2.
Lunedì 1º luglio 2013

«Di», disse l’agente investigativo Simon Waterhouse. Distolse lo sguardo dalla scritta rossa sulla parete dello studio di Damon Blundy. Era stufo di guardarla, doveva averla letta e riletta almeno cento volte da quando erano arrivati al 27 di Elmhirst Road, qualche ora prima: NON È MENO MORTO.

«Di?» ripeté il sergente investigativo Sam Kombothekra.

«Già, è la parola più importante quel “di” silenzioso. Non si vede.»

«Vuoi dire...» Sam si avvicinò alla parete per esaminarla più attentamente. «Come? Tu riesci a vederla?»

«No.» Simon sorrise dell’equivoco in cui era caduto il suo skipper. «Per il semplice fatto che non c’è.»

Così come non c’era il corpo di Damon Blundy, non più. Era stato fotografato, esaminato e poi rimosso. Eppure era come se la sedia vicino alla scrivania non fosse vuota; conteneva ancora, vivida, l’idea di un morto. “La rappresentazione perfetta di un omicidio”, pensò Simon: l’assenza di chi un tempo era una presenza. Uno spazio dove avrebbe dovuto esserci una persona, una percepibile lacuna. Nella mente di Simon l’immagine del morto era chiarissima, come se Blundy fosse ancora afflosciato lì sulla sedia. Il nastro adesivo sulla faccia, il coltello sopra la bocca... Un quadro altrettanto nitido di quel «di» sulla parete.

Come sempre, Simon era interessato a ciò che si poteva immaginare più che a ciò che si poteva vedere. Gli oggetti che erano ancora nella stanza – l’affilacoltelli, il barattolo di vernice rossa, il pennello – avevano cessato di interessarlo, e persino la fotografia mandata dall’assassino a Damon Blundy e la password scritta in rosso sul foglio accanto al portatile della vittima, per assicurarsi che la polizia trovasse l’e-mail con l’allegato. Sarebbe stato capace di riflettere giornate intere sul significato della combinazione di quei due elementi, ma in quel momento non sentiva alcun bisogno di guardare di nuovo né l’uno né l’altro. Perché sprecare tempo? Ci avrebbero pensato Sam e gli altri della squadra a passare al setaccio tutto ciò che era chiaramente visibile mentre lui si spingeva al di sotto e al di là, cercando di strappare dall’ombra moventi nascosti e rancori.

«Ho capito cosa volevi dire. Un “meno” implica un “di”.» Sam pareva sollevato di esserci finalmente arrivato.

«È morto non meno di chi, però?» replicò Simon. «Chi ha scritto sul muro quelle parole conosce la risposta e ha scelto di essere criptico, invece di lasciarci penetrare il suo segreto. Questo può significare due cose: vuole che ci arriviamo da soli, oppure vuole che non ci arriviamo proprio. Se falliamo, lui la fa franca dimostrando di essere più intelligente di noi.»

«E se invece ci arriviamo?»

«In tal caso lui va dentro per omicidio.»

«Può darsi», convenne Sam. «Tutti questi... particolari strani potrebbero essere un indizio rivelatore di qualcosa – del movente, forse, o di qualche informazione su Damon Blundy – ma non necessariamente dell’identità dell’assassino.»

«Stai scherzando, vero? In una scena del delitto come questa», disse Simon abbracciando la stanza con un gesto, «il movente ha la stessa unicità di un’impronta digitale. Appena avremo capito la ragione della messinscena sapremo anche chi è stato.» Tra quanto? Simon già fremeva d’impazienza, e quello era solo il primo giorno.

Lo metteva di pessimo umore non avere una risposta, soprattutto nelle ore immediatamente successive a un omicidio. La delusione di giungere sulla scena e non essere in grado di capire tutto subito, la sensazione di scacco, la paura di non arrivare mai alla verità, se nei primi cinque minuti non gli era già saltata agli occhi... Continuava a nutrire la speranza che un giorno gli sarebbe capitato lo scenario ideale, quello che desiderava da sempre: una folgorante rivelazione in quei primi momenti preziosi, quando ancora attori e comparse non avevano iniziato a rovesciargli addosso le loro menzogne.

Si avvicinò a un ripiano zeppo di libri, tirò fuori un volume tascabile di P.G. Wodehouse con la rilegatura azzurra a metà scaffale, poi lo rimise a posto. La vista di tutti quei libri lo stimolava a riflettere sul processo di ideazione. «L’assassino ha investito tempo ed energie nella pianificazione e nell’esecuzione», disse. «È fiero del lavoro che ha fatto. Non vorrebbe che noi capissimo soltanto perché, senza sapere chi è stato; lo vivrebbe come un’attribuzione di merito a un signor nessuno.»

«Sicché vuole farsi prendere?»

«Non la metterei giù così dura.» A Simon non piaceva che Sam prendesse per constatazioni di fatto le idee appena abbozzate a cui dava voce, ma era troppo orgoglioso per ammettere: “Non so se ho visto giusto, le mie sono mere supposizioni”. «Non vuole farsi catturare, no, ma ci si è preparato. Non si sarebbe preso la briga di lasciare tutti questi indizi criptici se non avesse voluto darci una possibilità di interpretarli, per quanto ritenga poco probabile che ci riusciamo. Non ci sarebbe nessun divertimento per lui se l’esito fosse scontato.»

«Non sarebbe stato più facile superarci in intelligenza evitando di lasciare indizi?» chiese Sam.

Simon annuì. L’obiezione era valida. «Però cerca un riconoscimento della motivazione che lo ha spinto a uccidere, oltre che della sua intelligenza. Quindi è vero, forse vuole farsi prendere. Può darsi che io abbia interpretato male, e farla franca per lui sia semplicemente il premio di consolazione. Oppure potrebbero andargli bene entrambe le cose: una situazione in cui lui esce vincitore in ogni caso. O noi siamo troppo stupidi per interpretare gli indizi e lui se la cava – una formidabile gratificazione per il suo ego – oppure ha la consolazione dell’interesse della polizia e dei media per la sua causa, politica o personale che sia.»

«Politica?» Sam era sorpreso.

«Potrebbe essere, certo», confermò Simon. «Mi sono letto tutto quello che ha scritto Blundy nella sua rubrica sull’“Herald”. La sua vocazione era dare addosso a chiunque: donne, ebrei, musulmani, atei, abortisti e non, gente di sinistra e di destra, giornalisti, proprietari di cani... e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno dovrà leggere ogni singola parola che abbia mai pubblicato, e in più tutti i threads dei relativi commenti online. Probabilmente troveremo almeno cinquecento persone che in un momento o nell’altro avevano minacciato di ucciderlo.»

«Io davo per scontato che il movente fosse personale», disse Sam. «I particolari strani, bizzarri della scena del delitto...» Fece scorrere la mano ancora protetta dal guanto sul juke-box davanti a lui. Un oggetto che colpiva.

Prima di allora Simon non ne aveva mai visto uno da vicino. Se lì ci fosse stato Sellers, avrebbe suggerito di fare a turno per scegliere le canzoni.

«E se tutta questa roba criptica fosse solo fumo negli occhi?» ipotizzò Sam. «Messa qui apposta per alludere a un significato recondito, mentre in realtà non vuol dire un bel niente?»

A Simon l’idea faceva rivoltare lo stomaco: un deliberato allestimento di falsi significati. Era un’ipotesi che non voleva nemmeno prendere in considerazione e tantomeno vagliare, ma ora che Sam l’aveva formulata gli toccava vincere la propria idiosincrasia e rispondere. «No. Se l’assassino avesse voluto depistarci, avrebbe lasciato un solo indizio criptico per metterci fuori strada: la scritta sul muro oppure la fotografia... Uno, non tutti questi. Vernice, pennello, affilacoltelli... Troppa roba per essere una mistificazione. E poi sappiamo che una cosa lasciata qui dall’assassino è sicuramente autentica: la password del portatile. Ci ha dato accesso alle e-mail di Blundy. Ci ha tenuto a informarci che conosceva Blundy tanto bene da sapere la sua password.»

«A meno che non gliel’abbia estorta minacciandolo con il coltello dopo averlo legato alla sedia», obiettò Sam.

