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Shale e Alfie Ivis erano a casa di Shale stasera – non al faro – in una grande, bella stanza che lui chiamava «la tana». W. P. Jantice li avrebbe raggiunti al più presto per un approfondito ripasso della situazione dal punto di vista della polizia. Era vitale tenersi al corrente, dato che la situazione andava cambiando in continuazione. Non c’era nessun dubbio, questo rottinculo secco secco di Jantice era una risorsa, sempre col paniere pieno di roba genuina, però quello che bisognava capire – come con tutte le risorse – quello che bisognava capire era se questa risorsa valeva quanto la pagavi. Ecco il nocciolo della questione. A Shale di Jantice non piaceva questo fatto di usare le iniziali al posto del nome. Sapeva di spocchioso e di costoso, cazzo.
Shale si rendeva conto che Alfie considerava un errore essersi fatti scoprire in quel modo lì a far visita alla signora Montain, ma Shale non si preoccupava più di tanto. Bisogna averci una visione più ampia. La vita è una faccenda più complicata di quel che a volte sembrava pensare Alfie. «Io mi sento pienamente in diritto di far visita alla madre vedova di un ragazzo che gli hanno appena fatto saltare mezza testa per aria, per giunta in un rione messo veramente male, e che cazzo, Alfred» disse.
«Con rispetto parlando, Manse, venire associati a questa storia è pericoloso. La stampa descrive non a torto Timothy come qualcuno che la polizia andava cercando dopo Sphere Street. Jantice mi dice che Harpur si ritrova due testimoni. Questo è sempre un pericolo: gente che viene da fuori il quartiere o addirittura da fuori città, e che purtroppo sconosce la nostra regola del silenzio. Se ben ricordi, abbiamo preso ogni precauzione per non farci vedere in occasione della nostra prima visita alla signora Montain, proprio per evitare che qualcuno facesse collegamenti. Stavolta siamo andati dritti dritti alla porta d’ingresso e sfortunatamente abbiamo incontrato quei due funzionari di polizia».
«Era una visita di solidarietà, e che cazzo, Alf». Erano seduti su delle grosse poltrone vittoriane di cuoio rosso, parte di un salottino per far restaurare la quale Shale aveva speso un occhio della testa. Lui adorava la roba che pareva rievocare giorni migliori. A quei tempi quasi ogni ramo d’affari era in espansione. Adesso, la sicurezza del futuro te la davano soltanto la droga oppure l’acqua privatizzata.
Ivis disse: «Be’, una visita di solidarietà, sì, certo, Mansel, anche per bloccare sul nascere una certa situazione. Ma, con rispetto parlando, come facevamo noi a sapere così presto che c’era bisogno di solidarietà? È questo che si domanderanno Harpur e Iles».
«Questi furbacchioni rottinculo avevano lasciato la macchina fuori dalla visuale». Stava suonando un CD di Tristan und Isolde, a volume basso. Shale per un po’ ascoltò la musica senza parlare, misurando la vastità di quella tragedia. «La morte di Timothy Montain va dritta dritta alla mia anima, cazzo, Alf, perciò anche adesso ogni volta che qualcuno ne parla mi sembra d’aver fatto un frontale. È come sentire e risentire Tristan: tutti questi anni, e ancora mi prende come se fosse la prima volta».
Shale lasciò che la voce del cantante lo scuotesse per bene un altro poco. Suo figlio, Laurent, entrò al galoppo e andò a piazzarsi di fronte a Ivis. C’erano mobili provenienti da tutte le parti del mondo, compresa roba del diciassettesimo secolo, e a Mansel non piaceva che i bambini corressero in giro per quella stanza. Ma adesso non lo sgridò. «Zio Alfie» disse Laurent, «Matilda mi ha detto che eri qui, ma non sapevo se era uno scherzo, perché certe volte lei dice le cose per scherzo, e invece ci sei. Sì. E allora mi racconti qualche cosa della Marina e delle guerre?».
