presa alla leggera. Si erano consultati con tutto il parentado scandalizzato. Com’era nella sana morale delle loro abitudini, avevano riflettuto. Ma avevano anche e soprattutto dato ascolto al rettore dell’istituto. Così, una sera, di ritorno da un colloquio con il rettore, annunciarono a Denis di aver preso una decisione.

«Io e tua madre ti vogliamo bene» aveva esordito il signor Leterrand con le mani sui braccioli della poltrona. «Desideriamo solo ciò che è meglio per te. Per questo abbiamo deciso di mandarti in collegio. Non ci hai ripensato? Sei sempre determinato a rivedere quella rinnegata? Ti rifiuti di cambiare idea?».

«Sì» rispose Denis. «Mi rifiuto».

«In tal caso le tue valigie sono pronte. Telefonerò per farti venire a prendere. Partirai questo sabato».

«Come volete» disse Denis, in piedi contro il muro.

«Starai in un’altra città, senza di noi» disse tra le lacrime la signora Leterrand, seduta in poltrona.

«Come volete» disse Denis.

«Se avessi un minimo di pietà per tua madre...» disse il signor Leterrand.

«È inutile, non ci sente!» esclamò la moglie. «È impazzito! Ed è stata lei, quella schifosa, quella... quella...».

Aveva la voce strozzata dai singhiozzi e dalla rabbia.

Il signor Leterrand si alzò.

«Dal collegio non uscirai fino alla maturità».

«Come volete» disse Denis.

«E se necessario, niente vacanze».

«Come volete» disse Denis. «Avrò tempo per vivere. Aspetterò tutto il tempo che occorrerà. Non è una questione di anni, per me, è una questione di vita».

«Una questione di vita! Ma sentilo!».

«È pazzo!» esclamò la signora Leterrand. «Pazzo!».

«Partirai sabato» ripeté il signor Leterrand. «Noi non verremo nemmeno a salutarti in stazione».

«Dove andrò?» chiese Denis.

«Il rettore mi ha consigliato un buon collegio di Grenoble. Ma ti avverto: se quella rinnegata avesse la malaugurata idea di venire a trovarti, giuro che la denuncio! A costo di fare uno scandalo, non mi darò per vinto finché non l’avranno arrestata!».

«Non lo farà» disse Denis.

«Lo spero per lei. Non le permetterò di rovinarti. Piuttosto do fuoco a questa casa con noi tre dentro!».

«Non c’è pericolo che mi rovini» disse Denis.

«Staremo a vedere. In collegio avrai tempo per riflettere».

«Ho riflettuto a sufficienza» replicò Denis, sempre immobile contro il muro.

«Non direi proprio. Quando comincerai a riflettere forse ti renderai conto di questa mostruosità».

«Quale mostruosità?» scattò Denis. «Che cosa ho fatto? Che cosa abbiamo fatto?».

«Tu una sciocchezza, un’enorme sciocchezza» rispose il signor Leterrand, in piedi di fronte al figlio. «Quello che ha fatto lei... è indicibile! Lei è un’adulta!».

Tutt’a un tratto Denis gli si scagliò contro con l’intenzione di colpirlo. Il padre, allibito, lo afferrò per i polsi e lo trattenne, con le lacrime agli occhi, mentre il figlio gridava cercando di liberarsi:

«Dimmelo! Dimmelo! Che cosa abbiamo fatto?».

Anche la madre lo trattenne, cingendolo con le braccia. Denis la sentì singhiozzare con la faccia sulla sua schiena, vide gli occhi del padre pieni di lacrime e si divincolò con un gesto brusco, continuando a gridare:

«Che cosa abbiamo fatto? Siamo stati insieme in una casa, eravamo felici, non abbiamo chiesto niente a nessuno e questo è abominevole! Voi, voi fate le regole e le applicate! Verboten! Verboten! Solo che le vostre regole non stanno in piedi! Fanno acqua da tutte le parti! Sono un campo minato, le vostre regole! Achtung Minen! Di quale mostruosità parli?».

«Per l’amor del cielo, calmati!» disse il padre. «Calmati!».

«E Pierrot? Lui risponde alle vostre regole?» gridava Denis. «Lui si merita il primo premio? Non vi credo più, capito? Non vi credo più! Siete dei bugiardi! Io so solo che ci è successo qualcosa di bellissimo, e di buono. Io so solo che nessuno ha il diritto di scandalizzarsi o di parlare di mostruosità per quello che abbiamo fatto noi quando Pierrot è saltato su una mina! Siete dei bugiardi! Bugiardi!».

