8.
Giovedì 4 luglio 2013

«Questa qui mi piace. Su un centinaio, è l’unica che ci mostra come siamo veramente. Le altre erano ridicolmente glamour, così diverse da come siamo noi.» Paula Riddiough prese la fotografia del matrimonio dalla mensola sopra il caminetto del salotto e la mise nelle mani di Simon, che non erano pronte.

Perché mai doveva prenderla, dal momento che aveva un’ottima visuale dal punto in cui si trovava? Si impose di non cedere al timore di farla cadere, altrimenti l’avrebbe mollata di sicuro.

«Fergus ha un’aria così disorientata», disse Paula in tono affettuoso. «Come se pensasse: “Cosa sta succedendo? Tu chi sei, e perché stai puntando l’obiettivo su di me?”.» Fece una risata.

«In realtà dopo la quattrocentesima fotografia pensavo che il sorriso mi si sarebbe ossificato in faccia, tanto da aver bisogno di uno scalpello per toglierlo», replicò Fergus Preece, alle spalle di Paula e Simon. Da seduto, era scattato in piedi appena aveva sentito parlare di «foto del matrimonio», pronto a partecipare all’osservazione di un oggetto che teneva in casa e presumibilmente poteva guardare ogni giorno, se lo desiderava.

Strano. Anche se Simon doveva ammettere che il proprio atteggiamento verso le fotografie del matrimonio sarebbe stato giudicato ancora più strano. Lui e Charlie ne avevano solo un paio, scattate da Chris Gibbs. Nessuna delle due era stata messa in cornice. In una Charlie sbadigliava e rideva allo stesso tempo. Simon non aveva idea di dove fossero finite: dovevano essere in cucina, nel cassetto in cui tenevano i caricabatteria dei telefoni e la pellicola trasparente, mezza incollata al rotolo e ormai inutilizzabile, visto che era lì dentro da anni. Ogni volta che Charlie la buttava via, Simon la ripescava dalla spazzatura, la sciacquava sotto il rubinetto e la riponeva nel cassetto, determinato a trovare, un giorno, l’angolino giusto per srotolarla e staccare pezzi ancora buoni. Non che lui e Charlie producessero avanzi da conservare avvolti nella pellicola; nessuno dei due credeva che cucinare fosse qualcosa di diverso che mettere un surgelato nel microonde.

«Quella dei fotografi è una strana razza», disse Fergus Preece. Basso di statura, aveva la faccia abbronzata, i capelli bianchi e uno stomaco prominente che creava aperture a occhiello tra un bottone e l’altro della camicia. Sapendo che Paula aveva trentanove anni, Simon immaginava che lui fosse più vecchio di una quindicina, se non di più.

Come il loro matrimonio, anche il salotto di casa riuniva storia e contemporaneità. Alle pareti c’erano tanti ritratti a olio in cornici finemente intagliate, con un’aria di antichità che in Simon evocava parole come «avi» e «lignaggio», mentre il grande tappeto rosso, verde e bianco che copriva il pavimento in pietra aveva un moderno disegno irregolare, tanto brutto quanto intelligente nel design: era come se qualcuno avesse fatto cadere da una grande altezza dei vetri rossi e verdi su una solida superficie ghiacciata. Se non l’avesse visto con i propri occhi, Simon non avrebbe creduto possibile ottenere un effetto simile sulla lana.

Si chiese quando avrebbe potuto rimettere la foto del matrimonio sulla mensola, davanti a una mezza dozzina di scatti incorniciati di Toby, il figlio di Paula. I soprammobili erano esposti in doppia fila e tutta quanta la stanza faceva pensare che Fergus e Paula avessero una passione per la parziale copertura di oggetti con altri oggetti. Sui tre divani e sulle due poltrone erano drappeggiati dei plaid, e su uno di essi un grosso cane con il pelo dorato dormiva addosso a un cane più piccolo, bianco e nero. Simon vedeva bene che erano di razze molto diverse, ma non conosceva il nome di nessuna delle due; non aveva mai avuto un cane e di razze non sapeva niente, a parte che il pelo dei dalmata era maculato.

Le finestre erano schermate da veneziane di cui era visibile solo la parte centrale, dietro le mantovane e i festoni dei tendaggi. Ovunque ci fosse un cuscino, sopra ce n’era appoggiato uno più piccolo, se non due. Vicino alla porta un nido di tre tavolini bassi infilati uno sotto l’altro avevano le gambe coperte da un intrico di intagli. Sembravano cimeli di famiglia, troppo vecchi per posarci sopra con indifferenza delle tazze di caffè istantaneo. Le riviste disposte a ventaglio sul piano del tavolino più alto coprivano altre riviste. Dal punto in cui si trovava, Simon poteva vedere l’inizio di vari titoli: «Country Li», «Vog», «Bucki», «Horse &, Psicholo». Solo un titolo si vedeva per intero: «Private Eye».

La scelta dei colori era tale che Simon avrebbe potuto conviverci solo per un paio di giorni prima che gli venisse voglia di dare fuoco alla stanza: tutte le tonalità immaginabili delle tinte più vivaci possibili, e tutte apparentemente mescolate a caso. Uno dei plaid era di un arancione quasi luminoso; i cuscini erano rossi, turchesi, verde acido; le tende rosa acceso; le veneziane gialle. Davanti a una simile tavolozza variopinta, non si potevano rimproverare gli avi alle pareti per l’espressione altera e sprezzante che sfoggiavano: con la pelle giallognola e i colori spenti, in quella sala apparivano fuori posto, e Simon si identificava con loro più che con i vivi lì presenti.

Posò la foto del matrimonio sulla mensola del caminetto. Paula non ci fece caso, stava guardando il marito con languida ammirazione. «Dovrebbe stare a sentire Fergus sul tema dei fotografi», disse. «Lui non li sopporta, perciò sono banditi da questa casa. Rendere felice mio marito è il mio nuovo lavoro a tempo pieno. Lo prendo molto sul serio, proprio come facevo con l’attività politica.»

«È vero», confermò entusiasta Fergus. «Lei è molto coscienziosa.»

Paula fece una risata che durò parecchi secondi più del necessario.

Mentalmente, Simon voltò le spalle all’allusione al sesso e alla risatina maliziosa. Non capiva perché non ci si potesse comportare da persone adulte, specie quando c’era in visita la polizia. Lui avrebbe avuto un atteggiamento diverso se fosse stato il proprietario di una vecchia fattoria di otto stanze con cinquanta ettari di terreno nel Buckinghamshire. Sperava che la sua espressione severa e l’assenza di reazioni chiarissero a Preece e a Paula che si trovava lì per uno scopo più serio che ridacchiare per battutine a doppio senso, sebbene fosse evidente dai loro modi affabili e disinvolti che i coniugi erano abituati a dettare i temi della conversazione, non certo a lasciarla gestire a un uomo la cui unica proprietà di un certo rilievo consisteva in una casetta a schiera gravata da ipoteca.

«Essere una brava moglie è così rilassante rispetto alla politica», osservò Paula a voce talmente alta da far sobbalzare Simon. «Dio, come sono contenta di esserne uscita! Sono scappata al momento giusto: la vita dei parlamentari diventerà sempre più dura. Di questi tempi la gente vuole odiare i politici. Sono stufa di sentir parlare di sfiducia, disillusione... mugugni e cosa si potrebbe fare al riguardo e bla bla bla. Gli elettori non vogliono una classe politica in cui credere. Dio non voglia che si abbandoni un sano cinismo! Meglio un gruppo di fessacchiotti che facciano da capro espiatorio, buoni come oggetto di scherno. Troverebbero il modo di odiare chiunque, alle prime avvisaglie di un programma politico steso senza tenere conto esclusivamente dei loro interessi di parte.»

«Questo è il concetto che ha mia moglie del lasciarsi alle spalle tutti quei pasticci della politica», disse Fergus facendo una risatina. «Lo vede, no, quanto è distaccata, agente Waterhouse? Oh, non potrebbe importarle di meno! È per questo che sta tutto il santo giorno su Twitter: Cameron di qua, Clegg di là...»