Ivis con il ragazzo ci sapeva fare, e spesso gli raccontava della Battaglia del Nilo e di quella dello Jutland, queste vecchie fanfaronate però con tutta una loro storia. Alfie in materia sapeva tutto, da cima a fondo. Dove lo toccavi quello suonava: poniamo caso, il dragaggio delle mine durante lo Sbarco in Normandia, lui ti raccontava tutta la faccenda.
«Oggi no, Laurent» rispose Shale.
«Oh, papà. Perché?».
«Aspettiamo un’altra persona, che arriverà tra poco. È una cosa di una certa importanza. Con zio Alf puoi parlarci un altro giorno».
«La Graf Spee... quando l’hanno com’è-che-si-dice al Rio della Plata...?» fece Laurent.
«Affondata deliberatamente» rispose Ivis.
«Adesso vai, Laurent» disse Shale. Col ragazzo e con Matilda, la sorella, lui preferiva essere il più tollerante possibile. La madre era andata via già da un bel po’, e anche se mandava i regali per Natale e cose del genere chiaramente non era lo stesso. A volte Shale pensava che fosse arrivato il momento di guardarsi intorno alla ricerca di un affetto a lungo termine, per il bene dei ragazzi. Un’esperienza come quella fatta con la madre però t’insegna ad andarci piano. Shale aveva grandissimo rispetto per la famiglia. Quando Laurent se ne fu andato, Shale diede un colpetto sul bracciolo della poltrona. «Si era mai vista la Legge che porta una madre vedova, gran bella donna tra l’altro, in una topaia di Hawser Street, al buio, per farle vedere il cadavere del figlio ridotto in chissà che stato? Qui c’è lo zampino di quel Desmond Iles dei miei stivali. Quello lì avrà pensato: Portiamocela, in mezzo a tutta la cacca di pipistrelli e alle vecchie garze sudice, costringiamola a guardare suo figlio ridotto a mal partito. E una volta lì Iles dei miei stivali le fa: Sappiamo che Timothy lavorava per la Mansel Shale Incorporated, Mamma Montain. Cosa le aveva detto Timothy in merito a quel che si pensava di fare a Sphere Street?».
Ivis contorse quella faccia da manzo lesso che si ritrovava. «Timothy non era uno da mettersi a fare questo genere di confidenze a sua madre, Manse. Stiamo parlando di un ragazzo che sì, certamente le era molto vicino, ma che allo stesso tempo aveva l’istinto mercantile ed era incline alla riservatezza, credimi».
«Ecco Jantice». Shale aveva sentito il rumore dell’auto sopra il ghiaietto. Casa sua si trovava su di un terreno al limitare della città. Jantice poteva entrare con la macchina dentro una delle stalle e lasciarla lì nascosta. Ci avrebbe messo qualche minuto. Shale e Ivis stavano bevendo un’altra volta gin e menta. Shale avrebbe preferito un servizio di bicchieri decente, però non voleva fare lo smargiasso con Alfie, ragion per cui stavano adoperando le tazze di Cenerentola e di Tom Tom il Figlio del Pifferaio. Come sempre Jantice avrebbe fatto il suo ingresso nell’ex canonica da un’entrata laterale che Shale lasciava aperta apposta per lui. Perciò Laurent e la figlia di Shale, Matilda, dovevano restarsene nel salotto di fronte oppure al primo piano. Non era il caso che Jantice venisse visto da nessuno dei due.
Shale disse: «Probabilmente è stato saggio, da parte di Nev e dell’altro, finire Timmy in questo modo, ovvio che fosse un inconveniente, in una situazione in cui devi nasconderti. E qui potrebbe benissimo esserci pure un discorso di umanità, vedi le ferite il dolore e quant’altro. Non hanno detto così, per telefono? Sissignore. D’altro canto ci vedo pure un qualche cosa di affrettato, Alf. Timothy era un ragazzo che aveva i suoi pregi. Lascia perdere gli occhiali da sole del cazzo. Voglio dire tutti quanti hanno bisogno di qualche arnese per fare risaltare la propria personalità, specialmente se personalità non ne hai proprio, come ’sto mammone di Timmy. Pensiamo alla storia americana, pensiamo a Roosevelt con la sedia a rotelle. Mi sconvolge, che Timmy se ne sia andato in questa maniera qui».