«Tu sei pazzo!» gridò suo padre. «Che c’entro io con questo?».

Di punto in bianco la rabbia di Denis si placò. Ci fu un lungo silenzio durante il quale Denis guardò i genitori, prima l’uno, poi l’altro. Quindi, con un’alzata di spalle, se ne andò in camera sua. Passando davanti al padre gli disse:

«Ho incontrato dei soldati tedeschi quest’estate. Non saprei spiegarti, ma davanti alle vostre regole faccio esattamente come loro: mi tolgo giacca e mostrine e abbandono il campo di battaglia».

«È pazzo!» singhiozzava la signora Leterrand.

 

 

Prima di partire non gli permisero più di rivedere la sua amante, né di uscire di casa. Il giovedì lei si presentò dai Leterrand, supplicando di poterlo vedere. Chiuso a chiave in camera sua, Denis sentì che suo padre la metteva alla porta. Ascoltò i suoi passi per le scale e si mise a tempestare il muro di pugni.

Lei tornò l’indomani e si ripeté la stessa crudele sceneggiata. Suo padre la ricopriva di ingiurie e lei lo supplicava invano di permetterle di vedere Denis un’ultima volta. Denis ascoltò i suoi passi per le scale e si mise a tempestare il muro di pugni.

 

 

Saputo che stava per lasciare la scuola e la città, Prieffin andò a salutarlo il pomeriggio della partenza. Denis si raccomandò più volte che andasse a trovare suor Clotilde, dicendogli che lei era dispiaciuta di non averlo più visto in tutti quei mesi. Gli diede l’indirizzo dell’appartamentino di Madeleine in rue Woudoux, dove lei si era sistemata dopo il loro ritorno.

«Se trovo il tempo» disse Prieffin.

 

 

Stava rassettando una stanza quando Prieffin suonò alla porta. Andò ad aprire e rimase stupita nel trovarsi davanti quel ragazzo che osservò il suo abbigliamento e i suoi capelli con aria perplessa.

Lo fece entrare e accomodare in una poltrona, gli parlò dell’ospedale, tirò fuori del cioccolato da un cassetto e glielo offrì con mani contratte.

Quando finalmente osò guardarla negli occhi, Prieffin riabbassò subito lo sguardo domandandole con un filo di voce qualcosa che lei non afferrò, ma che intuì, poiché se lo aspettava da quando era entrato.

«No, ho lasciato il velo» rispose.

Ma perché era venuto? Non vedeva l’ora che se ne andasse. Poi ebbe una folgorazione. L’indirizzo. Poteva averlo saputo solo da Denis.

«Ha visto Denis?» gli chiese mantenendosi calma.

«Sì, poco fa. Sa che è in partenza? Sono andato a salutarlo».

Lei dovette appoggiarsi a un mobile e, per darsi un contegno, sistemò un vaso e un posacenere, rimettendoli esattamente dov’erano.

«Parte in questi giorni?» domandò fingendo indifferenza.

«Stasera» rispose Prieffin.

Si alzò, deluso che si parlasse solo di Denis. Lei lo invitò a fermarsi ancora un po’ e mise a bollire dell’acqua per preparargli un tè.

«Come sta Denis?» domandò dalla cucina. «Non lo vedo da un pezzo».

«Sta bene» rispose Prieffin.

Lei stentava a trattenersi. Ritornò con due tazze, le appoggiò su un tavolino e lo invitò a servirsi.

«Le ho preparato del tè» disse. «Peccato che Denis non ci sia. In quale collegio andrà?».

Distolse lo sguardo, sapeva che lui aveva capito.

Prieffin fu involontariamente crudele. Sarebbe stato così semplice dirle l’orario e la destinazione del treno. Invece sorrise, si alzò, dandosi un’aria virile, e con il sarcasmo inconsapevole degli uomini la tirò per le lunghe.

«Non fa prima a chiedermi direttamente a che ora parte il suo treno?».

Con le mani affondate nelle tasche la scrutò in viso, rosso per l’umiliazione e la stizza.

«Parte alle sette» disse infine. «Poteva chiedermelo subito, visto che ci tiene tanto a saperlo. Non sarà per causa sua che lo mandano via?».

