Nello studio del Carlini la luce era fredda, col cielo fuori che imbruniva velocemente e le lampade al neon che trasmettevano un senso di oppressione e angoscia. L’impressione era di trovarsi nel deposito-rimessa della Cultura Alta. Parlando senza tanti fronzoli, nello stanzone del docente, la vita mi si era rivelata tristemente sconsolata e misera, un treno senza più freni lanciato a bomba verso il disastro. Sfido chiunque a sentirsi lieto entro quelle mura asettiche, tra incartamenti burocratici, testi che prendono polvere da anni e computer vecchi di un decennio. In quella monumentale staticità grigia e pesante, avevo definitivamente perso tutte le speranze che la mia vita potesse prima o poi prendere una svolta inaspettata, trasformandosi in un’avventura piena di incontri unici ed eccitanti. Sarei imputridito circondato dall’inutilità di quelle montagnette di carta straccia, tra scrivanie dal design orribile, svolgendo attività di routine per cui non sentivo il minimo trasporto e attitudine. Tra me e mio padre non ci sarebbero state poi queste grandi differenze, se si esclude che io non avrei mai avuto una pensione.
A tutto ciò aggiungeteci il fatto che avevo al mio fianco Marianna e che questa era felicissima tutte le volte in cui poteva avermi seduto accanto, alla stregua di un docile cagnolino col suo padrone, mentre questi guarda la televisione sul divano e nel contempo gli carezza svagatamente la testa.
La prima studentessa a entrare fu un solenne esemplare di femmina che mi fece mancare il fiato. Sguardo da persona annoiata, svampita, con un’egolatria tale da riservare agli altri solo una sorda e sprezzante brutalità. Si vedeva lontano un miglio che era ben conscia di poterselo permettere. Era molto alta. Entrò senza neanche degnarci di un saluto e si sedette. Notai subito che faceva dondolare lentamente, in modo distratto, la gamba destra che aveva immediatamente accavallato. Immaginai si fosse anche tolta una delle ballerine dai piedi e facesse dondolare anche quella. Doveva avere dei piedini deliziosi, di fronte a cui inginocchiarsi, prima di prodursi in servizievoli bacetti di sottomissione alla sua persona. Fissò Marianna e sbadigliò, avendo comunque il buongusto di coprirsi la bocca con una mano. Peccato, avrei volentieri dato una sbirciata alla sua gola, giusto per immaginarne la capacità di ricezione orale durante una fellatio.
«B-U-O-N-A-S-ERA», scandì bene Marianna. Potrei dire senza ombra di dubbio che era profondamente seccata e a ragione. Oltre a non sopportare la sfacciataggine della ragazza, mi aveva visto lanciarle un’occhiatina sottile, ma esplicita come un tentativo di penetrazione. La competizione per il potere era cominciata.
«Buonasera», disse svogliatamente la spilungona. Si annunciava uno scontro impari ma, per infinita sfortuna della contendente, Marianna non si trovava a un concorso di bellezza.
«Bene, signorina, le farò una domanda semplice semplice. Mi parli dei metodi e degli strumenti d’indagine sociologica descritti nei testi che sta portando all’esame, se non le dispiace».
Che le dispiacesse era palese, tanto quanto il non aver aperto libro. Farfugliò, esponendo stentatamente argomenti che più che altro appartenevano al buonsenso comune più che alle ricerche illustrate nei libri in programma.
Marianna la interruppe quasi subito.
«No, no, signorina, mi spiace. A fronte del suo atteggiamento pieno di sicumera e tracotanza...». L’atmosfera si stava veramente surriscaldando. «Lei mi sta riferendo di posizioni che potrebbero essere quelle di un osservatore comodamente seduto su una panchina, in piazza, intento a gettare occhiate sulla folla che gli passa davanti. Quello che le sto chiedendo è qualcosa di più preciso su ciò che dovrebbe aver trovato sui testi di...».
«Guardi, lasciamo perdere», la zittì la tipa col tono di quella superiore a queste quisquilie da studiosi. «Facciamo che torno la prossima volta. Credo di non essere pronta, per oggi».
