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Lamb gli diede l’indirizzo e Harpur decise di darci subito un’occhiata. Come al solito, era a bordo di un pezzo d’antiquariato, una Lada, presa dal garage della polizia, a scopo di dissimulazione. Aveva la Charter calibro 32 nella tasca della giacca: quel rigonfiamento dissuasivo cui aveva accennato Jack. Lamb era solito menarla con la storia dell’incolumità di Harpur: lo considerava ingenuo e portato a sottostimare l’inesauribile malevolenza dell’universo.
La casa si trovava in un viale pulito e tranquillo di grandi semis, i quali suonavano ancora la tromba dell’ottimismo. Queste villette erano sorte negli anni Cinquanta, come a dire che la Seconda guerra mondiale era stata vinta e che le cose da allora in poi potevano andare bene sul serio. Potevano, sul serio: quest’incertezza comportava che la fiducia andasse proclamata a gran voce, che la si visualizzasse nell’ampiezza dei doppi bovindo – primo e secondo piano – e nelle colonnine doriche nei porticati. Harpur si reputava perspicace in fatto di architettura. Adesso era buio e nel passare davanti alla casa vide le luci accese dietro le tende chiuse nelle due stanze a pianoterra e in una stanza da letto al primo piano. Proseguì oltre. La cosa andava fatta a tarda notte. Adesso sarebbe andato a casa a fare il genitore single, poi se possibile a dormire un poco.
Quando Jack Lamb ti diceva qualcosa ti conveniva crederci, però poteva trattarsi soltanto di una verità parziale. Jack non sapeva tutto, si accontentava di sapere quasi tutto. Billy il Marinaio con ogni probabilità sarebbe stato nella casa, come aveva detto Lamb, ma poteva non essere solo. Il soprabito lungo stava a Sphere Street insieme a lui. Anche se in apparenza si erano separati, questa casa, detta “Kimberley”, poteva essere il luogo di ritrovo concordato in precedenza. Il soprabito poteva essere lì anche lui, possibilmente ferito, ma possibilmente pur sempre in grado di sparare. E potevano essercene anche degli altri. Era plausibile che la casa fosse il quartier generale di un manipolo di invasori: gang messe sotto pressione dalla Narcotici e dalla concorrenza a Londra o a Manchester o a Edimburgo venivano qui alla ricerca di commerci più facili, di rivali meno tosti. Perciò poteva andar bene la mascheratura del quartiere residenziale, specie con una certa ostentazione Vecchio Impero nel nome della casa. Gli intrusi spesso portavano guai: vedi Sphere Street. Non si rendevano conto, o poco si curavano, del fatto che la città fosse stata opportunamente suddivisa in zone d’influenza tra trafficanti locali, così da raggiungere una situazione di stallo, di pace sui generis.
Harpur sentiva che se fosse riuscito a scovare Billy il Marinaio o chi per lui a Kimberley, e a parlarci, sarebbe stato possibile stabilire quale fosse il significato della battaglia di Sphere Street, e che c’entrasse la bambina, se c’entrava. Allora forse sarebbe stato possibile anche persuadere il Capo che non c’era più bisogno di fare infiltrare qualcuno fra i trafficanti. Su questo punto Harpur concordava tuttora con Iles. I rischi erano evidenti. Di norma, il Capo sarebbe stato il primo a rendersene conto, ma le ansie e il senso di colpa che aumentava a dismisura avevano iniziato ad aver la meglio sul suo discernimento, e persino sul suo senso di umanità.