«Si capisce, Manse. Dobbiamo prendere per buona la valutazione della nostra gente sul campo di battaglia, Neville ed Earl. A quanto pare si sono eclissati con la massima efficienza, senza di lui».
«Telefonavano da Hull, o da Lytham St Anne’s, Neville e l’altro, il tiratore scelto con le cataratte. Da un posto del genere. E allora, ’sta vacca cosa farà, si metterà a chiacchierare?».
«La signora Montain? Non potrebbe nemmeno se lo volesse».
Shale sorseggiò un po’ di gin e menta e fece un breve grugnito: «Prima avevamo il funerale di NOON a cui pensare. Adesso quello di Timmy. Non so come giocarmela, Alf».
Ivis non rispose immediatamente. Poi disse: «Be’, con rispetto parlando, io dico che non devi partecipare a nessuno dei due. Ricordati, Manse, W. P. avrà sottolineato nelle sedi competenti che non c’era più nessuna relazione tra Timmy e le tue aziende. Francamente, è questa la scelta più saggia. La tua presenza al funerale potrebbe sembrare in contraddizione con le cose che dice loro W. P. Sarebbe altrettanto imprudente che prendere parte al funerale della ragazza».
A questo punto Shale sentì dei passi e raggiunse la porta laterale per accogliere Jantice. Questo genere di cortesie le considerava fondamentali, specialmente poi se vivi in una canonica.
«W. P.» disse, «è un vero piacere».
«Questa casa la adoro» replicò Jantice. «Il senso di spazio, di solidità. La pietra grigia».
«Be’, grazie, W. P.».
«E tu mantieni tutto a meraviglia: il terreno, l’interno».
«Grazie ancora, W. P. Se rimani sempre un passo avanti ad Harpur, quanto prima un posto così dovresti potertelo comperare pure tu, con quello che mi costi. Entra e mettiti a tuo agio. C’è anche Alfred, dato che il tempo stringe e via discorrendo».
Sull’ingresso della tana Jantice si guardò intorno in estasi, come se quella stanza lì non l’avesse mai vista prima. Scalò con gli occhi le pareti verde pastello, fino a raggiungere il soffitto a volta alta, e poi li riportò giù con altrettanta lentezza per ammirare la scrivania e qualche bella sedia stile Reggenza. Cristo, però, certo che la parte sapeva farla. Poi diede una bella guardata pure ai quadri, che a sentir quelli da cui Shale li aveva comperati erano senz’altro antichi e il massimo del gusto. A Shale garbavano i ritratti. Gli garbava l’idea di una personalità racchiusa dentro una bella cornice, dava un senso di padronanza. Jantice si mise a sedere sul divano e Shale gli preparò un gin e menta, riempiendo poi nuovamente le tazze per sé e per Alfie. Certuni dicevano che non si deve dire divano ma sofà, che si fottessero però. «E allora, dicci in che disastro ci ritroviamo, W. P.» disse. «Prima la ragazzina a Sphere Street e adesso Timmy. Facci sentire la voce della polizia».
«Sospettano un sacco di cose, non possono provare niente» fu la risposta di Jantice. «Al solito. Ho dato una bella guardata alle testimonianze. Come descrizioni fanno cagare. Siamo a posto. Devi prendere le distanze da Tim Montain, ovviamente, e da Neville».
«Proprio quello che diceva Alfie».
«Cose basilari, Manse...» replicò Ivis.