Paula sorrise. «Temo di avere una grave dipendenza da Twitter», ammise. «E naturalmente la politica è ancora al centro dei miei interessi e lo sarà sempre.» Con tutt’e due le mani tirò su i folti capelli castano scuro per poi lasciarli ricadere sulle spalle, buttando indietro la testa. Simon ebbe la sensazione che con quel gesto gli stesse offrendo l’opportunità di notare che era una donna stupenda. Una volta tanto, quando Charlie gli avrebbe chiesto: «È bella?», come faceva per ogni donna che lui incontrava, avrebbe potuto dare una risposta netta: Paula Riddiough era la donna più bella che avesse mai visto da vicino. Attraente in modo addirittura sovrumano, persino con quei jeans sciatti e una maglietta che sembrava da uomo, chiaramente vecchia di anni. Era un po’ come stare in una stanza con un’aliena; a Simon sembrava di non appartenere alla stessa specie ed era ansioso di sottrarsi a quelle sensazioni di inadeguatezza il più in fretta possibile. Prima, però, aveva delle domande da fare. Iniziare dai matrimoni passati e presenti di Paula era stato un errore: non aveva messo in conto che quell’argomento sarebbe inevitabilmente sfociato nelle reminiscenze sentimentali e nelle fotografie da mostrare. E adesso era ansioso di recuperare il tempo perduto. «Ci mettiamo comodi?» propose. «Ho ancora parecchie cose da chiedere.»

Paula si strinse nelle spalle. Si avvicinò al divano dove dormivano i due cani e andò ad appollaiarsi a gambe incrociate sul grande bracciolo rettangolare, in una posa che suggeriva l’idea della levitazione. Fergus la seguì, sistemandosi più convenzionalmente su un cuscino della seduta, fra la moglie e i cani.

«Domandi pure», disse Paula.

Simon per un attimo fu distratto dalla varietà di colori delle unghie dei piedi di Paula: rosso, rosa, verde, blu, argento; su tutti e due i piedi, ma con variazioni nella sequenza. «Dove si trovava lunedì mattina fra le otto e trenta e le dieci e trenta?» chiese poi.

«Nel Surrey, stavo portando a passeggio i cani nell’Hankley Common. Eravamo a casa delle nostre amiche già dalla sera prima. Le servono i dati per mettersi in contatto con loro?»

«Sarebbe utile, grazie.»

«Stephanie Coates e Eva Patterson», rispose Fergus. «The Old Butchery, Elstead. Le trova sull’elenco telefonico.»

Simon prese nota. «Grazie. Signora Riddiough, avrei bisogno di...»

«Signora Preece», lo corresse Paula con un sorriso.

«Avrei bisogno di farle alcune domande molto personali. È sicura che non preferirebbe parlarne in privato?»

«Ne stiamo già parlando in privato, e, la prego, mi chiami Paula. Fergus è mio marito e questa è la nostra casa. Sono contenta che lui senta tutto quello che ci diciamo. Immagino che prima di tutto vorrà sapere se io e Damon Blundy avessimo una relazione.»

«Perché pensa che voglia chiederle questo?»

Lei fece un largo sorriso. «Perché lo fanno tutti da quando è iniziata la mia guerra pubblica con Damon. Un sacco di gente pensava che saremmo stati la coppia perfetta: tutti e due belli, tutti e due vergognosamente smaniosi di farsi pubblicità. C’era da ridere. L’odio reciproco era palese, ma figuriamoci se bastava quello a dissuaderli! Volevano vedere a tutti i costi un’attrazione sessuale dove non esisteva affatto.»

«Sicché ha intenzione di rispondere alla domanda?»

«Credevo di avere già risposto, ma se vuole glielo ripeto in termini più espliciti: no, non sono andata a letto con Damon Blundy. Mai. Non avevamo una relazione.»

«Eppure lei lo ha incontrato almeno due volte», obiettò Simon. «Il 26 ottobre e l’11 novembre del 2011.»

«L’ho incontrato soltanto due volte.»

«In quelle due date, giusto?»

«Non ricordo. Non si è messo in contatto con Gemma, la mia assistente?»

«Sì, e queste sono le date che mi ha comunicato.»

«Allora è così.» Nella voce di Paula Simon percepì una sfumatura dura che prima non si sentiva. Fergus Preece avrebbe potuto essere lo spettatore di una partita a tennis; non faceva che girare la testa a destra e a sinistra, ora guardando la moglie, ora guardando Simon, a seconda di chi stava parlando. Se non avesse prestato attenzione, avrebbe rischiato di slogarsi il collo.

«Penso che lei non sia stata del tutto sincera con me», disse Simon. «Ha affermato di non ricordare con esattezza le date degli incontri con Damon Blundy, ma io non credo che abbia dimenticato di avere preso accordi con lui per l’appuntamento dell’11 novembre del 2011. Soprattutto in considerazione del fatto che l’orario era le undici e undici minuti.»

«Ah sì!» Paula rise. «È vero. Be’, lei si sbaglia, perché me n’ero proprio dimenticata, come si è appena visto. Non me lo ricordavo finché non l’ho sentito dire da lei.»

Simon si concesse qualche attimo per riflettere sulla mossa successiva. La negazione recisa e spavalda della verità era il genere di insincerità più difficile da demistificare. «Sto cercando di immaginare la conversazione che deve essersi svolta fra lei e Blundy. Uno dei due avrà proposto di estendere il tema dell’11 dalla data all’ora. Sembrerebbe un dialogo memorabile e un altrettanto memorabile appuntamento da segnare sull’agenda. Quanto spesso si possono fissare date e ore come quella? Una volta all’anno al massimo? Quest’anno non è proprio possibile, no? Non esiste il tredicesimo mese.»

«Giusta osservazione», intervenne Fergus. «Vediamo un po’, una combinazione analoga non si potrà realizzare di nuovo fino a...» Si interruppe, grattandosi la testa. «Boh», concluse.

«Fino al primo gennaio del 2101», disse Paula. «Per quella data avremo seguito tutti le orme di Damon Blundy e saremo scivolati nell’oblio. Un pensiero sconfortante.»

Simon era fermamente deciso a non lasciarsi fuorviare. «Ha incontrato Damon Blundy solo due volte, ha detto. Una delle quali è stata alle undici e undici dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese dell’undicesimo anno del secolo, e si aspetta che io creda che questo dettaglio le fosse uscito di mente?»

Inclinando la testa di lato, Paula posò su di lui uno sguardo ancora più condiscendente di quelli che l’Omino di neve fosse mai riuscito a produrre. «Agente investigativo Waterhouse, quando ero in parlamento i dettagli che mi uscivano di mente erano più di quelli che si fissavano, se non riguardavano il lavoro. Il lavoro occupava i miei pensieri al punto da escludere tutto il resto. Il mio povero figlio non ha mai avuto tutto ciò che gli serviva per la scuola; le calze pulite erano sempre quelle spaiate; non pagavo in tempo le bollette; i lavori di casa non si facevano; trascuravo mio marito...» Scrollò le spalle, come a dire: “Eccoti dimostrata la mia affermazione”.

«Ma i mariti di parecchie altre donne non li ha trascurati», non resisté a farle notare Simon.

«Sì, invece!» Paula sogghignò. «Quelle storie erano un sottoprodotto dello stress che mi causava il lavoro e quindi, sì, ho totalmente trascurato quegli uomini. Era talmente assorbita dal lavoro che non avevo né testa né cuore per una relazione, figuriamoci poi per diverse relazioni in concomitanza tra loro. Senza rendermene conto, ero pericolosamente vicina alla sindrome da burnout nella sua forma più grave. Sono stata una sciocca finché Fergus non mi ha salvato, agente Waterhouse. Una sciocca molto brillante, con tanto di laurea e dottorato, ma nondimeno una sciocca. Non so dirle quanto io sia più felice adesso.» Fergus le diede una strizzatina sulla coscia con le dita nodose. Paula gli accarezzò il dorso della mano guardandola con un sorriso, come se fosse il cagnolino preferito che le era saltato in grembo. Nel frattempo il più grosso dei due cani si era messo a russare.

A Simon era ormai chiaro che Paula non si sarebbe scomposta, qualunque cosa lui dicesse. La recitazione era brillante, la battuta giusta arrivava al momento più opportuno. E lui continuava a non crederle. «Va bene, allora mi parli di lei e Damon Blundy. So che lui usava il suo blog e la sua rubrica per attaccarla, e che a volte lei ha risposto agli attacchi. Perché quei due incontri?»

