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Il Capo voleva dare un’altra occhiata al punto in cui Mandy era stata uccisa. Harpur accompagnò in macchina lui ed Iles, con Iles spaparanzato sul sedile posteriore, le gambe accavallate. Indossava dei bei pantaloni grigi e un blazer blu su cui brillavano dei bottoni d’argento. In casi come quello, il Capo aveva l’abitudine di visitare e poi rivisitare ancora il luogo del delitto. Ad Harpur sembrava una specie di penitenza: il monaco che si arrampica sotto il sole lungo una collina e poi ripete la scalata, la suora che pulisce un pavimento immacolato e poi lo pulisce di nuovo. I delitti che sembravano esigere dal Capo la presenza sul posto erano sempre quelli che gli annunziavano un messaggio terribile e generalizzabile in merito a quelli che uno dei giornali aveva definito «i nostri tempi». Adesso Lane voleva stare nel punto esatto nel quale Mandy era caduta al suolo; e Harpur lo guidò fino al punto esatto, con una mano sul braccio del Capo. Lane si guardava intorno, guardava i negozi ed i palazzi e si immedesimava. Il Capo era un brav’uomo – ancorché disorientato – di tanto in tanto capace di farsi strada fino a raggiungere una visione lucida e spaventosa. Oggi indossava uno dei suoi completi marrone che Iles sosteneva venissero confezionati, in alternativa ai soliti sacchi postali, dagli ergastolani dello Zaire. «Adesso più che mai sento che questo territorio va in pezzi, e noi non facciamo nulla» disse il Capo, con la pelle del viso che sembrava più stanca che mai. Nonostante il rumore del traffico, Harpur distinse le parole del superiore. «E quello che succede in questo territorio succede dappertutto, in tutta la nazione. E fuori dai suoi confini».

«La chiamano teoria del caos, signore» replicò Iles, appoggiato a una cassetta per le lettere. «Lei conoscerà senz’altro quella pièce di Stoppard, Arcadia».

Lane lo guardò. Per un secondo. E non parlò. Poi distolse lo sguardo, come temendo di incoraggiare l’Assistente Capo a diffondersi sull’argomento. Iles accompagnava sempre il Capo in questi sopralluoghi sulla scena di crimini emblematici di qualche cosa. La vita di Lane era mortalmente afflitta dalla testa vivace e violenta dell’A.C.C. e dalla sua lingua inarrestabile.

«Uno sviluppo della teoria del caos, sissignore» fece Iles. «Sarebbe a dire che vi è un che di sistematico in certi capovolgimenti in apparenza casuali. Che sarebbe pure una bella cosa, se la logica nascosta del cambiamento avesse natura benigna. Ma se invece si trattasse di una catastrofe ben ordinata, come delle truppe che marciano in fila compatta verso un burrone? C’è chi pensa che stiamo regredendo metodicamente, e finiremo col fare ingresso in un nuovo Medio Evo». Una grossa BMW 525 grigia passò vicino ai tre. Ad Harpur sembrò di riconoscervi alla guida un noto trafficante di medio cabotaggio, con gli anelli d’oro che brillavano sul volante. Sembrò notarlo pure Iles.

Lane continuava a squadrare con gli occhi i trascuratissimi edifici tutt’intorno. «Questo era un bell’esempio di architettura progressiva. Moderno in tutti i sensi buoni della parola, quando fu costruito». Sorrise ad un paio di vecchie signore dirette verso il minimarket. Lui era qui per consolare la gente. Magari la gente non lo riconosceva, ma la maggior parte avrebbe riconosciuto Harpur e probabilmente anche l’A.C.C. Avrebbero dedotto che era sbirro pure Lane, nonostante l’aria così benevola ed affranta. Harpur sapeva che il Capo desiderava ardentemente che ’sta gente credesse che la legge e l’ordine sarebbero tornati a trionfare a dispetto di tutto, anche se il più delle volte non riusciva a crederci nemmeno lui.

«Ovviamente, signore, il paragone con il Medio Evo si regge soprattutto sul ritorno della peste» rese noto Iles, momentaneamente separato dal Capo da altri pedoni che andavano a far compere. «L’AIDS sarebbe l’equivalente della Peste Nera. Virus incurabili. E poi c’è il grado di istruzione del popolo che crolla ai livelli di cinquecento anni fa: una ragazza di tredici anni che non va a scuola e non sa leggere. E per quanto ci riguarda, signore – perché lei giustamente si chiederà quale sarebbe il nostro ruolo in tutto ciò – be’, noi siamo l’equivalente del monarca di allora. In apparenza noi siamo l’autorità, cui spetterebbe mantenere l’ordine. Ma in effetti siamo penosamente incapaci di tenere sotto controllo i baroni». Indicò il punto in cui era morta NOON a scopo illustrativo. «A quei tempi c’erano i baroni briganti. Adesso ci sono i baroni della droga. E comandano loro».