«Io penso ai funerali, W. P.: della ragazza e di Timmy. Io non lo so, davvero. Mi sembra giusto: voglio dire, quantomeno quelli di Timothy. Va bene, diciamo pure che avrebbe lavorato con noi tanto tempo fa e adesso non più: è sempre una persona di mia conoscenza, oppure no? Voglio dire, Alfie, siamo andati a trovare la signora Montain, e Harpur e Iles ci hanno visto. Perciò quel che si suol dire il collegamento, ormai è cosa assodata. In parole povere, ragazzi, a me sembra che per un minimo di civiltà io ci debbo andare, e che cazzo».
«Tu sei troppo sensibile, Manse...» disse Ivis.
«Io sono d’accordo con Alfie, Manse».
Spesso Shale pensava di essere veramente troppo sensibile. Però lo considerava un bel difetto, un discorso di umanità. Si alzò in piedi e si mise a girare intorno a una grande scrivania di mogano che aveva preso insieme alla casa. Molto probabilmente l’ultimo curato che aveva vissuto alla canonica i suoi sermoni li preparava seduto proprio a quella scrivania lì. Era una cosa che dava da pensare. «I funerali sono un gran bel rito: lasciamo che vadano in malora e dove si va a finire?» domandò Shale. «Nel caos, ecco dove si va a finire. Mi ritrovo spesso a ripetere questa parola, ultimamente. Funerali come si deve e cose di questo genere: salvaguardano una specie di ordine, danno una forma a tutto quanto. Gli animali ce l’hanno, le pompe funebri? Qui veramente la superiorità dell’Uomo si vede, e che cazzo». Alfie era una mente per tante cose importanti, vedi quattrini, vedi conflitti a fuoco, la tattica, la riservatezza, però quella che gli mancava era l’ampiezza di orizzonti. Non era un pensatore ai massimi livelli, era più una specie di commercialista e una specie di avvocato, uno che va al sodo e buonanotte. «Già così per la signora Montain io sono una schifezza, e tu altrettanto, Alfred. Lo stesso penserebbe di W. P. se sapesse della sua esistenza, cosa che non succederà mai. Che concetto si dovrà fare di noi, Alf, se non andiamo a dare il nostro saluto al figliolo in partenza per l’estremo viaggio?». Wagner rimbombava e strideva. La giusta grandiosità. Si rimise seduto.
Ivis disse: «La mia impressione è che dobbiamo essere pronti a possibili problemi in futuro, evitando di assumerci rischi ulteriori, indipendentemente dalla nobiltà delle motivazioni. Dobbiamo pensare che quelli possono ancora beccare Neville e pure l’altro, Earl».
«Nev non parlerà. Nev è la lealtà fatta persona. Sono al sicuro. Quattrini ce n’hanno. Così ha detto Nev. Non c’è una persona al mondo di cui mi fido più che di Nev, a parte te, Alfie. Io lo adoro Nev, lo adoro, proprio. Lui sa perfettamente che se apre quel cazzo di bocca, pure che la apre poco poco, fa una fine peggio di Timmy, e manco la sua ragazza parlerà. Manda qualcuno a farle visita: assicurati che stia a posto dal punto di vista delle finanze adesso che il suo uomo è via. Alfie, W. P., per me la lealtà è un valore».
«Per un po’ si concentreranno sui baby-corrieri» disse Jantice.
«Proprio quello che diceva Alfie».
«Cose basilari, Manse» replicò Ivis.
«Perciò raccomandate ai ragazzini il profilo basso, per ora...» disse Jantice. «Le acque si calmeranno. Fategli capire che quanto prima si ricomincia. C’è un sacco di fatturato che dipende dai baby-corrieri».
«Propri quello che diceva Alfie».
«Cose basilari».
«E io questo bel tomo che lo pago a fare?» volle sapere Shale. «Mi dice le cose che già mi ha detto qualchedun altro. Mi giunge voce che il Capo in persona è talmente sconvolto che tutt’assieme s’è messo a fare l’investigatore pure lui».
