10
Nella prima serata Jill, la figlia maggiore di Harpur, rispose a una di quelle telefonate. «Papà» strillò attraverso la finestra del soggiorno, «è il tuo infamone prediletto», molto probabilmente senza coprire il microfono con la mano: trovava divertente farsi sentire all’altro capo del telefono. Harpur si era appena chiuso alle spalle la porta di casa. Voleva individuare un punto di Sphere Street dove un invisibile cecchino potesse accosciarsi e sparare due proiettili da 6,35 millimetri che raggiungessero con una traiettoria ascendente il collo e il petto di una bambina alta un metro e venti. Quasi quasi sperava di non trovare niente del genere. Una simile malvagità dovrebbe essere impensabile.
Jill aveva aperto la finestra e lo aveva chiamato mentre lui stava per mettere in moto la macchina. Quando rientrò in casa lei disse: «Lo sai come funziona, papà; non dice il nome, ovviamente, e poi fa: Vorrei sapere, signorina, se per caso fosse possibile parlare con il Soprintendente Investigativo Capo Colin Harpur, qualora si trovasse in casa...? Niente di straordinario. Posso sempre richiamare, non dovesse trovarsi lì in questo momento. Questa parte recitata con un piagnucolio servile, che sale rapidamente di tono. Un sacco di viscidissimi periodi ipotetici».
Harpur aspettò che la figlia uscisse dalla stanza. Quando impugnò il ricevitore, Jack Lamb disse: «Una ragazza deliziosa, Col. Jill, dico bene? Quanti anni ha, adesso?».
«Tredici».
«Che modi raffinati».
«Grazie, Jack». Harpur lasciava che fosse sempre l’altro a condurre queste conversazioni telefoniche. Jill aveva detto bene: Jack era il suo infamone prediletto, anche se Harpur magari avrebbe preferito un’altra parola. Confidente poteva andare. Anche delatore o sicofante o spione erano sempre meglio di infamone. In effetti, Jack Lamb sarebbe stato l’informatore preferito di qualsiasi investigatore. Nessuno era meglio di lui. Certo, c’erano delle condizioni per godere dei suoi servigi, e Harpur le accettava quale parte del legame sporco e santificato tra il segugio e la spia. In sostanza, Harpur si metteva nelle mani di Jack. Lamb parlava, Harpur ascoltava, di tanto in tanto faceva una domanda, alla quale Jack poteva rispondere come poteva non rispondere. Il più delle volte non rispondeva.
«Urge un incontro, Col».
«Sì?».
«Non ti sembra? C’è una certa scarsità di risultati. Da parte tua».
«Ci sono abituato. Non ci faccio più caso». Il codice di sicurezza prevedeva che Lamb potesse pronunziare il nome di Harpur al telefono, ma non viceversa. La logica non sembrava proprio ferrea, ma Harpur acconsentiva perché Jack voleva così. Erano la pelle e la vita di quest’ultimo ad essere a repentaglio, non quella di Harpur. In materia di sicurezza, Lamb aveva tutta una serie di convinzioni tenaci e contraddittorie.
«Diciamo Numero Tre, alle 8 e 30 pomeridiane?».
«D’accordo».
«Dovrei essere in grado di movimentare la situazione a tuo vantaggio».
«Ah, bene» replicò Harpur.
«Ossequi a Jill da parte del tuo infamone prediletto».
Harpur aveva il tempo di passare da Sphere Street, e così fece. Dovendo indagare sull’uccisione di una bambina di tredici anni a colpi di pistola, si esita ad essere sgradevoli con la propria figlia di tredici anni soltanto perché ha oltraggiato un confidente di prima scelta. C’era gente più adulta di Jill che non riusciva a capire che senza informatori l’investigazione era morta. Ad ogni modo avrebbe pregato Jill di mettere quantomeno la mano sopra il microfono, quando gridava.
Dall’altro lato della strada, all’altezza del punto in cui era stata colpita NOON, Harpur individuò un vicoletto che portava ad un cortile sul retro di diversi negozi. Il vicolo era troppo stretto per un’automobile, ci passava tutt’al più un carrello della spesa. E ci stava pure un uomo accosciato. C’era un’uscita alternativa, attraverso il cortile. Per qualche secondo Harpur si accosciò all’imbocco del vicolo. C’era divieto di sosta su ambo i lati, a Sphere Street, e così, traffico a parte, aveva la piena visuale della porzione di marciapiede dove NOON era caduta. Al momento del fattaccio non ci sarebbe stato nemmeno il traffico, per via della sparatoria. Per chiunque sapesse come si spara la cosa sarebbe stata semplice, pure con la rivoltella.
