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Fui il solo a svegliarmi all’alba. Tutti nella macchina dormivano. Misi in moto. L’auto si mosse sommessamente, attenta a non destare nessuno e, in effetti, seppur per miracolo, così fu. Guidai diritto verso casa mia. Le strade erano sgombre e tutto sembrava madido di umidità. Era una circostanza surreale, quasi come se non mi fossi mai svegliato. Mi fermai alla prima pasticceria che vidi e comprai qualcosa per colazione. Solo la fragranza delle paste richiamò i dormienti al mondo, una volta che fui rientrato in macchina.

«Che succede?», chiese Daria, con Carlo che ancora le dormiva tra le braccia.

«Stiamo andando a casa mia a fare colazione. È ok, per voi?».

«Perfetto!».

«Bene».

In quindici minuti arrivammo.

Presi la mia scrivania e la aprii, in modo tale da poterci stare seduti in quattro. Misi delle tovagliette di plastica per ognuno, il tovagliolo e un cucchiaino. Mangiammo serenamente, in silenzio, come una famiglia che, a fine serata, si ritrova e tutti sono un po’ stanchi, ma non c’è comunque granché bisogno di parole.

Appena finito, sparecchiai, riponendo le tazze e il resto nel lavandino, poi andai a tirare fuori la brandina con materasso che tenevo sotto il mio letto per le emergenze. Ci misi delle lenzuola e delle coperte. Feci cenno a Carlo e Daria di sdraiarcisi. Io e Sofia andammo nel mio letto. Prima di stendermi abbassai circa a tre quarti la tapparella. La luce si attenuò.

Ci spogliammo tutti e quattro, riponendo i nostri indumenti sulle due sedie della stanza. Io e Carlo restammo in mutande e lo stesso fecero le ragazze, dopo essersi tolte il reggiseno.

Sofia mi si strinse contro, visibilmente infreddolita. Le massaggiai energicamente la schiena. Mi si rannicchiò sul petto. Le dissi: «Buonanotte».

Nel mentre, sentivo Carlo e Daria che lo facevano. Lei era la più rumorosa. Non mi girai comunque a guardare, per non disturbarli. Presi sonno col rumore soffocato e regolare dei loro gemiti.