«Entrambi dietro mia sollecitazione», rispose Paula. «Le cose che Blundy scriveva di me sul giornale mi ferivano davvero, e ferivano ancora di più Toby, mio figlio. Era questo che non potevo accettare supinamente. A scuola lo punzecchiavano oppure lo compativano per avere la madre peggiore della nazione. Così ho scritto un’e-mail a Damon per chiedergli, nel modo più gentile e educato possibile, di smetterla. Lui ha detto che non era disposto a discuterne per e-mail. Se volevo parlarne dovevo incontrarlo personalmente e mi ha comunicato dove e quando. Non c’è stata una fase di consultazione: il suo era un ordine. Mi sono recata all’appuntamento, ho cercato di essere il più ragionevole e diplomatica possibile, ed è andata meglio di quanto mi aspettassi, tanto che pensavo di avere raggiunto un accordo affinché lui la smettesse. C’era solo un problema.»

«Che lui non ha smesso?» buttò lì Simon.

«Centrato in pieno. Anzi, gli attacchi contro di me sono via via aumentati, sul blog, su Twitter. Perciò ho ripetuto la procedura: gli ho mandato un’altra e-mail chiedendogli di farla finita, di nuovo. Lui ha finto di non essersi accorto di non avere smesso. Mi ha detto di portargli le prove di quanto sostenevo e poi mi ha convocato per un altro incontro. Questa volta ha decretato che si sarebbe tenuto l’11 novembre alle undici e undici minuti. Faceva parte di un tentativo assurdo di umiliarmi. Per lei probabilmente non avrà senso, ma... era proprio quella la sua intenzione.»

Simon aveva capito cosa intendeva dire Paula. Sembrava plausibile e perciò non gli piaceva; mandava all’aria la sua teoria secondo la quale solo due amanti, o aspiranti tali, avrebbero stabilito di incontrarsi in quel giorno a quell’ora.

«Per Damon era uno spasso vedermi comportare in modo ridicolo. Non sarei dovuta andare all’appuntamento; avrei dovuto mandarlo al diavolo, che scrivesse pure tutto quello che voleva! Ripetere la stessa identica azione sperando che l’esito sia diverso dalla volta precedente rientra nelle definizioni comuni della pazzia, no? Mi aveva detto che se fossi arrivata alle undici e dieci o alle undici e venti se ne sarebbe andato. Se volevo parlare con lui dovevo spaccare il minuto. Che assurdità!» Paula scompigliò i capelli di Fergus. «Se solo avessi conosciuto prima Fergus... Tu non mi avresti permesso di assecondare Damon Blundy e il suo egocentrismo, vero, caro?»

«L’avrei sistemato io», rispose Fergus. «Non ho mai conosciuto un uomo che si comportasse in quel modo. Chissà cosa credeva di fare.»

Se tra Paula e Blundy ci fosse stato un legame sentimentale, o anche solo una storia di sesso, lei non sarebbe stata visibilmente turbata o scossa? E se invece erano stati davvero nemici, come asseriva Paula, non avrebbe dovuto essere più arrabbiata mentre raccontava il modo in cui lui l’aveva tormentata? Non avrebbe dovuto essere contenta della sua morte? Simon trovava irritante quel suo inattaccabile buonumore.

«Allora com’è andato il secondo incontro?» chiese.

«Esattamente come il primo. Damon è stato affascinante. Dopo essersi scusato per non avere mantenuto la parola la volta precedente, ha promesso di nuovo di non farmi più il pelo e il contropelo nei suoi articoli, ma erano tutte bugie. L’ha fatto ancora, ancora e ancora, fino a quando è morto.» Paula abbassò lo sguardo sull’anello di fidanzamento e la fede. Li aggiustò rigirandoli intorno al dito. «Perlomeno dopo la seconda volta mi sono fatta furba, mi sono guardata bene dall’appellarmi ancora al suo lato umano. Avevo capito che non lo aveva.»

«Era una bestia», disse Fergus. «Vero, Scappatoia?»

Simon non comprese subito che Fergus si era rivolto al cane più grosso, a cui stava accarezzando un orecchio ora che si era svegliato. Scappatoia? Strano nome per un cane. Ma perlomeno non era il nomignolo con cui Fergus chiamava Paula, come aveva creduto sul momento. «C’è qualcuno che la chiama Riddy?» chiese a Paula.

«Non più», rispose lei. «Era il mio soprannome a scuola. Perché?»

«La password del computer portatile di Damon Blundy era Riddy111111.»

«Davvero? Non mi stupisce. Quell’uomo era ossessionato da me.»

«Il buffo è che adesso è anche il nomignolo di Toby nella sua nuova scuola», disse Fergus. «Riddy! E per pura coincidenza, visto che alla Ashfold nessuno sa che un tempo chiamavano così Paula.»

«Ashfold?»

«Oh, ci siamo!» Negli occhi di Paula passò un lampo di collera. «Sì, Ashfold: una scuola privata a pagamento. Perché ho iscritto lì mio figlio togliendolo da una scuola pubblica? Sono affari miei e non la riguardano. Toby non poteva restare nell’altro istituto dopo che siamo venuti ad abitare qui da Fergus. Se proprio ci tiene a saperlo, ho deciso che Damon aveva ragione, solo ed esclusivamente su questo punto. In effetti... se posso permettermi quanto c’è di meglio per l’educazione di mio figlio, è mio dovere offrirglielo, no?»

«Il cognome di suo figlio è Riddiough, quindi?» si informò Simon. «Non Crumlish, come quello del padre?»

«Vedo che ha fatto i compiti a casa. Sono lusingata.» Paula sorrise. «Il nome di mio figlio è Toby Crumlish-Riddiough.»

“E lo avevi mandato in una scuola pubblica di Combingham illudendoti che sopravvivesse al primo giorno?” Riddy111111. Possibile che quel Riddy della password di Damon fosse Toby? «Come faceva Damon Blundy a sapere come la chiamavano ai tempi della scuola?»

«Buona domanda», approvò Paula. «Il suo hobby era scavare un po’ dappertutto in cerca di fango da buttarmi addosso. È probabile che abbia scovato una mia vecchia compagna e l’abbia saputo da lei.»

«Oppure aveva in mente Toby», ipotizzò Simon. «Ha portato anche suo figlio all’appuntamento con Damon dell’11 novembre 2011?»

«Naturalmente no. Perché avrei dovuto trascinare mio figlio a un incontro che si prospettava alquanto sgradevole?»

«In presenza di Blundy si è mai riferita a Toby chiamandolo Riddy?»

«No. E poi... Damon non era abbastanza interessato a Toby da ispirarsi a lui per una password», rispose Paula. «Damon era uno di quegli uomini senza figli per i quali i bambini sono quasi inesistenti. Quando ho cercato di spiegargli quanto male facessero a Toby i suoi attacchi contro di me, si è messo a ridere e ha detto: “Compragli un pacchetto di confetti di cioccolato e vedrai che gli passa”. E ha avuto il coraggio di darmi della cattiva madre, di accusarmi di avere a cuore soltanto la mia carriera e la mia vita sessuale! Se conto le volte che ho fatto sesso da quando è nato Toby e le confronto con le volte che ho letto e riletto Pesciolino e Gruffalò – i libri che preferisco al mondo! – le assicuro che è il sesso che perde!»

«Paula è una madre meravigliosa», dichiarò Fergus con voce altisonante.

«Grazie, caro», disse Paula scompigliandogli di nuovo i capelli.

“Una mamma eccezionale per chi”, si chiese Simon, “per Toby o per Fergus?” C’era un che di materno nella tenerezza con cui guardava il marito.

«Vi ringrazio per la pazienza, tutti e due.» Simon si alzò in piedi. «Adesso tolgo il disturbo, ma probabilmente ritornerò.»

«Quando vuole.» Paula si alzò a sua volta. «L’accompagno alla porta, non vorrei che si perdesse per strada. Qui è una specie di labirinto. Vieni anche tu, Scappatoia? Brava bambina! Tesoro, non è che potresti mettere su il tè? Direi che una tazza ce la meritiamo, per avere superato il nostro primo interrogatorio da parte della polizia!»