Harpur adorava penetrare illegalmente e in solitudine in casa d’altri e fiutare e ficcare il naso e scoprire questo e rendersi conto di quell’altro. Era una scorciatoia verso la verità, in mancanza di un termine migliore. Per lui era di gran lunga la parte più gratificante del suo lavoro. La vita e l’anima del sospetto a casa sua stavano in bella mostra. Harpur considerava queste intrusioni alla stregua della psichiatria: lo strizzacervelli scrutava al di là dell’arredamento del cervello e Harpur scrutava al di là dell’arredamento e basta. Però ci voleva un pochino di prudenza. Se ti beccano in casa d’altri senza invito la ritorsione può essere pesante. E l’intrusione di stanotte non era una spiata e basta. L’obiettivo era di far sbarcare Billy il Marinaio, e i suoi eventuali compagni di navigazione. Il fattore sorpresa era cruciale. Ovviamente Harpur non poteva arrischiare l’effrazione con tutte quelle luci ancora accese. In effetti per qualche momento, nel passare davanti alla casa, rimpianse di aver deciso di agire da solo. Questo era il prode cavaliere più pazzo del mondo: un uomo solo, pateticamente bloccato quanto all’uso delle armi da fuoco, che doveva affrontarne Dio sa quanti, probabilmente tutti armati. Non capiva perché Lamb temesse che l’eventuale intervento di un plotone di poliziotti lo avrebbe additato quale fonte dell’informazione, e invece l’intervento solitario di Harpur no. Ma Harpur aveva dovuto acconsentire. La pelle dell’informatore viene sempre prima della tua, e le promesse fatte in nome della dissimulazione sono sacre. Vale a dire, quasi sempre e più o meno sacre.
Quando Harpur arrivò a casa, le sue figlie erano ancora alzate. Avevano invitato una mezza dozzina di amici per una riunione all’insegna della musica, del sidro e di chissà che altro. Si unì a loro e si impadronì di un po’ del loro Stronghow per mescolarlo al suo gin di Plymouth. In vita sua aveva ascoltato musica peggiore, ma non dall’ultima volta che Hazel e Jill avevano invitato gli amici a casa. Jill ballava da sola, muovendo il collo avanti e indietro e facendo serpeggiare le braccia, il volto inespressivo. Darren, il suo ragazzo, sembrava addormentato sul sofà, un bicchiere rovesciato al suo fianco. Harpur non sentiva odore di spinelli, ma non è che tutti gli stupefacenti abbiano un odore particolare. La stanza dava sulla strada e anche se le tende non si chiudevano a dovere Harpur andò ad accostarle il più possibile. Durante una tregua musicale, Hazel disse: «L’opinione generale è che i poliziotti abbiano perso la battaglia, papà».
«Quale battaglia?» replicò Harpur.
«Dai che lo sai...» fece lei.
«L’opinione generale in che senso?».
Hazel indicò con la mano i giovani presenti nella stanza, spaparanzati o danzanti che fossero, ivi compreso Darren. «E pure alcuni dei loro genitori pensano la stessa cosa, anche quelli pro-polizia».
«Genitori pro-polizia, sì, ne ho sentito parlare» replicò Harpur.
Il ragazzo di Hazel, Scott, mormorò: «Mia madre dice che fanno quello che vogliono».
«La polizia?» chiese Harpur.
«No... i signori della droga. Vedi Sphere Street».
La madre di Scott non era pro-polizia. Lei detestava questo rapporto con la famiglia di Harpur, fondamentalmente per ragioni di sicurezza. Harpur quasi quasi la capiva. Si trovavano nel grande soggiorno, il cui arredamento consisteva tuttora degli scaffali stracolmi dei libri di Megan. Megan era intelligente, ma s’era bevuta tutte quelle cose lì, perfino Dombey e figlio di Charles Dickens. Lui ormai era pronto a liberarsi praticamente di tutto quanto da un giorno all’altro. Quei libri adesso non avevano nessun ruolo e lo mettevano in imbarazzo. E tuttavia sarebbe stato uno strappo cancellare una delle ultime tracce di Megan.
Jill aveva smesso di ballare, ed attraversò la stanza per dargli man forte: «Ignorali, papà». Si strinse affettuosamente ad Harpur. Con una mano gli tastò la giacca. «Ma che è, il ferro?».
«Smettila, non siamo in televisione» ribatté lui.
Jill disse: «Vincerete voi, vero papà?». Teneva ancora la mano sulla tasca di Harpur. «Esci, più tardi?».
«Io adesso vado a letto» rispose lui, finendo il suo drink. Puntò la sveglia e dormì per quattro ore, fino alle 2 e 30. Quando si svegliò la casa era buia e tranquilla. Si vestì e dibatté mentalmente riguardo alla calibro 32. Sapeva adoperare la pistola ma aborriva da sempre l’idea di portarsene una appresso; figuriamoci sparare. Iles considerava quanto sopra una facile posa, e lui di pose se ne intendeva. Stanotte, però, Harpur prese la rivoltella. L’inquietudine di Jack era giustificata. Senza far rumore, Harpur avanzò nel pianerottolo. Stava per scendere le scale quando si aprì la porta della stanza di Jill, che ne uscì in pigiama e lo prese per mano. Scesero al piano terra, in silenzio, mano nella mano, lui un gradino avanti con il braccio teso all’indietro verso di lei. Vicino alla porta d’ingresso, lei toccò ancora una volta la tasca di Harpur, poi lo prese di nuovo per mano. Per qualche momento rimasero fermi nella stanza buia.