«È possibile. Improbabile, però. Questo assassino ci tiene a dimostrare che l’esperto è lui: su Blundy, sulla password del computer, sul perché la vittima meritasse di morire. Si vanta. Guardati intorno: questa stanza è tutta un’ostentazione di autocompiacimento sotto forma di scena del crimine. Lui sa tutto, noi non sappiamo niente. Lui, o forse lei.»

«Pensi che possa trattarsi di una donna?»

«Perché, ho detto così? Del resto è probabile che a sapere la password di Blundy fosse la moglie, no?»

«Credi?» gli fece eco Sam. «Ma se inserisci una password per accedere a un computer che tieni in casa, non lo fai essenzialmente per proteggere la tua privacy dalla persona, o dalle persone, con cui vivi?»

«Quanto ci vorrà ancora per parlare con lei?» domandò Simon.

Sam lanciò un’occhiata alla porta aperta dello studio. «È inutile tentare, almeno finché non sarà in grado di mettere insieme due parole in croce.»

Hannah Blundy si trovava due piani sotto di loro, nel miniappartamento al pianterreno, insieme a un ufficiale di collegamento. Aveva trovato il cadavere del marito quella mattina alle dieci e trenta, quando gli aveva portato una tazza di tè che nello studio non era mai arrivata. Hannah non si era ancora calmata abbastanza da poter dire qualcosa di utile, ma a giudicare dai cocci sparsi sul pianerottolo era probabile che, scorgendo dalla porta semiaperta Damon assassinato e legato con il nastro adesivo sulla sedia della scrivania, avesse lasciato cadere la tazza nel punto in cui si trovava, ossia in cima alle scale.

Era sotto shock. Oppure si trattava di una deliberata simulazione da parte della stessa persona che aveva allestito con tanta cura la scena del delitto. Simon voleva sapere quale delle due.

«Se Hannah Blundy ha assassinato il marito a sangue freddo, con metodo, e poi ha simulato il collasso dovuto allo shock e al dolore a cui abbiamo assistito appena arrivati qui...» Sam si interruppe scuotendo la testa. «Quasi quasi si merita di farla franca se è capace di recitare così bene. Non sto dicendo sul serio», si affrettò a precisare.

«Chiunque sarebbe capace di piangere e di crollare sul pavimento», ribatté Simon, pur non riuscendo a immaginarsi nell’atto di esternare simili emozioni in pubblico, per quanto sconvolto potesse essere. «Soprattutto se sei un’assassina circondata dai poliziotti, terrorizzata all’idea che possano subodorare la commedia.»

«Io non credo», lo contraddisse Sam. «Non me la vedo Hannah Blundy nei panni dell’assassina.»

«Io sì. Se dovessi scommettere, adesso come adesso punterei su di lei.»

«Per quale ragione, oltre a quella che lei è la moglie di Blundy?»

«Forse perché non ho ancora visto altri potenziali indiziati?»

Sam diventò rosso in faccia.

Simon si impietosì. Era troppo facile prendersi gioco di lui. «No, non è per quello, e nemmeno perché è la moglie.»

«E allora per cosa?»

«Hannah Blundy è una psicoterapista. Sul suo sito web dice di essere specializzata in problemi familiari e di relazione.» Vedendo che Sam stava per obiettare soggiunse: «Lo so, non vuol dire niente. Solo che... ha scelto di dedicarsi ad aiutare quelli che odiano le persone che in teoria dovrebbero amare. Forse succedeva anche a lei; magari odiava il marito, lo voleva morto».

«Credo che sia... un po’ tirata per i capelli se l’unico fondamento della teoria è il genere di professione che lei ha scelto», osservò Sam dopo qualche secondo.

«Be’, però per quanto riguarda la parola mancante non mi sbaglio», ribatté Simon, contento di tornare su un terreno più sicuro. «Cosa potrebbe venire dopo quel “di”?»

Sam scrollò le spalle, completamente al buio. «Ci saranno infinite possibilità. Come si fa a restringere il campo?»

«Il nome di una persona. Non è meno morto di... Fred. Facciamo che il nome sia questo, tanto per dirne uno. Cosa significa? Che lui è più morto di Fred? O che è tanto morto quanto Fred? Ma essere “più morti” non ha senso», concluse Simon rispondendosi da solo.

«Se è un nome, come Fred, Mary o quant’altro, potrebbe trattarsi di un’allusione ad altre vittime», suggerì Sam. «Ognuna delle quali non meno morta di quelle che l’hanno preceduta.»

«Già.» Simon annuì lentamente. «Mi piace.» Un po’ ma non tantissimo. Non abbastanza per lavorarci sopra. «Oppure cosa te ne pare di questa? “Non meno morto di quando era in vita.” No, in tal caso avrebbe scritto “morto non più”.»

«Simon, potrebbe essere qualunque cosa.»

«Lo so, e so anche riconoscere la tua voce da “allora perché non rinunciamo?”.»

«No, non stavo...»

«Dobbiamo pensare a ogni singola possibilità, a tutto ciò che potrebbe ragionevolmente venire dopo il “di”.» Simon mosse qualche passo verso la scrivania rischiando di inciampare nell’affilacoltelli. Nero, pesante, avrebbe potuto fungere da fermaporta. «Troppo per essere privo di senso», borbottò, «ma forse con un unico significato... Sì, uno solo.»

«Mi spieghi?» disse Sam.

«Tutte le cose che ci ha lasciato l’assassino sono percorsi differenti che portano alla stessa informazione, suggerimenti diversi l’uno dall’altro. Qualunque sia il significato di quella merda sul muro, o della scelta di soffocare Blundy con il nastro adesivo invece di pugnalarlo con il coltello che si vede nella foto... lui ci ha fornito un mucchio di indizi. Però non è come nei cruciverba, dove ogni definizione richiede una risposta diversa dalle altre. Immagina un cruciverba con venti definizioni in orizzontale e altrettante in verticale, dove in tutti e quaranta i casi la soluzione è la stessa parola di nove lettere.»

«Perché nove lettere?» si informò Sam.

«L’ho detto a caso», rispose Simon con un moto di impazienza. «Fai pure otto o dieci, se preferisci. Il punto, qui, è che l’ideatore del cruciverba ci chiede veramente di indovinare la risposta; questa parola di dieci, nove o otto lettere è importante per lui. Secondo lui dovremmo arrivarci, però pensa anche che siamo stupidi, che probabilmente non ci riusciremmo mai se lui non ci fornisse una grande quantità di indizi.»

«E quindi?»

«Quindi partiamo da qui, dal “di” mancante», rispose Simon sentendosi ottimista per la prima volta da quando era arrivato al 27 di Elmhirst Road. «“Non è meno morto di...” Indipendentemente dalle parole che vengono dopo, il significato deve coincidere con quello della vernice rossa, del pennello, della foto e del coltello. Sono tutte definizioni con la stessa soluzione.»

«E la password del portatile?» obiettò Sam. Avvicinatosi alla scrivania di Damon Blundy, prese la pagina con la scritta in penna rossa e la tenne sospesa nell’aria. «Riddy111111. Anche questa rientra nella stessa categoria?»

«Se è una password nuova, creata dall’assassino, sì. Se invece l’ha scelta Blundy e l’assassino non c’entra niente, allora no. Ma anche nel secondo caso deve pur voler dire qualcosa. Riddy uno undici uno undici. Riddy tre uno tre uno.»

«Damon ha sempre sostenuto che non significava niente», disse una voce di donna dal pianerottolo. «Era la password che usava da parecchio tempo, almeno un anno.»

Simon si voltò. In cima alle scale, aggrappata al corrimano, c’era Hannah Blundy. Piangeva ancora, ma in modo passivo: sembrava che le lacrime facessero tutto da sole, senza richiedere né attenzione né partecipazione da parte sua.

Era una donna dall’aspetto strano: spalle ampie, tozza dalla vita in su, con lunghe gambe magre. A giudicare dal viso rotondo, si sarebbe detto che fosse una donna grassa, mentre in realtà non lo era. Guardandola, Simon si rese conto di quanto fossero armoniosi e proporzionati il viso e il corpo della maggior parte delle persone. Non aveva mai visto nessuno che avesse il busto così corto rispetto alle gambe e la faccia in netto contrasto con tutto il resto.