Bevve il tè, chiacchierò ancora un po’, divertito nel vedere lo smarrimento di lei. Le disse che Denis andava a stare in un collegio di Grenoble. Lei guardava in continuazione l’orologio. Prieffin si congedò con un lampo sarcastico negli occhi, scioccamente compiaciuto di averla ferita.

Rimasta sola, lei si addossò alla porta, tentando di pregare. Non ci riuscì, si infilò l’impermeabile e uscì. Camminò lentamente, cambiando marciapiede quando arrivava in fondo alla strada, per tornare sui suoi passi, facendo lo stesso tragitto avanti e indietro, ripensando al loro amore, all’estate perduta. Alle sei era già in stazione, con l’animo smanioso e il corpo stremato.

 

 

Denis era scortato da due preti. Ciascuno gli portava una valigia. Nessuno parlava. Ogni tanto gli rivolgevano uno sguardo e sorridevano affabilmente. Erano entrambi di media statura e uno dei due piuttosto anziano. Indossavano tonache che sembravano nuove. All’inizio avevano cercato di scambiare qualche parola con Denis, di parlargli del collegio, ma lui non ascoltava. Allora non dissero più nulla.

Si fecero largo in mezzo alla folla. L’atrio della stazione risuonava del brusio delle conversazioni. L’orologio segnava le sei e mezzo.

«Abbiamo i posti prenotati» disse uno dei preti con voce pacata.

Denis li seguì senza aprire bocca. Si guardava intorno, deluso di non vederla tra la gente davanti agli sportelli. Lei non c’era. Il prete che aveva parlato, il più giovane, lo tirò per il braccio, in modo garbato ma deciso, verso i binari. Il controllore forò i biglietti e indicò loro il binario del treno per Grenoble. Il controllore era grasso e triste. Tutto era triste in quella stazione e Denis ebbe una fitta al cuore al ricordo della partenza per Villarguier, pochi mesi prima, in compagnia di Claude. Ripensò a com’erano felici mentre aspettavano, mano nella mano, che partisse il treno delle loro vacanze più belle.

Si guardò alle spalle un’ultima volta, sperando di vederla al binario. I due preti si allontanarono con le valigie mentre lui si fermò davanti al controllore. La vide correre verso di lui, in mezzo alla folla, con l’impermeabile stretto in vita, il viso stravolto, irriconoscibile. Rincuorato, Denis alzò il braccio. Lei lo raggiunse facendosi strada tra la gente.

Si schiacciò contro di lui, trafelata e tremante. Tra loro c’era la transenna di ferro. Lui sentì le ginocchia di lei contro le sue.

«Che stupida! Non ho pensato di prendere un biglietto per accedere al binario» disse lei, con il fiatone. «Ma ero così in pena! Vado subito a farlo. Mi raccomando, aspettami, amore mio».

«No, no, resta qui. Non abbiamo più molto tempo e ho un sacco di cose da dirti».

Lei lo guardò, ansiosa.

«Sono con due preti» disse Denis. «Sono andati avanti, ma torneranno a prendermi».

«Tu continua a parlare, ti avverto io quando li vedo. Parlami, amore mio».

«Non piangere».

«Non piango. Non preoccuparti per me. Sono forte. Vedi, non piango, sono forte».

«Non dimenticherai, quando sarò via?».

«Oh, Denis!».

Scoppiò in singhiozzi con il viso premuto contro la spalla di lui. Denis cominciò a tremare. Doveva fare uno sforzo per non mettersi a piangere anche lui.

«È pazzesco quanto piangiamo in questo periodo!».

«Denis, amore mio, sai cosa farò? Mi trasferirò a Grenoble... Starò vicina a te, ti scriverò... farò qualsiasi cosa».

«I miei verrebbero a saperlo. Devi stare molto attenta, ti farebbero del male, sono pazzi».

«Non temere, me la caverò, vedrai... Vedrai, saremo felici lo stesso... Vedrai quanto ti amo, amore mio... Farò qualsiasi cosa, qualsiasi cosa...».

«Non piangere. Mi si ghiaccia il sangue a vederti piangere. Non voglio vederti piangere».

«Non piango più... Ecco... Vedi, non piango più».

La baciò sulla bocca e sentì sulle labbra il sapore delle sue lacrime. La abbracciò e la strinse forte a sé, al di sopra della transenna, sopraffatto da un’ondata di infelicità. Non vederla più, così tenera e sorridente. Non sentire più la sua voce. Non baciarla più. Non fare più l’amore con lei. Mai più, mai più, mai più.