«Io non posso venire, giusto?» domandò lei.
«Non sei vestita».
«No. Ma non potresti portarti dietro, diciamo, il signor Desmond Iles? Fagli uno squillo. Voglio dire: può servire, uno pazzo e piuttosto feroce e abbastanza intelligente».
«Ecco, quello è il signor Iles. Non starò via molto».
«La battaglia, eh?».
«Debbo andare in un posto».
Jill abbassò la testa e Harpur pensò che potesse scoppiare a piangere. Ma quasi immediatamente sollevò lo sguardo e sogghignò. «Preparo una prima colazione speciale».
Harpur la baciò sulla fronte, poi uscì.
Anche Kimberley era al buio. Parcheggiò nella strada successiva e si incamminò. Harpur doveva per quanto possibile trasformarsi in una componente silenziosa della notte, e portava delle scarpe blu da corsa con le suole di gomma, pantaloni da lavoro scuri e la giacca del completo azzurro. Questa sembrava una di quelle zone passabilmente danarose, dove il maledetto Neighbourhood Watch si sarebbe messo sul chi vive data la minima opportunità, anche a notte fonda, stante il morboso attaccamento di quella gente nei confronti dei beni materiali. Le violazioni di domicilio da parte di Harpur avvenivano di solito attraverso la cucina. Sembrava logico, perché la cucina in genere stava sul retro della casa e se nel giardino c’erano degli alberi servivano da schermo. A volte, poi, potevi trovare la tavola pronta per la prima colazione del mattino dopo, che indicava il numero degli occupanti della casa. Ma se questo era un campo base maschile probabilmente non ci sarebbero stati chissà quali tocchi domestici. Ad ogni modo, lui entrava sempre dalla cucina perché... perché sì. Aveva il suo metodo, così come la gran parte degli scassinatori, e aveva bisogno del conforto dell’abitudine, così come la gran parte degli scassinatori. L’efficienza c’entrava pure ma non era di primaria importanza. Un giorno avrebbero aperto un bel fascicolo sulle sue imprese criminali, e alla voce Modus Operandi ci sarebbe stato scritto: È solito introdursi attraverso una finestra della cucina, forzandola o rompendola. A causa della mole e della decrescente agilità gli necessita una finestra grande.
Stavolta si introdusse attraverso una finestra della cucina, utilizzando il piede di porco. A causa della mole e della decrescente agilità scelse una finestra a due battenti che si apriva su di un ripiano di scolo di metallo, pieno di tazze sporche e cose del genere. Dovette perciò impiegare alcuni minuti a spostare le stoviglie di lato onde crearsi un sentiero in mezzo ad esse. Nel giardino c’erano un paio di eucalipti e nient’altro, perciò poteva essere visibile da chi, nelle case retrostanti, soffrisse d’insonnia o fosse andato a fare la pipì. Per un momento, mentre riposava un poco dopo aver faticato alla finestra, gli sembrò di sentire un rumore proveniente da dietro uno degli alberi, vicino alla siepe, che cessò quasi all’istante. Ad Harpur si gelò il sangue nelle vene. Scrutò nell’oscurità senza peraltro poter distinguere alcunché: forse era stata la brezza oppure un gatto. Si volse di nuovo verso la finestra, si arrampicò all’interno e riuscì a scansare le stoviglie da lui stesso opportunamente ridisposte. Si tirò dietro la finestra, anche se adesso non era possibile serrarla. Si adagiò sul pavimento e lì rimase per un minuto buono, orecchie tese e profilo basso. Ripose il piede di porco nel tascone dei pantaloni da lavoro. La quantità di stoviglie non lavate pareva dire la stessa cosa delle luci in giro per la casa, qualche ora prima: che qui dentro c’erano diverse persone. Fece lo stesso gesto di Jill, toccò la tasca della giacca in corrispondenza della pistola. Sissignore, la pistola era stata una buona idea. Anzi, avrebbe dovuto farsi dare da Lamb qualche cartuccia extra, se gli toccava affrontare una caserma intera.