Simon non avrebbe detto di no a una tazza di tè, ma l’offerta non era mai arrivata.

Lui, Paula e il cane si avviarono in fila verso l’ingresso. Contro ogni parete era appoggiata una montagnetta di vari oggetti: biciclette, stivali di gomma, un innaffiatoio, due latte di vernice. Non era Dulux Ruby Fountain 2, notò Simon. Vide due barilotti di birra, una carriola e svariati contenitori di plastica trasparente con il coperchio blu. Tutta quella roba quasi dimezzava lo spazio utilizzabile. Era l’equivalente domestico di un’arteria ostruita.

Arrivati alla porta, Paula disse: «Ho bisogno di venire da voi. A Spilling».

Era un’inequivocabile ammissione.

«Per dire quello che ha dovuto tacermi in presenza di suo marito?» le domandò Simon.

«Le andrebbe bene lunedì mattina alle dieci? Oppure martedì pomeriggio; al mattino ho un altro impegno nella Culver Valley, quindi sarò già da quelle parti. No, anzi: facciamo lunedì mattina alle dieci e dieci. Sembra un’ora appropriata, non le pare? E poi mi fermerò a dormire da qualche parte per il meeting di martedì mattina.»

«Direi piuttosto alle dieci in punto», replicò Simon, a disagio.

«E io insisto per le dieci e dieci.» Paula inarcò un sopracciglio con aria di sfida. «Se non altro per dimostrarle che due persone possono vedersi a un’ora stupida senza avere per forza una relazione clandestina.»

Charlie sorrise sentendo la voce di Simon chiedere: «Che c’è?». Sembrava scocciato. Di norma non rispondeva quando lei gli telefonava; preferiva farla rinunciare e richiamare lui dopo.

«Indovina cosa ho appena trovato sulla mia scrivania, lì ad aspettarmi.»

«Cosa?»

«Le copie del referto del medico legale, il rapporto della Scientifica sulla scena del crimine...»

«Damon Blundy?» disse Simon parlandole sopra.

«...la conferma degli alibi di parecchie persone: Rabbi Fedder, Verity Hewson, Abigail Meredith, Richard Crumlish, Lee Redgate, Nicki Clements e la vicina di casa di Damon Blundy, quella con la figlia a cui secondo Blundy bisognava tagliare il lobo dell’orecchio. Già, sto parlando di Damon Blundy. Gentili a includere anche me, vero? Non so chi sia stato, ma ha spostato tutte le mie carte per fare posto, e qualcuna è caduta giù dalla scrivania.»

«Proust», affermò Simon.

«Oppure Sellers di cattivo umore. Per caso sai come gli vanno le cose?»

«Sì, e vorrei tanto non saperlo. Si merita il suo cattivo umore, e anche di peggio.»

«Raccontami», disse Charlie, avida.

«Dopo. Ora parliamo del referto del medico legale.»

«Sono tutte cose che sai già. Le vie respiratorie di Blundy sono state bloccate dal coltello e dal nastro adesivo insieme. È morto per soffocamento dopo essere stato tramortito con l’affilacoltelli. La lama era stata affilata sulla scena. Nessun’impronta identificabile nella stanza, a parte quelle di Blundy e della moglie. Alcune impronte di sconosciuti, com’era prevedibile.»

«Dunque, ricordami chi ha un alibi a prova di bomba: Rabbi Fedder, Nicki Clements...»

«Zerbino e Despota», concluse Charlie.

«Quindi restano fuori Keiran Holland, Bryn Gilligan e Melissa Redgate. Loro non hanno un alibi decente.»

«Anche Hannah Blundy.»

«Magari anche Reuben Tasker. Dipende da quello che sta dicendo a Gibbs in questo momento.»

«E Paula Riddiough?» domandò Charlie.

«Era da certe sue amiche. Non ho nessun dubbio, il suo sarà un alibi a prova di bomba, che abbia o no ucciso Damon Blundy.»

Charlie sorrise tra sé. «E così l’hai conosciuta?»

«Sono appena uscito da casa sua, qui a Buffler’s Holt.»

«Sembra il nome di un’arcana pratica sessuale.»

«Paula Riddiough nega di avere intrattenuto una relazione con Damon Blundy», disse Simon. «Sta mentendo.»

«Come fai a saperlo?»

«La faccenda degli undici. Il fatto che lui li ha scelti per la password.»

«Non sono sicura che basti questo...»

«Io sì», tagliò corto Simon.

Charlie non era in vena di farsi mettere sotto i piedi. «E io sono sicura che ti sbagli, a meno che Blundy non ne avesse due, di amanti», ribatté. «Sono convinta che fosse Nicki Clements ad avere una relazione con lui, e ho dei buoni motivi per crederlo. Tutto quello che hai tu, invece, è un incontro fissato per un’ora da “come siamo intelligenti”.»

«Sentiamo, allora.»

«La foto con le tette di fuori che si stava facendo Nicki quando Meakin le è spuntato davanti era destinata a un uomo che aveva conosciuto online su Intimate Links, un certo Gavin. Nicki mi ha detto di avere risposto al suo annuncio in febbraio, e sempre in febbraio ha smesso di mandare i suoi commenti ai pezzi scritti da Damon Blundy. Credo che la rottura tra loro sia avvenuta in quel mese. Lei è andata a cercarsi un nuovo amante online e ha trovato questo Gavin. E prima che tu obietti che si tratta di mere congetture, sì, so che lo sono. Proprio per questo ho fatto un po’ di ricerche qua e là per mettere alla prova la mia teoria. Ho scoperto alcuni fatterelli interessanti. Nicki e famiglia si sono trasferiti da Londra a Spilling lo scorso dicembre, e lo stesso aveva fatto Damon Blundy il 5 novembre del 2011...»

«Appena sei giorni prima dell’11 novembre 2011», la interruppe Simon. «Sicché Blundy è andato da Spilling a Londra per incontrarsi con Paula Riddiough sei giorni dopo aver compiuto il percorso inverso. Avrebbe fatto una cosa del genere se non avesse avuto una relazione con lei?»

«Simon.» Charlie rise. «Spilling è a un’ora di treno da Londra. È logico che facesse un salto a Londra per un incontro se doveva vedersi con qualcuno, che se lo scopasse o no.»

«Dici?» Simon era dubbioso. «Io non avrei voglia di rivedere il posto da cui mi sono appena trasferito. Non nell’immediato, almeno.»

«Sì, be’... ma tu sei un tipo strambo oltre che un eremita, no? Possiamo concentrarci su Nicki Clements? Come mai Nicki ha deciso di andare ad abitare a Spilling? Non per ragioni di lavoro: non lavorava allora e non lavora adesso.»

«Per il lavoro del marito, magari?»

«Ah! Me lo aspettavo. No. Adam, suo marito, a Londra faceva il tecnico informatico per l’esercito, che poi gli ha affidato un incarico nella Culver Valley. Solo che era stato lui a chiedere il trasferimento; me lo hanno detto loro a livello confidenziale: Adam sosteneva che sua moglie si era messa in testa di venire ad abitare da queste parti.»

«Questo non prova niente», obiettò Simon. «La Culver Valley è un bellissimo posto. Chi non vorrebbe vivere qui?»

Charlie rimase sorpresa. Non gli aveva mai sentito fare osservazioni del genere. Non aveva idea di come la pensasse Simon al riguardo; a parte il bisogno di avere ordine intorno, ovunque si trovasse, sembrava del tutto indifferente al paesaggio che lo circondava.

«Prova tanto quanto un incontro fissato per le undici e undici minuti», ribatté Charlie. «Ma sei vuoi conferme... Ho fatto un giro di telefonate agli agenti immobiliari della zona per vedere se qualcuno di loro era stato contattato da Nicki Clements. Se hai in mente di trasferirti in un’altra località del paese, probabilmente telefonerai a un’agenzia della zona prescelta per spiegare cosa stai cercando, giusto? Il trasferimento è avvenuto in tempi abbastanza recenti, perciò qualcuno poteva ricordarsi di lei. Purtroppo Nicki non è rimasta impressa a nessuno, ma ha poca importanza. Due diverse agenzie avevano ancora la lista delle preferenze di Nicki Clements nei loro computer. Indovina che richieste aveva fatto a entrambe le agenzie?»