«Ho la sensazione che voglia farmi infiltrare» replicò Jantice.
«Che cazzo dici...?» strillò Shale.
Jantice confermò con un cenno del capo. Poi scoppiò a ridere. Allora si mise a ridere pure Shale. Subito dopo si mise a ridere pure Alfie. Jantice disse: «Alla riunione ho capito che pensa che io abbia una conoscenza istintiva di come funziona il traffico».
Shale si fece un’altra risata. «Istintiva e non solo. Se il traffico non lo conosci tu, chi accidenti lo conosce?». Si alzò dalla poltrona e raggiunse la parete dove stava una libreria stile Salem, americana del primo Ottocento. Stava sotto il ritratto di una donna bella in carne che si diceva fosse olandese, o di quelle parti lì. Aprì la vetrinetta e rimosse alcuni libri. La parte posteriore della libreria era stata tolta, e dietro c’era una cassaforte a muro. Shale la aprì con le due chiavi e ne tirò fuori un rotolo di biglietti da venti. Richiuse a chiave la cassaforte e rimise a posto i libri. Passò il denaro a Ivis che lo contò e si mise il rotolo in grembo. Shale preparò degli altri drink e poi si mise a sedere un’altra volta.
«Se decidono così, io dovrò infilarmi davvero in qualche organizzazione, Mansel» disse Jantice.
«Oddio, oddio, finalmente mi metteranno qualcuno dentro?» strillò Shale con voce donnesca, afferrandosi l’inguine.
Risero tutti un altro poco. Shale non sopportava di vedere Ivis ridere. Stonava con la sua faccia. «No, no» disse Jantice. «Ma dovrò dare in pasto qualche cosa di genuino a Lane e agli altri. Non vorrai mica che gli racconto i fatti tuoi, eh? Potrei tentare con Panico Ralph. Altrimenti ci sono Keith Vine e Stanfield oppure lo stesso Misto. Ma Misto sta veramente a terra al momento».
«Lasciamocelo...» disse Shale.
«Questi sono rischi, W. P.» disse Ivis.
«Quando il Capo chiama io debbo rispondere» ribatté Jantice. Fece il saluto del giovane esploratore, poi prese una bella sorsata di gin e menta. Jantice aveva sempre l’aria cazzuta, ma si notava pure un certo nervosismo, al momento. Era sui trentadue anni, alto e molto magro, coi folti capelli chiari che gli arrivavano quasi alle spalle. Aveva una faccia che Shale immaginava molti avrebbero definito sensibile, perché era lunga e gli tornava buona ad esprimere una certa meraviglia. Occhi grandi e castani, gli occhi di un amico di cui sai di poterti fidare, mentre lui è lì che ti affossa e si piglia pure una lauta parcella per poterti affossare meglio. Vestiti da studente: maglioni oppure magliette, stivali, i jeans più vecchi del mondo. Vestiti che volevano dire che lui era coraggioso e molto più forte di quanto il fisico non lasciasse immaginare. Shale questo lo sapeva già, altrimenti Jantice non si sarebbe beccato tutti i soldi che si beccava per visitine come questa qui. A Shale, Jantice faceva sempre l’effetto dell’avvicinarsi della sconfitta. Era uno di quei funzionari che con ogni probabilità avevano iniziato all’insegna dell’onestà e dell’orgoglio, ma poi avevano ceduto alla bustarella, portati alla disperazione dall’impossibilità del proprio compito. Vedevano che la legge e l’ordine non avrebbero mai potuto aver successo, perciò perché mai non riportare qualche successo a livello personale? Un fenomeno utile, sissignore, e pure molto triste.
«Se ti fanno infiltrare la cosa potrebbe cascare a fagiolo» disse Shale. «Finalmente una buona notizia».
«Quando sarò lì dentro a raccogliere informazioni sulla concorrenza, ovviamente potrei passartene qualcuna, Mansel...» fece Jantice.
«Altre spese, cazzo...» disse Shale.