Non sentì niente e la casa rimase al buio, ma bisognava considerare che un tizio – o dei tizi – appena uscito da un conflitto a fuoco con morto sarebbe stato all’erta. Nonostante queste strade e questo quartiere fossero molto lontani da Sphere Street, Billy il Marinaio, il soprabito lungo e gli amici loro sapevano senz’altro che i rastrellamenti della polizia vanno ad allargarsi a partire dal luogo del delitto verso i quartieri circostanti, per poi allargarsi ulteriormente. Alla fine avrebbero raggiunto anche l’esclusiva Kimberley e il suo vicinato. Che ’sti ragazzi avessero messo qualcuno di guardia, in attesa, però in attesa al buio, così che la casa sembrasse immersa in una innocente quiete come tutte le altre?
Harpur si sollevò, mettendosi carponi. Alla luce della luna, nei momenti in cui le nuvole lo permettevano, riusciva a distinguere la porta che immaginava conducesse al resto della casa. Era chiusa. Avanzò lentamente verso di essa. Una volta lontano dalla finestra si sarebbe alzato in piedi, e magari avrebbe tirato fuori dalla tasca la calibro 32. Harpur non era mancino, ma aveva messo la pistola nella tasca sinistra, a mo’ di impaccio che ne scoraggiasse l’uso. Il pavimento era sudicio e di tanto in tanto le dita gli si appiccicavano alle mattonelle di linoleum. La sporcizia indicava chiaramente il sesso maschile degli occupanti.
Raggiunta la porta, si mise in piedi. Girò il pomo della maniglia e la aprì piano piano. C’era un’anticamera – o quello che in questo genere di casa sarebbe stato definito un vestibolo – un’anticamera con altre due porte chiuse su ciascun lato, e delle scale che salivano sulla destra. La luce della luna filtrava attraverso il vetro colorato della porta d’ingresso, rombi e rettangoli di blu, rosso, arancione e verde. Si fermò un momento, tendendo di nuovo le orecchie. Sentì il battito del proprio cuore: abbastanza regolare. Nient’altro.
Nient’altro per un istante. Poi, invece, all’improvviso, si udì il fracasso di una serie di movimenti violenti, poi un crollo rovinoso. Qualcosa colpì i suoi pantaloni da lavoro appena sopra la caviglia. I rumori non venivano dalle stanze di fronte a lui, e nemmeno dal piano di sopra. Venivano da dietro. Lo shock lo paralizzò per un momento. Quando si riebbe e ritrovò una qualche padronanza di sé, per prima cosa si girò a guardare, e contemporaneamente sollevò la mano ed il braccio per proteggere la testa. Avrebbe dovuto allungare la mano verso la calibro 32: invece lo spavento lo faceva comportare da vittima. Che cosa triste. Vide subito da dove provenivano i rumori. La finestra dalla quale era entrato in casa era stata aperta un’altra volta. C’era un uomo in piedi nel giardino, ma con la testa e le spalle dentro la cucina, e con un braccio sul ripiano di scolo del lavello. Una pila di stoviglie era finita per terra. Capì che a colpirlo poc’anzi era stato un frammento di porcellana. Il rumore più forte era stato quello delle stoviglie che andavano in frantumi, ma subito prima c’era stato un impatto dal suono più grave, che immaginò essere quello tra la testa del tizio e il ripiano di scolo. Intravide del sangue che, dal cranio o dalla faccia del tizio, colava sul ripiano di scolo e di lì finiva nel lavello. Il tizio parlò. Non sollevò la testa, per cui le parole parevano rivolte ai piatti sporchi superstiti. «Col, alla fin fine non potevo lasciarti da solo». La voce era debole e soffocata da qualcosa che doveva essere dell’altro sangue, ma era abbastanza distinta e riconoscibile.
«Jack» sussurrò Harpur. «Che cos’è successo? Chi c’è in questa casa?».