Eppure Hannah Blundy non era brutta. I lineamenti del viso erano ordinari, e aveva bei capelli, di un castano scuro lucidissimo, lunghi fino alle spalle, del tipo di quelli che Simon aveva visto nelle pubblicità in TV, ma raramente nella vita reale.

«Non gli ho mai creduto», seguitò lei. «Indipendentemente dal significato di Riddy uno undici uno undici, e anche se non voleva dire niente, Damon deve averlo preso da qualche parte, no?»

«Quindi lei conosceva la sua password?» le chiese Sam.

Hannah fece un cenno di assenso. «Me la sono fatta dire e io gli ho detto la mia. Se lui non aveva segreti per me, perché avrebbe dovuto dargli fastidio che dessi un’occhiata al suo computer? Diceva di avere scelto a caso la password. Era una bugia, ma non posso dimostrarlo. Io... per favore, se scoprite...» Si morse le labbra e abbassò lo sguardo sul pavimento, come se il resto della frase non avesse più importanza.

Simon fece un passo verso di lei. «Se scopriamo cosa?»

«Il significato della password. Lo voglio sapere.»

«Più di quanto desideri sapere chi ha ucciso suo marito?»

«Simon...» mormorò Sam.

«No, voglio sapere anche quello», rispose Hannah. Aveva l’aria stupita. «Certo che voglio che scopriate chi ha ucciso Damon. Fa parte del mistero, ne sono sicura, e c’entra anche la password. Non avrei mai immaginato che un giorno sarebbe stata la polizia ad aiutarmi a risolvere il mistero. Questa è la mia occasione.» Tirò su col naso, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

Siccome non pareva una stupida, Simon diede per scontato che, appena trovato il cadavere, lei avesse capito subito che la morte per soffocamento del marito si sarebbe guadagnata un aiuto sostanzioso e immediato da parte degli investigatori. E con «un giorno» Hannah Blundy doveva alludere a qualcosa che la tormentava da molto tempo, non a un crimine commesso fra le otto e mezzo e le dieci e mezzo di quella mattina. Pertanto... il mistero a cui aveva accennato non poteva essere l’assassinio del marito. Ai suoi occhi quest’ultimo rappresentava invece l’occasione per risolverlo. Interessante.

«Che intende dire, Hannah?» domandò Sam. «La sua occasione per cosa?»

«Per scoprire quella verità che mio marito era risolutamente deciso a nascondermi», rispose lei guardandosi i piedi. «Non ho idea di quale sia, ma spero che sia stata lei a ucciderlo. In caso contrario, se si trattasse di qualcosa di completamente diverso e slegato, allora ciò che scoprirete sull’assassino non mi sarà di aiuto. Avevo abbandonato ogni speranza di venirne a capo, ma adesso...» Si interruppe, con una specie di rantolo, gli occhi spalancati. «Promettetemi di dirmi la verità, se la scoprirete.»

«La verità su cosa?»

«Sul motivo per cui Damon fingeva di amarmi», rispose Hannah.

«Charlie, hai un minuto?»

Il sergente Charlie Zailer stava andando in mensa per una tazza di tè e una fetta di torta, a patto che ne fosse avanzata qualcuna con la glassa di zucchero, dall’aspetto non troppo secco e stantio. Si voltò e alle sue spalle, nel corridoio, vide l’agente investigativo Chris Gibbs, con un sorriso educato e innocente che sarebbe stato più adatto a un uomo migliore di lui, e comunque diversissimo da quello che Charlie era abituata a vedergli in faccia. Alzò immediatamente la guardia: Gibbs voleva qualcosa, e lei, pur non sapendo di cosa si trattasse, non era propensa ad accontentarlo.

«A dire il vero, no», rispose. «Ho una riunione a metà pomeriggio.» La cosa le sarebbe andata benissimo se ci fosse stato del vino da bere, ma purtroppo non c’era. I rinfreschi non erano il punto forte del Gruppo per la crescita culturale della Culver Valley. «Perché?»

«L’omicidio di Damon Blundy. È emerso qualcosa dai filmati delle telecamere a circuito chiuso. Simon e Sam sono ancora a casa della vittima.» Gibbs si strinse nelle spalle, riuscendo quasi a sembrare timido. «Vorrei sapere cosa ne pensi tu.»

«Per quale ragione? Non lavoro più nel reparto investigativo.» Charlie lo ricordava tutte le volte che poteva a chiunque fosse disposto ad ascoltare, nella speranza di riuscire a dirlo, un giorno, senza starci male.

Gibbs sogghignò. «Fatta eccezione per le volte in cui ci lavori ufficiosamente.»

Ora Charlie era davvero sospettosa. «Succede solo perché Simon mi coinvolge a forza, una cosa che tu non hai mai né fatto né cercato di fare. Allora perché lo stai facendo adesso?»

«Mah, così, d’impulso. Magari perché mi manca la mia vecchia skipper...»

«Gibbs, cosa c’è sotto? Perché vieni qui a lisciarmi? Se Liv ti ha mollato e stai cercando un’avventuretta nuova ma con lo stesso DNA, dimenticatelo. Sono una donna sposata, non come Liv. Del tipo noioso che scopa solo con suo marito.» Dio, quanto si sentiva bacchettona! Charlie quasi si vergognò, ricordandosi della promiscuità e delle rischiose imprudenze di un tempo. Per principio diffidava degli atteggiamenti moralistici e, se non tradiva Simon, era perché lo amava e la sola idea di stare con un altro le dava la nausea. In astratto non aveva problemi riguardo all’infedeltà, a patto che gli individui interessati non fossero Liv, la sua esasperante sorella minore, e Gibbs, lo scontroso agente investigativo che un tempo faceva parte della sua squadra.

Le capitava spesso di desiderare di amare meno Simon, in modo da potersi godere una vita sessuale parallela di cui lui fosse all’oscuro, idealmente assieme a qualcuno che lavorava a stretto contatto con Liv, così da ripagarla con la stessa moneta e vedere la faccia che avrebbe fatto se questa volta fosse stata lei a invadere il suo territorio.

Liv e Gibbs avevano una relazione clandestina da diversi anni. Iniziata la sera delle nozze di Charlie e Simon, si era rivelata fastidiosamente duratura malgrado le speranze di Charlie di vederla naufragare presto e in modo disastroso. Finora aveva resistito alla nascita delle due gemelle di Gibbs e al matrimonio di Liv con un altro, una cerimonia a cui aveva assistito anche lo stesso Gibbs. Lui e Liv avevano continuato a lanciarsi sguardi languidi sopra le teste e fra i busti degli invitati, ignorando il resto dei presenti, mentre lo sposo, Dominic Lund, si faceva in quattro per chiacchierare con tutti. Senza dubbio lui aveva immaginato, sbagliando clamorosamente, di essere l’eroe romantico del proprio matrimonio. Era stata una delle occasioni sociali più bislacche a cui Charlie avesse mai partecipato.

«Un’avventuretta?» Gibbs si accigliò. «Credi che Liv sia questo per me?»

«Preferisci “amante”?»

«Tu come ti sentiresti se facessi del sarcasmo sul tuo rapporto con Simon?»

«Forse volevi dire come mi sono sentita tutte le volte che è successo?» Subito dopo averlo detto si pentì. Charlie odiava pensare a quel periodo del suo passato, quando si era fidanzata con Simon e tutti sapevano che loro due non erano mai andati a letto insieme: le prese in giro che le era toccato sopportare, le congetture alla centrale di polizia sulle cause dell’astinenza di Simon, pesantemente sbilanciate a favore di una qualche responsabilità di Charlie...

«È molto tempo che non sfotto te e Simon, né singolarmente né insieme», osservò Gibbs.

Era vero. Come sempre, dire delle cattiverie a qualcuno si rivelava meno divertente dell’idea di farlo. «E va bene, d’accordo», capitolò Charlie. «Senti, cos’è questa storia? Perché ci giri intorno? Sputa il rospo. Stai lasciando Debbie? Liv sta lasciando Dom?» chiese poi. “Sono al lavoro, maledizione. Non ho voglia di parlare di mia sorella.” Dubitava che sarebbe mai riuscita a superare il fastidio che provava per l’intrusione della sorella nella sua vita professionale.