«Come preferisce lei, signorina, ma mi lasci dire che non capisco perché si sia presentata, se sapeva già di non essere in grado di superare l’esame. Non spetta certo a me dirlo, ma mi vedo costretta a ricordarle che agli esami si va quando si ritiene di avere un’adeguata preparazione e non sperando che l’esaminatore sorvoli sulla... sì, sulla sua ignoranza in materia». Era proprio stizzita, un topolino tutto rosso e incattivito.
«Se permetti», intervenni, posandole dolcemente una mano sull’avambraccio ossuto, in modo che si lasciasse intenerire, «io direi che potremmo dare alla ragazza una seconda possibilità. Magari è solo leggermente tesa per via della situazione...».
«Tesa per cosa, scusa, Massimo? Ci siamo noi che siamo giovani e molto meno rigidi ed esigenti del Professor Carlini...».
«Marianna cara, si tratta pur sempre di un’interrogazione! Vediamo di lasciar parlare la ragazza, dapprima liberamente, così magari si scioglie».
Appena si rese conto di avere a che fare con un maschio reso docile e mansueto dalla sua strepitosa bellezza, la ragazza si sporse in avanti col busto, verso di me, come se volesse tenere Marianna al di fuori del nostro eventuale dialogo intimo e confidenziale. Si assicurò che avessi di fronte a me, ben visibile, la sua scollatura. Mi sorrise, ma prima ancora si umettò le labbra con la punta della lingua, mentre io la fissavo in estasi, quasi stordito. Guardandola mi chiesi che sensazione si provasse a sentire il mondo sempre perfettamente duttile e privo di resistenze con un solo veloce battito di ciglia. Trovai subito una risposta, seppur in negativo: la percezione opposta a ciò che di solito provava gente come me e Marianna. La mia immaginazione non riuscì a spingersi oltre e mi lasciai cucinare acquiescentemente dalla stupenda illusione di felicità che dava quell’involucro vuoto.
«Senta, sarei molto interessato a conoscere la sua carriera universitaria e le motivazioni che l’hanno portata a scegliere, nel suo piano di studi, determinati esami piuttosto che altri».
Mi sorrise nuovamente. Sapeva benissimo che non me ne fregava un cazzo delle sue scelte a livello di corso di studi. Ero conscio di risultare miserrimo quanto un segaiolo, ma persistetti nel mio atteggiamento di reptazione abietta.
Anche con tutta la buona volontà e la mia estasi ormonale a inghirlandarla, la performance della ragazza fu pietosa. Non aveva grandi motivazioni per aver scelto Sociologia, era fuor di dubbio. Da questo punto di vista, non eravamo molto dissimili. Probabilmente si trattava di una decisione presa a casaccio, solo perché riteneva una facoltà scientifica troppo tediosa con tutti quegli esami di matematica, fisica, eccetera. Come darle torto!
Commetteva errori di continuo parlando. Metteva delle frasi in successione senza alcuna struttura logica e sistematica. Roba da bocciarla all’esame di quinta elementare. Per di più, non sembrava granché propensa a discutere. Era indubbio che la giovane pulzella non nutrisse alcun timore per il suo futuro. Quelle come lei trovano sempre un paracadute, anche nella peggiore delle situazioni. Un posto da mantenuta è sempre disponibile per donne con bocce di quella soda consistenza, che richiamano lo sguardo come due mongolfiere stagliate contro l’azzurro del cielo.
Marianna non le perdonava niente e sottolineava con una punta di crudeltà ogni suo errore. Non riuscivo a non comprendere umanamente la sua stupida e infruttuosa animosità. È snervante pensare che per alcuni la vita sia così semplice, sempre benigna, mentre altri si devono guadagnare l’aria sgomitando, ritrovandosi come me, Marianna e mio padre, privi anche della possibilità di respirare liberamente. Peccato che tutta l’acrimonia di Marianna e di quelle come lei non basterà mai ad arrestare l’avanzata di quelli che la natura ha eletto a propria rappresentanza, conferendo loro tutto il potere temporale possibile.