A quel punto Lamb tentò di raddrizzarsi. Harpur lo vide far leva con la mano sul ripiano di scolo, lottando per sollevarsi nel vano finestra. E sembrò che potesse farcela. Riuscì a sollevare un poco la testa, poi le spalle. Gli occhi erano aperti e sgranati, forse riuscivano a scorgere Harpur, più probabilmente no. Più si raddrizzava e più perdeva il sostegno del ripiano di scolo. Harpur si rese conto che soltanto quella flessione a novanta gradi sul davanzale della finestra aveva impedito a Jack di scivolare all’esterno. Adesso Jack vacillò lentamente verso sinistra. Batté forte la testa contro il montante di legno bianco della finestra: altro sangue. Non riuscì a ritrovare l’equilibrio e scivolò giù, fuori dalla visuale di Harpur. Sentì Lamb atterrare sul cemento, un rumore tremendo di corpo pesante che cede del tutto.
L’istinto immediato di Harpur fu di raggiungerlo. Ma rimase dov’era, allungò la mano ed estrasse la rivoltella dalla tasca. Chiunque si trovasse in casa doveva aver sentito il rumore, addormentato o meno che fosse. Si rannicchiò nel vano d’ingresso della cucina, come aveva fatto nel vicoletto che dava su Sphere Street: stavolta però la pistola ce l’aveva davvero. Attese il rumore di un qualche movimento, magari al piano superiore. Che diritto aveva di gridare «Polizia! Siamo armati!» nel momento in cui si trovava lì dentro illegalmente e con un’arma che con la polizia non aveva niente a che vedere? E a questi gliene sarebbe importato qualcosa, se lui avesse effettivamente gridato «Polizia! Siamo armati»? Solo nel caso in cui avessero immaginato che lui faceva parte di tutto un battaglione, e come si faceva a farglielo credere?
Ma nonostante Harpur aspettasse per almeno tre minuti, non gli riuscì di distinguere alcun rumore proveniente dall’interno della casa. Sentiva soltanto il respiro spaventosamente affannoso di Lamb provenire dal punto in cui giaceva, fuori della finestra aperta. Suonava come la lotta per la vita di qualcuno a corto di energie. Harpur capì che la casa era vuota e credette di aver capito perché. Jack doveva essere arrivato prima, con l’intenzione di dare man forte ad Harpur. Lo avevano scoperto che si aggirava furtivo per il giardino e forse gli avevano sparato, o più probabilmente gli avevano dato una botta in testa facendogli perdere i sensi. Gli spari avrebbero destato i vicini. Forse chi gli aveva dato la botta in testa pensava che Jack ne fosse morto. Quest’ultimo doveva essere rimasto steso per terra, poi forse aveva visto Harpur penetrare nella casa. Gli occupanti dovevano essersene andati non appena archiviata la pratica di Jack, per paura che potessero arrivare i rinforzi.
Attraverso la finestra aperta Harpur vide che si erano accese le luci in due case alle spalle del giardino. Doveva essere stato il fracasso delle stoviglie cadute a terra. Rimase dov’era, sempre con la pistola in mano. Dopo qualche minuto il fascio di luce di una torcia elettrica illuminò il retro della casa. Gli sembrò provenire dal giardino immediatamente alle spalle della casa, ed era diretto oltre la siepe. Si fermò per un poco sulla finestra aperta per poi abbassarsi. Jack era ovviamente assai cospicuo. Il fascio di luce si sollevò nuovamente e si mosse in giro per la cucina. Harpur si concentrò per rimanere assolutamente immobile. La luce si allontanò. Ad Harpur parve di sentire il rumore di una corsetta in pantofole.
Fece scivolare in tasca il revolver ed uscì alla svelta dall’ingresso principale della casa. Non poteva accorrere in soccorso di Lamb. E nemmeno azzardare una perquisizione della casa, anche se si sarebbero potute fare scoperte interessanti, specie se gli occupanti avevano dovuto abbandonarla all’improvviso. Raggiunse di corsa la propria auto e al quarto tentativo il catorcio si mise in moto. Si allontanò alla svelta da quel quartiere. A casa trovò entrambe le figlie alzate e in camicia da notte: «Hanno chiamato dalla centrale, per questo siamo sveglie» disse Hazel. «La cosa sembrava sull’urgente. Voglio dire, sono quasi le 4 del mattino».
