5

«Questa ragazzina era dei nostri, dico bene?».

«Insomma, sì, Mansel, la ragazza lavorava regolarmente con Bulmer. Dei nostri però non direi. Tu sei un grossista importante. Anzi, tu sei il grossista, da queste parti. Non sei assolutamente uno che lavora, per così dire, sulla strada, Manse». Alf Ivis si fece una risata. «Tu dai lavoro a una serie di persone a vari livelli, e una di queste persone, Stefan Bulmer, pare che in effetti impieghi uno o due bambini come corrieri».

«Porca miseria, ma questo qui è il caos. Scusa, non ho sempre detto che di ragazzini non ne voglio sentir parlare?» disse Shale.

«Be’, tu sì, Mansel. La cosa è documentata. Ma Stefan Bulmer...».

«Stefan, il buco del culo. Dove l’ha preso un nome così? Com’è che si chiama davvero? Che cos’è: ungherese, peruviano, dovrebb’essere di quelle parti lì con un nome del genere, dico bene? Scommetto che il nome vero è Justin, oppure Percival». Spesso a Shale capitava di dare addosso alla gente per via dei nomi che portavano. Una cosa viscerale, proprio. «Una ragazzina sparata in questo modo, in una grande arteria del traffico, con la gente in giro a far la spesa, a comperare merce perfettamente in regola. Questa cosa qui non può certo giovarci, Alfie. Questa cosa porterà scompiglio. Pensiamo ad Harpur. Pensiamo a Desmond Iles. Qualsiasi cosa stiano combinando in questo momento, trombano fra di loro, si fanno la guerra fra di loro, quei due se ne dovranno pur accorgere che è stata ammazzata una ragazzina su di un marciapiede, in mezzo a normalissimi commercianti. Una cosa del genere alla polizia deve interessare per forza. E poi c’era un sacchetto di plastica pieno di merce. Così viene a crearsi instabilità».

«Era una cosa insolita, Mansel. Il valore, intendo dire. La ragazzina più che altro lavorava con l’erba e qualche piccola consegna di coca. La cattiva sorte ha voluto... che proprio quel giorno...» disse Alf Ivis.

«La cattiva sorte? La cattiva sorte? E non lo so che è stata la cattiva sorte? Stiamo parlando di una ragazzina che era dei nostri, che s’è beccata due pallottole in fronte da parte di uno che lavorava ufficialmente per noi. Il fuoco amico. Col Kalashnikov... voglio dire, Cristo Gesù, Alfie. Noi chiamiamo questo ragazzo di colore da fuori per fargli svolgere un incarico ben preciso, un discorso ben delimitato, e questo qui si porta il Kalashnikov e mi piscia fuori dal vaso e per giunta va a beccare uno dei collaboratori esterni di Bulmer. Altro che Stefan e Stefan. Ha la faccia di uno che si chiama Percival. Oppure Anthony. Una cosa del genere. Questa ragazzina, a quel che mi si dice – e me lo si dice adesso, quando non serve più a nulla – questa ragazzina era un corriere di prima scelta. Aveva acume. Consegnava sempre, mai una volta che manomettesse il prodotto o si mettesse dei quattrini in tasca. Entusiasta del suo lavoro, sì, ma anche prudente: mai che prendesse la scorciatoia attraverso quella giungla che sono i Giardini della Procellaria. Di quel fannullone di Bulmer tutto si può dire, però come talent-scout vale qualcosa. La bambina lavorava a provvigione, a quel che capisco».

«Be’, NOON era una ragazzina di grandi qualità, sì, Mansel, a detta di tutti».

«La parola che ho sentito dire... è quella parola che significa che era avanti, per la sua età, hai presente».

«Precoce».

«C’era portata, proprio...» fece Shale.

«Però credimi, ce ne sono altri, dispostissimi a curarsi dei tuoi interessi. La ragazza era straordinaria, sì, però veniva fuori da un altissimo livello generale di competenza e di dedizione che si è venuto a consolidare nel quartiere Ernest Bevin. Per i giovani oggigiorno non è facile trovare un’occupazione di tipo tradizionale, e questi ragazzini si sono adattati. C’è un vero e proprio vivaio di ottimi corrieri, come in quei villaggi in cui c’era la tradizione di andare in miniera o della pesca a strascico. Insomma, è come se ce l’avessero nel sangue, Mansel».