«Niente del genere.» Gibbs stava facendo di nuovo quel sorriso strano, da «sono nervoso perché sto per incontrare la regina».

«Allora cosa? Dimmi!»

«Niente... pensavo solo che potessero interessarti le ultime novità sul caso Blundy. Ma visto che sei così occupata... lasciamo perdere.» Lui si girò e fece per andarsene.

«Ho circa un quarto d’ora.» Charlie guardò l’orologio per accertarsi che fosse vero. Quasi. Non del tutto. Però perdere i primi dieci minuti della riunione non era una tragedia; non per lei, almeno. «D’accordo, allora fammi vedere un filmato in bianco e nero sgranato», aggiunse. «Farò finta di guardare un noioso film d’essai privo di trama e non certo di cassetta, tipo quelli che Liv adorava prima di innamorarsi di te e decidere di preferire Mission Impossible 2 a Éric Rohmer.»

«Sei sicura?»

«Sicurissima, ragazzo beneducato.»

Charlie seguì Gibbs nella sala di proiezione al primo piano, dove si trovava già l’agente investigativo Colin Sellers. Doveva essere lì da parecchio tempo, a giudicare dalla scena. La sua cravatta penzolava dallo schienale della sedia e si era slacciato i primi due bottoni della camicia. Gli altri davano l’impressione di essere prossimi a slacciarsi sotto la pressione dello stomaco prominente da birra e kebab.

«Cosa ci fai qui, Charlie?» la apostrofò Sellers.

«Che bello! Piacere di vederti, Colin.»

Sellers alzò le spalle, si grattò una basetta e si voltò di nuovo verso lo schermo. Di solito era più allegro di Gibbs; raramente Charlie lo aveva visto di un umore così tetro. Siccome non le sembrava di avere fatto qualcosa per irritarlo, concluse che la causa del suo malcontento fosse, tanto per cambiare, la frustrazione dei suoi appetiti. Per lui era una fonte di sconfinata infelicità che esistessero donne tra i venti e i sessant’anni disinteressate a fare sesso con lui. In una settimana era capace di ricevere più rifiuti di quanti riesca a collezionarne un uomo normale in tutta la vita, e questo perché era fissato: quando non era insieme a Stacey, la moglie, faceva proposte a tutte le donne che incontrava – nei pub, nei takeaway, nei negozi, per strada – praticando l’infedeltà coniugale su una scala al cui confronto la relazione clandestina fra Gibbs e Liv aveva il pittoresco pudore di un corteggiamento dell’epoca vittoriana. Per sua fortuna, quella politica di approccio indiscriminato gli procurava tanti sì quanti no; era facile, aveva detto a Charlie qualche mese prima, una volta che hai capito come si fa a riconoscere la disperazione in una sconosciuta.

Proprio simpatico.

«Faglielo vedere», disse Gibbs.

Sellers prese il telecomando.

Charlie si appoggiò alla parete in fondo alla stanza. «Cosa sto guardando?» chiese. «Cioè il traffico, ovviamente, ma...»

«La vedi quell’Audi argento?» spiegò Gibbs. «Questa è la telecamera all’angolo tra Elmhirst e Lupton Road. Qui la nostra Audi viaggia in direzione nord sulla Lupton... e poi svolta sulla Elmhirst alle dieci e cinquantacinque di questa mattina.»

«E qui...» Sellers premette il tasto dell’avanzamento rapido per qualche secondo. «Qui abbiamo la stessa Audi argento che torna indietro meno di cinque minuti dopo. Sembra che al volante ci sia una donna. Perché ha cambiato idea e ha fatto inversione di marcia per poi prendere Upper Heckencott?»

«Magari ha imbucato un biglietto di auguri in fondo a Lupton Road», osservò Charlie, «proprio all’incrocio con la Elmhirst, dopodiché ha fatto inversione per tornarsene a casa. Oppure, se aveva intenzione di percorrere tutta la Elmhirst e poi ha cambiato idea... Be’, può esserci un’infinità di motivi.»

«Se fosse successo una volta sola sarei d’accordo», disse Sellers. Si alzò dalla sedia e dopo avere estratto il nastro ne inserì un altro.

Mentre lui armeggiava con il telecomando, Gibbs diede a Charlie qualche ragguaglio. «La casa di Damon Blundy è in Elmhirst Road. La moglie lo ha trovato morto stamattina alle dieci e trenta e ci ha chiamato alle dieci e trentacinque. Gli agenti sono arrivati sul posto nel giro di pochi minuti e hanno fermato le macchine che viaggiavano sulla corsia dal lato della casa di Blundy per interrogare i guidatori.»

«Che rapidità», commentò Charlie.

«Un’idea di Simon», la informò Gibbs. «Scommetto che hai già saputo della... ehm, stranezza della scena del crimine.»

«Sì, ho parlato con Simon all’ora di pranzo. Sembra... più strana del solito. Persino del “solito per voi”.»

«Secondo Simon c’era la possibilità che l’assassino volesse osservare da vicino la reazione della polizia, dopo avere allestito meticolosamente una messinscena così raccapricciante», spiegò Gibbs, «presumibilmente a beneficio di un pubblico. Perciò non si sarebbe voluto perdere lo spettacolo della reazione del suddetto pubblico.»

«Ha senso», convenne Charlie.

«A ogni modo, alle dieci e cinquantacinque la guidatrice dell’Audi si sarà trovata a procedere a passo di lumaca, a causa del blocco stradale poco più avanti, e avrà visto i poliziotti che fermavano le macchine e parlavano con i guidatori. Però si sarà anche resa conto che, siccome il rallentamento non era particolarmente grave, una volta superata Elmhirst Road avrebbe fatto prima a restare in coda che a fare un’inversione a U e andare nella direzione opposta. Infatti nessun altro ha seguito il suo esempio.»

«Ti rimando di nuovo al mio scenario del biglietto di auguri da imbucare», disse Charlie.

«No, guarda qui», replicò Sellers. «La stessa telecamera cinquanta minuti dopo. La stessa Audi argento che percorre Lupton Road venendo da Silsford, questa volta diretta a sud. Non svolta nella Elmhirst, però vedi come rallenta, quasi fino a fermarsi, mentre passa dall’incrocio?»

Era innegabile.

«Chi guidava voleva vedere se la polizia era ancora lì», intervenne Gibbs. «Altrimenti perché avrebbe rallentato così all’incrocio? E perché tanto interesse per l’operato degli agenti?»

«Curiosità?» suggerì Charlie. «A tante persone piace ficcare il naso se pensano che stia succedendo qualcosa di orribile. C’è un ghul dentro ognuno di noi...»

«Possibile che ci sia gente così impicciona e con talmente tanto tempo da perdere da tornare indietro due volte nello stesso giorno per guardare?» domandò Gibbs. «E poi, se voleva proprio sapere cosa stava succedendo, perché non è rimasta in coda, lasciando che la polizia la fermasse, in modo da poter chiedere agli agenti cos’era successo?»

«Okay, adesso un altro avanzamento rapido», disse Sellers. «Fino a... qui.» Puntò il telecomando verso lo schermo e premette PLAY. «Dopo quaranta minuti ritorna, nella corsia opposta, nuovamente diretta a nord. Questa volta in Lupton Road si ferma nel punto dove si ha la visuale migliore sulla Elmhirst, addirittura bloccando le macchine dietro di lei.»

«Be’, d’accordo», fece Charlie. «Quindi è una inguaribile ficcanaso.»

«E poi andiamo avanti rapidamente ancora una volta e troviamo...»

«Che ritorna di nuovo

«Un’ora e cinque minuti dopo, sì», confermò Gibbs.

Lui, Charlie e Sellers osservarono in silenzio la Audi che si dirigeva a sud lungo Lupton Road e poi cominciava a frenare in prossimità dell’incrocio con la Elmhirst.

«Di nuovo si ferma e se ne sta lì in fondo alla Lupton, bloccando il traffico», commentò Sellers. «Questa volta ancora più a lungo. Guardate la coda dietro di lei. Non vi sembra di sentirli, i clacson di tutti quegli automobilisti arrabbiati? Eppure non si muove per un minuto intero.»

