Ovviamente, non scrissi quei fottuti necrologi a nome mio e del Carlini. Non andai neanche al funerale due giorni dopo. Mi vergognavo troppo, anche se nessuno sapeva niente di noi, mi sentivo indegno di stare vicino al cadavere di una persona pura. La notte l’avevo sognata. Eravamo nello studio del professore e lei mi diceva con molta pacatezza, ma a mo’ di rimbrotto: «Massimo, però, questo è proprio disdicevole. Non sei riuscito neanche a provare la pietà e la compassione necessaria per scoparmi». Sembrava molto accademica mentre lo diceva, quasi che stesse esprimendo un commento negativo sullo studio sociologico che non avrei mai scritto.
Restai a letto, rigirandomi in continuazione, asserragliato da intensi brividi di freddo, alzandomi solo per andare a pisciare. Era stupendo sentire la vita che si annientava da sola, incancrenendosi, bruciando lentamente come una foglia caduta, abbandonata sotto la luce del sole.
Marianna era credente, o almeno così pareva. Sarebbe stata sepolta con rito cattolico, messa in una bara e poi cremata. Non potei che auspicare per lei la massima indulgenza di un essere benevolo e distratto verso i nostri peccati. Coi tempi che corrono, lassisti e impudichi, ero sicuro che la povera ragazza non sarebbe stata condannata alle fiamme eterne dell’inferno, almeno non per un solo pompino e per giunta non seguito neanche da un’eiaculazione.
Mi rivolsi a quel Dio infinito ed eterno che abita tra i testi dei filosofi, così come in cielo. Seppur incerto tra la sua natura panteista o semplicemente sovrasensibile, gli chiesi clemenza per la mia collega. Non ottenni risposta. Me l’aspettavo. Tutto come da manuale: Dio sta in silenzio.