«Massimo», intervenne la mia collega, «tu sei stato molto disponibile, forse anche troppo, verso la ragazza, ma mi sembra che qui non si tratti di lasciarla parlare, affinché la signorina riesca a sciogliere il suo nodo di ansia e nervosismo. Qui non ci sono...».
La fermai alzando vigorosamente un braccio. Quando volevo risultare risolutivo, facevo di questi gesti solenni che mi davano l’aria del povero coglione.
«Marianna cara, hai ragione, abbiamo fatto quello che potevamo. Signorina, se lei si accontenta, io direi di darle diciotto, il minimo. Avrebbe pur sempre superato il suo esame...».
«Andiamo, Massimo», replicò Marianna, «non siamo ridicoli. Vorresti far passare...».
«Marianna, ti prego, le stiamo comunque dando il minimo. Non discutiamone e diamole diciotto».
Marianna mi guardò in cagnesco, ma eseguì. Non avrebbe mai voluto perdersi, per un voto, la possibilità di avermi nel letto sabato sera, sperando nella prima notte d’amore della sua vita. A malincuore, ma trascrisse i dati di quell’incantevole stronzetta viziata.
«Signorina», le disse, dopo che le ebbe fatto firmare il registro, «adesso può pure accomodarsi. Debbo discutere di una cosa in privato con il mio collega». Quella non si scompose. Le tesi la mano e lei la sfiorò appena, prima di uscire dallo studio.
«Massimo, ma che ti salta in mente?», mi chiese Marianna, pur senza avere il coraggio vero e proprio di aggredirmi. «Ti pare che questa sciacquetta meritasse di passare l’esame?».
«Marianna, la ragazza...».
«La stavi mangiando con gli occhi!», mi riprese sdegnata.
«Non dire idiozie!».
«Non dirle tu, per favore! Stanotte abbiamo dormito insieme e tu...».
«Marianna, diciamoci la verità. L’hai presa in antipatia da subito, solo perché lei era consapevole di essere bella...».
«Non tirarmi fuori certe scuse solo perché non hai il coraggio di ammettere che...».
«Marianna, tu col tuo modo di fare l’hai inibita».
Scoppiò in una risata nervosa.
«Inibita da me! Quella non era inibita neanche il primo giorno di scuola, di fronte al maestro di sessant’anni...».
«Marianna, non rompere. L’hai aggredita. Adesso, vado fuori e mi scuso con lei...».
«Mah...».
La guardai con severità e le dissi: «Aspettami qui. Con gli altri continuiamo subito».
Uscii fuori e chiesi agli altri studenti frementi di aspettare ancora qualche minuto. Raggiunsi di corsa quella radiosa gazzella dalle gambe scattanti, quando stava oramai per imboccare le scale.
«Ciao, volevo chiederti di scusare la mia collega, sai, è un po’ nervosetta ultimamente».
Mi squadrò come fossi un verme, con feroce disgusto.
«Però», le dissi, dopo aver deglutito il timore e la vergogna, «anche tu non eri esattamente ben preparata. Ma, senti, stavo pensando che potrei aiutarti, se dovessi avere bisogno di qualche delucidazione per i prossimi esami. Magari, potremmo prenderci un caffè, se ti va».
La sua bocca si produsse verso di me in un ghigno beffardo e commiserante. Mi sentii una piccola merda, ma continuai a trovarla ciononostante molto seducente.
«Ciao maschio alfa», mi disse con motteggiante malignità, prima di voltarmi le spalle e andarsene. Non era la prima volta che ricevevo simili riconoscimenti dal genere femminile. C’ero ormai abituato, ma ci misi comunque trenta secondi buoni a digerire il colpo, prima di tornare col peso grave della mia frustrazione a svolgere il ruolo per il quale non ero preposto. Sedendomi accanto a Marianna, la sentii incredibilmente vicina: non eravamo granché dissimili, malgrado io non fossi vergine; già ma, in fondo, cosa poteva avere uno come me da insegnare a una platea di ragazzi?