«Ti prego, non dimenticare» le disse. «Non dimenticare niente. Ti giuro che tutto questo non ha nessuna importanza in confronto alla vita che ci aspetta dopo».

«Sì, sì, sì, amore mio. Sicuro che non rimpiangi niente?».

«Sta’ zitta!».

«Se ti fossi piegato alla volontà dei tuoi genitori, adesso non dovresti partire».

«Sta’ zitta!».

«Non so più niente, amore mio...».

«Tanto non mi avrebbero creduto. E poi non avrei potuto fare a meno di vederti, e lo stesso vale per te. Non sarebbe cambiato niente. Mi avrebbero comunque rinchiuso. Sono tutti contro di noi».

«Non importa, amore mio. Aspetteremo. Vero che aspetteremo? Continuerai ad amarmi, non è così?».

«Ti amerò sempre».

«Allora sarò forte. Non piango più, sono forte. Penserò a te sempre, ogni minuto!».

Guardandolo ricominciò a piangere.

Poi rivolse il viso sgomento verso il treno. Con gli occhi sbarrati guardò oltre le sue spalle, avvolgendolo con le braccia, come per proteggerlo.

«Stanno arrivando?» domandò Denis senza voltarsi.

«No. Sì. Baciami» disse lei. «Non dimenticare, non dimenticare...».

Lui baciò le sue labbra e la strinse più forte a sé. In quell’istante si sentì afferrare per le spalle dai due preti e, senza staccarsi da lei, cercò di divincolarsi.

Ma lo strapparono via a forza.

«Lasciatelo!» gridò lei. «Vi scongiuro!».

La gente si voltò e il controllore, che stava osservando la scena, impedì alla giovane di raggiungere il binario.

«Non la lasci passare» disse uno dei preti. «È una donnaccia. Sta traviando questo ragazzo».

«Lasciatelo!» continuava a gridare lei, tra i singhiozzi. «Lasciatelo, vi dico!».

Denis si dibatteva con tutte le forze, e a quel punto intervenne un agente che lo afferrò per un braccio per tenerlo a bada.

«Che succede?» domandò l’agente.

«Dobbiamo portare questo ragazzo in collegio, ma lui cerca di scappare».

L’agente diede man forte ai due uomini in tonaca e Denis fu letteralmente trascinato al treno, in mezzo alla gente che assisteva divertita alla scena. Tutti commentavano e si scambiavano le loro impressioni. Guardavano prima la giovane, poi il ragazzo e qualcuno, un attimo dopo, aveva un’aria turbata.

Claude cercò di scostare il controllore che le sbarrava la strada, ma quello la respinse con forza contro la transenna.

«Ehi, piano!» le disse. «Stia calma!».

«Non aver paura!» gridava Denis tra gli uomini. «Non aver paura, Claudie! Non ci arrenderemo!».

Lei si abbandonò contro la transenna, aggrappata alla fredda sbarra di ferro, singhiozzando: «Denis! Denis! Amore mio!».

Allorché Denis scomparve lungo il binario, dietro i vagoni, lei affondò il viso tra le mani e pianse disperatamente. Una donna le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Lei la scrollò via e restò dritta mentre l’altra si allontanava. A poco a poco la gente si disperse, scuotendo la testa, e il controllore riprese a forare i biglietti.

Lei restò lì fino alla partenza del treno.

Quando il treno si mosse, aspettò che fosse del tutto scomparso. Si asciugò gli occhi. Non piangeva più. Era forte, come gli aveva promesso. Avanzò tra gli sguardi curiosi della gente e uscì in strada. In strada le macchine passavano, e al di sopra delle macchine si stendeva il cielo. Vide in fondo alla via i tetti delle case, e sui tetti le nubi incombenti. Cominciava a fare buio, i rumori si smorzavano pian piano. Una scatola di fiammiferi vuota galleggiava nel rigagnolo accanto al marciapiede. Si chinò a raccogliere la scatola e la schiacciò tra le dita. Ributtò i pezzetti nel rigagnolo, si tirò su il bavero dell’impermeabile e affondò le mani in tasca. In lontananza riecheggiò il fischio di un treno e lei si sforzò di non sentirlo.

Poi tornò a casa, camminando lentamente per le strade.