Harpur chiamò la Sala Operativa. «È stato trovato un uomo gravemente ferito nel giardino di una casa di Letchworth Avenue, signore. Un vicino ha sentito dei rumori e ha chiamato. Sembra che la casa di recente fosse stata utilizzata da diversi uomini non identificati. Per questo l’Ispettore Beale immaginava che la cosa le sarebbe interessata, signore. Intendo dire, per le ricerche in merito a Sphere Street».
«Sì, grazie. Chi è il ferito?».
«Non c’è ancora un’identificazione, signore. Addosso non aveva documenti di alcun genere. Brutte ferite alla testa e al volto. È messo male, a quanto pare. Probabilmente l’hanno picchiato. L’ambulanza è ancora lì, in questo momento».
«Dammi l’indirizzo completo, per cortesia... e, che strada conviene fare...?» Harpur fece dei grugniti come se stesse scrivendo tutto quanto.
«Dato che non riuscivamo a rintracciarla abbiamo chiamato il signor Iles, signore».
Gesù. «Giusto».
Mise giù il telefono e Jill disse: «Il ferro ce l’hai nell’altra tasca, adesso. Rogne?».
«Gli abbiamo detto che probabilmente eri uscito per effettuare una sorveglianza ravvicinata» disse Hazel. «Che poi è la frase che copre un po’ tutta la tua vita amorosa, giusto papà?».
«Non abbiamo detto che avevi il ferro» disse Jill.
«Vi conviene dormire un poco» replicò Harpur. «Tra quattro, cinque ore c’è la scuola».
«Stai uscendo di nuovo?» domandò Jill.
«Torno subito».
«Torni dove sei già stato?» disse Jill. «Cos’è, ti muovi per i fatti tuoi?».
«Ma si capisce...» rispose Hazel.
Non appena le figlie furono di nuovo a letto Harpur ripose il piede di porco nella cassetta degli attrezzi, poi andò al piano di sopra e infilò la calibro 32 in una delle borsette di Megan. Ce n’erano ancora tre su di uno scaffale dell’armadio, sopra certi vestiti di lei. Anche qui bisognava fare un repulisti generale al più presto. Si tolse di dosso la mise da topo d’appartamento e indossò la camicia più bianca che riuscì a trovare, una cravatta argentata e un completo leggero di colore grigio. Adesso doveva essere un altro personaggio. Si tolse la sporcizia viscosa dalle mani, poi ritornò a Letchworth Avenue. C’erano luci accese dappertutto: a Kimberley e in un sacco di altre Kimberley lì intorno. Vide un paio di colleghi che andavano bussando di porta in porta alla ricerca di informazioni. Intorno alla casa c’erano varie auto della polizia, ufficiali e no. L’ambulanza doveva esser già partita.
Nell’ingresso c’era Iles. Giaccone scamosciato marrone, pantaloni di velluto a coste rossicci, Doc Martens nere e una sciarpa rossa che faceva gran figura. Tolte le scarpe, praticamente era il modello di una réclame di abbigliamento casual invernale per l’uomo avanti con gli anni. Mancava solo il setter irlandese. L’A.C.C. strinse la mano ad Harpur con incontenibile entusiasmo. Era una stretta pregna delle più vive congratulazioni.
«Lo sapevo – ne ero certo – che alla fine lei sarebbe spuntato, Col» disse Iles. «Tutti gli altri dicevano che no, che sarebbe stato impegnato per tutta la notte, in un posto caldo e accogliente e deliberatamente irraggiungibile, come al solito. Irraggiungibile da noi e dalle sue figlie, beninteso, non da chi interessa a lei. Ma io, io ho eterna fede in C. Harpur». Gridò in direzione di una delle stanze sul davanti della casa: «Viv, Alec, Gordon, Sid, Jane... guardate un po’: qui c’è Harpur, con la cerniera lampo perfettamente chiusa. E voi che ingenerosamente lo accusavate di trascurare il dovere e la prole in favore della causa della figa. I sani principi di Col lo riportano sempre a casa in tempo per la prima colazione. E allora, Harpur, io penso che possa sopravvivere. S’è preso delle belle martellate, però. Pare che intendesse compiere un’effrazione. Da una finestra della cucina. Forse s’è fatto sentire e l’hanno inseguito per il giardino. Garland sta controllando qualcosa vicino la siepe. Tutti gli altri stanno perquisendo le stanze».