Si rimise in piedi, poi si voltò per appoggiarsi contro il muro e vomitò abbondantemente, macchiandosi le scarpe e l’orlo dei pantaloni. Nell’accosciarsi, aveva visto NOON con orribile chiarezza, e aveva visto il proiettile lacerarle il collo: la ferita meno letale ma più cospicua. L’aveva vista cadere, e per un secondo si era sentito come se stesse impugnando a due mani una SIG-Sauer automatica, per prendere la mira con la massima efficienza. Era questo che l’aveva fatto vomitare: l’illusione di essere responsabile. Forse qualcosa del genere ma su scala più grande aveva contribuito a far ammalare Lane: questa grandiosa illusione di essere responsabile per lo scivolamento del territorio di propria competenza, della nazione e del cosmo verso l’inferno.
Schizzinosamente, Harpur si allontanò dal vomito, ripercorrendo il vicoletto in direzione del cortile. Cristo, ma questa era mollezza sentimentale da quattro soldi: riusciva addirittura a farsi venire la nausea sognando ad occhi aperti! Si pulì la bocca con il fazzoletto, che poi adoperò per rimuovere quel che si poteva dalle scarpe e dai pantaloni. Ritornò a Sphere Street. Ai clienti e al personale di tutti i negozi era stato domandato che cosa avessero visto, e nessuno aveva visto niente. Ma le domande erano state tutte a proposito dei cinque uomini, della Carlton e di NOON, non a proposito di un pistolero extra. Harpur decise che bisognava far menzione di questo possibile sesto uomo, quello nel vicolo. Passò rapidamente da tutti i negozi ancora aperti, quelli da cui il cecchino avrebbe potuto esser visto. Non inaspettatamente, nessuno aveva visto nulla. Spiacenti, ma proprio nulla. Dal giornalaio la ragazza dietro il bancone disse che non avrebbe potuto notare nessuno all’imbocco del vicolo, distratta com’era da cinque uomini che sparavano nel bel mezzo della strada. Ma quando Harpur annuì comprensivo, e la invitò a dirgli qualcosa dei cinque uomini, venne fuori che non ricordava niente di preciso nemmeno di quelli. Harpur nonostante tutto acquistò delle mentine, per l’alito. Bussò a diverse porte di appartamenti sopra i negozi, i cui occupanti avrebbero potuto osservare il cortile. Anche loro erano già stati sentiti, ma non in merito al vicoletto e al cortile. Ad ogni modo, nessuno di loro avevo visto qualcuno battere in ritirata per il vicoletto in seguito agli spari. Questa era l’inveterata, incurabile cecità locale che rendeva fondamentale Jack Lamb e i Jack Lamb minori. I quali, chissà come, vedevano e sentivano e parlavano. Per lo stesso ordine di motivi Mark Lane si era recentemente convertito alla pratica dell’infiltrazione.
Harpur si mise in macchina e raggiunse il Numero Tre. Jack era già lì. «Potrei avere un indirizzo che ti interessa, Col» disse.
«Bene».
«L’indirizzo di qualcuno alla ricerca del quale al momento vai facendo la pesca a strascico».
«Grandioso, Jack». A Lamb piaceva fare le sue rivelazioni a poco a poco. Per un fatto di ascendente.
«Ma dovrai andarci senza accompagnamento la prima volta, temo».
«D’accordo».
«Altrimenti tutto quanto finirebbe con l’additare me».
«Tutto quanto cosa, Jack?».
«Come Gola Profonda in Tutti gli uomini del Presidente» rispose Lamb.
«Giusto».
Lamb si protese in avanti e guardò fissamente Harpur. «La morte di una bambina, Col. Posso mai starmene tranquillo? Come si può?».
«Alcuni ci riescono».
«Tua figlia scherzosamente mi chiama infamone, Col, ma io non sono affatto quella cosa lì. Vabbè, questo non c’è bisogno che te lo dica, spero bene».