«Quindi c’è qualcosa che puzza. Possibilissimo», constatò Charlie. «Suppongo che conosciate già l’identità della proprietaria dell’Audi, visto che sapete che l’auto è color argento anche se la nostra anteprima del dramma è in bianco e nero.» Accennò con la testa allo schermo.

«La macchina appartiene a una certa Nichola Clements», rispose Sellers. «Abita al 19 di Bartholomew Gardens, a Spilling.»

«Allora come mai non siete già lì a parlare con lei?» chiese Charlie.

«Ne vale decisamente la pena, vero?» replicò Gibbs.

Charlie rise. «Mi stai prendendo in giro? Avete talmente tante altre piste promettenti da potervi permettere di trascurare questa?»

«No, volevo dire... Io pensavo che ne valesse la pena, ma volevo sentire anche il tuo parere. Potrebbe essere perfettamente innocente e, come hai detto tu, forse la sua era solo curiosità.»

«Ma certo che dobbiamo parlarle», affermò Sellers.

Charlie espirò lentamente. «Cos’è questa storia, Gibbs? Cerchi di lusingarmi dando a vedere che la mia opinione conta davvero per te... Fin qui ci arrivo, anche se non ho capito perché. Non potevi trovare qualcosa di più interessante da chiedermi, qualcosa di un po’ meno ovvio? Dopo avere visto quello che mi hai appena mostrato, chiunque sia dotato di un briciolo di cervello ti direbbe di parlare con Nichola Clements il prima possibile.»

«Esatto», fece Sellers.

«Lo direbbe chiunque abbia un briciolo di cervello, quindi anche Sellers, di andare a interrogare Nichola Clements», li punzecchiò Charlie.

Sellers abbozzò un sorriso che non attecchì.

«Ma che cazzo hai?» lo assalì Gibbs.

Era il momento giusto per lasciarli nel loro brodo, pensò Charlie. Persino una riunione del Gruppo di crescita culturale senza vino era meglio di quei due.

«Non posso dimostrare che Damon non mi abbia mai amato, perciò, se siete in cerca di prove, resterete delusi. Come me, del resto.» Hannah Blundy era seduta al grande tavolo ovale della sua cucina, di fronte a Simon e Sam. L’ufficiale di collegamento, una donna giovane di nome Uzma apparentemente incapace di svolgere qualsiasi compito in modo silenzioso, stava preparando il tè per loro, se ci si poteva fidare di ciò che si vedeva, poiché gli effetti sonori suggerivano uno scontro fra treni nelle immediate vicinanze. Per quanto fosse irritante, Simon era contento di quell’accompagnamento: aiutava a conferire una patina di normalità a una delle conversazioni più assurde che avesse mai fatto, e ne aveva fatte parecchie.

«Capisco», disse Sam. «Lei sta dicendo che non c’era niente di concreto, solo una... sua sensazione?»

«No, se mi fossi lasciata guidare dalle sensazioni sarei stata beatamente felice del mio matrimonio», rispose Hannah. «Damon non faceva che dire di amarmi e si comportava come se fosse così. Sul piano fisico l’intesa era perfetta, piena di passione.» Mentre parlava, sembrava condurre una verifica interiore: “È veritiera questa affermazione? Sì. Ed è veritiera anche quest’altra? Sì. Ne sono sicura? Sì”.

«Però... lei non si sentiva amata?» tornò alla carica Sam.

«Be’, era difficile non sentirsi amati: Damon mi copriva di attenzioni, sia fisicamente sia emotivamente. In tutti i modi. Non ho mai visto nessuno trattare una persona con tanta premura e tanta considerazione. In uno di quei film romantici di Hollywood il suo modo di comportarsi con me non sarebbe stato fuori posto.»

Simon e Sam si scambiarono un’occhiata. “Come procediamo da qui?”

«Mi rivolgeva complimenti in continuazione. Aveva un grande rispetto per la mia intelligenza. Prendeva molto sul serio i miei desideri e le mie esigenze. Per me avrebbe fatto qualunque cosa, e lo ha dimostrato concretamente un’infinità di volte.» Hannah aprì le dita delle mani e abbassò lo sguardo sui palmi. Simon non poté evitare di osservarli a sua volta: bianchi e secchi come grinzosi guanti di carta. «Per metterlo alla prova, mi è capitato di chiedergli l’impossibile, e spesso lui mi ha dimostrato che impossibile non era. Davvero, non ha mai commesso un passo falso, non ha mai fatto cadere la maschera per sbaglio. Era questo il problema: una finzione talmente perfetta da darmi la sensazione di essere amata.» Emise un sospiro strozzato. «Eppure, al tempo stesso, sapevo che il senso di euforia che lui mi trasmetteva era fondato su una menzogna. Perciò ho cercato di impedirmi di crederci.» Proruppe in una risata aspra. «Più facile a dirsi che a farsi. Le mie emozioni erano una reazione ai falsi stimoli di Damon. Venivo manipolata, in modo molto sottile, questo glielo riconosco, ma... non volevo sentirmi amata se in realtà non lo ero. A me interessava sapere la verità. E dal giorno in cui ci siamo conosciuti fino alla sua morte lui non me l’ha mai rivelata. Negava che ci fosse qualcosa da dire.»

«Quando vi siete conosciuti?» si informò Simon. La stava prendendo alla larga, rivolgendole domande finalizzate a ottenere risposte che lui potesse comprendere. Puntualizzare date e cronologia era più facile che dare un senso alla bizzarra spiegazione di Hannah sul finto amore perfettamente plausibile del marito. «Da quanto tempo stavate insieme e quando vi siete sposati?»

«Ci siamo conosciuti il 29 novembre del 2011 e ci siamo sposati nel marzo del 2012», rispose Hannah. «Il 18 marzo.»

«E... niente figli?»

«No. Non che io sia troppo vecchia, perché ho solo trentanove anni, ma Damon non era molto del parere. Diceva che mi amava troppo per essere disposto a dividermi con qualcuno. Un’altra bugia. I figli lui non li voleva, tutto qui. Diceva che erano una seccatura, che non aveva senso averne. Probabilmente avrei potuto convincerlo a cambiare idea, però. Avrebbe ceduto se glielo avessi proposto nel modo giusto, per esempio dicendo: “Dimostrami che mi ami dandomi un figlio”. Ma il fatto è che non li desideravo nemmeno io; non da lui. Non prima di avere scoperto cosa voleva da me.»

«Quanto tempo dopo il matrimonio con Damon ha cominciato... ehm, a sospettare che il suo amore per lei non fosse sincero?» chiese Sam.

«Io non lo sospettavo, lo sapevo», rispose Hannah.

Era un tipo abituato a puntualizzare, notò Simon: pedantemente ossessionata dalla precisione delle proprie parole e di quelle degli altri. Non gli era capitato spesso di imbattersi in persone del genere, tuttavia era in grado di riconoscerle quando le incontrava.

«Lo sapevo già parecchio tempo prima di sposarlo», continuò Hannah. «La prima volta che mi ha detto “ti amo”, dentro di me ho pensato: “No, non è vero. È impossibile”. E se vi state domandando come mai io sia rimasta con lui...»

«Continui», la incoraggiò Sam.

«All’inizio per varie ragioni: ero single da un bel pezzo e avevo paura di non incontrare più un uomo. Poi ho conosciuto Damon, o meglio, lui ha conosciuto me. Mi stavo facendo i fatti miei, in cerca di coperte di lana a buon prezzo nel negozio del National Trust in Blantyre Walk. Esaminavo questa e quella, e intanto borbottavo, seccata perché non ce n’era una che andasse bene. Credo che neanche a farlo apposta avrei potuto assomigliare di più a una zitella brontolona, con attrattiva sessuale inesistente. Damon...»

«Si sente bene, Hannah?» domandò Sam quando lei si interruppe. «Possiamo fare una pausa se...»

«No, grazie. Lasciatemi continuare.» Dette queste parole, serrò le labbra come se fosse fermamente decisa a tacere.

Simon e Sam attesero.