«Ma non t’ho appena detto che sono contrario, a far lavorare i ragazzini?» ribatté Shale. «Come regola».

Ivis disse: «Si capisce che adesso con i giovanissimi bisognerà fare un po’ di fermo biologico. Come giustamente dicevi, quel sacchetto con i bastoncini di crack dentro è un fattore di rischio. Per questo dicevo che siamo stati sfortunati. Insomma, per un po’ di tempo sarà difficile che un baby-corriere abbia l’aria del tutto innocua. Diciamo che più avranno l’aria innocente più verranno presi per corrieri». Ridacchiò un’altra volta: «E poi bisognerà mettere in moratoria i sacchetti della spesa, direi. Hai ragione, Mansel: Stefan dovrà alzarsi dal letto, con chiunque lo divida di ’sti tempi, e fare più consegne di persona, anche per i carichi minori».

«E ha pure successo con le ragazze perché gli racconta di chiamarsi Stefan, questo coglione».

«Però, con rispetto parlando, Mansel, noi non possiamo chiudere con i giovani una volta e per sempre. Sarebbe uno spreco imperdonabile. Sissignore, imperdonabile. Significherebbe voltare le spalle a un magnifico serbatoio di talenti. Per non dire che potremmo pure avere problemi con gli stessi ragazzini e con le famiglie. Quelli sanno un sacco di cose. Guarda, Mansel, ’sti giovani sono abituati a ritrovarsi un po’ di soldi in tasca, e niente di strano se in certe situazioni sono proprio loro che portano il pane a casa. I corrieri sono fondamentali, per l’economia locale. Stiamo parlando di una comunità che in un modo o nell’altro gira intorno ai nostri prodotti. Questi qui potrebbero inventarsi qualche cosa contro di noi, contro la nostra attività, se noi li tagliamo fuori. E poi i vari negozianti potrebbero accusare una perdita di clientela, se la gente tutto d’un tratto si ritrova a dover contare sui soli assegni familiari. Se noi gli deprimiamo gli affari qualcuno di questi potrebbe mettere una parolina lì dove, in tutta franchezza, Manse, noi non vogliamo che questa parolina venga messa. Oh, dico, s’intende che abbiamo messo in piedi un sistema che funziona e che tiene la gente tranquilla, però, come sai, è sempre un sistema vulnerabile, e se un certo numero rimangono contrariati in seguito a una diffusa perdita di potere d’acquisto, noialtri potremmo andare incontro a una serie di difficoltà. Certamente adesso è d’obbligo una pausa nell’impiego di bambini finché tutto il putiferio riguardo a NOON non finisce. Ma sarà altrettanto importante far sapere ai giovanissimi e al parentado che la pausa è solo temporanea. Questa è una priorità, a livello di comunicazione».

Erano nel grande ma sudicio soggiorno di Alf Ivis, e bevevano gin e menta da delle tazze decorate con scene di favole famose. «Il funerale di questa ragazzina...» fece Mansel. Si fermò un momento e serrò la mascella per togliersi il singhiozzo dalla voce. «Io non la sopporto, l’idea di questo funerale. Non c’è nulla di peggio di una bara piccina. Non sopporto di vedere il vicario accovacciato sulla cassa da morto piccina piccina, tutto vestito di nero, come una specie di corvo che gracchia perché la ragazzina è morta prematuramente, e lui, il vicario dico, messo lì a far citazioni».

«Non capisco se pensi di andare al funerale, date le circostanze...» disse Ivis.

«Vorrei che questa ragazzina avesse il rispetto che si merita, in qualche modo. Ti rendi conto, Alfie, una ragazzina così poteva pure pensare che in tutto il mondo ci fosse soltanto gente come Bulmer o come quel coglione col Kalashnikov. Quando lo trovo, quello lì è morto. Che poi, dico io, questo coglione è lì con due dei nostri, tra cui Neville, e loro non riescono a tenerlo sotto controllo. Ti rendi conto, Alfie? È troppo tardi per spiegare a questa ragazzina che il mondo non è tutto così, come Bulmer o come questo tizio di colore, però un gesto di rispetto vorrei proprio farlo».

«Be’, Mansel, ovviamente potresti mandare un grosso bouquet di fiori, con un nome inventato».

«Il nome inventato non sarà Stefan, questo te l’assicuro».