«Vai avanti.»

«Una casa con quattro camere da letto a Spilling, a dieci, quindici minuti di distanza da Elmhirst Road, però non direttamente sulla Elmhirst e nemmeno troppo vicino.»

«Stai scherzando? Non può essere!»

Charlie non riusciva spesso a impressionare Simon, ma quando ce la faceva per giorni interi aveva la piacevole sensazione di brillare di luce propria. Era patetico e se ne rendeva conto. «Sul serio», disse. «Insomma, quale altra spiegazione potrebbe esserci se non che lei aveva una relazione con Blundy e desiderava stargli vicino ma non troppo? Non pericolosamente vicino a dove lui viveva con la moglie?»

«Se non fossi così sicuro che Blundy aveva una relazione con Paula Riddiough...» La voce di Simon si sentiva a malapena. Era un po’ come ascoltare i suoi pensieri più che le sue parole: idee abbastanza potenti da rendersi udibili, ma non più di tanto. «Era ossessionato da lei. Leggi i suoi articoli. Non faceva che parlarne. Una donna famosa quanto lui, di una bellezza spettacolare, un’egoista che adorava essere sotto i riflettori. Era perfetta per far coppia con Blundy. Senti, l’hai detto tu prima e forse non dovremmo trascurarlo: e se Blundy avesse avuto due relazioni? Paula Riddiough e Nicki Clements? Questo darebbe un movente per ucciderlo a tre donne: loro due e Hannah, la moglie.»

«Non è da escludere», convenne Charlie. «Per quanto riguarda Blundy, sono tentata di credere che qualunque cosa sia possibile, tanto era offensivo. Dovrai farti consegnare i telefoni e i computer di tutte le persone in questione: Paula Priv, Nicki Clements, lo stesso Damon...»

«Quelli di Blundy li staranno esaminando proprio in questo momento, mi auguro.»

«...Melissa Redgate, Keiran Holland e Reuben Tasker, se pensi che sia un candidato valido. Magari andava a letto anche lui con Damon Blundy.»

Silenzio. Poi Simon disse: «È un’idea interessante. Paula Riddiough e Reuben Tasker... Paula, Reuben...».

«Cosa? Pensi che Blundy potesse essere bisessuale e avesse una relazione con loro due?»

«No. Per niente.»

Era inutile aspettare una spiegazione del motivo per cui, in quel caso specifico, Simon aveva trovato interessante l’idea, a meno che Charlie non avesse intenzione di stare seduta per una settimana intera con il telefono premuto contro l’orecchio.

«Sai cosa mi intriga di più in questa storia?» disse Simon. «La sequenza temporale. È successo tutto a distanza così ravvicinata... Blundy scrive per la prima volta su Paula Riddiough nel settembre del 2011. La incontra due volte: una in ottobre e l’altra nella prima metà di novembre. Sempre nella prima metà di novembre da Londra va ad abitare a Spilling, poi alla fine del mese conosce Hannah, la sua seconda moglie. Più o meno nello stesso arco di tempo – settembre, ottobre e novembre 2011 –, mentre Blundy è occupato a guadagnarsi nemici come Reuben Tasker, Keiran Holland e Bryn Gilligan, Nicki Clements decide di scrivere regolarmente dei commenti ai suoi articoli. Un lasso temporale così breve e così fitto di eventi che vedono coinvolti così tante figure interessanti per noi. Dobbiamo scoprire l’elemento che unisce tutte queste persone.»

Charlie sorrise al telefono. «Questa è la vita. Eventi che si susseguono in continuazione. Non ho capito bene cosa ti insospettisce, però.»

Simon sbuffò, insofferente. La frustrazione sul lavoro lo rendeva più irragionevole; si aspettava che Charlie sapesse cosa aveva in testa senza doverglielo dire esplicitamente. «Paula Riddiough ha sposato Fergus Preece nel gennaio di quest’anno. Lo conosceva solo dall’agosto del 2012. L’11 novembre del 2011 era ancora infelicemente sposata con Richard Crumlish. Nel novembre del 2011 Damon Blundy era single e disponibile. Se lui e Paula si erano innamorati, perché non si sono sposati?»

«Perché in realtà non si erano innamorati e sei tu che te lo inventi?» ribatté Charlie. «Quei due si odiavano. Se ami qualcuno non lo fustighi in continuazione nei tuoi articoli sul giornale.»

«Ecco cos’hanno in comune Paula Riddiough e Reuben Tasker», disse Simon. «Lo sapevo che c’era qualcosa. Tutti e due hanno pubblicamente attaccato Damon Blundy. Perché lui aveva attaccato loro.»

La voce di Simon stava diventando più forte. A Charlie sarebbe piaciuto capire cosa lo stesse entusiasmando tanto.

«Posso farti una domanda molto personale?» chiese lui.

«Direi di sì, Siamo marito e moglie, perciò... spara», gli rispose. “E io cercherò di dimenticare questa domanda estremamente impersonale che mi hai appena fatto.” A volte era difficile non perdere le speranze.

«Perché stai con me anche se ti ferisco?»

«Cosa?» Charlie spinse indietro la sedia. «No che non mi ferisci. Non deliberatamente, almeno. Cosa vorresti dire?»

«Be’, ferire è la parola sbagliata. Ma... prima, quando ti ho telefonato per dirti di scoprire se e come guida Melissa Redgate... sapevo di non avere il diritto di chiedertelo. Cercavo lo scontro, in modo che finisse.»

«In modo che finisse cosa? Il nostro matrimonio?» replicò Charlie. “Un giorno lui vorrà dire proprio questo. Oggi no, se sono fortunata.”

«No, lo scontro», rispose Simon.

«Cercavi lo scontro per mettere fine allo scontro?» gli chiese. “Non dare mai per scontata l’interpretazione delle parole di Simon. Persino quando appare ovvia.”

«Credo di sì.» Sembrava incerto. «Lo faccio spesso, vero? Ti provoco sapendo che partirai al contrattacco, perché voglio essere perdonato. È questo che mi piace, non lo scontro fine a sé stesso... Quello non mi attira allo stesso modo.»

«Mmm.» Charlie considerò la possibilità di registrare tutti i discorsi con Simon a partire da quel momento, in modo da farli ascoltare a uno strizzacervelli in un futuro prossimo. «Be’, io non ho mica contrattaccato, no?»

«Litigare e poi perdonarsi reciprocamente: è questo che fanno le coppie normali», disse Simon. «Credo che mi piaccia perché mi dà la sensazione che siamo un po’ più normali.»

«Sul serio? Non sono sicura che noi due saremo mai normali, ma chi se ne importa? Meglio un matrimonio anormale con te che uno normale con qualcun altro.»

«Non hai capito cosa intendevo dire. E se Paula Riddiough e Damon Blundy si fossero amati e avessero voluto stare insieme, ma per una ragione qualsivoglia non avessero potuto farlo? Siccome non possono avere una relazione vera e propria, si attaccano reciprocamente sui giornali e online, in modo da avere almeno una delle cose tipiche delle coppie vere e proprie: la possibilità di ferirsi e perdonarsi l’un l’altra, all’infinito. Non è uno stare insieme vero, però li fa sentire più vicini.»

«Okay, adesso sì che mi hai ferito», disse Charlie pacatamente.

«No, non volevo...» Simon si interruppe. «Non prenderlo nel modo sbagliato.»

«E tu non presentarmelo nel modo sbagliato! In pratica mi hai appena detto che ferirmi e poi essere perdonato ti piace perché noi due non siamo veramente uniti e quindi è il massimo che puoi sperare.»

«Io stavo parlando di Paula Privilegio e Damon Blundy.»

«Non solo di loro. Prima avevi detto...»

«Non mi metterò a litigare con te adesso, Charlie. Volevo solo dire che quegli alti e bassi emozionali – aggressione, perdono, aggressione, perdono – sono una forma della passione amorosa, giusto?»

Charlie non rispose.

«Ho bisogno che tu scopra qualche altra cosa per me», aggiunse Simon.

«No.»

«Scopri se Adam Clements, il marito di Nicki, ha un alibi per lunedì mattina. E poi ti ricordi che ti avevo chiesto di verificare se Melissa Redgrave ha una macchina e di informarti sulle sue abitudini di guida? Non domandarlo a Melissa, domandalo a Nicki Clements. Fammi sapere come reagisce. E poi...»