Alla fine riprese. «Non avevo notato Damon finché lui non si è avvicinato, mettendosi a chiacchierare con me come se fossimo amici da una vita. Ero lusingata dal fatto che un uomo così bello mi degnasse anche solo di uno sguardo. Era gradevole starlo ad ascoltare, e in seguito anche parlare con lui. Le conversazioni con Damon erano un po’ come dei fuochi d’artificio verbali, e io ero affascinata. Sul piano intellettuale mi incuriosiva: cercavo di capire cosa volesse da me. All’inizio pensavo che sarei stata con lui solo per il tempo necessario a scoprire perché gli interessassi tanto da essere disposto a mentire in modo così spudorato e allo stesso tempo convincente... Grazie, Uzma.»

Tre tazze di tè vennero calate sul tavolo con la stessa grazia del martello di un banditore d’asta. Uzma si allontanò per andare a caricare la lavastoviglie. Se avesse chiuso gli occhi, Simon avrebbe creduto di sentire i rumori di una rissa a colpi di bottiglia pericolosamente vicina a sfuggire al controllo.

Hannah si stava tamponando gli occhi con un fazzolettino di carta estratto dalla tasca dei jeans. «Scusatemi», disse. «Penserete che non sia tanto sconvolta dalla sua morte, visto come stavano le cose.»

“Giusto. Dopotutto eri solo sua moglie.” A Simon la vicinanza con la Vedova Bizzarra stava dando sui nervi. Sapeva di essere ingiusto, ma il fatto che Hannah fosse tanto diffidente nei confronti del marito morto, e senza vergognarsene neanche un po’, gliela rendeva sospetta.

«Ma certo che lei è sconvolta per la morte di Damon», disse Sam con gentilezza. «Lei... lo amava?»

«Sì, moltissimo. Mi aveva incantato con quelle falsità, era questo il problema. Io lo ricambiavo con un sentimento vero.»

«Falso... amore?» chiese Sam.

Hannah annuì. «Siccome era un po’ di tempo che nessun uomo si interessava a me, ho ceduto al richiamo delle sue attenzioni fasulle. Il mio amore per Damon era tanto vero quanto era finto il suo per me, che tuttavia mi nutriva spiritualmente. A volte ero felice per lunghi periodi, poi lo vedevo di colpo: lui sta recitando. Dicevo al mio cuore che quello era un inganno, che non doveva cascarci, ma lui, come del resto ogni altro cuore davanti ai saggi avvertimenti, non mi dava ascolto.» D’un tratto parve dubbiosa. «Non so, magari non erano poi così saggi. Un amore finto è meglio di nessun amore. Deve esserlo, altrimenti perché la maggior parte dei miei pazienti terrebbe in piedi relazioni sentimentali sterili?»

«Nel suo lavoro di psicoterapista si è mai imbattuta in una situazione simile a quella che viveva lei con Damon?» volle sapere Sam. «In persone che affermavano di non essere amate da un partner che però fingeva in modo convincente?»

«No, mai», rispose Hannah. «Non si preoccupi, non mi sfugge l’ironia. Nel mio lavoro sono molto brava... Scusatemi, ma detesto la falsa modestia. Non mi è mai successo di non cogliere il nocciolo del problema relazionale di un paziente. Mai. Anche se a volte ci vuole tempo, arriva sempre il momento in cui prende forma il quadro completo e penso: “Ah, ecco come stanno le cose”. Con Damon quel momento non è mai arrivato, non ho mai trovato la risposta. Forse ero troppo vicina per vederla.»

L’impazienza di Simon stava cominciando a ticchettargli dentro. Era tempo di un confronto serrato con lei. «Mi perdoni se sono un po’ lento, ma... se la recitazione di Damon era così impeccabile, come fa a essere sicura che lui non l’amasse davvero?»

«Perché lo aveva dichiarato troppo frettolosamente, già al nostro secondo appuntamento. Era – fingeva di essere – troppo innamorato, e troppo presto. Perciò suppongo che non sia del tutto corretto quello che ho detto prima: una pecca nella sua recita c’era, all’inizio. Se dapprincipio gli fossi piaciuta solo un po’, se avesse dimostrato un blando interesse per me, quel tanto che bastava per avere voglia di rivedermi... se ci fosse stata una progressione più graduale, un entusiasmo che cresceva in parallelo all’approfondirsi della conoscenza, forse gli avrei creduto. Se avesse aspettato qualche mese a dirmi che mi amava...»

«Quindi è stata la repentinità del suo amore che l’ha fatta dubitare?» la interruppe Simon.

Hannah gli lanciò uno sguardo penetrante. «In quello stadio, sì. In seguito sono intervenuti anche altri fattori. Non si arrabbiava mai con me, non era irritabile, non perdeva l’occasione per usarmi delle gentilezze, non fingeva mai di ascoltarmi mentre in realtà pensava ad altro, come fanno tutti i mariti. Era come se cercasse... non so, come se cercasse di imprimersi nella memoria tutto ciò che dicevo. È quello che succede agli inizi di una relazione, quando c’è quell’avidità di sapere, di assorbire tutte le informazioni possibili e immaginabili sul nuovo partner. Damon è sempre stato così, fin dal primo momento. È difficile spiegarlo a chi non ha mai fatto un’esperienza simile. Era come se fosse perennemente ai miei piedi, ma non in modo patetico o fastidioso.»

«Per un uomo del genere sarei disposta a uccidere», si intromise Uzma, con scarsa diplomazia, dal fondo della stanza. Hannah parve non farci caso.

«Hannah, giusto per fare l’avvocato del diavolo», iniziò Sam esitante. «Non è possibile che... be’, che per Damon fosse stato amore a prima vista?»

“No. Non per questa donna.” Sentendosi in colpa per averlo pensato, Simon si rallegrò all’idea che nessuno, a parte lui, lo avrebbe mai saputo.

Sam insisteva con le sue fantasie romantiche. «Posso immaginare che se sei innamorato pazzo e quel sentimento persiste... Insomma, forse questo spiega perché Damon l’avesse messa su un piedistallo e di conseguenza la ascoltasse davvero. A giudicare dal quadro che mi ha appena descritto, mi sembra che potesse essere... be’, amore. Non una finzione.»

Hannah gli sorrise. «È gentile da parte sua, anche se pecca un po’ di ingenuità. Lei ascolta ogni parola detta da sua moglie?»

«Magari non proprio ogni parola, ma...»

«Lei crede nell’amore a prima vista?»

«Ci credo, sì», rispose Sam.

«E lei?» chiese Hannah rivolgendosi a Simon.

Lui scosse la testa. «A qualcosa che gli assomiglia molto, forse sì», fu il massimo che riuscì a tirare fuori. “Un’illusione creata dal desiderio fisico, una forma di follia.” L’aveva sperimentata una volta sola e sperava che non accadesse mai più. Preferiva l’amore che provava per Charlie, del tipo che sboccia e cresce gradualmente, e a conti fatti vale molto di più; un amore più simile al denaro messo da parte che alla frenesia di spenderlo.

Alice Fancourt. Simon non avrebbe mai dimenticato quel nome. Gli tornava in mente almeno una volta al giorno.

«Intende l’attrazione febbrile, ossessiva, che ti accende come un fuoco nella foresta?» disse Hannah. «Quell’irreprimibile avidità di divorare che chiamiamo amore perché è il termine più pregnante che abbiamo?»

Simon emise un verso che non era né un sì né un no.

«Non era a questo che mi riferivo quando ho affermato che Damon mentiva dicendo di amarmi già al nostro secondo appuntamento. Non alludevo a un’infatuazione che lui scambiava per amore. Intendevo che per me non provava niente a parte il desiderio di usarmi per i suoi fini, qualsiasi essi fossero.»

«Come fa ad averne la certezza?» domandò Sam.

Hannah lo guardò, gelida. «Dovrebbe risultarle evidente. Esistono persone che ispirano un grande amore a prima vista e altre che non lo ispireranno mai. Le donne come me.»

«Non capisco», disse Sam. Per Simon invece era chiarissimo.

«Mi guardi, sergente Kombothekra.» Hannah spinse indietro la sedia e si alzò, in modo da farsi vedere meglio. «Qual è l’uomo che dopo uno sguardo, o un paio di sguardi, a questa faccia e a questo corpo deciderebbe che deve avermi a tutti i costi perché altrimenti impazzirebbe? Non è l’autocommiserazione che mi fa parlare così. Non ho la segreta speranza che mi diciate che sono uno splendore; so di non essere attraente. Non orribile, certo, ma il mio aspetto non è gradevole e nemmeno comune. Sono fatta in modo strano. Ho la faccia asimmetrica e il corpo sproporzionato...»