«Potrebbe trattarsi di roba di un valore inestimabile dal punto di vista commerciale, Manse» disse Ivis. «La clientela e il personale di Ralph, oppure di Vine».
«Harpur, Iles... loro concordano con Lane, sul fatto che tu ti debba infiltrare?» chiese Shale a Jantice.
«Probabilmente no. Insomma, forse Harpur sì. Quello lì non si capisce mai che cosa pensa. Lui e Iles sono culo e camicia, di regola. Ma ad Harpur Lane sta simpatico, vuole evitargli il peggio».
«Il peggio cioè Iles, dico bene?» domandò Shale.
«Molto probabilmente» disse Jantice.
«Se Iles è contrario, Lane non potrà farlo. E tu non potrai farlo. Il Capo con Iles non osa. Non osa manco con sua moglie».
«Lane all’improvviso è diventato vulcanico. Tutt’assieme, eccotelo in prima fila. Questa è la disperazione...» disse Jantice. «Teme che la legge e l’ordine siano alla frutta. Non posso biasimarlo».
Proprio come lo stesso Jantice. Ma Lane voleva ancora combattere.
«Bisognerebbe far capire che Mansel è sempre disponibile a un confronto costruttivo con il Capo, su questi temi».
«Esatto...» disse Shale.
«Sarebbe un’alleanza di senso comune» disse Ivis. «Anzi, di luogo comune, visto che succede da tutte le parti».
«Cosa vogliamo, le pallottole in mezzo alla strada, in nome di Dio?» domandò Shale. «Io ho sempre cercato il compromesso, l’accomodamento».
«Certo, Manse» disse Ivis. «E il compromesso potrebbe essere diventato più attraente agli occhi del Capo adesso che gli hanno parametrato lo stipendio alla performance. Una bambina ammazzata per la strada, la stessa esecuzione di un gangster di terza categoria, sono cose che ti fanno perdere il premio di produzione».
Shale fece un gesto con il braccio per indicare la stanza lussuosa e le opere d’arte di tutto rispetto. «Io sarei disposto a intavolare una discussione da solo a solo con il signor Mark Lane, di natura totalmente confidenziale, nella prospettiva di una responsabilità condivisa per ristabilire e mantenere la pace in tutto questo territorio, W. P. Io non ci credo a questi discorsi, che si fa comandare dalla moglie. Lane ed io abbiamo un sacco di cose in comune, e che cazzo. È soltanto un problema di punti di vista diversi. Bisogna mettersi di buzzo buono, saper considerare il punto di vista dell’altro, esser pronti a fare delle concessioni».
Jantice annuì e fece lampeggiare di sincerità gli occhi castani. «Lo terrò a mente. Si capisce che non posso andargli a fare una proposta del genere adesso. Io non risulto in contatto con te, Manse, dico bene? Magari ci sarà un momento più opportuno. Nel frattempo, sto in preallarme per la faccenda dell’infiltrarsi».
Ivis disse: «Ma tu sei conosciuto, all’Ernest Bevin e dintorni. Non è un problema?».
«È l’eterna questione, Alfie» replicò Jantice. «Per infiltrarti da qualche parte hai bisogno di qualcheduno che conosca l’ambiente. Ma se il qualcheduno conosce l’ambiente è probabile che l’ambiente conosca il qualcheduno. Perciò il qualcheduno deve far credere di essere diventato tossicodipendente, oppure deve mettere in giro la voce che ha problemi di soldi, e che è pronto a operare clandestinamente al servizio di una determinata organizzazione, contro pagamento in contanti oppure in natura».
«Così come fai te con noialtri» puntualizzò Shale.
«Con voi contanti e basta» disse Jantice. «E di quello che vedo qui dentro, io alla centrale non racconto niente».
«Voglio ben sperare, W. P.» ribatté Shale.
«Ma certo che no...» disse Ivis. Tirò il rotolo di banconote da venti a Jantice, che le contò una per una.