«E magari passare una cifra adeguata alla madre, che tra l’altro è una cliente saltuaria e deve averci le sue spese. Mille, duemila, in contanti. Oppure un po’ contanti e un po’ merce».

«Certo, si capisce. Però è una cosa freddina, troppo fredda, senza cuore, Alfie... i fiori, i soldi, la merce. Mi piacerebbe fare un gesto caloroso sul serio. Una cosa... una cosa in linea con la persona che sono, Alf. E penso proprio di poterlo dire. Per esempio, esser presente in questa triste circostanza. Però mettiamo che sono lì in chiesa e vedo questa bara piccina piccina, non mi controllo più e scoppio a piangere, magari me la piglio pure col vicario: va a finire che attiro l’attenzione e rovino l’atmosfera, me ne rendo conto. La ragazzina ha tutto il diritto, a un certa atmosfera. Harpur, Iles: probabilmente ci saranno pure loro. Quelli lì captano i segnali. Io la ragazzina non l’ho mai vista né conosciuta, senz’altro, però io rifornisco Bulmer che la impiegava per rifornire a livello di strada. Gente come Harpur, come Iles, quelli il collegamento lo fanno, se io sto lì al funerale, al centro dell’attenzione».

«Potresti anche offrirti di pagare le spese del funerale e della cassa» fece Ivis. «Spieghi alla madre che non puoi essere presente a causa di precedenti impegni, però questa terribile disgrazia ti ha commosso e vorresti dare un certo sostegno, per senso civico. Che poi è la verità, Mansel. Non c’è nessun bisogno di alludere a un collegamento tra te e NOON, dato che, di fatto, questo collegamento non c’era, non c’era niente di diretto».

Shale pensò che questa era una buona trovata, una di quelle per trovare le quali pagava Alfie Ivis. Il loro era un bellissimo rapporto che risaliva a giorni più difficili, quando entrambi dovevano andare molto meno per il sottile. All’epoca Alfie ci sapeva fare, con le pistole. Alfie era sempre brillante e sereno quando parlava lì a casa sua, questo assurdo faro abbandonato che s’era ristrutturato più o meno da solo. E che fino a un certo punto adesso era confortevole. Trasandato ma confortevole. Alfie stasera s’era messo l’accento altolocato e via discorrendo, però i mobili erano delle vere e proprie cagate e i tappeti erano sottili come il salmone affumicato, e con lo stesso odore. Per non sentire l’odore di solito Shale accendeva il sigaro non appena entrato a casa di Ivis. Stavano seduti nel grande ambiente a piano terra, dove una volta c’erano le dinamo e gli amplificatori per il nautofono. Fuori della finestra il mare era grigio e pieno di rocce. Il discorso in merito al mare e alle rocce era che ’ste cose continuano in eterno, per cui a Shale pareva che di un faro ci dovesse sempre esser bisogno. E invece ora ci stava Alfie con la famiglia. D’altro canto andava detto che quando Alfie si sentiva stressato e voleva godersi una bella vista dall’alto poteva salire in cima alla torre e spiare le coppiette in azione tra le dune della spiaggia. Alfie aveva studiato come si deve in gioventù, era lui quello a cui rivolgersi in merito alla legge, alla struttura del corpo umano, ai bilanci aziendali e alla storia della Regia Marina.

«Manse, noi te lo stiamo cercando, Mister Kalashnikov, credimi» fece Ivis. «Be’, voglio dire... insieme a lui ci sta Timmy ferito, no? Speriamo ferito e basta. Si chiama Earl, questo tizio».

«Earl il buco del culo. Quando dico che bisogna ammazzarlo, questo Earl... guarda, Alfie, io non sono il tiranno pazzo che ragiona soltanto in termini di sangue, giusto? Però ’sto ragazzo di colore ci è costato parecchio. Bisogna che ci si parli seriamente. C’è il fatto di Timmy e la povera ragazzina rimasta lì sul marciapiede, e quel che è peggio c’è questa perturbazione generale, con la polizia che s’è tutta ringalluzzita. Avevamo una situazione di pace che ci son voluti degli anni per crearla, e buona parte del merito è tua, Alfie. Adesso, quello che sento da W. P. Jantice è che non solo Harpur e Iles, ma lo stesso Marcuccio Lane si è inferocito».

«Be’, Jantice non fa parte dei vertici. Queste mi sanno di chiacchiere di portineria in centrale. Io...».