«Lei è decisamente troppo severa con sé stessa», la interruppe Sam, galante.

Simon restò in silenzio. Dopo avere ascoltato il giudizio che la donna dava del proprio aspetto era propenso a prendere con maggior serietà i suoi racconti sul falso amore di Damon Blundy.

«Sono semplicemente sincera.» Hannah calcò l’accento sull’ultima parola, come se dubitasse che Sam l’avesse mai sentita prima. «E realistica. So che tanti uomini amano donne non belle; ma a prima vista? E poi un uomo attraente come Damon, che poteva avere tutte le donne che voleva, sempre che non lo odiassero per quello che scriveva nei suoi articoli... No. Non me la bevo.» Si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, come se tutte le sue energie si fossero consumate nello sforzo di stare in piedi. «Non voglio dire che io non possa essere amata. Penso che un mucchio di uomini potrebbero amarmi se avessero la possibilità di conoscermi. Persone intelligenti, che sappiano guardare oltre l’aspetto fisico. Ma l’amore a prima vista? No. Quello si basa sull’apparenza. Vediamo un oggetto che fisicamente corrisponde a una nostra fantasia archetipica e cominciamo a fare proiezioni su di esso; proviamo sentimenti molto forti ma di fatto immotivati, che non hanno niente a che vedere con l’interiorità di una persona.»

«E ritiene che fisicamente lei non potesse corrispondere a quella fantasia?» le chiese Simon.

«Proprio così.» Hannah sembrava soddisfatta.

«Perché no? Lo ha detto lei stessa: il suo aspetto è strano.»

«Simon...» mormorò Sam.

«No, va bene», lo interruppe Hannah. «Lo lasci parlare.»

«Il suo aspetto è insolito», ribadì Simon. «Molti uomini, forse la maggioranza, preferirebbero il tipo della supermodella, però non tutti sono uguali. Di certo lo sa bene, se pensa ai suoi pazienti: alcuni dei loro problemi non sono forse fuori dal comune? E Damon... Da una rapida scorsa alle cose che ha scritto, non lo definirei un uomo comune...»

«Non lo era», convenne Hannah. «E grazie per non avere detto quello che dicono tutti quando si tocca questo argomento: che io sono bella a modo mio, che le mie probabilità di fare innamorare qualcuno sono pari a quelle di una modella stupenda. È talmente evidente che non è così!»

«Le modelle spesso non sono persone particolarmente interessanti se si arriva a conoscerle da vicino», intervenne Sam.

Ignorandolo, Hannah si rivolse di nuovo a Simon. «Lei ha accennato ai miei pazienti. Ha ragione. Gran parte dei disturbi psicologici e delle difficoltà di relazione sono altrettanto comuni dell’attrazione fisica per un bel viso o un corpo a clessidra, ma di tanto in tanto arriva qualcuno con un problema assolutamente inedito, e allora mi dico: “Bene, su questo caso ci sarebbe da scrivere un articolo per una rivista specializzata”. Non molto tempo fa ho avuto una paziente afflitta da una paura patologica degli autisti dei taxi e degli autobus, oltre che dei piloti d’aereo e dei macchinisti dei treni. La sua nevrosi la induceva a credere che tutti coloro che avevano il potere di portarla da qualche parte fossero in combutta contro di lei e congiurassero per condurla in un luogo spaventoso al di là di ogni immaginazione. Era realmente convinta che, se ci fossero riusciti, per lei sarebbe stata la fine. Insomma, a livello razionale sapeva che non poteva essere vero, però non era in grado di superare la sua fobia.»

«Mi sento così anch’io tutte le mattine quando salgo sul 45 per spostarmi da Rawndesley a Spilling», gridò Uzma dal fondo della stanza. «Certi autisti corrono come pazzi, tagliano le curve.»

Hannah lanciò un’occhiata di fuoco a Sam, come per dirgli: “Non è già abbastanza brutto che mio marito sia stato assassinato? Dovevate proprio piazzarmi in casa quest’idiota?”.

«Perciò può darsi che Damon avesse gusti fuori dal comune in fatto di donne», disse Simon, godendosi il disagio di Sam per la propria franchezza. «Magari quelle dall’aspetto insolito erano la sua passione.»

«No», rispose Hannah. «Può darsi che su questa terra esista qualche raro uomo attratto da una donna che sembri assemblata con parti male assortite scovate qua e là sulle bancarelle, ma Damon non era il tipo. Lo saprebbe anche lei se avesse letto i suoi articoli. In uno aveva scritto che non avrebbe mai potuto innamorarsi di una donna brutta. Quando gliel’ho fatto notare, mi ha detto, proprio come mi aspettavo: “Ma tu non sei brutta, cara”. Le sue due ex mogli, la Principessa Zerbino e la Dottoressa Despota, sono bellissime.»

«Scusi?» fece Sam.

«È così che le chiamava Damon nei suoi articoli.»

«Dovremo parlare con loro. Quali sono i veri nomi?»

«Verity Hewson lo zerbino, Abigail Meredith la despota.»

«Perché Principessa Zerbino?» domandò Simon.

«Sembra che il padre l’avesse viziata e che lei si comportasse da zerbino con lui, non con Damon. Anzi, tentava sempre di manipolarlo perché facesse quello che avrebbe voluto papà: comprare una certa casa, moderare i toni nei suoi articoli per non mettere in imbarazzo il suocero al Golf Club. Questo almeno a detta di Damon», aggiunse Hannah. «Ma io gli credevo. Non penso che mi mentisse su molto altro a parte sul fatto di amarmi.»

«Verity e Abigail erano rimaste in buoni rapporti con lui?» domandò Sam.

«No, Damon odiava tutt’e due», rispose Hannah. «Si era comportato malissimo con entrambe, sia durante sia dopo il matrimonio. Eccola, una prova concreta che non era un uomo tenero con la moglie. Allora perché con me sì? Cosa sperava di ottenere?»

Simon non ne aveva idea ma avrebbe voluto saperlo. Poi ricordò a sé stesso che forse Hannah mentiva, un’eventualità più probabile di quella che fosse sincera ma in errore.

Ma perché inventarsi una bugia così assurda?

«Pensa che Verity o Abigail potessero odiare Damon fino al punto di ucciderlo?» volle sapere Sam.

«Sì, certo, tutt’e due», rispose Hannah. «Ma lo stesso vale per decine di altre persone. A ogni uscita di un suo articolo, Damon si faceva tra i due e i dieci nuovi nemici.»

«Una lista dei loro nomi sarebbe utile», disse Simon. «Quelli che lei conosce.»

«È più semplice elencare le persone che non lo odiavano», replicò Hannah. «Io. Vedete come ho fatto in fretta? Avrebbe dovuto fingersi buono e gentile anche con gli altri, non solo con me. Sarebbe ancora vivo.»

«Tornando a questa mattina...» proseguì Sam. «Ha detto che Damon era salito nel suo studio alle otto e trenta, giusto?»

«Sì, dopo aver fatto colazione. Non l’ho più né visto né sentito fino alle dieci e trenta, quando ho portato su il tè e l’ho trovato.» Al ricordo Hannah si irrigidì sulla sedia. «Cosa significa: “Non è meno morto”?» chiese all’improvviso, come se la stranezza di quelle parole l’avesse colpita solo allora. «Perché chi l’ha ucciso ha lasciato quella scritta sul muro?»

«Non lo sappiamo», ammise Sam. «Non le viene in mente niente sul possibile significato della frase?»

«No. Per me non ha senso.»

«Qualcuno per caso ha suonato alla porta fra le otto e trenta e le dieci e trenta?» le domandò Simon.

«No, e al pianterreno lo avrei sentito. Nessuno ha suonato il campanello.»

«Se è così, come avrà fatto l’assassino a entrare in casa senza commettere effrazione?»

«Non saprei», disse Hannah.

«E non ha sentito Damon parlare con qualcuno? Un rumore di passi o una risata?» chiese Sam.

«No, niente. Però avevo la radio accesa. Solo un rumore forte come il suono del campanello mi sarebbe arrivato.»

«Il telefono fisso?» tentò Sam.