«No, Jack». Di tanto in tanto, Lamb perdeva un po’ di tempo o anche di più a spiegare il suo vangelo della delazione.
«Io non faccio il confidente per il gusto della confidenza, Col. E nemmeno in cambio di favori. Quello lì è il vero infamone. Io so un migliaio di cose che a te piacerebbe sentirti raccontare, ma questo non succederà, perché non c’è ragione che io te le racconti. Mi riferisco a persone che conducono le loro piccole disperate esistenze illegali, cui non ho intenzione di mettere la legge alle calcagna».
«Te ne sono grato, Jack».
«Ma certi delitti, Col... certi delitti puzzano. La morte di una bambina».
«Sì».
«Da vomitare».
«E be’, sì».
«Il mio silenzio non si estende a questi casi».
«Te ne sono grato, Jack».
Numero Tre era il nome in codice con cui Lamb indicava un casamatta di cemento della Seconda guerra mondiale sul lungomare, che di tanto in tanto utilizzavano per i loro rendez-vous. Harpur sospettava che a volte pure i criminali ci venissero, per incontri segreti e spartizioni. Lavoro di polizia, lavoro di malavita: normale che ci fosse qualche sovrapposizione. Il mondo è uno soltanto. Altro fatto raramente compreso dai profani.
Lui e Lamb non entrarono subito dentro la casamatta. Jack camminava e respirava rumorosamente nell’aria della battigia. Gli piaceva dare un tocco militare a quegli incontri, e spesso arrivava vestito con della roba presa alle svendite dell’esercito.
Stasera piovigginava, e lui si era presentato con indosso un’ampia mantella color kaki, nonché un berretto con visiera in testa, pure questo color kaki, sormontato dal fregio di un qualche reggimento. Questa passione di Jack per i film in costume pareva vanificare tutte le precauzioni osservate in nome della sicurezza. Era alto un metro e ottantacinque e passa e doveva pesare sui centoventi chili. Harpur era grande e grosso, ma accanto a Lamb gli sembrava di stare ai piedi di una scogliera. Jack era uno che dava nell’occhio in giacca e cravatta, figuriamoci vestito per lo Sbarco in Normandia. Portava un vistoso bastone da passeggio rivestito in pelle, con il quale di tanto in tanto indicava un punto all’orizzonte, come se avesse avvistato gli invasori attesi nel 1940, giunti un pochino in ritardo. Harpur non diceva mai un granché in merito alle mascherate e alle esibizioni di Jack. Se a Lamb piaceva così, così doveva essere. Harpur stava al proprio posto. A parte il fatto che a volte era arrivato vestito strano pure lui, anche se non da soldato. Possedeva un completo da cerimonia risalente ai primi del secolo, che aveva acquistato di seconda mano e con il quale di tanto in tanto gli piaceva pavoneggiarsi. Alla vista del completo le sue figlie perdevano il controllo, e non per l’entusiasmo.
«Ho sentito delle due testimonianze oculari, Col».
«Ah? E come?».
«Non sono di grande aiuto» rispose Lamb. Strinse a sé la mantella, e nel crepuscolo sembrò un gigantesco monumento che, in seguito ad atti di sfrenato vandalismo, fosse stato temporaneamente ricoperto da un telone in attesa di restauro.
«Quei due ragazzi appiedati, Col».
«Ne ho sentito parlare» disse Harpur.
«È questo che intendevo dire... l’indirizzo di uno dei due. Posso fornirtelo».
«Fantastico!».
«Ma non posso venire con te a darti sostegno, Col».
«Va bene così, Jack». Non avrebbe avuto bisogno dell’assistenza di uno con la mantella.
La pioggia s’infittì e loro entrarono dentro la casamatta. Harpur aveva messo a punto una tecnica per fare il pieno di aria fresca prima di entrare e poi respirare il minimo possibile, finché non si fosse abituato ai fetori accumulatisi in cinquant’anni e passa. Perlomeno aveva svuotato lo stomaco. Non aveva più niente da rigettare.
Lamb raggiunse immediatamente una delle feritoie, come faceva sempre. Ispezionò le distese di melma e il mare in lontananza, in caso dall’ultima volta fossero sopraggiunte ulteriori forze nemiche. Spinse indietro il berretto, in modo da potersi mettere ancora più vicino alla fessura e migliorare la visuale. Sembrava ci fosse qualcosa, nel modo in cui la mantella gli pendeva orgogliosa dalle spalle, che proclamava quanto amasse il suolo britannico e come quel giorno lì fosse pronto a morire su di una spiaggia per difenderlo: o forse più che altro un giorno del passato, se solo fosse nato prima.