Charlie si perse la fine della frase. “Capita, se sbatti giù il telefono”, pensò. “Be’, pazienza.”

Cliccò sull’icona di Safari sullo schermo del computer e, quando si aprì la finestra del browser, digitò «Intimate Links» nel campo di ricerca. Le era venuta un’idea. Anzi, in realtà due. Poteva mettere un annuncio per un nuovo marito: doveva essere un detective geniale, di un’insensibilità allucinante e sempre mal vestito, però – ed era la qualità più importante – sessualmente disinibito.

E... Oppure...

Poteva scrivere e postare un annuncio che avesse un senso solo per l’assassino di Damon Blundy o per chi sapeva qualcosa sull’omicidio. Proust e gli altri alla centrale avrebbero scoperto che era stata lei a scriverlo? Difficile a dirsi. Era improbabile che l’annuncio intercettasse qualche informazione utile, ma un tentativo valeva la pena di farlo. E di farlo senza il permesso di Simon... Sarebbe stato divertente quasi quanto l’annuncio per un marito più arrapato e meno pernicioso per la solidità di un matrimonio.

Nel sito, la sezione «Uomini che cercano donne» era il posto giusto per piazzare l’annuncio. Hannah Blundy, Melissa Redgate, Nicki Clements e Paula Riddiough erano tutte donne. Se andavano su Intimate Links, c’era qualche possibilità che arrivassero proprio su quella pagina.

L’avrebbero guardata, però? Impossibile saperlo. In passato Nicki e Melissa l’avevano guardata...

Era la più azzardata delle scommesse azzardate, tuttavia Charlie era del parere che meritasse un tentativo. Era in vena di battere nuove strade... E – sì – era una cosa che non avrebbe dovuto fare: rischiosa e tassativamente vietata.

“Al diavolo Simon.”

Cliccò su COMPONI UN ANNUNCIO PERSONALE e apparve una nuova finestra. Nel campo dell’oggetto scrisse: «Cerco una donna con un segreto», e le venne da sorridere. Se la stava spassando.

«Suo padre era veramente un giocatore d’azzardo di professione?» chiese Gibbs a Reuben Tasker, posando lo sguardo sul profilo dell’autore nel risvolto di copertina di Brama e avversione. «Cioè, era il lavoro che faceva ogni giorno?»

Erano all’ultimo piano della casa, nella mansarda dove Tasker scriveva i suoi libri. La giornata era piuttosto calda, ma lassù si soffocava addirittura. Nonostante ciò Gibbs avrebbe voluto che Tasker si infilasse una camicia. La vista del suo torace nudo gli risultava sgradevole. Eppure Tasker era pulito, non palesemente fatto di droga e fino a quel momento – se si escludeva l’iniziale rifiuto di aprirgli la porta – era stato cortese e sciolto nel parlare.

Nella stanza dove scriveva non c’erano altro che libri e, proprio sotto l’abbaino, una scrivania con davanti una sedia rigida, ad angolo retto. Niente cuscino. Il resto dello spazio era consegnato al vuoto; un vuoto che altri avrebbero riempito con un paio di poltrone o con un grande televisore che magari servisse anche per la PlayStation. Sulla scrivania stavano, uno di fianco all’altro, il computer e la stampante. Niente lampade, niente quadri né tappeti né piante. Solo piastrelle di sughero sul pavimento, pareti bianche con qua e là macchie marroni dovute a infiltrazioni d’acqua e la postazione di Tasker per la scrittura. Gibbs aveva visto celle di prigione più accoglienti.

Un neon a soffitto mandava una luce abbagliante. Il vetro della finestra era ancora completamente ricoperto di fogli di carta neri.

«Per mio padre il gioco d’azzardo era un lavoro da fare di notte, più che di giorno», rispose Tasker, in piedi davanti a una parete piena dei suoi libri, come minimo in diciassette lingue. «Mi ricordo che andava a lavorare quando mia mamma mi metteva a letto e tornava a casa quando lei mi dava la colazione. Questo prima che ci abbandonasse, quando avevo undici anni.»

Gibbs diede un’altra occhiata alla biografia dell’autore. «Per “una cantante jazz afroamericana che fu arrestata nel 1983 per il rapimento e l’omicidio di un bambino, e prosciolta da ogni accusa una settimana dopo”? Davvero?»

«Davvero.» Tasker incrociò le braccia, come in attesa di essere sfidato. «Lei non c’entrava con l’omicidio del ragazzino, anche se a me e alla mamma avrebbe fatto molto piacere il contrario. Nei miei romanzi è tutto vero. Persino la finzione è vera; più della realtà, a volte.»

«Non lo metto in dubbio. È solo che... non avevo mai letto delle Notizie sull’autore come queste.» Prima di Olivia, di Notizie sull’autore Gibbs non ne aveva letta nemmeno una, punto. In tempi più recenti, in compagnia di Olivia aveva leggiucchiato questo e quello, però quasi mai un libro tutto intero. Di tanto in tanto Liv gli appioppava dei romanzi, ma in genere bastavano i titoli a tenerlo lontano: I leopardi con gli ombrelli rosa, Il biografo del cartografo... Gibbs non capiva perché gli autori dovessero scegliere dei titoli che ti annoiavano prima ancora di avere aperto il libro. Era da idioti. «Lei è stato arrestato per taccheggio all’età di tredici anni e, dopo avere dato false generalità, è scappato dalla stazione di polizia?» chiese. «Ha vissuto per tre settimane sulla barca del datore di lavoro di sua madre e lui non se n’è mai accorto?»

Tasker annuì. «Mi chiedo spesso come mai le biografie di altri autori siano così piatte», rispose. «Le cose interessanti capitano a chiunque, e allora perché non raccontarle se stai scrivendo di te qualcosa che leggeranno in tutto il mondo? Il dato meno interessante sul mio conto è che ho quarantasette anni e vivo con mia moglie a King’s Lynn, per cui non mi prendo neanche la briga di accennarlo.»

«Per il prossimo libro potrebbe rendere più pepata la sua biografia aggiungendo che ha ucciso Damon Blundy», suggerì Gibbs. “Non professionale. ’Fanculo.”

«Solo che non sarebbe la verità. Blundy è stato assassinato lunedì mattina, no? Io ero qui a casa, con Jane.»

«Non lavora, Jane?»

«Lavora per me.»

«E cosa fa?»

«Amministrazione. Tenere lontano gli scocciatori, principalmente. Rispondere a un’infinità di e-mail. Se lo facessi io, non riuscirei a buttar giù neanche una riga dei miei romanzi. Non le e-mail dei lettori», chiarì Tasker. «A loro rispondo sempre personalmente, anche se mi stroncano, come a volte succede. Jane tratta con il mio agente, si occupa dei festival, dei media, del commercialista, nonché dei viaggi e delle prenotazioni degli alberghi se devo partecipare a qualche evento. Tutte le incombenze pratiche, insomma.»

“Tutte le incombenze noiose.” La moglie era la sua schiavetta, che sgobbava per promuovere la produzione del marito. Invece di interessi propri, di natura personale o professionale, aveva scelto di dedicarsi anima e corpo a facilitare la vita a Tasker. Quante probabilità c’erano che dicesse: «No, Reuben, non mentirò per te alla polizia fingendo di essere stata in casa con te lunedì mattina»? Non molte, concluse Gibbs.

«Tenga.» Tasker gli porse una copia di Brama e avversione. «Questo è il mio romanzo che ha vinto il Premio libri che migliorano la vita. Secondo Damon Blundy è una pretenziosa montagna di stronzate. Magari lei sarà d’accordo, o forse no. In ogni caso mi interesserebbe sapere che cosa ne pensa.»

Gibbs balbettò un goffo ringraziamento. Liv lo aveva letto dopo che aveva vinto quel riconoscimento. A suo parere era «spettacolare» e non bisognava assolutamente dare retta a Damon Blundy e ai suoi giudizi da filisteo. Quando Gibbs le aveva spiegato che a scoraggiarlo non era tanto il disprezzo manifestato da Blundy, quanto piuttosto la possibilità che Tasker fosse un sadico assassino, Liv aveva alzato gli occhi al cielo. «È soltanto un sospettato, Chris», aveva detto. «Uno dei tanti. E comunque devi sempre tenere ben distinta l’arte dall’artista. Ma sai, ora che ci penso... mi sembra altamente improbabile che l’autore di un libro come Brama e avversione sia un assassino. Davvero, dovresti provare a leggerlo. Non fare quella faccia! Mica ti sto dicendo di sposarlo!»