Harpur: «Molti scassinatori entrano dalle cucine».
«Sì, l’ho sentito dire» replicò Iles.
«Diciamo che la cosa restringe la cerchia dei sospetti, però».
«Ah, bene».
«Io...».
«Un po’ grosso per fare il topo d’abitazione» disse Iles.
«È per questo che alcuni di loro entrano dalla cucina. Perché di solito c’è una grande finestra a battenti, per fare uscire gli odori».
«E sì, c’era proprio una finestra a battenti» disse Iles.
«Non mi sorprende» disse Harpur.
«Ecco. Non riteniamo che sia effettivamente riuscito a introdursi in casa, però». A questo punto cominciò a ringhiare. «Ma che diavolo facciamo, Harpur! È lei che dovrebbe fare rapporto a me. Il tizio potrebbe aver fatto cadere una pila di piatti dal ripiano di scolo del lavello. Scarsa destrezza, Col».
«Chi abita in questa casa?» fece Harpur.
«Tre uomini, forse quattro. Così dicono i vicini. Probabilmente in affitto. Stiamo cercando il proprietario. Chiunque fossero sono stati maledettamente bravi a far sparire ogni traccia. Niente di niente. A quanto pare, c’è stata attività intorno alle 2 e 15 antimeridiane. Una macchina che partiva in tutta fretta. E poi, più di un’ora dopo, si parla di un ragazzone in tuta nera che esce dalla porta principale correndo a precipizio. Con le suole di gomma. Un altro vicino – quello che ha fatto il 999 – ritiene che ’sto ragazzone in nero potrebbe esser rimasto accovacciato all’interno della cucina per un po’. E poi ci hanno appena detto che nella strada accanto un’automobile si è messa in moto al terzo o quarto tentativo per poi allontanarsi a tutta velocità, verso le 3 e 30 antimeridiane. Senta, Harpur, ma le riescono tutte quante nuove, queste cose? Allora non era in giro per ragazze, dopo tutto?».
«La casa era il quartier generale degli invasori?» rispose Harpur.
«È possibile».
«Dovrei dare un’occhiata al giardino» disse Harpur.
«E si capisce che dovrebbe. Se fosse arrivato prima avrebbe potuto vedere il tizio ferito in situ. Ma lei deve vivere la sua vita, Col, deve andare dove la porta il pisello. Forse. Non potevamo lasciarlo lì fuori per terra a rantolare finché lei non trovava il tempo di farsi vedere, dico bene? C’è Mark Lane, nel giardino, abbigliato da par suo».
«Ah, io non...».
«Il Capo ha dato precise istruzioni di informarlo in merito a qualsiasi cosa c’entri con Sphere Street e NOON, fino a nuovo ordine. E ’sta cosa qui c’entra, a quanto pare».
Sissignore, Jack doveva aver pensato la stessa cosa.
Iles disse: «Naturalmente, Lane va chiedendo di lei, Col. Capo della Sezione Investigativa e via dicendo. Veda di mostrare un certo interesse. Io ho detto: probabilmente starà effettuando una sorveglianza ravvicinata da qualche parte, e necessariamente non è raggiungibile via radio».
«Grazie. Sì. Hazel ha detto la stessa cosa a quelli della Sala Comando».
«Ah, come ci prendiamo cura di lei, Col, Hazel ed io. C’è come un vincolo spirituale, tra me e sua figlia, sa?».
«Sì, e così deve restare, signore: spirituale» ribatté Harpur. Attraversò l’ingresso ed entrò nella cucina. Il frammento di tazza che aveva colpito la gamba dei suoi pantaloni giaceva sempre nel punto in cui era atterrato. Sfregò il pavimento con le scarpe il più possibile, in caso avesse lasciato delle impronte digitali sullo strato di lordura. Poi raggiunse il giardino passando dalla porta sul retro. Avevano montato delle luci. Lane aveva una brutta cera. Indossava un cappotto corto tra l’arancione ed il fulvo. Il tipo di indumento che ti aspetti dall’usciere di un locale a luci rosse o da un ispettore scolastico. La faccia del Capo aveva avuto un crollo, causato forse da mancanza di sonno, forse da accumulo di panico. Teneva la bocca aperta e storta da un lato, come se fosse ferito. Si muoveva spasmodicamente, facendo avanti e indietro tra il punto dov’era precipitato Jack ed uno degli eucalipti al confine del giardino. Francis Garland era tutto indaffarato ad esaminare l’albero stesso e il terreno tutt’intorno. «Qui è dove è stato picchiato, probabilmente» disse Garland ad Harpur. «C’è parecchio sangue nell’erba e un poco sul tronco e sulla siepe. Magari si è reso conto di aver fatto troppo rumore, e stava cercando di arrampicarsi sulla siepe quando l’hanno beccato».