Dopo alcuni minuti, Lamb si allontanò dalla feritoia, terminato il turno di sentinella. Poi disse: «Ti sto parlando di Billy il Marinaio. Bianco, 42 anni, porta il basco».
«Billy il Marinaio?».
«Il nome non ti direbbe nulla. Viene da fuori, ovviamente. Ma avrai riconosciuto la descrizione. Si trova in entrambe le testimonianze oculari».
«Ah sì?».
«Questi intrusi sono un tale fastidio, Col. Mi sorprende che voi ragazzi non abbiate raggiunto un accordo con i baroni locali per tenere le strade tranquille. Non so se hai mai sentito parlare della cosiddetta “teoria del caos”».
«Mi suona nuova» disse Harpur.
«Una specie di Realpolitik».
«Dov’è Billy il Marinaio?» ribatté Harpur.
«In un posto sicuro. Il suo nome è William Charles Rich. Scotland Yard potrà fornirti tutte le informazioni necessarie».
«Londinese?».
«Quelli cercano nuovi pascoli. Sono colonizzatori». Lamb cercò a tastoni sotto la mantella e ne estrasse un revolver. «Guarda, Col, tu un’arma, a livello ufficiale, non potrai fartela dare, perché... perché tu, a livello ufficiale, in quella casa non ci vai, dico bene?».
«Billy il Marinaio è armato?».
«E si capisce che è armato» disse Lamb. «Lo sai benissimo. Prendi questa. Calibro 32». Allungò la pistola in direzione di Harpur.
Harpur disse: «Meglio di no, Jack».
«Io non sto dicendo spara con la pistola. Sto dicendo portati dietro la pistola. Fagli vedere che dentro la tasca c’è qualcosa. È un deterrente in caso lui dovesse tentare qualche scherzo, e lui potrebbe».
«Meglio di no, Jack. Mi pare poco britannico. Le conosci le regole in merito alle armi da fuoco».
«Che si fottano, le regole».
«Tu puoi dire queste cose, Jack. Io no».
«Ipocrita bugiardo del cazzo. In questo come in tutte le altre cose». Sembrò improvvisamente pensare a qualcos’altro. «Non è la prima volta che la sento chiamarmi infamone, Col».
«Parlerò a Jill».
«Nemmeno sua madre aveva una grande opinione di me, vero?».
«Megan aveva le sue idee».
«Purtroppo Megan è morta, ma la tradizione continua, di madre in figlia, anzi: figlie». Lamb agitò il bastone con l’aria di chi tutto comprende. «Bah, Jill è soltanto una ragazzina. Lasciala in pace». Si voltò di nuovo verso il mare. «C’è come un risentimento generale, sai, nei confronti di quelli che forniscono informazioni alla polizia».
«Davvero, Jack?».
«Ho letto di uno studio ufficiale. Finanziato dal Consiglio delle Ricerche Economiche e Sociali».
«Studio ufficiale su che?».
«Sull’uso degli informatori. Le risultanze dicono che c’è ostilità. Mettono in discussione l’intero sistema».
«Oh, povero me».
«I ricercatori hanno scoperto che alcuni poliziotti utilizzano confidenti senza mettere al corrente i propri superiori».
«Mio Dio, ma è spaventoso. In totale contraddizione con le linee guida approvate, Jack». Le regole stabilivano e non facevano altro che ribadire che un informatore va gestito dall’intero corpo territoriale di polizia, non da un singolo funzionario. Ci volevano un Referente, e magari pure un Co-referente, un Controllore e un Supervisore, per la gestione del confidente. Che si fottessero, le regole. Jack era suo e soltanto suo. Quello che c’era tra di loro aveva natura fermamente personale e intrinsecamente pericolosa. «E allora, dove lo trovo Billy il Marinaio, Jack?».
«Non lo trovi, se non accetti la pistola. Chi veglierà su di me e sui miei affari se tu ti fai ammazzare?».
«Vero».
Lamb fece un passo in avanti, come un pilone semovente, e allungò di nuovo la calibro 32 ad Harpur. Harpur la prese.