Hannah scosse la testa.

Simon avrebbe voluto domandarle su quale stazione radio si fosse sintonizzata e che programma stesse ascoltando, ma non era il momento giusto. “Amava il marito. Però non gli credeva. Quindi al tempo stesso lo odiava. Lo ha ucciso perché da sola non avrebbe mai potuto scoprire il suo segreto. Voleva l’aiuto della polizia, e il mezzo per ottenerlo era l’omicidio...”

No. Troppo inverosimile.

«È sicura di non avere avuto nessun contatto con suo marito fra le otto e trenta e le dieci e trenta di stamattina, quando ha rinvenuto il suo corpo?» insistette Sam.

«No. Nessuno. Lui è salito di sopra dopo colazione. Io ho acceso la radio... e questo è tutto.»

«Prima di rinvenire il corpo stamattina, quando è stata l’ultima volta che ha messo piede nello studio?» si informò Simon.

«Ieri sera. Ero entrata per rimettere a posto dei libri. Lui li lasciava sempre sparsi in giro per la casa.»

«E la stanza le è sembrata normale? Non ha notato qualcosa che non doveva esserci? Oggetti fuori posto?»

Hannah fece un cenno di diniego. «Niente. Lo studio di Damon era come è sempre stato... fino a oggi.»

«Hannah, possiamo fare chiarezza su un punto?» intervenne Sam. «Fra le otto e trenta e le dieci e trenta di stamattina lei non è mai salita al piano di sopra? Non ha visto Damon nemmeno di sfuggita e non ha ricevuto da lui né e-mail né SMS

«No», rispose Hannah. «Damon passa la mattina a scrivere e riemerge all’ora di pranzo. Io sto alla larga per non spezzare la sua catena di veleni, come la chiama lui.»

«Però stamattina non l’ha fatto», puntualizzò Simon. «Come ha detto lei stessa, alle dieci e trenta è salita per portargli una tazza di tè.»

«Sì.» Hannah strinse le labbra. «A volte, nei momenti di debolezza, cercavo di coglierlo di sorpresa per smascherare la sua recita.» Lo disse come se fosse assolutamente normale.

«Coglierlo di sorpresa mentre faceva cosa, di preciso?»

«Come posso rispondere se non so perché lui fingesse di amarmi? La mia non era una strategia studiata. Improvvisavo. Se ti nascondono qualcosa e vuoi scoprire di che si tratta, di tanto in tanto irrompere nella stanza all’improvviso quando uno meno se lo aspetta può servire. Chi lo sa cosa si può trovare?»

«E?» la incalzò Sam.

Hannah scosse la testa. «Niente di niente. Tutte le volte che entravo di sorpresa nello studio lui era intento a scrivere il suo pezzo. Ripensandoci ora, può darsi che se lo aspettasse e stesse in guardia. Oh, ma che me ne importa! Voglio smettere di pensarci! Devo smetterla.» Si passò le mani nei capelli. «Ma non ci riesco, nemmeno adesso che non c’è più; perché non è morto per un infarto o per un incidente automobilistico. Lui è stato assassinato. Perciò adesso persone più potenti e più efficienti di me hanno bisogno di conoscere tutti i suoi segreti, proprio come ne ho bisogno io. Questo mi dà nuova speranza ma al contempo mi spaventa, perché potrei scoprire la verità. È orribile. Il fatto che voi siete qui significa che non posso permettermi di lasciar perdere. Prolunga la tortura. Lo capite?»

«Lei pensa che l’assassinio di Damon sia direttamente collegato al suo... fingere di amarla, o alla ragione che lo spingeva a farlo, qualunque essa fosse?» domandò Sam.

«Non lo so. Forse sono io a immaginarmi uno schema che in realtà non esiste, ma quando si vive nella menzogna – quando si fa di tutta la propria vita una menzogna, come nel caso di Damon – non si sfida la sorte?»

«In che modo?» domandò Simon.

«È un po’ come dire sia alla morte sia alla verità: “Provate a prendermi”. Be’, una delle due stamattina è venuta», concluse Hannah, come se quello fosse un dato di fatto e lei stesse parlando di un visitatore in carne e ossa anziché di un concetto astratto. «Anzi, direi tutt’e due», soggiunse quietamente dopo qualche istante. «Penso che siano arrivate insieme.»

Da: Nicki <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:19:13

A: <mr_jugs@hushmail.com>

Oggetto: Segnale di pericolo

Ciao Gavin,

è successa una cosa strana e inquietante. Come mai lo dico a te, quando in teoria non dovrei nemmeno scriverti? Non lo so. Non ho nessun altro con cui parlarne. Conosci Damon Blundy, il giornalista/opinionista?

N x

 

Da: Mr Jugs <mr_jugs@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:23:08

A: <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Non lo conoscono tutti quanti? Un personaggio non particolarmente simpatico.

G.

 

Da: Nicki <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:30:26

A: <mr_jugs@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Perché dici così?

N x

 

Da: Mr Jugs <mr_jugs@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:32:10

A: <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Mi prendi in giro? Lo conosco solo attraverso i suoi articoli da bamboccio che vuole attirare l’attenzione a tutti i costi, ma mi è sempre sembrato patetico, il tipo che ci gode a fare del male alla gente, e in modo gratuito. Perché? Cos’è la cosa strana e inquietante che è successa? E perché non mi racconti dei tuoi incontri con quel poliziotto? Mi è rimasta la curiosità di sapere.

G.

 

Da: Nicki <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:40:21

A: <mr_jugs@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Non capisco proprio questo tuo cambiamento di tono. Sembri una comunissima persona reale. Sicuro che sei sempre tu?

Ho appena saputo che Damon Blundy ieri è stato trovato morto in casa sua. L’hanno detto alla radio poco fa. Abitava a Spilling, in Elmhirst Road, a dieci minuti da dove sto io.

Il mio secondo incontro con il poliziotto, quello che mi ha fatto decidere di mettermi di nuovo in contatto con te, è avvenuto ieri proprio in Elmhirst Road. Stavo andando in macchina alla scuola dei ragazzi e sono rimasta imbottigliata in un ingorgo. Ho visto che poco più avanti c’erano dei poliziotti, compreso quello che avevo già incontrato una volta. Fermavano le auto per parlare con i guidatori. Adesso penso che fossero lì a causa della morte di Damon Blundy. A quanto pare la considerano sospetta.

Sono tremendamente agitata. Ti prego di non chiedermi perché.

N x

 

Da: Mr Jugs <mr_jugs@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:45:05

A: <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Perché ti sconvolge tanto la morte di un opinionista che per puro caso abitava vicino a te?

Sì, sono sempre io. Se ti ordinassi di sdraiarti a pancia in giù su un tappeto e di toglierti la biancheria intima **molto lentamente**, ti sentiresti sufficientemente rassicurata? Suppongo che qualcuno sarebbe potuto entrare nel mio account, ma... non è successo. Sono io.

E così hanno assassinato Damon Blundy? Davvero? Come mai hanno aspettato tanto? (Emoticon insolita, però sono **sempre** io.)

Sul serio, se vuoi prenderti a cuore le sofferenze altrui, ti consiglierei di scegliere qualcuno che lo meriti più di Damon Blundy.

G.

 

Da: Nicki <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 09:49:34

A: <mr_jugs@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Ehm, sul serio (per citare te)? Mi dispiace quando qualcuno viene assassinato, a meno che non fosse un concentrato di malvagità. Damon Blundy non era malvagio.

Scusami, devo andare: suonano alla porta!

N x

 

Da: Mr Jugs <mr_jugs@hushmail.com>

Data: Martedì 2 luglio 2013 10:15:22

A: <nickibeingnaughty@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

E chi ti assicura che Damon Blundy non fosse malvagio? Può darsi che lo fosse. Certe persone lo sono.

G.

 

Da: Nicki <nickibeingnaughty@hushmail.com

Data: Martedì 2 luglio 2013 10:34:02

A: <mr_jugs@hushmail.com>

Oggetto: Re: Segnale di pericolo

Gavin, c’è qui un detective della polizia. Vuole che vada in centrale con lui. Per la faccenda di Damon Blundy.

Cazzo. Terrorizzata.

N x

Inviato dal mio smartphone BlackBerry 10