Il matrimonio. Perché aveva tanta importanza? Per lui e per sua moglie, per Liv e suo marito... Non era che una parola accompagnata da un certificato.

“Non dovrebbe significare nulla, e spesso è proprio così. Eppure, ancora adesso, significa tutto”, rifletté. «Quando e dove vi siete conosciuti lei e Jane?» domandò.

«Che importanza ha? In qualche momento, da qualche parte.» Tasker sembrava annoiato. Deluso, come se avesse sperato in una domanda più interessante. «Io probabilmente ero strafatto. No, lo ero senz’altro», si corresse. «Anche se con quella roba ho chiuso.»

«Che cosa, la cannabis?» Gibbs era stupito. «Non ne fa più uso?»

Tasker era contrariato. «Non lo sapeva? Ecco, vede, questo dimostra che il fango ti resta appiccicato addosso. L’ho scritto sui blog, l’ho detto nelle interviste, ma una volta che ti hanno additato al pubblico per quello che hai fatto – non importa cosa, che sia fumare erba o pedofilia – quell’etichetta non te la togli più di dosso. Sei marchiato per l’eternità. Grazie a Damon Blundy, per il resto della mia vita sarò conosciuto come Reuben Tasker l’incallito fumatore d’erba.»

«Cosa pensa della morte di Blundy?»

Sulla faccia di Tasker comparve un flebile sorriso. «Penso – e non so dirle quanto sinceramente lo senta dentro di me – che non me ne preoccuperò più del dovuto. Un mucchio di persone soffre in modo orribile senza meritarlo, e la mia pietà la riservo per loro.»

Gibbs aveva già sentito altre volte esprimere quel genere di sentimento. Lo capiva e immaginava di provarlo anche lui, ma in bocca agli altri sembrava sempre sbagliato. Era davvero così difficile provare un po’ di pietà per chi moriva di morte violenta, a prescindere dall’antipatia che poteva suscitare da vivo?

«Suppongo che per una cosa, una sola, dovrei essere grato a Damon Blundy», continuò Tasker. «Se non avesse scritto del mio consumo abituale di droga, dubito che avrei avuto un motivo per smettere. Tutta quell’attenzione mi aveva mandato in paranoia. All’improvviso in tutti i maledettissimi media non si faceva che discutere sul fatto se io meritassi o no di tenermi quel premio letterario, dal momento che avevo scritto il romanzo sotto l’effetto di sostanze illegali. Era follia pura. Su Facebook, e anche a casa, ricevevo lettere piene di odio. Una donna il cui figlio era morto per un’overdose di eroina mi ha scritto per comunicarmi che aveva bruciato tutti i mie libri in giardino. Pazzesco!»

Gibbs attese.

Alla fine Tasker disse: «Ma... be’, dopo che hai letto abbastanza tweet, commenti online e lettere che parlano di te come di un drogato, è piuttosto difficile non giungere alla conclusione che lo sei e che esserlo magari non è proprio l’ideale. Jane era preoccupata già da un po’ di tempo per la mia salute e per la mia capacità di concentrazione, ma fino ad allora le avevo sempre detto di non essere sciocca, perché io stavo bene. Ovviamente sapevo benissimo di fumare erba ogni giorno. Dicevo a me stesso che mi faceva scrivere meglio, e questa era una balla. Insomma, adesso sto scrivendo, e questo romanzo non è peggio degli altri perché non faccio più uso di erba». Tasker sorrise. «Anzi, forse è anche meglio. Riesco a pensare con maggior lucidità. La verità è che ero un drogato che voleva sballarsi tutto il giorno e mi ero inventato una comoda giustificazione: ne avevo bisogno per l’ispirazione, perché guarda caso ero anche uno scrittore. Tutte balle.»

«E adesso, grazie a Damon Blundy, lei si è liberato della droga», disse Gibbs.

Il sorriso di Tasker divenne una smorfia. «Sì, be’... non diamogli troppo credito. A lui non sarebbe importato un fico secco se io fossi morto in un fosso con una siringa che mi penzolava dal braccio. Gli interessava soltanto segnare qualche punto in più contro Keiran Holland.»

Gibbs voleva riportare il discorso sui rapporti fra Tasker e Jane, anche se non sapeva bene perché. Sperava che non gli stesse venendo l’ossessione dei matrimoni collocabili nell’estremità più strana dello spettro. «Perciò quando lei ha smesso con la droga, sua moglie avrà... appoggiato la sua decisione.»

Per un momento Tasker assunse un’aria smarrita. «Sì, direi di sì», rispose.

«Non ne sembra molto sicuro.»

«Jane mi appoggia sempre, qualunque cosa io faccia. Mi appoggiava anche quando fumavo quattordici ore al giorno. Lei è il tipo di donna sempre al fianco del marito.»

«È un fatto negativo? Sembra quasi che la stia criticando.»

«No», replicò Tasker fiaccamente. Era chiaro che non aveva nessuna voglia di parlare della moglie. Uno stato d’animo che Gibbs conosceva bene.

«Perché non è venuto ad aprire quando ho suonato il campanello?» domandò. «E perché la carta nera sulla finestra?»

«Ah, quella.» Tasker scosse la testa come se si fosse ricordato di un piccolo particolare irritante. «È per quel cazzo di scuola sull’altro lato della strada. Quando scrivo, guardo molto spesso fuori dalla finestra. Be’, mi piacerebbe farlo, in un mondo ideale. Però detesto vedere quella scuola.»

«Perché?»

«Ragazzi viziati e chiassosi dappertutto. A lei piacerebbe?»

No. Una casa dirimpetto a una scuola Gibbs non l’avrebbe comprata. Tasker però l’aveva fatto. «Non li sopporta, quei ragazzini?» domandò. “È il motivo per cui non hai figli?” aggiunse tra sé.

«No, non è questo», rispose Tasker. «E non è neanche che io odi le scuole in generale: solo questa di fronte. Stiamo pensando di andare ad abitare da un’altra parte, così non dovrò più guardarla.»

«Non sono sicuro di aver capito», disse Gibbs diplomaticamente.

«Io sono sicuro che non ha capito», ribatté Tasker in tono accusatorio, guardando verso la finestra al di sopra della spalla di Gibbs. «La carta nera non fa differenza. Non posso guardare fuori ma so cosa c’è.»

«Per quale ragione non mi ha fatto entrare, prima?» insistette Gibbs.

«L’ho fatta entrare, invece. Ho telefonato a Jane, che è venuta qui e le ha aperto.»

«Lei sa cosa intendo. Vuole darmi una risposta o no?»

Tasker alzò le mani in un gesto di impotenza. «Sono stato giudicato da tutti i giornali sulla terra, grazie a Damon Blundy. Ho ricevuto e-mail piene di odio e perfino una minaccia di morte. Là fuori ci sono un mucchio di pazzi in cerca di un bersaglio comodo. Come faccio a sapere se chi suona alla porta non mi butterà in faccia dell’acido?»

«Preferisce mettere a rischio la faccia di sua moglie?» chiese Gibbs.

Si sentì bussare alla porta della mansarda. Incredibilmente, Tasker fece un cenno a Gibbs come per dire: “Falla pure entrare”.

Era più facile farlo che obiettare. Gibbs aprì la porta a Jane Tasker, sperando che non avesse sentito l’ultima parte della conversazione.

«Posso?» disse lei.

«È casa sua», rispose Gibbs.

Lei rimase dov’era, ferma sull’ultimo gradino, fuori dalla stanza.

«Entra pure», le gridò Tasker.

Al suono della sua voce Jane cominciò a muoversi, come un apparecchio telecomandato alla pressione di un tasto.

«Cosa c’è?» fece Tasker, sgomento, quasi non riuscisse a spiegarsi la presenza della moglie nella stanza e preferisse non occuparsene, pur riconoscendo di non avere scelta.