«Non sia mai!» gridò Lane. Una donna alta, nera, che spingeva un passeggino con dentro due gemelli, sgranò gli occhi, poi distolse lo sguardo e allungò il passo.

Iles affiancò il Capo e un momento dopo si chinò rapidamente fino a toccare con le labbra un punto accanto ai piedi di Lane, che era il punto in cui era stata trovata morta Mandy. L’A.C.C. aveva una sua teatralità. Iles accarezzò il marciapiede per un po’, come avrebbe potuto accarezzare i capelli di una bambina per confortarla. «In Francia è cinque volte peggio» disse rivolto a Lane, risalendo con lo sguardo lungo la gamba marrone dei pantaloni. «Interi sobborghi consegnati alla scelleratezza. La polizia non ci si avvicina neppure. Qui da noi, parrebbe più una cosa a macchia di leopardo: ma forse no. Forse c’è un sistema di trasmissione. Forse questi fenomeni regressivi si propagheranno, influenzandosi a vicenda ed espandendosi tappa dopo tappa. Diventeranno la norma». Si raddrizzò. «Harpur le dirà, signore, che ci sono scarse possibilità di scoprire chi ha ucciso la ragazzina, e ancora meno di giungere a un’imputazione che stia in piedi. Non è così, Harpur?».

L’A.C.C. esigeva che si rispondesse comunque alle sue domande, e così Harpur disse: «Una delle mie figlie l’altra notte guardava questa stronzata di Channel Four in merito alla teoria del caos, signore, pezzetto sulla Francia incluso».

«Riuscirà a inchiodare qualcuno, per questa carneficina?» domandò Iles. «Ce ne saranno, di testimoni? Vorranno parlare? Vorranno restare in vita?».

Harpur disse: «Mi è piaciuto quel punto allucinante in cui l’immancabile professore di Oxford, o forse era di Yeovil, ha detto che ben presto la polizia sarà costretta a venire a patti con i signori della droga, così come dovette fare il re con i baroni. Che bello!».

«Mai» sibilò Lane. «Io non scendo a patti con la feccia».

Iles disse: «Il male va tenuto a freno. Il nostro lavoro consisterebbe nell’assicurare l’osservanza delle regole. Ma questo scopo non riusciamo a raggiungerlo, visto il caos dilagante. Perciò noi modifichiamo la natura, di quest’osservanza delle regole. Non è più un’idea arbitraria ed astratta. L’osservanza delle regole diventa un accordo tra poteri forti, nell’ambito del quale una certa regolarità di condotta è non solo possibile ma opportuna. Re, baroni. In effetti è soltanto un ritorno al mantenimento dell’ordine pubblico attraverso il consenso: il consenso di chi ha peso. Il legislatore un tempo aveva peso, il peso dei cittadini che l’avevano eletto. La democrazia. Adesso non più. Se le imprese criminali si contentassero del loro, avremmo la pace. Niente ragazzine analfabete che fanno da corriere e che finiscono in una tempesta di proiettili. Infortunio del mestiere? Chissà che non mirassero proprio a lei?».

«Non farò mai accordi con quelli» disse il Capo. «Questo sì che sarebbe il caos. Infiltriamoci, piuttosto. Piazziamo qualcuno all’interno di queste imprese criminali».

Iles sorrise. «Infiltriamoci». Fece spallucce. «Pellicola già vista, signore».

Harpur non poteva in coscienza dissentire, però non disse nulla.

«Infiltrarsi non funziona e comporta rischi spaventosi» disse l’A.C.C. «Ricorda il giovane detective Raymond Street? Morto».

«È l’unica maniera per ottenere delle prove, l’unica maniera per vincere e restare vincitori, infiltrarsi» mormorò Lane. Si incamminò verso l’automobile, dignitoso nel suo incedere, e pazienza per il completo e le scarpe. Era una persona nella cui benevolenza una bambina come Mandy avrebbe potuto confidare. Il problema era che avrebbe dovuto poter confidare in qualcosa di più.

Giunti nel parcheggio della centrale, Lane precedette Iles ed Harpur all’interno dell’edificio. L’A.C.C. disse: «Senta, Col, com’è che tutt’assieme mi è diventato così spiritoso: “Oxford, o forse era di Yeovil?”. Smontare le classifiche rimescolandole. Questo è il genere di battuta che faccio io e lei se n’è appropriato, miserando imbecille».

«Lei ce n’ha un milione, signore. Non ne sentirà la mancanza».