I percorsi a zig-zag di Lane lo portarono vicino a loro. «Questa era una strada perbene, un posto tranquillo, Harpur. Conosco delle persone che abitano qui vicino. E invece adesso abbiamo... Dove andremo a finire? Dove?».
Garland disse: «Charlie Mates pensa di averlo riconosciuto. Jack Lamb, un gallerista».
«Gallerista? Mio Dio...» esclamò il Capo. I primi uccelli del mattino gli risposero.
«Credo di aver sentito parlare di questo Lamb...» disse Harpur.
«A quanto pare possiede una specie di maniero...» fece Garland.
«Mio Dio» ripeté Lamb. «Un uomo di un certo status sociale, che vive in mezzo alla bellezza, ed eccolo qui, sordidamente picchiato forse a morte, nel giardino di un quartiere residenziale. Per quale motivo si trovava qui, Francis?».
Be’, Lamb si trovava qui per via di NOON. E si trovava qui pure perché tra lui ed Harpur c’era questa nobile, antica complicità della quale non si poteva raccontare al Capo. Né a nessun altro. Harpur osservò l’albero. Sul tronco vide quella che poteva essere l’impronta di una mano sporca di sangue, come se Jack vi si fosse appoggiato dopo esser stato tirato giù dalla siepe. Al momento dell’effrazione di Harpur, Lamb doveva essere ancora dietro l’albero. Perché non lo aveva chiamato? Forse non ne era ancora in grado. O magari temeva di attirare addosso ad Harpur le stesse violenze che aveva subito lui. Jack era un galantuomo, a modo suo.
Lane abbassò la voce: «Non è forse ovvio, a questo punto, che dobbiamo infiltrarci, Colin?... Francis? Questa gente fa quello che gli pare e piace. Noi siamo impotenti».
«La madre del ragazzo di mia figlia dice la stessa cosa, signore» rispose Harpur.
«È possibile sconfiggerli soltanto dall’interno. A tempo debito potrei convocarla per una piccola riunione a casa mia, Colin» disse Lane. «Meglio vederci lì».
«Certamente signore. Quale sarebbe l’oggetto della riunione? Casomai dovessi prepararmi sull’argomento».
«Sarebbe saggio non farne menzione con il signor Iles. Nelle prime fasi, intendo dire» fece Lane.
«Prime fasi di che cosa, signore?» chiese Harpur.
«Naturalmente Desmond sarebbe messo al corrente non appena necessario» fece Lane.
Iles si avvicinò a loro. Il Capo si incamminò verso l’area macchiata di sangue, sotto la finestra. L’A.C.C. disse: «Ho sentito fare un nome...?» domandò.
«Forse Lamb» disse Garland.
«Mi parli di quest’uomo, Col» replicò Iles.
«Francis dice che è un gallerista che possiede una specie di maniero» disse Harpur.
«A lei dice qualcosa?» domandò Iles.
«Non più di questo» rispose Harpur.
«Sì...?» fece Iles.
Questa era intesa come una domanda, ed esigeva una risposta. Harpur disse: «L’effrazione alla finestra evidenzia una certa abilità».
«Non abbiamo trovato nessun piede di porco» replicò Iles.
Questa volta Lane non fece il suo tour completo, e ritornò quasi subito. «Francis, gradirei mi facesse un elenco di tutti i vicini che ci hanno dato una mano in questa vicenda. Scriverò una lettera personale di ringraziamento a ciascuno di loro». Si contorceva visibilmente dentro il cappotto fulvo. «È importantissimo incoraggiare chi si comporta come si deve, in questo mondo che va in pezzi».
«A Francis non piace che si elogi qualcuno all’infuori di lui, ma sarà mia cura assicurarmi che ’sto pomposo bastardo le faccia avere la lista, signore» rispose Iles.