«Mi chiedevo se vi farebbe piacere una tazza di tè.» Mentre parlava, Jane arrossì e passò il palmo della mano sinistra su quello della destra, come se cercasse di eliminare qualcosa. «Lei, agente Gibbs?»

«No, grazie.» Jane gli aveva offerto una tazza di tè appena arrivato, prima che lui e Tasker salissero nella mansarda.

«Per me no», disse Tasker.

«D’accordo, ma...» Jane non si mosse. Ora pareva confusa, mentre Tasker si comportava come se lei fosse già uscita dalla stanza. Gibbs aveva visto il suo sguardo spostarsi dalla moglie per fissarsi, inespressivo, sui rettangoli neri ai vetri della finestra. Jane guardava il marito come se tentasse di capire cosa si aspettava da lei. Alla fine disse: «Volete... altro? Vi porto qualcosa? Dell’acqua, magari?».

«No, grazie», rispose di nuovo Gibbs. «Sono a posto così.»

«No.» Tasker era distratto. «Magari dopo. Grazie.»

«Oh! Va bene. Dopo.»

Possibile che nella sua voce ci fosse eccitazione di fronte alla prospettiva di portare su qualcosa da bere in un futuro molto ravvicinato? Era assurdo. O no?

«Bene, allora... posso andare?» domandò. «Mi chiamate voi quando siete pronti per un drink?»

Da Tasker nessuna risposta. Gibbs era a disagio. Non spettava a lui rispondere. Il silenzio intorno si infittì.

«Reuben?» fece Jane, speranzosa.

Ancora niente.

«Signor Tasker», lo sollecitò Gibbs.

«Come dice? Scusi, stavo...»

“Sì, lo so. Stavi fissando i fogli neri di carta che hai attaccato sulla finestra.”

«Volevi qualcosa, Jane?»

«Scendo di sotto e mi chiamate voi quando siete pronti per bere qualcosa di caldo?» ribadì la moglie. «Oppure aspetto qui?»

Tasker sembrava in difficoltà. «Non so», rispose. «Fai tu.» Sospirò. «Cioè, scendi pure. Se vogliamo bere qualcosa veniamo giù e ci arrangiamo da soli.»

Jane assunse un’aria sconsolata.

Gibbs assisteva alla scena tra lo sbalordito e l’agghiacciato, tentando di capire come, in seguito, l’avrebbe potuta descrivere a Simon. “Si comporta come la serva fedele di un uomo che non si rende conto di avere una serva, e nemmeno lo desidera.” Disse: «La sa una cosa? Una tazza di tè la prenderei volentieri. Vengo giù con lei a prepararlo». Fece un passo avanti in modo da mettersi fra Jane e suo marito, cosicché a lei non restasse altra scelta che girarsi e scendere al piano di sotto. «Un minuto e torno», aggiunse Gibbs rivolto a Tasker.

«Lo vuole davvero, il tè, o le interessa solo chiedere a mia moglie, a tu per tu, se sono un assassino?»

«Entrambe le cose», rispose Gibbs.

«Reuben non ha ammazzato nessuno», disse Jane con veemenza. «Io e lui eravamo qui il giorno che è morto Damon Blundy. Insieme, per tutto il tempo. Perché Reuben avrebbe dovuto uccidere un uomo che ha fatto triplicare le vendite dei suoi libri? Il genere di pubblicità che gli faceva Blundy non si compra. Lei ha letto i libri di Reuben?»

«Basta, Jane.»

«Lo “Scotsman” ha definito “indimenticabile” il suo ultimo romanzo.»

«Perché avrei dovuto uccidere l’uomo che mi ha fatto triplicare le vendite?» ripeté Tasker arrabbiato. «Vediamo un po’, forse perché continuava a dire che i miei romanzi sono delle cagate? Non l’ho ucciso, ma questo non significa che non avessi un valido motivo per farlo.»

«Ma certo», si affrettò a convenire Jane, come se neanche un minuto prima non avesse affermato che suo marito doveva essere grato a Damon Blundy. «Giusto.» Batté le mani, facendo sobbalzare Gibbs. «Il tè!»

La seguì per le scale. In cucina c’era uno scaffale di libri azzurro, sbilenco, vicino a una stufa Aga rossa che aveva visto giorni migliori. Gibbs scorse Un buco nella pietra, il libro di memorie di Verity Hewson, accanto a biografie di persone più famose: Julie Andrews, Margaret Thatcher, Stephen Fry. «Vedo che ha letto il libro dell’ex moglie di Damon Blundy», osservò. «Be’, magari no, però ce l’ha.»

«Mmm?» Jane riempì d’acqua il bollitore. Sembrava più rilassata di quando era di sopra in mansarda.

«Questo.» Gibbs prese il volume dallo scaffale. «Verity Hewson era la prima moglie di Blundy. Qui parla del loro matrimonio.»

L’effetto di quella notizia su di lei fu straordinario. Rimase senza fiato, portò la mano destra alla bocca e si morse l’indice. Gibbs vide la pelle del dito diventare bianca intorno al dente. Jane tenne la mano vicino alla faccia persino quando si mise a parlare, come per proteggerla. «Quel libro è di... Oddio. Ce l’ho da anni, da molto prima che Damon Blundy cominciasse a scrivere su Reuben. Non l’ho mai letto. Di solito le biografie le divoro, ma quella era troppo... malevola.» Cominciò a scrollare il capo. «Oddio, non l’avevo mai collegata... Forse dovrei...» Fece per prendere il libro dalla mano di Gibbs, poi si bloccò. Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Non so cosa fare», disse.

Cosa fare? Gibbs non capiva. «Come mai è così sconvolta?» le chiese. «Che male c’è ad avere un libro della ex moglie di Damon Blundy, che fra l’altro non ha nemmeno letto?»

«Reuben si arrabbierà.»

«Non dica sciocchezze. Perché dovrebbe?»

«Odierebbe il pensiero che io abbia un libro che parla di Damon Blundy, anche solo per il fatto di possederlo, senza averlo letto. Lui detesta comunque i libri che piacciono a me. Il minimo comun denominatore, li chiama. Affettuosamente, però lo pensa davvero. Quella volta che mi ero messa a leggere Middlemarch per fargli vedere che non ero una stupida, mi ha detto di non darmi la pena, tanto non mi sarebbe piaciuto. Non era il “mio” genere di romanzo. Senta, non potrebbe...?» Jane si irrigidì, il viso contratto per l’angoscia.

«Cosa?» fece Gibbs. Non vedeva l’ora di uscire da quella casa, di andarsene lontano dai Tasker. Aveva la sensazione che qualcosa di freddo gli stesse infilzando l’anima. Si sentivano così anche gli ospiti suoi e di Debbie quando venivano a trovarli?

«Potrebbe portarsi via il libro e sbarazzarsene?» gli chiese Jane. «Io non lo voglio. Se rimane qui mi toccherà dirlo a Reuben – non posso nascondergli niente – e lo deluderò ancora più del solito.»

«Lei in genere lo delude? Per quale motivo?»

Jane alzò lo sguardo al soffitto. «Non dovrei fare questi discorsi. Mi sento sleale.» Gibbs stava pensando a un modo per incoraggiarla a confidarsi quando lei aggiunse: «Non so perché. Ce la metto tutta per renderlo felice. Non so cos’altro potrei fare! Non funziona mai».

«Voi due siete davvero stati qui in casa tutta la mattina, lunedì?»

«Sì. È la verità.»

«Perché Reuben odia la scuola di fronte a casa vostra?»

Gli occhi di Jane si spalancarono. «Lei lo sa? Glielo ha detto lui?» Sospirò. «Non so. Non riesco a capire. Una volta non la odiava, è un fatto recente.»

«Quanto recente?» si informò Gibbs.

«Gennaio, febbraio... l’inizio dell’anno. È da allora che se ne lamenta, ma questo odio improvviso e insensato è molto recente.»

«Cioè?»

«La prima volta che ha detto che non la sopportava, che dovevamo cambiare casa, è stata...» Jane si interruppe di colpo. Le guance da rosa divennero rosse. «Oh. Lo vedo solo adesso»

«Cosa?»

«Lo ha detto lunedì all’ora di pranzo. Subito dopo il notiziario in cui è stata data la notizia che Damon Blundy era stato assassinato.»