«Uno come Lane, un cattolico dalla testa ai piedi, e si capisce che non può digerire la ragazza sbocciata da una mitraglietta dei Rossi. I mangiapatate hanno questa gran bella cosa della venerazione nei confronti della femmina, sin dai tempi più antichi».

«Jantice dice che non è stato identificato nessuno».

Shale guardò il mare per un po’. Gesù, certo che ce n’era un sacco, di mare. «Tu vivi in questo faro, Alfie, il che mi fa pensare alla grande luce che una volta veniva fuori da ’sto posto. Speriamo che questa luce adesso illumini l’anima di W. P. Jantice».

«È uno a posto, Manse».

«Io non faccio altro che stare in pensiero, tutto il tempo. Sto in pensiero perché io me lo sono comperato, e continuo a comperarmelo, ma non sarà che me lo sono comperato perché loro me lo volevano far comperare, e lui va a raccontare più cose a loro di quante non ne venga a raccontare a noi?».

«Ci metto la mano sul fuoco, che non è un infiltrato» replicò Ivis.

Alfie aveva una faccia di cui non potresti mai fidarti fino in fondo: allo stesso tempo però quella faccia lì ti faceva desiderare di poterti fidare fino in fondo. Era carnosa e solida con le sopracciglia scure curate e una pelle piuttosto giovane. Alfie beveva un sacco di gin, però la sua pelle manteneva quella lucentezza che sapeva di onestà.

Shale disse: «Sei tu quello che ci parla da solo a solo con Jantice, il più delle volte. Perciò debbo darti retta, Alfie».

«Arriva roba genuina e basta, da quello lì».

Shale sentiva i figli di Ivis che giocavano e ridevano, fuori, da qualche parte. Una delle voci era quella della figlia di Alfie. A Shale sembrava sbagliato trovarsi lì a parlare dell’uccisione di una ragazzina all’incirca della stessa età, come se si trattasse di mondi diversi. «Va bene, se il coglione del Kalashnikov avesse beccato i due a cui doveva sparare, e poi pure la ragazza per sbaglio, potrei anche capirlo» disse. «Ma a quel che mi si dice, quei due l’hanno fatta franca: quello che chiamano Billy il Marinaio col suo berretto del cavolo non s’è fatto nemmeno un graffio, e l’altro nulla di grave, un braccio o un polmone. Questa è gente che arriva qui nel nostro territorio da fuori, vengono a fare la pesca a strascico, su questo non ci piove, per cui noi abbiamo tutto il diritto di farli a pezzettini: perciò ingaggiamo quello che dovrebbe essere il massimo esperto del settore, che viene pure lui da fuori. E invece questo stronzo riesce a collocare ben due proiettili di Kalashnikov dentro una ragazzetta piccina piccina, lavoratrice autonoma. Ironia della sorte, mi vien da dire. Alfie, noi ’sto tizio di colore dobbiamo localizzarlo prima di Harpur. Per diverse ragioni. Dobbiamo pensare a Timmy».

Ivis disse: «Be’, Manse, c’è pure Neville con loro, non te lo scordare. Lui sembrava a posto, non era ferito, guidava bene al momento di battere in ritirata. Nev non permetterà che quel nero si liberi di Timmy sol perché è ferito e rappresenta un inconveniente. C’è tutta una questione di lealtà, molto probabilmente. Nev e Timmy hanno lavorato insieme a lungo».

«Questo nero gira col Kalashnikov. Non sa adoperarlo come si deve, però ce l’ha e ti banco alla pari che da distanza ravvicinata il bersaglio te lo centra. Io ho delle responsabilità nei confronti di Timmy, ho delle responsabilità anche se mi sa che anche lui ha contribuito a mandare tutto quanto in malora. Voglio dire, se il nero non era in grado di centrare né Billy il Marinaio né quell’altro, Joseph Quant, se è così che si chiama, ma perché non ci pensava Timmy? S’era portato dietro una calibro 45 e la distanza non era impossibile. Impossibile non era, visto che s’è fatto beccare lui da quelli lì, e per giunta stava dietro la macchina, no? Tutta questa storia mi fa fare la figura del salame, Alfie. E se vado al funerale e scoppio a piangere, ancora di più. Non è questo il modo di portare avanti un’azienda. Sissignore, questo qui è il caos».